Menu principale
Menu

Mostra messaggi

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i messaggi inviati da questo utente. Nota: puoi vedere solo i messaggi inviati nelle aree dove hai l'accesso.

Mostra messaggi Menu

Messaggi - Jacopus

#3166
CitazioneChiariamoci. La domanda è: siamo responsabili delle nostre azioni oppure tutto deve essere "ridotto" a una mera combinazione di eventi?
C'è chi stabilisce una supremazia della opinione scientifica. La quale non è in grado di stabilire se esista la possibilità che la combinazione degli eventi sia interrotta da qualche forma di volontà. Ragion per cui la si esclude. Che ci sia o meno non ha al momento importanza, l'importante è che si escluda che la scienza sia in possesso di teorie scientificamente provate e verificate che ammettano una qualche forma di volontà. Io la escludo. Se invece mi porti qualche referente autorevole e l'opinione della comunità scientifica a riguardo di queste prove te ne sarò grato perche io le ignoro.
Ce ne sono parecchi di testi in questo senso.
Ovviamente si tratta di soft sciences, scienze cioè che non possono prevedere soltanto misurazioni quantitative e situazioni sperimentali che riproducano esattamente la realtà oggettiva, ovvero di scienze imparentate con la criminologia, la filosofia morale e una serie di discipline che fanno comunque riferimento e si confrontano giustamente con il nuovo campo delle neuroscienze e della genetica: metaetica, etica normativa, psicologia morale. Pensa che ora esiste anche la neuroetica proprio per far parlare questi due diversi universi della conoscenza.
Quello che ci dicono le hard sciences, ovvero neuroscienze e genetica non sono l'ultima parola, ma semplicemente servono a vincolare e a spiegare meglio l'accettabilità delle teorie morali e metaetiche, che hanno inevitabilmente un substrato sociale e storico, relativamente indipendente dalle scienze naturalistiche.
Pensare a due modelli di pensiero completamente opposti: la scienza e la filosofia (in questo caso la filosofia pratica) è, secondo me, errato.

Dovremmo in qualche modo "incardinare le teorie morali, comprese quelle relative al libero arbitrio/determinismo, su una psicologia che non sia il mero prodotto della immaginazione di filosofi o studiosi creativi e fantasiosi, ma che sia congruente con ciò che la scienza oggi ha da dirci". Solo in questo modo possiamo andare avanti nella conoscenza. Senza ritenere la scienza l'unica depositaria del sapere, ma anche confrontandoci con la scienza e accettando quello che si scopre con il metodo scientifico, che non è stato così inefficace nella storia dell'uomo, se siamo onesti con noi stessi.
Ti consiglio di leggere: Mario de Caro, mente e morale (Luiss), Berzagora Betsos, Colpevoli si nasce? (Cortina), e per contrappasso una studiosa che non crede nella libera volontà ma che ha scritto un libro che è già comunque un classico, Churchland, L'Io come cervello.
Buona lettura.
#3167
CitazioneNo. Il determinsmo stabilisce una condizione matematica secondo la quale se si conoscono le condizioni iniziali di un sistema si può prevedere (almeno in linea di principio) la sua evoluzione nel futuro. 
Per volontà si intende invece qualcosa di diverso. Se anche si conoscessero le condizioni iniziali, nel momento in cui agisce la forza di volontà il processo di evoluzione diventa imprevedibile in modo ontologico. Per questo Socrate78 ha richiamato la meccanica quantistica in quanto si differenzia dal determinismo proprio per la sua imprevedibilità "ontologica". Ma sia nella meccanica classica sia in quella quantistica non esiste una funzione che possiamo chiamare "volontaria"...

