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Messaggi - Apeiron

#316
Tematiche Spirituali / Re:Karma e reincarnazione
17 Marzo 2018, 15:36:36 PM
Nota su Bohm: l'interpretazione della meccanica quantistica di Bohm "originale" - quella del 1952 - descrive un universo deterministico formato da particelle puntiformi che interagiscono non-localmente. La distinzione tra ordine implicito e ordine esplicito che dal punto di vista filosofico è piuttosto interessante l'ha introdotta molto più tardi su influenza probabilmente di Krishnamurti.  Tuttavia tra i fisici l'interpretazione bohmiana è quella del 1952 (anzi negli ultimi vent'anni si è anche visto che non è necessario il "potenziale quantistico" e la realtà fisica della funzione d'onda, a differenza di quanto Bohm pensava).

La mia opinione sullo scetticismo...
Il punto è che un minimo di "fede" nell'intelligibilità delle cose è presente anche tra gli scienziati. Mentre la parola "dimostrazione" può avere senso a livello della matematica, della logica o di qualche discussione filosofica (es: dimostrare l'incoerenza di una posizione filosofica) nel caso della scienza ci sono un sacco di problemi ad usare tale parola (da qui le "polemiche" sulla demarcazione, sul verificazionismo, falsificazionismo e così via).

Per esempio uno scettico tout court potrebbe mettere in discussione che la Terra è "quasi sferica" dicendo che è possibile che ci sia un "Genio Maligno" che ci inganna. La scienza si limita a testare le ipotesi, a verificarle di volta in volta ecc. Rigorosamente dunque la scienza non arriva a "dimostrare" (o "scoprire") niente. A meno che non si ha un po' di "fede" nella scienza stessa. Per esempio devo avere un minimo di fiducia che il microscopio non mi inganna se voglio parlare di batteri e così via.

E qui dunque si mostra la problematicità dello "scetticismo": nel fatto che in realtà è preferibile prendere posizione a volte. Lo scetticismo estremo è in fin dei conti una fuga. Dunque dobbiamo essere pronti anche ad accettare certe posizioni piuttosto che altre dopo aver analizzato esse con la ragione. Ergo, il problema non è "prendere una posizione" quanto l'attaccamento alle posizioni. Attualmente ho certamente una mia "visione delle cose" e attualmente ritengo che la mia visione delle cose sia "migliore" rispetto a molte altre. Però cerco di tenere la mente aperta per accogliere una posizione che mi sembrerà migliore della mia. Rischio di finire nella gabbia dell'illusione? Sì. Tuttavia non posso non prendere posizioni. Fin dalle questioni più semplici come ad esempio gestire un normalissimo imprevisto e scegliere cosa scrivere su questo Forum (scrivo ciò che scrivo perchè credo che sia giusto scriverlo). Oppure quando scelgo una interpretazione della meccanica quantistica piuttosto che un'altra. Fino ad arrivare a decidere se credere per esempio l'universo è stato creato o meno. Non posso saperlo però posso confrontare le varie "visioni del mondo" che sono state esposte dai pensatori del passato e del presente e scegliere quella che mi sembra la migliore, cercando di mantenere per quanto possibile una mentalità aperta e disposta a cambiare idea. Sì anche questa è una forma di "scetticismo". Tuttavia è una forma di scetticismo che mi permette di dire che è preferibile pensare che noi possiamo sapere che esistono batteri e virus e che posso curare le malattie dovute ad essi con i farmaci opportuni. Mi permette di dire che è ragionevole pensare che la relatività generale è una più ragionevole descrizione della "gravità" della fisica newtoniana. Mi permette di dire che è più ragionevole pensare che domattina il Sole sorgerà ancora. Ma oltre a queste "cose scontate" questo mio scetticismo mi permette di interrogarmi e provare a dare per quanto possibile delle risposte anche su argomenti più spinosi come la natura dell'etica, su cosa è giusto e cosa non lo è, se ci sarà una continuazione dell'esistenza dopo la morte, se la matematica è solo convenzionale e così via. Questo scetticismo è vivo, attivo e aperto alla novità. Ovviamente ciò non toglie che tutto ciò che dico, tutte le mie risposte possono essere errate. A suo modo inoltre è coraggioso e produttivo. Invita alla ricerca. Se parto dall'idea che questa mia ricerca non mi porterà mai a nulla, non mi aiuterà in nessun modo a "uscire" dalla gabbia (o almeno in parte) che non potrò stabilire niente allora parto con un assioma. Così come è un assioma pensare che nessuno nella storia sia riuscito ad uscire dalla gabbia, almeno in parte. Assiomi che non condivido anche se posso rispettare. Motivo per cui il mio scetticismo in realtà è una ricerca.

Ovviamente è solo la mia opinione. Altri potranno non essere d'accordo.
#317
Tematiche Spirituali / Re:Karma e reincarnazione
17 Marzo 2018, 13:16:48 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 17 Marzo 2018, 10:04:37 AM

Non sono affatto d'accordo: affermare che l'universo possa esistere "per caso" è eccepibilissimo proprio dal punto di vista scientifico, proprio in relazione alle premesse da cui parte la scienza. E' una soluzione di comodo per non sentirsi tenuti a fornire spiegazioni.

Innanzitutto il "caso", a ben vedere, non è altro che un'etichetta data ai fenomeni non conosciamo esaurientemente, e che quindi noi approcciamo con alcuni strumenti matematici che ci consentono una conoscenza approssimativa dei fenomeni in questione. Dunque, applicare all'universo l'etichetta del "caso" significa semplicemente riconoscere che non conosciamo esaurientemente l'universo. Bella spiegazione, no?
E poi il caso, operativamente, è legato all'approccio matematico-probabilistico, ma la vedo veramente dura applicare questo approccio all'esistenza dell'universo. Quante sono le probabilità che l'universo esista? Qual è la popolazione statistica che esaminiamo per valutare le probabilità che l'universo esista, rispetto alla sua non esistenza? E' evidente che sono domande prive di senso, perché appunto è priva di senso l'etichetta di casualità applicata all'universo.

Aggiungo questo. La scienza afferma il principio di causalità, e lo applica implacabilmente a tutti i fenomeni. Poi, giunta al fenomeno dei fenomeni, l'universo... be', qui no, qui se ne può anche fare a meno, qui basta invocare il caso, e magari anche un po' di fortuna... Dov'è la coerenza? Se SI afferMA il principio di causalità, lo si deve fare senza eccezionI, e poi trarne tutte le necessarie conseguenze logiche.

Postilla. Nemmeno la meccanica quantistica può essere chiamata in causa per legittimare scientificamente il caso. una delle più brillanti interpretazioni della meccanica quantistica, quella di David Bohm, afferma che sotto l'apparente causalità c'è l'ordine implicito che non siamo in grado di percepire...

Postilla 2. In risposta all'ultimo messaggio di Iano. Sulla meccanica quantistica, vedi sopra. Sul rapporto fra caos e leggi, a mio avviso l'esistenza di leggi è più problematica del caos. Troverei più "naturale" l'esistenza del puro caos, che non un cosmo (etimologicamente: "ordine").

In realtà l'interpretazione "standard" della meccanica quantistica dice che gli eventi quantistici sono appunto casuali, nel senso che sono "probabilistici". Ma il probabilismo non è contrario alla causalità: infatti, possiamo dire che il mio atto di misura causa il fatto che trovo un risultato probabilistico. Non vedo niente di "logicamente" errato in tutto ciò. Analogamente, possiamo pensare che il nostro universo è in realtà nato probabilisticamente come una fluttuazione quantistica. Riguardo alla  question della probabilità, possiamo pensare al multiverso e in tal caso il nostro "universo" è solo uno dei tanti esistenti e quindi l'argomento antropico diventa una tautologia.

