personalmente penso che l'affermazione per cui la religione in realtà esprime la sofferenza, il sospiro dell'uomo, che cerca di scorgere in una dimensione di trascendenza l'appagamento di quelle esigenze che trova frustrate nell'ingiustizia della società attuale, vale in riferimento alla questione genetico-antropologica sull'origine della fede nell'uomo, "cosa spinge l'uomo a credere". Tale questione è però distinta da quella, più propriamente filosofico-metafisica, dell'effettiva verità della religione. Ammettendo come valida la tesi dell'origine della fede come desiderio di giustizia mondana, fede che il cui appagamento storico dovrebbe di fatto annullare, questo ancora non determinerebbe la verità o falsità oggettiva della fede in questione, a meno di non concepire, in una piuttosto insensata epistemologia, che la verità coincide con il consenso maggioritario delle persone, cioè a far dipendere la verità di Dio dalla fede delle persone. In realtà, i due piani restano distinti, e nulla potrebbe escludere che anche nella massima realizzazione possibile delle istanze di giustizia umane che il mondo, nella sua imperfezione può offrire, resti costante una riserva di aspirazione verso un'ideale di giustizia ancora più compiuta, trascendente le imperfette realizzazioni mondane, quindi un margine di religiosità, magari, almeno si spera, che si esprimerà in forme diverse da quelle finora conosciute, più pure, perché forse più consapevoli dello scarto incolmabile tra la perfezione della giustizia divina e l'imperfezione di ogni sua imitazione storica, dunque più consapevoli dei limiti della pretesa di un certo clericalismo di far coincidere la chiesta visibile fatta da uomini, e la "Chiesa invisibile", irriducibile a ogni presunta rappresentazione storica. Azzarderei un, magari strampalato, tentativo di interpretazione storico-filosofico, forse questo legame di dipendenza del problema della "verità" della religione da quello dell'origine umana della fede, potrebbe essere un residuo di mentalità idealistica che il marxismo ha preservato in se stesso, l'idea della dipendenza della realtà oggettiva dall'attività cosciente del soggetto o dei soggetti.