Non credo che in campo sociale si possa parlare di determinismo e neppure di meccanica quantistica. Molto più prosaicamente la capacità di decidere con la propria testa in modo autonomo esiste, così come esistono i condizionamenti sociali e anche quelli materiali, che non mi permettono di essere un astronauta o un capitano di un vascello rompighiaccio. Un determinismo assoluto significherebbe che già cinque milioni di anni fa era prevedibile che ora io sarei stato davanti ad una tastiera a scrivere su un forum di filosofia, il che mi sembra piuttosto improbabile, anche se affascinante come trama di un romanzo di fantascienza di serie B.
#3168
Attualità / Re:Italiani cercasi
21 Novembre 2017, 00:21:22 AM
Più che un argomento questa è una affermazione tra il sarcastico e il disperato. La tesi è che non ci sono gli italiani come cultura e quindi anche se vengono gli stranieri, non importa, anche perché "si può entrare ed uscire senza chiedere permesso". Viator, sembri dirci che il problema dell'immigrazione è un falso problema di integrazione perché non siamo integrati neppure fra di noi. Al massimo si creeranno altre conventicole, quelle dei senegalesi, accanto a quella dei giornalisti, quella dei mussulmani accanto a quella dei ferraresi.
Non è che tu abbia tutti i torti. Basta andare in Francia e vedere con quanto ordine e stile facciano sventolare le loro bandiere fuori dagli uffici pubblici e non. Eppure non è neppure del tutto vero quello che dici. Qualche tipo di integrazione fortunatamente è avvenuto. Non siamo più una mera espressione geografica. La lingua italiana è parlata anche nei più lontani meandri del nuorese e un senso di italianità credo che alberghi dentro di noi in modo più o meno velato.
Certamente è un senso di italianità che convive da secoli con il "particulare" sottolineato da Guiccardini. Siamo irrimediabilmente un paese fondato sul campanile, sulla clientela, sulla famiglia e per circa 45 anni una forza politica predominante in Italia ha assecondato i peggiori istinti di questa cultura (sto parlando della democrazia cristiana) e per circa dieci anni una forza politica ancor peggiore ha posto le premesse di ulteriori danni (sto parlando del partito socialista). Quello che è venuto dopo neppure lo considero poichè non si tratta neppure di forze politiche ma di assembramenti confusi di interessi incardinati su leadership demagogiche. Solo Prodi ha avuto, dal '93 in poi una visione politica "costruttiva" e "sociale". Gli altri hanno fatto politica ma in senso clientelare e nel migliore dei casi conservativo-reazionario, con qualche riforma-bandiera nel campo dei diritti civili.
Eppure nella storia dell'Italia vi sono stati momenti altamente aggregativi non riconducibili ai mondiali di calcio. Il Risorgimento, il Fascismo, la Resistenza, Il boom economico, il '68. Sono tutti momenti collettivi degli italiani. Per non parlare delle nostre tradizioni storiche e artistiche. Pensi che le tante cattedrali medioevali non creino senso identitario? Lo creano eccome, anche se sei ateo.
Nessuno può sapere quanto tempo resisterà l'Italia come entità unitaria. Tutti gli stati attraversano importanti crisi di potere, dovute al trasferimento dello stesso direttamente nelle mani delle multinazionali. Ma si tratta comunque di 150 anni, preceduti da un sentimento di italianità che è stato molto vivo anche in altre epoche, in primo luogo nel rinascimento, quando l'Italia primeggiava nel mondo, nonostante fosse divisa in tante piccole signorie.
Si potrebbe cercare la responsabilità di questo carente senso identitario e sicuramente il più formidabile responsabile è la Chiesa cattolica, che ha sempre fomentato le divisioni per evitare che si creasse un potere forte in Italia. Basti pensare alla lega di Cambrai,, voluta per evitare che Venezia all'inizio del 500 divenisse la padrone di gran parte di Italia e seguisse così il destino dei grandi stati nazionali che si stavano formando, oppure alla chiamata di Carlo Magno, quando 700 anni prima i Longobardi stavano unificando l'Italia, creando un regno unitario molto più grande e potente di quelli coevi.
Anche sull'ingresso degli stranieri, che colleghi a questa "identità arlecchino" degli italiani, non si tratta certo di un problema di poco conto, ma è un problema che condividiamo con il resto del mondo e che dipende dalle disfunzioni del capitalismo non certo dalla frammentazione politica italiana. Anzi forse la frammentazione può essere una risorsa, poiché non essendoci un potere forte ed omologante gli stranieri rischiano addirittura di schivare forme più o meno oppressive di razzismo e noi, autoctoni, a nostra volta, rischiamo di schivare processi di violenza terroristica, che effettivamente finora ci ha solo sfiorati.
#3169