Quando parlavo di "caso" in effetti mi riferivo ad un preciso "ordine", quello probabilistico. Perdona l'imprecisione linguistica  :)

Non sto dicendo che le tue obiezioni non sono giuste (infatti io stesso sono contrario al "multiverso", per esempio) tuttavia se vogliamo fare una discussione filosofica dobbiamo o dimostrare che certi ipotesi sono errate dal punto di vista logico. Se non riusciamo a farlo possiamo discutere la ragionevolezza di esse. Sinceramente preferisco discutere la "ragionevolezza", visto che nemmeno il solipsismo secondo me si può dimostrare errato. I tuoi argomenti infatti sembrano rivolti a far vedere i problemi della posizione per cui siamo frutti del puro caso (e con ciò sono d'accordo) ma non possono dimostrare che sia errata o incoerente.

P.S. Ho fatto una piccola modifica
#318
Tematiche Spirituali / Re:Karma e reincarnazione
16 Marzo 2018, 19:46:26 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 16 Marzo 2018, 16:39:31 PM
Citazione di: Suttree il 16 Marzo 2018, 13:27:49 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 16 Marzo 2018, 13:18:30 PM
Citazione di: Apeiron il 16 Marzo 2018, 12:55:45 PMSi può non essere d'accordo con ciò, ma questo non significa che non si può fare a meno di una spiegazione religiosa. Infatti la scienza spiega "perchè esistiamo?" senza andare a parare "teleologie" di vario tipo. Ciò non significa, chiaramente, che non esistono. Ma quello che voglio dire è che la spiegazione dei fenomeni non necessariamente deve essere teleologica e, anzi, nella scienza non lo è.
Se mi dici che la scienza afferma la possibilità che l'universo emerga per caso dal nulla, ebbene, questa NON è una spiegazione, e l'universo della scienza allora NON è intelligibile. A parte il fatto che trovo singolarissimo che lo scienziato trascorra la vita a cercare le cause dei fenomeni e poi, giunto al Big Bang, trovi coerente affermare che "è nato tutto per caso"... no?
Che poi si guarda bene dal dire così, perchè la cosiddetta fluttuazione quantistica del vuoto è molto diversa dal nulla. Il vuoto quantistico in realtà è assai pieno :) Nessuno scienziato può dire che l'universo sia emerso dal nulla, se lo dice fa un'affermazione filosofica non scientifica.
Infatti, concordo. Ma, aggiungo, sia chiaro che la scienza non se la cava dicendo che esiste il vuoto quantistico e che questo può fluttuare generando entità di energia, spazio e tempo... Perché esiste il vuoto quantistico? Perché ha quelle precise leggi e non altre? Perché l'esistente sottostà a delle leggi e non è semplicemente caos?

Ok, provo a spiegarmi meglio  ;)

Non ho mai detto che secondo la cosmologia moderna l'universo viene dal "nulla" (anche se effettivamente il fisico Krauss lo ha detto). Semplicemente quello che volevo dire è che anche dire che "esistiamo per caso" è una possibile spiegazione. Semplicemente il nostro universo è "nato" e noi esistiamo come effetto dell'evoluzione naturale senza "tirare in ballo" un Creatore o il karma o quant'altro. Uno può non essere d'accordo con la visione "materialista", tuttavia bisogna riconoscere che dal punto di vista scientifico è ineccepibile. Come ho detto altrove non sono d'accordo con essa nemmeno io, però posso ben capire perchè pensatori di tutto rispetto abbracciano una visione di questo tipo.

cit Loris Bagnara
Allora non mi leggi attentamente, Apeiron   ! Non ho affatto parlato di spiegazioni religiose o teleologiche. Ho parlato di intelligibilità: ossia, ogni cosa deve avere una ragione necessaria e sufficiente che ne spieghi l'esistenza.

Secondo me invece il caso è una possibile spiegazione, validissima dal punto di vista scientifico. Se però cominciamo ad analizzare la dimensione dell'etica, per esempio, comincia secondo me a vacillare. ;)


Riguardo al buddhismo...

cit Loris Bagnara
Ora, non posso credere che Buddha abbia impiegato anni di durissime pratiche e profondissime meditazioni per giungere a un risultato tanto banale.
E' evidente per me che ha inteso dire altro, e che l'insussistenza dell'io è vera solo se si intende la personalità, quella che nel post precedente ho chiamato anima; ma non lo spirito, il Sé superiore.

Secondo le scritture buddhiste Buddha non ha trovato un "Sé superiore".  Secondo il buddhismo le dottrine che parlano di un "Sé" contengono una traccia di quel desiderio di "persistenza" che mantiene in essere il samsara.
Una spiegazione della posizione della scuola Theravada la puoi trovare in questi due eccellenti post di @Sariputra: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/dubbio-ltlt-mentale-gtgt/msg18256/#msg18256, https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/dubbio-ltlt-mentale-gtgt/msg18257/#msg18257  

Ad ogni modo Buddha nega anche l'esistenza di un "principio originatore di tutte le cose", ovvero di una "causa ontologica" di tutte le cose. In sostanza mentre l'advaita ritiene che Brahman sia "il Sole dell'esistenza" (ovvero la causa di tutto, così come il Sole rende luminose le nostre giornate e ci trasferisce il calore necessario alla vita) e che il nostro "vero Sé" sia Brahman, il buddhismo vede la posizione dell'advaita come dovuta ad un desiderio di "persistenza" molto "sottile". Nel buddhismo infatti la liberazione non è data dalla conoscenza del "vero Sé", bensì dalla completa estinzione del processo di identificazione. Inoltre come dicevo prima non c'è "causa prima" (di nessun tipo, nemmeno di quelle più "filosofiche").
#319
Tematiche Spirituali / Re:Karma e reincarnazione
16 Marzo 2018, 12:55:45 PM
Citazione di: Suttree il 16 Marzo 2018, 11:43:18 AM
Se l'Io non sopravvive e si dissolve col corpo fisico dopo la morte, quale effettiva differenza c'è tra la reincarnazione ed il nulla?



