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Messaggi - sgiombo

#3196
Citazione di: Garbino il 23 Ottobre 2016, 16:25:58 PM

Da queste premesse, sempre a mio avviso, scaturisce che la possibilità di scelta di essere razionale aumenta in base al grado di potenzialità raggiunto, ma può anche essere assente.
Sempre in base a queste premesse, direi che, come al solito, tutto si riconduce alla fortuna di essere stato dotato di una buona base genetica e di aver potuto sviluppare l' attività razionale nel miglior modo possibile.


CitazioneAl di fuori di casi decisamente patologici non é il patrimonio genetico bensì l' esperienza vissuta fin dalla più tenera età (fattori epigenetici, sia materiali -nutrizione, evitamento o meno di patologie- sia soprattutto culturali: stimoli ricevuti a sviluppare le proprie capacità potenziali) che determinano la fortuna di maturare una razionalità più o meno compiuta.

#3197
Citazione di: maral il 23 Ottobre 2016, 00:01:38 AM
Citazione di: sgiombo il 21 Ottobre 2016, 11:28:11 AM
Essa comprende determinate cose molto peculiari, dette "simboli", come le parole, i segnali stradali, le icone dei desktop de computer, ecc., cui sono attribuiti (arbitrariamente; e di solito convenzionalmente accettati) significati; e inoltre tutte le altre cose che non sono simboli, le quali invece non hanno alcun significato: appaiono come (insiemi e successioni di) sensazioni fenomeniche e basta!
Il problema è qui Sgiombo: quali sono queste cose che appaiono come successioni di sensazioni che non hanno significato se nel momento stesso in cui solo le richiami alla mente è solo nel loro significato che puoi richiamarle?
CitazioneContinui a confondere la realtà con la conoscenza della (il pensare, il richiamare alla mente la) realtà, la quale ultima soltanto (e non la realtà) necessità inevitabilmente di proposizioni o giudizi fatti di parole le quali hanno un significato.




Non solo i segnali stradali o le icone sul desktop del computer (che sono pur sempre cose, oltre che segni convenzionali), ma anche un albero, una pietra, un animale in quanto tali sono segni e fatti a segno e solo per questo possono esistere come "albero", "pietra" e "animale", esistere per noi a cui da esse veniamo fatti segno.

CitazioneMentre del segnale stradale "divieto di svolta a destra" é evidente il significato (per chi conosca il codice della strada) dell' albero di abete qui nel mio giardino e di tantissime altre cose che simboli non sono non esiste alcun significato (per definizione).




E il nome rappresenta il loro condiviso e pubblico significare che non è semplicemente convenzionato, ma è il risultato di una storia immensa, antica quanto l'umanità che al presente, in questo luogo dà questi nomi, in altro tempo e luogo ne dà altri, ma che non siamo noi a scegliere. Anche "Alto Adige", al posto di "Sud Tirol" è il risultato di una situazione storica, non si sceglie "Alto Adige" solo per fare dispetto a chi vuole chiamarlo "Sud Tirol" o viceversa, ma in ragione del contesto storico per cui si sente necessario far dispetto, non si sceglie arbitrariamente. E l'Alto Adige non è il Sud Tirol, non è letteralmente la stessa cosa, anche se geograficamente coincidono perfettamente, anche se i sassi e le piante e gli animali sono gli stessi comunque si chiamino quelle zone. Il significato e quindi il modo di essere di quelle zone, è diverso, poiché se non fosse diverso, per nessuna ragione se ne sarebbe cambiato il nome e per nessuna ragione i tirolesi della zona pretenderebbero da decenni di tornare alla toponomastica tedesca. Se il nome è indifferente alla cosa che in sostanza è sempre la stessa, per quale ragione si dovrebbe contestare un nome, accidente del tutto ininfluente sulla realtà sostanziale?
CitazionePer ragioni puramente soggettive, e non certo perché le cose in generale e non simboliche (e in particolare il territorio dell' attuale provincia -se non l' hanno abolita, cosa che non é facile capire nelle mene penose della politica corrente) hanno un significato.