Queste discussioni sul libero arbitrio sono fenomenali. In qualche giorno si redigono pagine e pagine di commenti. 8).
Dico la mia, sulla base degli ultimi interventi. Confesso che quelli precedenti non li ho letti.
Si potrebbe riassumere il tutto attraverso due figure della commedia dell'arte: lo "scienziato" e il "moralista".
Lo scienziato afferma che tutti i comportamenti dell'uomo sono determinati, vuoi dalle condizioni sociali, o dai cromosomi, o dall'indeterminismo, ovvero dalla casualità della vita. Non c'è spazio alla libera volontà, e più gli strumenti scientifici si affineranno e più sarà semplice scoprire tutti i moventi dell'azione umana, dove all'uomo spetta il ruolo di semplice spettatore agito da forze esterne. In caso di crimine, lo scienziato sarà tutto dalla parte del criminale, che fa i suoi crimini senza alcuna responsabilità reale. E' solo il sistema penale, lo stato o chi per lui a condannarlo per saziare l'opinione pubblica inorridita.
Il moralista invece proclama che tutti i comportamenti dell'uomo dipendono dalla sua libera volontà. Non importa se l'agente vive nelle baraccopoli di Dakar o nel quartiere elegante di Sinkfoarer a Copenaghen. In entrambi i casi se il soggetto vuole si comporterà moralmente perché c'è una luce dentro di lui, anima o quant'altro che non lo farà deviare e farà il bene o il male, a seconda che sia un soggetto buono o un soggetto malevolo. In questo caso, il moralista pende tutto dalla parte della vittima e tende a formare un mondo manicheo dove si fronteggiano il bene e il male.
Sto esagerando, ma la verità, secondo il mio parere, come al solito sta nel mezzo. Escludere i contesti sociali o la genetica è da stupidi: ormai vi sono testi che confermano questa verità e non ve li sto a segnalare, ma sono fondati su solide basi scientifiche e se permettete io credo ancora nella scienza. Escludere il libero arbitrio e la capacità di resilienza delle persone, ognuna unica e non replicabile è ugualmente una fandonia, altrimenti non potrebbe essere neppure fondata la teoria darwinista, che suppone lo sviluppo evolutivo a partire da modifiche rispetto a regole canoniche, determinate dai mutamenti ambientali.
Come al solito non siamo dei, non siamo demoni e non siamo neppure macchine. Un pò dipendiamo dall'ambiente esterno (mondo) e interno (biologia) e un pò abbiamo uno spirito nella macchina che probabilmente non sarà mai trovato neppure in futuro e che rende così interessante l'avventura umana.
#3170
Per il momento rispondo solo ad Aquario. La tradizione del buon selvaggio e' ancora ben salda ma poco reale. Gli indiani d'america ancor prima dell'arrivo dell'uomo bianco si massacravano allegramente, e lo stesso accadeva in sudamerica dove erano frequenti sacrifici umani rituali che interessavano centinaia di supplizziandi, tanto per fare i primi due esempi a braccio.  Per completare il quadro, esistono recenti studi che hanno osservato branchi di scimpanze' uccidere senza esitazioni branchi nemici.
Se vogliamo restare entro i confini della storia occidentale, se fossi uscito di casa nel 1400 le possibilita' di morire ammazzato erano notevolmente piu' alte di quelle attuali: di quasi cento volte, tanto per capirci.
#3171
Caro Dubbio. Le cose sono leggermente piu' complesse. Noi non siamo una macchina e se e' vero che le nuove scoperte riducono la ns responsabilita' nel senso di " imputazione di un atto a noi stessi in una situazione che prevede alternative", resta comunque un area di libera scelta che singolarmente possiamo orientare. Inoltre e' il ns substrato fisiologico a renderci quello che siamo. L'aggressivita' o l'atto deviante nascono da millenni di storia biologica dell'uomo e non e' certo lo stato a poter rimediare con i suoi 400 anni di eta'.
D'altro canto e' vero anche il contrario. L'umanita' e' nella sua maggioranza altamente morale, visto che segue le regole senza bisogno che ci sia un carabiniere che controlla da vicino.
La differenza fra dolo e responsabilizzazione riguarda la differenza che c'e' fra l'intenzione di commettere un fatto punito dalla legge penale, indipendentemente dal realizzarsi dell'evento (c'e' infatti anche il tentato reato, art 56 cp) e la capacita' di controllare il proprio agire sulla base di reciproche aspettative sociali e su questo versante credere che la pena sia una sorta di software di "off" del comportamento e' vero ma solo se lo si considera come un circuito di emergenza poiche' la nostra socializzazione e quindi il contrasto agli atti delinquenziali avviene prima nel contesto di vita, quello che viene definito Lebenswelt, in contrasto al System di cui e' parte preminente proprio lo Stato e le istituzioni giudiziarie.
#3172
Caro Il Dubbio, credo che il concetto di responsabilita' di Phil afferisca al nesso di causalita' fra azione e conseguenze dell'azione. Il classico "dolo" insomma, mentre tu fai riferimento alla responsabilita' come capacita' di autocontrollo.