L'idea buddhista è che il processo non si arresta alla morte. Ma "dietro" al "processo" non c'è alcuna "essenza" che si trasmette da una vita all'altra. In sostanza la "corrente mentale" continua dopo la morte, tuttavia inquesta corrente non c'è una cosa che persiste. Ergo tra una vita e l'altra non è vero che c'è un "Io" - inteso come essenza - che sopravvive alla morte (come sostiene la dottrine dell'"eternalismo") e allo stesso modo non c'è nessun "Io" che viene dissolto alla morte (come sostiene l'"annichilazionismo").  Quindi il desiderio di annullamento e il desiderio di persistenza sono entrambi dovuti ad una "visione errata", ovvero che ci sia qualcosa che "persiste". In realtà secondo i buddhisti se ci fosse un'essenza allora questa non potrebbe mutare, cambiare e quindi il divenire sarebbe impossibile (la versione "greca" di questo è Parmenide: "l'essere è e non può non essere" - ovvero l'essere è immutabile). Dunque è proprio la "vacuità" - ovvero l'assenza di un "Io" - che permette il mutamento secondo il buddhismo. La forza "motrice" delle rinascite però è il desiderio/brama/sete (trishna) e siccome anche la migliore "esistenza" che si può avere nel circolo delle rinascite (samsara) ha una durata limitata, ogni "esistenza" di questo tipo conduce inevitabilmente alla sofferenza. In effetti secondo il buddhismo c'è un desiderio che invece è "corretto": il desiderio della cessazione della sofferenza. Ma siccome la sofferenza è intrinseca al samsara, la cessazione della sofferenza coincide con la cessazione del samsara  (nota bene che non è un desiderio di annullamento perchè questo richiede che ci sia una "essenza", un "Io").  
Ma perchè ogni rinascita ha una durata limitata? La risposta è: perchè è stata causata da determinate condizioni ed è mantenuta da determinate condizioni, come il fuoco viene innescato in determinate condizioni e continua finché le condizioni lo permettono. Una volta che le condizioni favorevoli mancano, il fuoco si spegne. Dunque per questo motivo tutto ciò che ha un inizio, finisce. Questa è la condizione di tutti i fenomeni condizionati (ovvero che dipendono da condizioni): una volta che le condizioni favorevoli alla loro continuazione finiscono, essi cessano. Quando si realizza (realizzazione che non è una comprensione intellettuale)la mancanza di essenza e l'impermanenza di ogni fenomeno condizionato la mente comincia a fermare il processo e gradualmente la "sete" si estingue. Una volta che si è completamente estinta la sete (e di conseguenza si è liberi dalle condizionamenti) alla "morte fisica" non segue più una rinascita e la liberazione è avvenuta.

Ad ogni modo la differenza "sostanziale" tra l'idea della rinascita buddhista e la reincarnazione (nelle sue varie forme) è che per il buddhismo appunto c'è la continuità di un processo e non la persistenza di un'"anima", un "Io" o quant'altro di "fisso".

(comunque anche io sono molto perplesso su come l'informazione può trasmettersi in assenza di qualcosa di "fisso" che la "contiene"...)

Citazione di: Loris Bagnara il 16 Marzo 2018, 12:04:34 PMNon vi è possibilità alcuna di fare il benché minimo ragionamento si non si parte da qualche postulato. Non esiste il pensiero assolutamente libero da premesse (indimostrabili) di qualche genere. Se qualcuno avesse dubbi i proposito, è bene che se lo tolga dalla testa. Nel caso specifico, il postulato che pongo è semplicemente quello della intelligibilità dei fenomeni, e del cosmo nel suo complesso. Direi che è il minimo indispensabile: meno di così, si può anche fare a meno di ragionare. Se non si postula che le cose abbiano un senso (che, come ho specificato, è la causa necessaria e sufficiente del loro esistere), allora il pensiero è già finito prima ancora di cominciare, poiché tutto può apparire così com'è semplicemente per caso, senza una ragione necessaria e sufficiente. A che pro pensarci su, allora?

Il problema è che ci sono moltissime altre spiegazioni possibili del "perchè esistiamo". Per esempio stando all'attuale teoria cosmologica il nostro universo ha avuto un inizio. E l'inizio potrebbe essere casuale come pensano molti scienziati. Potrebbe essere ciclico come pensa una minoranza di scienziati ma anche se è ciclico non perforza c'è la rinascita. Dunque non per forza ci deve essere un "motivo morale" o qualcosa di simile per cui non esistiamo. Infatti empiricamente nell'analisi scientifica nessuna "risposta" alla domanda "perchè esistiamo?" - se non quello della causalità fisica - è stato trovato.

Si può non essere d'accordo con ciò, ma questo non significa che non si può fare a meno di una spiegazione religiosa. Infatti la scienza spiega "perchè esistiamo?" senza andare a parare "teleologie" di vario tipo. Ciò non significa, chiaramente, che non esistono. Ma quello che voglio dire è che la spiegazione dei fenomeni non necessariamente deve essere teleologica e, anzi, nella scienza non lo è.
#320
Tematiche Spirituali / Re:Karma e reincarnazione
16 Marzo 2018, 00:44:19 AM
Come @bluemax dice la visione buddhista è che non c'è nessuna "sostanza" che passa da una vita all'altra. Può essere molto utile l'immagine del fiume o di una corrente: la continuità non implica che ci sia "qualcosa" che persiste. Per quanto ne so la versione buddhista è l'unica a non avere alcuna "sostanza". (più che "superstizione" parlerei di "visione erronea"...)

Riguardo al senso, il karma (buddhista e non) certamente "da senso" alle cose. Ad ogni modo "karma" è un termine che significa "azione", dunque strettamente parlando il "karma" non si riferisce alla retribuzione, al "frutto" (vipaka) dell'azione, alla sua conseguenza. Ma l'idea è che azioni che sono  "giuste" generano un frutto positivo. Idem azioni "ingiuste" generano un frutto spiacevole. Se con la morte finisse la nostra esistenza questo "meccanismo" si bloccherebbe improvvisamente. In realtà si accetta che questo meccanismo non si rompa e che quindi vada avanti indefinitamente. Tuttavia nella maggior parte delle religioni indiane ogni vita ha un tempo limitato a dispozione e ciò vale anche nei migliori "paradisi".  L'idea è che "non c'è scampo" dalle conseguenze delle nostre azioni e questo non è per niente visto come qualcosa di consolatorio nelle filosofie indiane. Ma è una "verità" (per chi la accetta come tale, ovviamente) che nemmeno la morte può liberarci dalle conseguenze delle nostre azioni. L'unico modo per "svincolarsi" dalla sofferenza è proprio quello di uscire dal ciclo, svincolarsi.