Sul fatto che lo stato ci stia lavorando da quasi 400 anni hai ragione. Un motivo del Leviathan di Hobbes e' proprio questo ma la responsabilizzazione deve inevitabilmente procedere anche per altre vie. Non si puo' istituire per legge, cosī come non si puo' esportare la democrazia con i cannoni.
Del resto la responsabilizzazione imposta dall'alto (dei cieli o dei parlamenti) spesso crea un diverso tipo di delinquenza di stato, riassumibili in violenze etniche, politiche, religiose. Anche in questo caso dovremmo domandarci se quelle istituzioni sono libere di commettere quei delitti o se sono determinate dalla loro natura e qui si potrebbero fare anche dei raffronti.
In questo modo pero' per quanto la questione sia interessante rischiamo di perdere il nocciolo della discussione di questo topic.
#3173
Non sono d'accordo Viator. Non si tratta di un doppio regime secondo lo scopo di comprendere o condannare. E neppure bisogna tirare in ballo Dio e il bene e il male.
Dal punto di vista giuridico c'e' un processo nel quale si accerta l'intenzionalita' e si condanna o si assolve o si introducono riti alternativi o benefici secondo l'ordinamento vigente. La capacita' di intendere e volere verra' stabilita nei casi concreti dai periti concreti. Grazie alla Costituzione (non a Dio) viviamo in uno stato di diritto.
Altra cosa e' ragionare sul libero arbitrio a proposito dell'agire antisociale. Questa e' una dimensione dove si puo' comprendere oppure condannare moralisticamente o fare riferimento a Dio. La distinzione non e' quindi da un lato comprendere usando tutte le discipline scientifiche e dall'altro giudicare usando vetusti strumenti che mi ricordano piu' uno stato islamico e la sharia che uno stato moderno.
La distinzione corretta e' applicare le norme nei casi concreti di giudizio da un lato e dall'altro permettere a tutte le varie discipline di elaborare le loro teorie, che giocoforza, una volta considerate piu' convincenti finiranno per introdursi anche mel diritto positivo.
#3174
Buonasera Socrate. Hai rispolverato un classico argomento di discussione di questo forum. In modo molto succinto ti rispondo: sì e no. Siamo responsabili e non siamo responsabili, se presi singolarmente. Credo che la nostra responsabilità debba essere misurata in termini sociali e in termini di estensione temporale non riducibile ad un singolo atto. Per spiegare questo ho bisogno di formulare alcuni esempi.
Nel momento in cui tu stai leggendo queste righe inevitabilmente il tuo plastico cervello si sta modificando e si modificherebbe anche se stessi annusando una pizza ovviamente. Ma la pizza non fornisce criteri di giudizio e di valore mentre le parole sì. Se quello che scrivessi fosse così pieno di significato per te, il tuo cervello si riorganizzerebbe e questo scritto resterebbe inscritto in modo più duraturo fra quelle che potremmo chiamare i modelli di riferimento culturale all'azione. Se lo stesso tipo di messaggio continuasse ad arrivarti, specialmente quando sei molto giovane, o bambino, quella architettura mentale diventerebbe molto solida e tenderebbe a sopravalutare tutto ciò che la conferma e a rimuovere tutto ciò che la contraddice. Ho recentemente letto una lettera che un bambino di Napoli ha spedito a Babbo Natale: il bambino chiedeva un regalo soltanto a Babbo Natale, perché è consapevole che Babbo Natale i regali li va a rubare. Una lettera del genere sarebbe impensabile a Stoccolma per il semplice fatto che l'ambiente e le interazioni sociali sono coerenti verso un modello che rifiuta la trasgressione "rubare", ma ne accetta altre.
Un secondo aspetto è quello che tu stesso hai accennato, relativo al campo delle scoperte genetiche e neuroscientifiche, che stanno mettendo sempre più in crisi l'uomo moderno fondato sull'individualismo e sulla capacità quasi eroica di superare ogni difficoltà. Qui ad esempio si può citare il concetto di metilazione, cioè la trasmissione di generazione in generazione della predisposizione a certe azioni, percui se il padre ha usato cannabis ha attivato una parte del suo codice genetico che ha apprezzato quell'uso, e questo potenziale apprezzamento verrà trasmesso geneticamente ai figli, indipendentemente dai condizionamenti sociali che possono aumentare o diminuire il rischio di entrare in contatto con le sostanze stupefacenti (qui è solo un esempio, non voglio certo aprire il discorso sulle droghe leggere).
Un terzo aspetto è quello relativo alla parte più primitiva della nostra struttura mentale, ancora ordinata per poter fronteggiare la violenza della natura e degli altri esseri umani con altrettanta violenza, sia per paura, sia per deterrenza, sia per difesa del proprio onore.

In tutte questi tre diversi aspetti della natura umana si perviene ad una consistente riduzione del libero arbitrio in senso individuale. E' per questo che ritengo che il libero arbitrio debba essere adottato come libera volontà di un aggregato sociale sufficientemente ampio da modificare il comportamento medio dei soggetti per un periodo di tempo sufficientemente lungo. Ed effettivamente è quello che sta realmente accadendo da qualche secolo a questa parte proprio in molti paesi dell'occidente, come ho accennato in altre discussioni. Tutti i modelli di azioni che teoricamente impongono la condivisione dei comportamenti favoriscono una consapevolezza della libera volontà in termini collettivi e un declino delle ideologie e delle teorie che invece sottolineano l'irriducibilità individuale del libero arbitrio.
Questi modelli di azione sono, a livello politico, la democrazia, a livello economico, il libero scambio delle merci in un sistema capitalistico "responsabile", a livello culturale, l'illuminismo e il pensiero scientifico moderno. E' inevitabile che in società complesse come la nostra le responsabilità siano diffuse.

Detto questo va anche sottolineato che non siamo neppure degli automi lobotomizzati. Abbiamo la nostra parte di responsabilità anche individuale poichè ognuno di noi è dotato di meccanismi di resilienza agli stress ambientali diversi. Non tutti gli abitanti di Scampia sono degli spacciatori (detto per inciso a Scampia ci sono due licei, una serie di attività di contrasto all'illegalità e moltissime attività regolari). La molteplicità dei fattori individuali, fenotipici e genotipici, la complessità sociale, vista anche in chiave storica, l'interdipendenza fra soggetti sociali, i possibili parassitismi e spinte verso l'innovazione, creano un mileu dove le cause esterne e interne dell'agire umano si intersecano.
DIrei che quello che si può affermare con una certa sicurezza è la constatazione della maggiore causalità da parte di fattori esterni,rispetto a quelli individuali e la necessità proprio a partire da questa premessa di individuare dei nuovi paradigmi di responsabilità estesa e globale.
#3175
CitazioneÈ vero, Edipo è un uomo della conoscenza, che però finisce per accecarsi perché la verità trovata è orribile. In questo modo, fino alla fine, asseconda il motore del suo destino, ovvero suo padre, che secondo una versione antica della leggenda, prima di abbandonarlo sul monte gli aveva perforato le caviglie quasi per marchiarlo con il divieto di camminare sulle proprie gambe...