E nella maggior parte delle religioni indiane lo "svincolamento" è ottenuto tramite il risveglio (bodhi) che permette di capire "la realtà come è". Nell'induismo in genere l'obbiettivo è capire cosa è "il vero sé". Nel buddhismo il risveglio è descritto come la realizzazione che "tutte le cose sono senza sé". Chiaramente nel caso buddhista tutto il meccanismo di premi e punizioni che da un senso alla nostra esistenza in realtà si basa su una illusione: ovvero sull'illusione dell'"io/mio". Quindi dal punto di vista  delle tutte le tradizioni che hanno come obbiettivo lo "svincolamento" è vero che c'è un "senso", ma tale senso a livello ultimo non ci soddisfa (e questo va contro il nostro intuito per il quale se troviamo "il senso della vita" diventiamo felici). E nel caso buddhista tale "senso" è dovuto, per così dire, ad una distorsione cognitiva che ci fa vedere un "io sostanziale" dietro alle azioni e alle loro conseguenze.
#321
Tematiche Spirituali / Re:Sono un essere inadeguato
14 Marzo 2018, 12:09:00 PM
Citazione di: Sariputra il 14 Marzo 2018, 11:50:27 AMPICCOLI IPPOPOTAMI 2 -Adesso...dopo la "distruzione"...me ne spieghi il motivo?- -La "distruzione" , esemplificata pure in un linguaggio diciamo...poco rispettoso, quasi da 'caduta di stile', è in realtà un processo spirituale necessario. Lo diventa a maggior ragione in questi tempi che siamo chiamati a vivere, ma lo è sempre stato... L'obiettivo è quella libertà dal 'conosciuto' che ci ingabbia e costruisce, quasi sempre a nostra insaputa, la forma stessa della nostra mente. Realizzare quell'attitudine che lo zen chiama "mente di principiante" e che giunge ad invitare di "uccidere" anche il Buddha stesso se, per caso, ti trovi ad incontrarlo per la via. In realtà non voglio togliere, né lo potrei, alcun valore a Leopardi, o a i trattati scientifici , o a quelli religiosi. Voglio togliere semplicemente la presa che esercitano su di me... Rendersi conto che sono soprattutto quelli che amiamo di più che hanno la presa più forte e condizionante. Poi in seconda battuta, ma non meno importante per me, liberarsi dal concetto di autorità. Questo è talmente radicato in noi...che letteralmente non ci accorgiamo di come agiamo conformandoci ad esso. Pensare che, perché un filosofo ha detto così, uno scienziato colà, un poeta quest'altro, ecc. noi dobbiamo smettere di investigare, è assolutamente stupido. Non possiamo semplicemente delegare all'autorità di "chi sa" la nostra vita. Dobbiamo essere noi che scopriamo quello che dobbiamo sapere per la nostra vita. Scopriamo e valutiamo quel che serve a noi... Naturalmente non ci si libera solo prendendo un condizionamento e...poggiandolo da un'altra parte. Dobbiamo tagliere la radice del nostro "appiglio" interiore. Tagliere la radice comporta vedere l'inconsistenza del nostro valutarci e giudicarci in base a parametri stabiliti da altri. Questo ovviamente comporta il non paragonarsi mai a nessuno. Non c'è alcuna necessità, in realtà, di paragonarci agli altri. Questo continuo paragonarci è una delle cause più profonde dell'insorgere della nostra sofferenza e insoddisfazione... Posso vivere la mia vita senza paragonarmi agli altri? Sembra una stupidaggine, ma quando proviamo a farlo, ci accorgiamo di quanto profonda è questa abitudine mentale, questo condizionamento. se siamo sufficientemente onesti con noi stessi lo vediamo, ne prendiamo atto e...tentiamo di metterlo da parte. Già questo libera uno spazio immenso . La nostra energia mentale non viene più sacrificata per rimuginare di continuo quanto siamo diversi , superiori o inferiori agli altri, e possiamo adesso utilizzarla per osservare, dentro e fuori di noi... E' quasi come avere un frigorifero così pieno che ci è impossibile pulirlo. Il paragone è interessante perché anche il frigo contiene molte cose utili e importanti per noi, per alimentarci e placare la fame. Per pulirlo e farlo splendere dalle incrostazioni che si sono accumulate, dobbiamo però prendere le cose che vi sono riposte e, un pò alla volta, metterle da una parte. Abbiamo così la possibilità di fare un'ottima pulizia... Naturalmente non buttiamo via niente, quelle cose ci servono, sono utili. Possiamo poi rimetterle nel frigo, perché adesso non ci sono più quelle incrostazioni sudice che quasi le incollavano . Rimettendole ci accorgiamo pure di quante sono diventate inutili, oppure scadute o deteriorate e allora...possiamo gettarle, non hanno più 'presa' su di noi... E' incredibile scoprire di quante cose possiamo fare a meno perché si sono deteriorate... Quando abbiamo gettato tutto il vecchio, ci ritroviamo un frigo con molto più spazio. E' anche molto più bello da vedere, molto più presentabile. Se arriva poi un amico , con una buona bottiglia di vino o una torta...ecco che puoi dirgli:"Mettila pure nel frigo, che la serviamo bella fresca alla fine della cena"... Abbiamo molto più spazio da condividere, ora che abbiamo fatto pulizia. Liberarci dall'idea condizionante che, il nostro giudizio sulla vita, ci deve venire da qualcun altro è una forma di catarsi spirituale incredibile. La vastità della libertà che se ne prova è solamente sperimentabile direttamente. Posso sentirmi realmente 'guarito' da molta insoddisfazione e sofferenza e non provare più alcun bisogno di difendere il mio condizionamento dai condizionamenti altrui. Rimane sempre un esercizio continuo di pulizia interiore perché, proprio come il frigo, la mente tenderà nuovamente ad accumulare idee, pareri, opinioni, affascinata da "chi sa", che poi inizieranno a deteriorarsi e a marcire... Per questo mi piace l'immagine della freschezza dei bimbi che corrono in groppa a piccoli ippopotami. C'è libertà priva di condizionamento....sembra quasi un movimento di acqua che scorre. E infatti i piccoli ippopotami sono usciti sbuffando dall'acqua corrente...-

Ottime riflessioni, Sari, condivido in toto  ;)
#322
Citazione di: epicurus il 13 Marzo 2018, 14:40:23 PM
Citazione di: Apeiron il 13 Marzo 2018, 13:28:21 PM@epicurus, sono d'accordo su tutto quanto hai scritto in questo passo 8) 8) 8)
Non mi par vero. ;D

;D  ;D  ;D  eh, succede!!!

(in realtà ho notato che a volte non concordiamo a causa di un uso differente del "linguaggio" più che altro...)

Citazione di: epicurus il 13 Marzo 2018, 14:40:23 PM
 Eh sì, qui stai parlando proprio del carattere principale del linguaggio: la sua flessibilità, che potremmo chiamare "vaghezza costruttiva". ;) Quindi ciò non vale solo per "scienza" o "camminare", ma praticamente per tutto il linguaggio. Questo è quello che Wittgenstein intendeva quando ha introdotto il concetto di "somiglianze di famiglia" (anche se la questione dell'ostensività è una questione un po' più delicata): http://online.scuola.zanichelli.it/lezionidifilosofia/files/2010/03/U2-L04_zanichelli_Wittgenstein.pdf

Sì in effetti avevo anche quel concetto in mente. Anzi se devo essere sincero probabilmente tra le varie discipline scientifiche al massimo c'è una "somiglianza di famiglia" (non riesco a vedere una definizione univoca per tutte le discipline scientifiche - già unire la fisica teorica e la fisica sperimentale è difficile e ciò è fonte di "rivalità" tra le due "parti" della fisica  ;D  ;D figuriamoci andare oltre...). Tuttavia le somiglianze sono evidenti e dunque il termine "scienza" va benissimo per tutte. Così come il termine "gioco" che va bene sia per la pallacanestro che per gli scacchi (tra l'altro la parola "gioco" è una delle preferite di Wittgenstein. La usava spesso, se non erro, nella sua analisi del linguaggio anche senza considerare il termine "gioco linguistico").
Riguardo a questa caratteristica del linguaggio... la vedo come un'arma a doppio taglio. Da un lato stimola la creatività, la capacità di collegare contenuti di ambiti completamente diversi, di vedere "strutture" che si ripetono (che a volte paiono anche "essenze" e non solo "somiglianza"  ;) ). Dall'altro lato però sono innegabili i vantaggi di avere un linguaggio non ambiguo, chiaro, preciso, sistematico, "puro", limpido, (direi anche "elegante"...) ecc tipico ad esempio della "logica matematica" (per esempio il linguaggio che cercava Wittgenstein stesso nel "Tractatus"). Un lingaggio del genere non lascia spazio a dubbi e dà sicurezza. Tuttavia se nella matematica funziona, nella "vita reale" no. Nella scienza c'è una sorta di via di mezzo tra il linguaggio ordinario e quello della logica e della matematica. Già da questa considerazione sul fatto che il linguaggio è una via di mezzo si può capire quanto il "falsificazionismo" non descrive la "scienza reale". Anzi è secondo me impensabile avere una definizione della scienza della forma "la scienza è X" che sia soddisfacente (tra l'altro a pensarci bene non è nemmeno facile definire la matematica, figuriamoci la scienza!).