Adamo non è un bambino in balia di creature che si fanno gioco di lui. Un serpente che parla è un'assurdità, l'unico caso di un animale dialogante nella Bibbia (se non sbaglio): è un modo per dire che qui sta venendo fuori qualcosa di incomprensibile da Adamo stesso (che può essere rappresentato e pensato solo come proiezione), il sorgere del male come scelta che non ha nessuna giustificazione (ma che rimane comunque qualcosa che ha attinenza ancora, come per Edipo, con un padre).

Sia Edipo che Adamo restano con la testa rivolta all'indietro, verso le proprie origini, verso quei padri che invece avrebbero dovuto abbandonare senza il minimo rimpianto. E se Adamo e i suoi figli non faranno altro che mettere in scena quel patetico alternarsi di preghiera e bestemmie, di avvicinamento e fuga, almeno Edipo, che non avrà la forza di dimenticare si trafiggerà gli occhi.

Bisogna imparare a dimenticare.
Nel film "Adaptation" di Spike Jonz a un certo punto uno dei personaggi, uno strano botanico autodidatta, spacciatore di orchidee selvatiche, racconta di come da ragazzino aveva creato un'enorme collezione di pesci tropicali, aveva la casa piena di acquari, viveva solo per quello, una passione assoluta... Poi un bel giorno si alza e dice "fanculo ai pesci!", "Io ho chiuso con i pesci!", li da via tutti, dal primo all'ultimo, e da quel momento non vuole più sentire parlare di pesci tropicali e si rifiuta pure di nuotare nell'oceano...
Morale: l'adattamento, l'evoluzione degli esseri umani può anche avvenire per strappi, per rotture, per vuoti di memoria.
Mi chiedo: perché allora non farla finita con quelle tradizioni che abbiamo rimuginato fino alla nausea per millenni...
Ancora con questo "ebreo marginale"? direbbe Nieztsche...

L'evoluzione dell'umanità non può mai avvenire per vuoti di memoria e per strappi. Pensarla in questo modo significa pensare in termine evidentemente reazionari o rivoluzionari (e le due cose non sono così distanti). Il vuoto di memoria ad esempio è tipico di chi ha subito un trauma grave e non lo vuole ricordare. L'esperienza clinica però ci dice che la persona traumatizzata anche se non vuole ricordare è molto probabile che ripeterà il trauma, anche solo per potersi dare l'illusione di poterlo controllare.
Dimenticare i fondamenti della nostra cultura o fingere di dimenticarli oltre ad essere disfunzionale è impossibile. Esattamente come ci sono traumi individuali ci sono traumi sociali e storici che devono essere rielaborati ed accettati da quella comunità, altrimenti il rischio è quello che i napoletani hanno riassunto in "chi ha avuto ha avuto, ha avuto, chi ha dato, ha dato, ha dato, scurdammoce 'o passato". Ma la nostra storia personale e sociale non può essere dimenticata, altrimenti è come se fossimo un malato di alzheimer globale e questo effettivamente è spesso la mia percezione. Credo che tu sia perfettamente in linea con questa società della dimenticanza.
Il principio del padre e del suo abbandono è il principio della legge e del suo abbandono. Qui siamo esattamente nel regno della libertà che il consumismo ci impone e che giustamente Paul denunciava nel post precedente. Una libertà insensata e stupida, nella quale da usufruitori di quella libertà diventiamo gli ossimorici schiavi della libertà.
Il padre si deve abbandonare ma per diventare padre a sua volta. Quello che la nostra società ci insegna è invece che si deve abbandonare il padre per restare "forever young", senza alcuna responsabilità e senza alcun sigillo ai nostri piedi: non possiamo più essere "impediti": da un sistema simbolico del padre-onnipotente siamo passati ad un sistema simbolico del padre-inesistente.
Sul male senza alcuna giustificazione ci sarebbe molto altro da dire ma forse bisognrebbe aprire un altro topic: do solo una indicazione bibliografica: Giorgio Agamben nel suo ultimo libro collega etimologicamente la parola crimen alla parola karma.
#3176
CitazioneMa se noi davvero fossimo in grado di spezzare le catene delle condizioni, come mai non lo facciamo oggi per essere qualcosa d'altro?
La riposta è che noi siamo quello che siamo, siamo esseri fallibili, potenti ma deboli. Non vogliamo vederne i limiti intrinsici e i difetti della nostra natura. Noi diciamo allora che siamo il prodotto del mondo, .........ma il mondo non ci assomiglia.
Buonasera Paul. Io penso invece che siamo capaci di spezzare le catene delle condizioni. Altrimenti ora starei vicino ad una mucca a mungere il latte con un bussollotto sul collo, in attesa dei gabellieri che vengano a prendere le tasse direttamente dal bussolotto. Oppure sarei uno schiavo rapito da bambino da un villaggio della Dacia e condotto a Mediolanum al servizio di un signore romano. Oppure sarei fustigato sulla pubblica piazza perché non ho sollevato il cappello in segno di rispetto al passaggio del feudatario.
Noi siamo realmente qualcosa d'altro nel corso del tempo. L'omosessualità fino a pochi anni fa era considerata una malattia e un secolo fa gli uomini di pelle nera erano considerati inferiori mentalmente dalla comunità scientifica.
La modernità ha un fondamento di hybris ma dobbiamo dare a Cesare quel che è di Cesare: senza modernità saremmo in condizioni ben peggiori. In Europa occidentale abbiamo il privilegio di esserci affrancati da tanti incubi che purtroppo permangono in vaste aree del pianeta.
In un altro passo dici che l'uomo fa sempre i medesimi errori. Anche questo non è sostanzialmente vero. Fino alla seconda guerra mondiale, tutti i governi hanno usato nelle guerre tutte le armi in loro possesso. Da 70 anni a questa parte anche governi piuttosto instabili come il Pakistan o la Corea del Nord non hanno mai lanciato una bomba atomica contro il nemico. Oggi credo che sarebbe impensabile introdurre nell'ordinamento giuridico il "whipping boy", ovvero un ragazzo o un uomo al servizio di un nobile, che viene fustigato per punizione ad una malefatta del suo signore (di solito molestie o violenze sessuali). Nella Parigi del 1600 si teneva uno spettacolo che ora farebbe arrivare prima la polizia e poi l'ambulanza: ovvero si dava fuoco a cani e gatti nella pubblica piazza dietro pagamento di un biglietto e la gente accorreva felice a vedere quello spettacolo.
DIre che l'umanità è sempre la stessa è un falso che può nascondere una ideologia, ovvero che l'uomo per redimersi ha bisogno di una potenza a lui esterna, immanente o trascendente che sia.
Resta indubbiamente la necessità che via sia un equilibrio e che l'uomo non si senta il padrone del mondo, pena la sua stessa estinzione.
E' vero che la modernità ha reso la libertà un feticcio e un valore incontestabile ma è la modernità liberale del consumismo ad aver spinto verso questa direzione. La modernità del seicento e del settecento era la modernità della classe borghese che si opponeva con il proprio senso ascetico e di responsabilità proprio al libertinismo della classe nobile. Ma anche qui le cose non sono così semplici e scindibili con un colpo di rasoio, poichè anche l'ideologia della nobiltà medioevale ha preparato il terreno allo sviluppo dell'ideologia borghese, che ha solo reso i principii di quella ideologia estensibili a tutta l'umanità.
La modernità dice questo: siamo noi i padroni del nostro destino. Ora le alternative sono o il nostro destino lo gestiamo con senso di responsabilità, considerandoci tutti marinai che si adoperano nello stesso vascello, oppure pensiamo di usare il vascello a nostro uso e consumo disinteressandoci di quello che accade agli altri (ovvero l'inferno secondo Sartre).
#3177
Ti ringrazio dell'assist Green e constato con un pizzico di meraviglia che hai una capacita' non comune di andare al nocciolo delle questioni con una mente filosofica. Al di la' delle ns divergenze, complimenti.
Detto questo, effettivamente dietro questo confronto edipo-adamo c'e' una questione politica-civile. Edipo sintetizza una visione tragica: il dramma dell'uomo si ripetera' e il fato stringera' l'umanita' nel suo cappio. L'uomo potra' al massimo "conoscere" ma non puo' modificare la sua condizione. E' la visione nostalgica di ogni idea di destra politica che fonda l'ideologia sulla forza e sul destino. Adamo scendendo sulla terra mette in moto la storia. In qualche modo si puo' dire che il primo rivoluzionario di sinistra e' stato proprio Adamo. L'illuminismo e il marxismo non fanno altro che trasporre sulla terra il paradiso terrestre. Con l'uguaglianza, il potere alle masse auspicano un mondo pacificato e felice.
Ma nessuna di queste due immagini e' accettabile e reale. Non facciamo il bene dell'uomo ne' pensando ad una mitica eta' dell'oro a cui si deve surrogare con varie forme di darwinismo sociale e rassegnazione stoica (Tradizione di Edipo), ne' ad un futuro radioso dominato dal sole del progresso che una volta per tutte ci rendera' degli angeli secolari (Tradizione di Adamo).
E allora che fare? Come affrontare le eterne domande della filosofia pratica? Come fare il bene senza fare del bene un'idea ipocrita o un'idea terribile?
#3178
Al momento rispondo solo all'intervento 33 di Sgiombo, sempre sul testo di Pinker.