Riguardo poi all'ostensività hai ragione. Ho scritto quella parola solo perchè non riuscivo a trovarne una migliore  ;D

 
#323
Citazione di: epicurus il 12 Marzo 2018, 16:32:27 PM
Citazione di: baylham il 12 Marzo 2018, 11:55:05 AM. Ma, contrariamente a quanto sperasse Popper, il processo di falsificazione non è un processo deduttivo rigoroso e infallibile. Se si ha un dato in contrasto con una teoria è sempre possibile che l'errore risieda in qualche altro dettaglio degli esperimenti. E ormai gli esperimenti sono così complessi (e dipendono essi stessi da altre questione teoriche) che non è difficile immaginare che l'errore non risieda nella teoria da analizzare, ma in qualche altra teoria soggiacente. Aperion si lamenta che il falsificazionismo sia troppo generico, che prescriva troppo poco, che sia inutile operativamente. Su una cosa siamo d'accordo: il falsificazionsimo non è l'algoritmo definitivo per fare scienza e non è il meta-assioma definitivo per creare una teoria scientifica. Il falsificazionismo ha peccato di eccessiva semplificazione, ma l'idea fondamentale di cercare di falsificare le teorie mettendone alla prova le predizioni più rischiose è un principio, anche molto pratico, estremamente prezioso. E il problema della demarcazione? Popper avrebbe potuto (mia ipotesi) dire che una teoria che non è controllabile (né falsificabile né verificabile) non potrebbe dirsi scientifica. E penso che su questo si potrebbe essere tutti d'accordo. Baylham, ritornando al nostro problema: "tutti gli uomini sono mortali" non è una teoria quindi tecnicamente non si applica il falsificazionismo. C'è una teoria dalla quale si deduce tale proposizione? Bene, allora parliamo della falsificabilità di tale teoria. Questo secondo me dovrebbe dire Popper. Dal mio punto di vista, come dicevo, il falsificazionismo ha avuto il grande vantaggio di introdurre il concetto di cercare di falsificare la propria teoria. Il resto non è nulla di eclatante. ;D
@epicurus, sono d'accordo su tutto quanto hai scritto in questo passo  8)  8)  8)

Tra l'altro "verificazionismo debole" e un "falsificazionismo debole" sono più o meno la stessa cosa: le "conferme" sono corroborazioni mentre le smentite non sono così "nette" come pensava Popper. In realtà sarebbe una cosa così netta solamente nel caso in cui non si potesse "ritoccare" la teoria (ad esempio, un po' "attuale": se si scopre una particella che va più veloce della luce una soluzione potrebbe essere quella di dire che la velocità limite non è quella della luce e non di rigettare la relatività...). Inoltre, l'esperimento di Young è stato interpretato come una falsificazione della teoria particellare della luce. Tuttavia circa un secolo dopo è stato necessario reintrodurre l'idea che la luce è (anche) particellare.

Secondo me "scienza" è qualcosa di difficilissimo da definire ma al tempo stesso è abbastanza chiara "intuitivamente" la demarcazione. Basta per esempio  leggere le riviste scientifiche. La migliore definizione dunque è quella "ostensiva": la scienza è definita dalla sua pratica. Per vedere cosa è "fisica", per esempio, uno dovrebbe farsi qualche giro nelle università, nei laboratori e guardare il lavoro dei ricercatori (sia teorici che sperimentali!). Ciò non significa però che questa definizione "ostensiva" sia soddisfacente. Infatti la nostra ragione lavora per astrazioni, per concetti. Cosa che la semplice osservazione non può fare. Dobbiamo quindi accontentarci - almeno per ora - di definizioni approssimative.

Un'analogia potrebbe essere questa. Direi che è evidente cosa significa "camminare". Ma non è molto evidente definire cosa significa "camminare" spiegando tutti gli aspetti dell'attività (dire che muscoli si muovono, dire quali aree del cervello si "accendono" e così via).
#324
Direi che l'ultimo posto di @Il_Dubbio è molto profondo:

Citazione di: Il_Dubbio il 12 Marzo 2018, 12:15:40 PM
Citazione di: baylham il 12 Marzo 2018, 11:55:05 AMSe addirittura la singola asserzione, come "la velocità della luce è costante nel vuoto" o la sua contraria, è infalsificabile ed è una delle ipotesi fondamentali della teoria allora a maggior ragione l'obiezione è inconsistente.
quella asserzione non è un'ipotesi ma un postulato.

In fisica come è ben precisato qui ci sono sia proposizioni atte ai test sperimentali (tipo la dilatazione dei tempi) sia postulati della teoria (nel caso della relatività speciale, la costanza di "c" per ogni riferimento inerziale). I postulati servono per costruire una teoria: ovvero sono le assunzioni base che permettono di sviluppare la teoria e produrre proposizioni atte al test sperimentale (ovvero le "predizioni" del modello). 

Tuttavia se vogliamo falsificare la "relatività ristretta" non possiamo falsificare l'assioma. L'assioma infatti è un "a-priori" della teoria, è ciò che permette di fare le predizioni. La falsificazione avviene quando le proposizioni predittive non vengono confermate dagli esperimenti. In genere è quando ciò accade che si variano gli assiomi.

Perchè io ho problemi col "falsificazionismo"? Perchè è troppo generico. Il suo problema infatti non è tanto a livello empirico. Il suo problema è che non riesce a darmi delle regole sulla formulazione degli assiomi e nemmeno strettamente parlando sul metodo scientifico. Ergo, non riesce a dare una tra "scienza" e "pseudo-scienza", contrariamente a quanto si pensa.

Riguardo alla proposizione "tutti gli uomini sono mortali"... non è falsificabile perchè è troppo generica. Non è una predizione. Viceversa la predizione che la durata della vita di ogni essere umano non può superare i 120 anni è una affermazione falsificabile: basta che ci sia una persona che passi quella soglia e la predizione è falsificata. Però questa affermazione può provenire sia da una teoria scientifica che non scientifica.

Quello che distingue la "scienza" dalla "non-scienza"  perciò non è certo la capacità di fare predizioni testabili, quello che distingue la scienza da ciò che non lo è, è il metodo. E cosa è dunque il "metodo scientifico"? Bella domanda.


P.S. Per spezzare una lancia a favore dei neo-positivisti... per alcuni il "criterio di verificazione"è utilizzato solo per "corroborare" la teoria (il "verificazionismo debole" di Ayer). Ovvero per mostrare che è più plausibile o che è più probabile che sia vera, non che è "vera". Il problema dei verificazionisti è semplicemente che secondo loro tutto ciò che non è verificabile è insensato. A parte questo "scivolone" comune a tutti i neo-positivisti il "verificazionismo debole" non è né peggiore né migliore del "falsificazionismo", secondo me. Anzi direi che sono indistinguibili.
#325
Tematiche Filosofiche / Re:Filosofia e vita vissuta
10 Marzo 2018, 19:06:19 PM
Citazione di: Eutidemo il 10 Marzo 2018, 18:29:29 PM...

Interessante la metafora della macchina!  :)

Inoltre non sapevo dell'esperimento dei topi, in effetti se tale attività è presente durante tutte le NDE, allora possono benissimo essere spiegate neurologicamente.
#326
Tematiche Filosofiche / Re:Filosofia e vita vissuta
10 Marzo 2018, 12:14:38 PM
Ciao Eutidemo,

grazie mille per il tuo post molto interessante!  :) Mi spiace che tu abbia dovuto passare tutto questo.

Comunque se hai ragione a non associare uno stato di "soggettività" agli stati di "anestesia totale" e simili (faccio notare che hai ottime ragioni per non farlo  ;) ), l'unica differenza tra questi e la morte (come diciamo "sembra" essere per quanto ne sappiamo dalla scienza e quindi dal nostro più attendibile "strumento" di conoscenza) pare essere l'irreversibilità del processo. In sostanza mentre dall'anestesia totale ci si può "risvegliare", alla morte invece il "processo" è irreversibile* .  