S. Pinker ha scritto un testo magistrale di circa 800 pagine e ti assicuro che non si occupa solo di famiglie. Le pagine che ho letto stasera ad esempio citavano il Leviatano, Della Pace Perpetua e altri testi classici politici e anche J. Swift per sovrapprezzo. E' un libro di storia e di filosofia della storia connessa al processo di diminuzione della violenza in Occidente, molto ben documentato e che collega la visione storica e di idee sulla storia e sull'uomo con il discorso sull'uomo come soggetto biologico, attraversato irriducibilmente da istanze fisiologiche più o meno patologiche.
Sono del parere che diventerà un classico di criminologia "alta", come lo fu 40 anni fa "Sorvegliare e punire" di Michael Foucault, o 80 anni fa "Pena e struttura sociale" di Rushe-Kirkheimer.
Il discorso che tu fai, sull'estensione del concetto di violenza è invece del tutto condivisibile e in questo è probabile che tu abbia ragione nel considerare Pinker, tutto sommato "occidentecentrico". Ma è anche vero che le statistiche che fornisce sulla diminuzione della violenza in Occidente spiazzano in modo eclatante. Alcuni miei amici continuano a non credere al fatto che si è passati in Italia da un livello di 80 omicidi ogni 100.000 abitanti del 1250 al livello di 2 ogni 100.000 abitanti del 2000. Qualcuno mi ha detto che invece il rapporto corretto dovrebbe essere 300 o addirittura 800, come se in una città come Torino, ci dovessero essere 8.000 omicidi all'anno e in tutta Italia 480.000 omicidi all'anno. Lo stesso numero di morti che l'Italia ha avuto nel corso della seconda guerra mondiale, ripetuta ogni anno!
Il discorso di Pinker in questo è una denuncia per il sistema dei mass-media che ci induce a credere di  vivere in un'epoca di altissima violenza mentre è vero il contrario. Ed è anche questa scarsità di violenza che induce le masse di migranti a giungere fino a noi, poichè anche facendo la carità agli angoli della strada non rischiano di essere falciati da una mitragliatrice. Solo da questo punto di vista il libro di Pinker è prezioso ed anche sostanzialmente progressista.
#3179
La posizione sincretica che ipotizzo non è il mix di timor di Dio ed espiazione delle colpe. Parto da una considerazione se vuoi banale: che ogni tradizione di pensiero può condurre a diverse direzioni e che quelle direzioni, una volta divenute idee ed azioni si consolidano. Ebbene il pensiero greco tragico, riassumibile attraverso la figura di Edipo, è encomiabile perchè lungi dal voler "espiar colpe", ci dice che ognuno di noi è colpevole ed innocente allo stesso tempo, ma che se vogliamo davvero agire dobbiamo commettere qualche crimine e dobbiamo essere pronti, mi viene da dire "responsabili" rispetto alle conseguenze, senza cercare scappatoie cristiane. In questo l'uomo diventa uomo, sufficiente a sè stesso, autonomo e per questo viene accecato dagli dei, che non ammettono la sua indipendenza. Ma la sua autonomia può diventare anche arbitrio e questo Nietzsche lo dice a chiare lettere, in una prospettiva elogiativa, ovviamente. La tragicità di Edipo non è derivante dal fatto di essere sottoposto al fato, questa è una visione scolastica. La tragicità deriva dal fatto di essere mosso dal fato e contemporaneamente dalla sua volontà che vuole conoscere e conoscendo provocherà insieme la sua dannazione e la sua ascesi terrena. Non a caso Freud sceglie magistralmente Edipo per simbolizzare una teoria che chiede di scoprire scomode verità che ci procurano contemporaneamente dolore e sollievo.
Il pensiero giudaico ad uno sguardo molto superficiale, ed accontentandoci di questo paragone Adamo-Edipo, è molto più elementare e privo della complessità della storia edipica. Di solito il bene e il male sono facilmente riconoscibili come due fazioni che si scontrano con stendardi di colore diverso e questo produce tutta quella pletora di sintomi individuali e sociali che conosciamo con il nome di capro espiatorio, proiezione del male sull'altro, sottomissione ad un potere anodino e tirannico e così via. Eppure quel pensiero mantiene al suo interno un discorso "ideale" verso un futuro migliore che il pensiero edipico non ha.
La freccia della storia della modernità è stata così scoccata da un arciere imprevisto e attrezzato principalmente a battaglie religiose, per le quali la permanenza sulla terra è un accidente di poca importanza e secondo il quale la freccia in fondo va sempre dove ordina il suo Superiore.
Da questo punto di vista hai ragione, questo sincretismo di cui vaneggio è il cristianesimo ma tradotto in termini secolari, un pò secondo quello che Leopardi diceva in termini di "solidarietà fra gli umani", umani responsabili, consapevoli del loro ruolo, privi di un padre ultraterreno da dover adorare ma nello stesso tempo alla ricerca di valori extraumani, che possa limitare il loro agire e dare a questo agire un senso.
#3180
Tematiche Filosofiche / A proposito di Adamo ed Edipo
05 Novembre 2017, 18:52:33 PM
"La cosa migliore e più alta di cui l'umanità possa diventare partecipe, essa la conquista con un crimine, e deve poi accettarne le conseguenze, cioè l'intero flusso di dolori e affanni, con cui i celesti offesi devono visitare il genere umano eche nobilmente si sforza di ascendere: un pensiero crudo, che per la dignità conferita al crimine stranamente contrasta con il mito semitico del peccato originale, in cui la curiosità, il raggiro menzognero, la deducibilità, la lascivia, insomma una serie di affetti emintemente femminili fu considerata come origine del male"
Così scrive Nietzsche in La nascita della tragedia (p. 69, Adelphi), contrapponendo il senso morale degli antichi greci con quello nato dalla morale giudaico-cristiana.
Alla luce di questa dichiarazione nietzchiana , ho provato a porre uno di fronte all'altro Edipo ed Adamo.
Edipo commette dei crimini gravissimi, uccide suo padre, si accoppia con la madre, ma è del tutto inconsapevole nel momento in cui commette questi delitti. La sua unica colpa, se vogliamo, è quella di voler salvare la sua città una seconda volta. Dopo aver sconfitto la sfinge, che lo rende padrone di Tebe, viene a sapere che solo se si scoprirà l'assassino di Laio, il precedente re, la pestilenza che si è abbattuta su Tebe potrà terminare. La ricerca terminerà solo nel momento in cui Edipo scoprirà di essere lui stesso l'assassino e si accecherà, salvando però la città.
Edipo affronta il suo destino, ha la stessa sete di conoscenza di Ulisse e avverte il pericolo ma lo affronta perché il bene della sua città e la ricerca della verità sono i valori che orientano il suo agire. Ne scaturisce così un personaggio "tragico", mosso dal destino, quasi un burattino fra le sue mani, ma che vuole "conoscere". E  quella conoscenza non solo salverà la città ma la getterà nell'epoca moderna, ovvero nell'epoca dove la ricerca della conoscenza differenzia l'uomo mitico dall'uomo moderno.
Adamo invece viene posto di fronte al divieto di mangiare la mela della "conoscenza" del bene e del male. Divieto a cui disobbedisce per una serie di offerte sotterranee e menzognere che partono dal serpente, giungono ad Eva e terminano da Adamo. Da quel momento bisogna abbandonare il mitico paradiso terrestre, al quale l'umanità guarderà da allora con nostalgia.
La testa di Adamo è quindi rivolta all'indietro. Ha commesso un peccato che ha provocato sofferenza  e potrà solo un giorno ricongiungersi a quel paradiso, a patto di soffrire nel breve lasso dell'esistenza terrena. La testa di Edipo è invece rivolta in avanti. Vuole conoscere, anche se sa che questo potrebbe provocargli sofferenza e non ha alcun paradiso futuro che lo aspetta.
In entrambi i casi il "peccato" crea il mondo. Ma solo nel caso della tragedia greca è Edipo che vuole "conoscere" in modo consapevole e solo Edipo è incastrato in una situazione irrisolvibile, perché se non conoscerà, la pestilenza proseguirà, se conoscerà, la sua sorte sarà tragica. Al confronto Adamo fa la figura del bambino che si lascia trascinare dalle "cattive compagnie", un irresponsabile, un "idiota". Il bene e il male qui sono nettamente separati, non si fa fatica a individuarne i fattori e i moventi. In questo senso anche Gesù si muove nella stessa logica: Gesù si offre come Edipo per salvare la città degli uomini, ma il suo sacrificio richiama un mondo perfetto dove il male sarà sconfitto definitivamente.
Forse è una illusione pensare ad mondo privo del male ma essa stessa è fondatrice della modernità. Perché il crimine edipico, portato alle sue estreme conseguenze sembra dirci , in accordo con la filosofia di Nietzsche, che ogni azione è lecita se è fondata sulla forza apollineo-dionisiaca, fino eventualmente giustificare gli inferi nazisti, come lo stesso Nietzsche prefigura nel proseguo del passo citato.

Allora forse solo la sovrapposizione di Edipo con la sua volontà di conoscenza ed Adamo con il suo richiamo ad un ordine superiore alla conoscenza umana, sia pure deteologizzato, potrebbe essere una sorta di "sincretismo" in grado di modificare il senso dell'uomo nel mondo. Ma sono realmente unificabili queste due visioni del mondo così lontane?

Grazie per l'attenzione.