Non mi convince ancora totalmente la prospettiva che la mente individuale viene "distrutta" in questi stati però. Tuttavia non avendo contro-argomenti "seri" (siano essi di tipo esperienziale o  "scientifici" ) per sostenere questa mia idea non posso continuare a difendere la mia posizione (l'unico vero argomento parrebbe essere quello "etico" di cui parlavo... ma ovviamente non può arrivare a risolvere la question ;) ). Forse possiamo tirare in ballo le NDE (near-death experience) ma anche qui se non erro i neurologi hanno stabilito che quando avvegnono comunque una certa attività cerebrale rimane. Dunque non posso far altro che ripetere il ringraziamento per la discussione  ;)  



*Ecco fai conto che oltre al "continuum" di cui parlavo avevo anche pensato all'irreversibilità e mi sono dimenticato di menzionarlo: infatti nel messaggio di prima dovevo precisare che avevo pensato ad entrambe le cose. Ma adesso essendo stato "preso" da questa idea della continuità, mi sono dimenticato di parlare dell'irreversibilità   :)
#327
Tematiche Filosofiche / Re:Filosofia e vita vissuta
08 Marzo 2018, 19:05:02 PM
Citazione di: Eutidemo il 08 Marzo 2018, 17:12:39 PMCiao Apeiron, in effetti nel "sonno profondo" (e soprattuto in "anestesia totale") non c'è "coscienza individuale"; quindi, secondo me, è davvero arduo pensare che tipo di "cognizione individuale" possa esserci in assenza del corpo.


Ciao @Eutidemo.

Personalmente vedo lo stato di "anestesia totale" come uno "stato alterato di coscienza". Nel senso che l'esperienza soggettiva c'è ancora ma è appunto "latente". Nel caso del "sonno profondo" ciò è ben visibile dal fatto che ci svegliamo se sono presenti certi stimoli. Nel caso del coma o di "incoscienza" invece dove anche la presenza di stimoli non risveglia l'individuo la situazione è diversa. Ma essendoci ancora attività cerebrale secondo me l'esperienza "soggettiva" non è ancora cessata. Chiaramente non sto dicendo che uno possa essere lucido/consapevole nel "sonno profondo"   altrimenti non sarebbe "sonno profondo"
:), tuttavia credo che un continuum dell'esperienza rimanga. Detto in altro modo: la mente individuale c'è ancora. Purtroppo il termine "coscienza" è in effetti problematico quando si parla di queste cose.

E ovviamente il problema si sposta nel definire "esperienza". O addirittura stabilire su cosa si stabilisce la "continuità" della nostra persona dalla nascita alla morte ecc ecc


Citazione di: Eutidemo il 08 Marzo 2018, 17:12:39 PM
Quanto al resto, io opto per la terza possibilità: cioè un "soggetto cosmico" unico, un "Io cosmico", che costituisce l'"ordito" della realtà, mentre noi ne siamo soltanto la "trama".
Citazione di: Eutidemo il 08 Marzo 2018, 17:12:39 PMPerò, secondo me, non puoi farne esperienza in alcun modo, perchè esperienza significa "dualismo" tra soggetto ed oggetto; secondo me, puoi solo "svegliarti", ed accorgerti, tu, "di essere Lui". Disse il saggio padre a Svetaketu;"Butta questo sale nell'acqua e ritorna da me domani mattina." Svetaketu obbedì al padre. Allora il padre gli disse: "Portami ora quel sale che tu ieri hai gettato nell'acqua." Svetaketu guardò nell'acqua e non lo vide più. Si era sciolto."Assapora un po' di quell'acqua prendendola alla superficie. Come è?" "E' salata." "Assapora un po' di quell'acqua prendendola in basso. Come è?" "E' salata." Assaporane ancora e vieni da me." Il figlio gli obbedì e gli disse: "E' sempre lo stesso." Allora il padre disse a Svetaketu: "Così pure, o figlio mio, tu non afferri l'essere, e purtanto esso è presente ovunque tu sei. Quello sei "tu", o Svetaketu! Tutto quanto esiste è manifestazione dell'ESSERE; esso è l'unica realtà, essa è l'atman. Quello sei "tu", o Svetaketu!

Capito e grazie per la storiella indù. Fa sempre piacere leggerle   ;)
#328
Citazione di: InVerno il 08 Marzo 2018, 09:20:31 AMQuesto è un punto fondamentale che va di traverso al sincretismo, ma per quanto ne so io (anche se qui gli "orientalisti" siete voi) il problema sta nella graduale mutazione del concetto di karma-samsara da legge dell'azione e di causalità, a legge del debito personale sempre in accumulo (da qui la duhkha). Sono, al solito gli uomini, che ricamano su concetti esperienziali e li trasformano in sapienziali (per esempio aggiungendo inferni e paradisi, peccati e la lor punizione "trasmigrata" etc) per ottenere potere temporale e salvifico, non diversamente dai risvolti medievali cristiani. Io personalmente mi limito a considerare che al di la del dottrinale, la salvezza della memoria (reincarnata, trasmigrata, in qualsiasi modo) sia sempre consolatoria, non importa quale sia la punizione attesa, il debito che si porta appresso, o l'obolo da pagare..meglio l'inferno che il nulla, perchè il ragionamento è sempre lo stesso (e lo fa Freedom) che senso hanno le mie azioni se tutto finisce? La consolazione sta nel credere che non tutto finisca, come non finisca, poi è una questione tradizionale e culturale variabile innanzitutto da che valore si danno ai termini, ci sono teorie più gioviali e più tetre, ognuno prenda quella che gli assicura benestare..un invito non all'arbitrarietà, ma a constatare ciò che accade davvero.

Ciao @InVerno,

ok sollevi ottime questioni. Allora la questione del karma-samsara... il "processo" del karma (che consiste nell'intenzione, nell'azione, nel "frutto" dell'azione ecc) è visto come una sorta di "legge di natura" nelle tradizioni non-teistiche indiane. In sostanza l'idea è che se io produco sofferenza oggi, a meno che non mi libero dal ciclo prima, prima o poi dovrò soffrire a mia volta. Idem per le buone azioni. Tuttavia l'interpretazione "morale" della questione in effetti è una sovrapposizione che facciamo noi: un "nonteista" ti direbbe che il processo della retribuzione è simile a quello delle leggi della fisica. In queste tradizioni però si fa sempre attenzione al fatto che a meno che non si esca dal ciclo siamo sempre alla mercé della sofferenza per il semplice fatto che anche il migliore dei paradisi samsarici prima o poi finisce. Tuttavia anche se è una sorta di "meccanismo naturale" posso ben capire il fatto che per certi versi può consolare: in fin dei conti il come ci comportiamo adesso ha conseguenze non solo su di noi (e sugli altri) "in questa vita" ma ha conseguenze anche dopo. In sostanza anche se non è strettamente parlando un meccanismo di "premi" e "punizioni" comunque da un senso maggiore alle proprie azioni e appunto è alla base della moralità per queste tradizioni. Ovvero l'idea che quello che siamo adesso è dovuto a ciò che abbiamo fatto in passato e quello che saremo dipende dalle nostre scelte adesso. Certamente in effetti da più significato alle azioni. Ne discuto a "fondo" qui: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/immortale-anch'io-no-!-tu-no-!!/msg17367/#msg17367.
Nelle tradizioni "teistiche" indù invece la "ruota" è effettivamente un sistema di "giustizia cosmica", dove gli stati "di deprivazione" sono visti come una punizione.  Ad ogni modo concordo che dal punto di vista della "valenza delle azioni" (che poi è alla base di ogni moralità) "vogliamo" che ci sia una continuazione in un modo o nell'altro. Effettivamente l'annientamento totale della coscienza alla morte impedirebbe questa continuità.

Ma... allo stesso tempo abbiamo anche altre esigenze oltre a quelle "morali" o di "giustizia". Uno dei nostri desideri è anche quello di non soffrire, di star bene. Dunque anche se posso immaginarmi un "inferno" (più o meno durevole) come qualcosa di "giusto" (e che quindi consola il mio desiderio "morale") allo stesso tempo va contro altri miei desideri come quello di non voler soffrire (specie se tale "inferno" è eterno!). Quindi anche se un reame di sofferenza dopo la morte può soddisfare certe nostre esigenze va contro altre. Da qui vedi come la "vita dopo la morte" è tutt'altro che solo una consolazione. Anzi può essere utile come "spinta" ad essere più morali, più staccati dal presente ma anche più ansiosi e più "egocentrici" (nel senso che possiamo finire per interessarci solo della nostra condizione). Ne sto discutendo con @Eutidemo qui https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/filosofia-e-vita-vissuta/. Chiaramente questa "spinta" ha senso solo se si crede in qualche misura. Ma può anche creare un'ansia poco "altruistica" che nasce dal non voler andare all'inferno per la semplice paura della punizione e non quindi non fare certe azioni perchè non sono "giuste", o fare il bene perchè si crede che sia davvero bene. Ma fare il bene solo per trovare il merito. E così via.


Citazione di: Sariputra il 08 Marzo 2018, 01:23:19 AM@Apeiron Con ipostasi ritengo che Jung intenda quella tendenza a dare per scontata , ad assolutizzare, una ipotesi. Qualcosa che è relativo, un'ipotesi soggettiva, diventa così 'comune' che si finisce per dimenticare che si tratta di un'ipotesi e si ritiene 'vera'. E cita il caso dell'ipotesi della teoria freudiana sulla sessualità che è diventata un'ipostasi... La definizione corretta che ho trovato su Wiki è: Nella filosofia moderna il termine è passato a indicare, in senso negativo, un concetto astratto al quale si conferisce indebitamente una portata ontologica o, più genericamente, l'assolutizzazione di un principio relativo ("ipostatizzazione"). Sono d'accordo su molto di quello che hai scritto, ma io non intendevo la pretesa di prender per vere le immaginazioni, i sogni o le paure dei bimbi . Parlavo piuttosto di avvenimenti e ricordi che riportano dati così precisi e circostanziati ( sottoposti a verifica e ricerca...) da risultare "sconcertanti" e che rientrano nella categoria degli "inspiegabili"... Non siamo cioè a considerare come prova di un'eventuale ri-nascita , per esempio, la storia di Pitagora che credeva nella metempsicosi e sosteneva di essere stato un guerriero greco che aveva combattuto sotto le mura di Troia...solo perché aveva riconosciuto uno scudo troiano! ;D Il punto però non è quello di credere nella rinascita, che poi diventa qualcosa di personale del soggetto, quanto quello di valutare ( e questo è quello che ritengo importante...) se questi "ricordi" abbiano valenza spirituale. Se cioè siano spunto per dare un'impronta particolare all'esistenza di chi li vive. E qui non c'è alcuna unanimità di giudizi, perché anche tra gli psicologi che hanno in analisi questi soggetti si riportano le più disparate reazioni... 
 


Ciao @Sari,
ok penso di aver capito la distinzione adesso. In sostanza "ipotesi" = "credenza individuale nata dal proprio vissuto" e "ipostasi" = "dogma o qualcosa di simile".

Riguardo al provare o meno la "verità" delle esperienze dei bambini. Non era quello che intendevo io. Semplicemente ho sparato un po' di ipotesi  ;D ad ogni modo, la stessa "immaginazione" può essere molto reale e molto significativa. Per esempio l'ispirazione artistica, secondo alcuni artisti, non ha nulla di "volontario" è un'esperienza spesso non voluta. Esiste solo nella nostra testa. Ma anche in questo caso, come dice Silente ad Harry Potter: "Certo che sta accadendo dentro la tua testa, Harry! Dovrebbe voler dire che non è vero?". Quindi anche le cose che accadono solo nella nostra testa sono "reali". E sono importanti. Non volevo sminuire le esperienze col mio appello all'immaginazione  ;)

Riguardo alle esperienze... sì, credo che abbiano una rilevanza su come il soggetto poi vivrà la sua esistenza. E che inoltre esperienze simili non producono sempre "cambi di vedute" simili. Per certi questi "ricordi" vanno nell'oblio perchè magari credono che questo tipo di esperienze non hanno alcuna valenza. Altri invece possono vedere in esse significati, non necessariamente "oltremondani", speciali. Per esempio un "ricordo" di una determinata esperienza può fare in modo che io cambio il mio comportamento in una determinata situazione. E così via. Inoltre come ben dici il fatto che la nostra cultura oggi richieda qualcosa di "palpabile" ci fa dare molta meno importanza a questo tipo di esperienze, anche se ci capitano. Viceversa se la stessa esperienza avviene ad uno che è inserito in un contesto culturale molto diverso, la sua reazione sarà molto maggiore. Anzi... forse addirittura il contesto culturale modifica anche come l'esperienza viene vissuta. E qui sta il punto, secondo me. In sostanza oltre ad essere "cambiati" da queste esperienze è interessante anche vedere come il contesto culturale cambia il vissuto di tali esperienze  :)
#329
Scienza e Tecnologia / Re:E=MC2 : vorrei capire
08 Marzo 2018, 14:52:20 PM
Ciao @stefano,

Unico commento al video: per la (vera e unica) "massa" è quella che nel video è chiamata m0 .

Per il prof. invece la "massa" è semplicemente: m = E/c2 (1).

Tuttavia se il corpo non è fermo ma a basse velocità posso scrivere E = E0 + 0.5*m0*v2  (2) dove con "v" indico la velocità del corpo. Sappiamo che E0 = m0*c2 (3) Sostituendo la (2) e la (3) nella (1) ottengo:

m = E0/c2 + 0.5*m0*(v2/c2) = m0 + 0.5*m0*(v2/c2)

come vedi se definiamo la "massa" dell'oggetto come lo fa il prof allora anche per velocità minuscole aumenta. Per me invece la "massa" è sempre m0 e quindi non varia con la velocità del corpo. Il problema di definire la massa come equivalente ad energia diviso c2 è la confusione di cui parlavo prima: se lo fai allora ogni forma di energia allora dovremmo dire che un corpo a causa dell'attrito non perde solo energia cinetica ma anche massa.

Comunque faccio notare che anche lui dice chiaramente che la novità di Einstein è la (3), ovvero associare a quella che io chiamo "massa" (e altri chiamano "massa a riposo") una quantità di energia detta "energia a riposo".

Ovviamente quello che dice nel video è corretto... lo dice in modo diverso da come lo direi io, ma è giusto ;)
#330
Tematiche Filosofiche / Re:Filosofia e vita vissuta
08 Marzo 2018, 12:54:56 PM
Citazione di: Eutidemo il 07 Marzo 2018, 14:20:58 PMCiao @Apeiron, prego...ma se la mi risposta è stata interessante, il merito è stato principalmente del tuo precedente intervento, che era molto intelligente. ;) Come lo sono, peraltro, anche le tue successive considerazioni, che, a mio avviso sono quasi tutte condivisibili; a parte qualcuna, almeno sotto certi aspetti. :))
Ciao Eutidemo e grazie!  :) (ricambio anche quanto dici sui miei interventi...)

Citazione di: Eutidemo il 07 Marzo 2018, 14:20:58 PM
*** Per esempio, anche io sono ben consapevole di non poter sapere con certezza cosa "ci attende" dopo la morte, però sono pressochè certo di sapere cosa "NON ci attende"; vale a dire che, così come sono sicuro di non poter più "passeggiare", in mancanza di piedi, allo stesso modo sono sicuro di non poter più "pensare", in assenza di un cervello. Una cosa del genere, essendo il pensiero una cosa molto "impalpabile", era in effetti ancora ipotizzabile fino a non molto tempo fa; ma, da quando le "neuroscienze", soprattutto attraverso il "neuroimaging", sono riuscite a monitorare "fotograficamente" lo stretto collegamento tra pensieri, ricordi, desideri ecc.e specifiche aree del cervello, una ipotesi del genere non è più assolutamente sostenibile (ammesso e non concesso che fosse sostenibile prima).

Condivido  :)  senza corpo chiaramente non possiamo avere sensazioni e nemmeno avere passioni, desideri, ricordi, pensieri...L'analogo più vicino è certamente il "sonno profondo" o ancora meglio il "coma". Capisco però già la perplessità che può arrivare se si dice che uno è cosciente nel "sonno profondo"... ancora più discutibile chiaramente è pensare che tipo di "cognizione" possa esserci in assenza del corpo.


Citazione di: Eutidemo il 07 Marzo 2018, 14:20:58 PM
*** Non è questa la sede per approfondire la cosa, ma vi basterà leggere qualche numero di "MIND", in edicola ogni mese, per rendervi meglio conto di quanto dico; salvo, ovviamente, che non vi si attivi un tipico "blocco" psicologico (anche questo individuato con il "neuroimaging" nella neocorteccia ventrale), che ci impedisce di credere a ciò a cui non vogliamo credere, ed a costruire a dei ragionamenti per dimostrare che non è vero. Cosa che, talvolta, temo che capiti anche a me! :( Spero che non sia il caso della mia tendenza a voler credere nella sopravvivenza di una "coscienza universale", della quale la mia "coscienza individuale" sarebbe soltanto un epifenomeno contingente; ma, ovviamente, non potendo dimostrarlo, non potrei giurarci! Sebbene, in effetti, ancora non si può dimostrare nemmeno se la mente sia nel corpo, o viceversa; ammesso che il dilemma abbia realmente un senso.

Beh se vuoi ridere da piccolo ero davvero perplesso su come era possibile non considerare il sonno come "morte". Per un po' pensavo che i due concetti coincidevano e quindi avevo paura di dormire. Adesso vedo che anche il sonno profondo è uno stato di coscienza meno "attivo", vedo una continuità nella mia coscienza tra un giorno e l'altro. Idem per gli stati vegetativi dove la coscienza è simile al sonno profondo.  Discorso diverso è: alla morte cerebrale cosa rimane?

Vedo 3 alternative:
1) totale annientamento della coscienza. Questa sembra essere l'alternativa più "razionale". Tuttavia alcuni argomenti non scientifici la rendono una prospettiva non completamente condivisa.
2) la coscienza individuale persiste in una forma "latente", ancora meno accessibile del sonno profondo. Questa ipotesi è ovviamente "spiritualistica" e si può criticarla per il fatto di essere "not even wrong", infalsificabile e dovuta al "blocco psicologico" di cui parli. Ma come dicevo l'idea della continuazione non è sempre fonte di "rassicurazione". Chiaramente essendo "infalsificabile" credere a ciò è una scelta personale. Vogliamo credere a coloro che parlano dell'esistenza di una qualche forma di mente anche in assenza di corpo?
3) vi è una coscienza "cosmica", una sorta di substrato della nostra coscienza che pervade tutto. Anche qui però possiamo chiederci cosa significa. O estendiamo la coscienza a tutto e quindi anche le particelle subatomiche hanno una mente (panpsichismo) e sono dei soggetti, oppure dobbiamo pensare ad una coscienza che non ha alcun "centro", ovvero senza soggetto. Ma ha senso questo secondo concetto: come può esserci cognizione senza un "soggetto"? E il primo: cosa vuol dire che un elettrone ha una "mente"? Terza possibilità: c'è un "soggetto cosmico" unico, un Io cosmico. Ma anche qui: cosa è questo "Io". Posso avere esperienza di tale "Io"?      



Citazione di: Eutidemo il 07 Marzo 2018, 14:20:58 PM
*** Peraltro, in effetti, non sbagli nel dire che c'è ancora qualche aspetto della nostra coscienza che sfugge a qualsiasi analisi empirica; ad esempio, con il neuroimaging, pare che siano arrivati persino a "capire" a cosa stai pensando, ma, di sicuro, non a "vederlo" come tu lo vedi nella tua mente (nè, tantomeno, a "sentirlo" come te). Senza considerare che lo stesso "dualismo" tra "soggetto" ed "oggetto", oggi molto sottoposto (non sempre giustamente) a critica generale, diventa ancora più "traballante" quando è il "soggetto" che vuole porre se stesso "soggetto", quale "oggetto" di analisi.


Concordo. Tra l'altro molti che credono in qualche forma di sopravvivenza in genere si appellano al fatto che l'esperienza soggettiva non è riducibile ai dati empirici. Ma direi che non è argomento a favore della sopravvivenza  ;) al massimo è un argomento contrario all'eliminativismo o al comportamentalismo.



Citazione di: Eutidemo il 07 Marzo 2018, 14:20:58 PM
*** Quanto ai collegamenti con l'etica, non c'è dubbio, come tu scrivi, che la consapevolezza della fragilità della vita ci rende molto più cauti nel decidere come agire; cioè, se "bene" o "male"! Ed è anche vero che l'aldilà, oltre a condurci al ragionamento "di comodo" di cui parlavo io la volta scorsa, potrebbe portarci anche ad una riflessione, come dici tu, molto più interessante e condivisibile: ed infatti, per riprendere tali e quali le tue parole, se per esempio crediamo che la morte non è né la fine nostra né di quella degli altri, è possibile che diamo più valore alle nostre azioni in quanto possiamo sentire un maggior senso di appartenenza con gli altri. E, nello stesso tempo, può aiutarci ad essere più "distaccati" dal presente e aiutarci a "trascendere" le condizioni del momento ma nel contempo a vederci in una realtà più ampia di quella di cui siamo abituati. ;) *** Riguardo al fondamento dei comportamenti etici a livello biologico, hai ragione nel dire che la scienza può dare solo la spiegazione del "perchè" filogenetico ed evolutivo (oltre che meramente culturale) di determinati comportamenti, ma non può certo sostituirsi al giudizio valoriale che attiene alla singola coscienza di ciascuno di noi; ti ringrazio per aver evidenziato la cosa, perchè, in effetti, per così come mi ero limitato a prospettare la cosa, il mio pensiero poteva effettivamente dar luogo ad equivoci. Per citare Shakespeare, invero: "Il sovrano può disporre dell'obbedienza di ciascun suddito, ma non dell'anima di ciascun suddito, che appartiene soltanto a lui stesso" (Enrico V - Atto Quarto). :)

Sono contento che qui siamo d'accordo  :)