Nulla può apparire senza significare per il semplice fatto che appare e il significato implica, per venire pubblicamente stabilito, un nome proprio per quella cosa, non un nome qualsiasi (e dove mai sarebbe poi questa riserva di nomi che di per sé non significano nulla e in cui si va a pescare ad libitum come in una sorta di grande magazzino?). Il nome indica un modo di accadere ed è da questo modo di accadere stabilito, non dal soggetto a suo arbitrio.
CitazioneNon capisco proprio di cosa tu stia parlando con la locuzione "riserva di nomi che di per sé non significano nulla e in cui si va a pescare ad libitum come in una sorta di grande magazzino".

L' abete nel mio giradino appare eccome!
E non significa proprio nulla! Mi piace, spero che viva a lungo e cresca bene, ma queste sono miei sentimenti, non suoi significati!
E se fosse stato chiamato "eteba" non sarebbe cambiato proprio nulla nel suo reale essere e accadere




A me pare che il motivo principale per cui continuiamo a dibattere stia nel tuo timore che così dicendo si arrivi alla pretesa che il nome sia la cosa stessa. Non è così, l'ho già detto, non è la cosa, anzi il nome c'è quando la cosa non c'è, proprio perché la chiama. Se dico "questo è un cavallo", quel "cavallo" che dico  non è in alcun modo questo cavallo, ma è il nome che lo chiama alla presenza di tutti, che ne fa segno in modo che tutti lo vedano.  
CitazionePosso benissimo pensare e anche dire ad alta voce "questo é un cavallo" in perfetta solitudine (umana, ovviamente): il cavallo é presentissimo anche se lo vedo solo io.




Con questo non sostengo (per quanto personalmente non abbia mai convenzionato alcun nome, ne ho conosciuto nessuno che lo abbia fatto e nessuna memoria storica mi rimanda a mitici inventori di nomi, al massimo ricombinatori di significati) che non si possa arrivare a convenzionare sui nomi, ma è un punto di arrivo per il linguaggio e non di partenza, è il momento in cui si precisano delle definizioni su parole che già nominavano, che già risuonavano significanti ed esprimevano connotazioni condivise tra tutti quelli che facevano insieme le stesse esperienze e partecipavano dei medesimi significati.
CitazioneArbitrariamente e convenzionalmente!




Poi ci sono pure nomi per cose solo immaginate, o solo pensate e non percepite né percepibili, oppure sentite nell'animo, ma nemmeno questi sono nomi arbitrari, corrispondono a qualcosa che comunque realmente accade e che in un determinato contesto può trovare solo quel modo di significare e di esprimersi, credibilmente oppure no.
CitazioneNon corrispondono a nulla di reale, pena la caduta in un' eclatante contraddizione.





CitazioneOgnuno di noi percepisce continuamente un' infinità di cose senza pensarci né interpretale in alcun modo, per esempio quando è alla guida del proprio veicolo su un percorso abituale.[/color]
Certo, ma quell'infinità di cose che si percepiscono senza pensarle o interpretarle, possono essere tali (ossia "infinità di cose percepite senza pensarle o interpretarle) solo se come tali sono percepite e interpretate, altrimenti non esistono.
CitazioneAl solito!

Non possono essere percepite, pensate, conosciute e non semplicemete essere reali, accadere realmente se come tali non sono percepite e interpretate; ma anche se non lo sono, sono comunque benissimo reali.





CitazioneSgiombo:
Ma tu ti rendi conto che i batteri esistono realmente (anche se un cavernicolo si può mettere a ridere sentendolo dire) e gli ippopgrifi no, e che questa è una differenza enorme?

Maral:
Ma i batteri esistono realmente per noi, che li vediamo e studiamo al microscopio, che riconosciamo un significato di senso all'espressione "vedere al microscopio", frutto di millenni di storia e simbolicamente condensati nel microscopio che abbiamo imparato a usare, non per il cavernicolo. per il cavernicolo i batteri non esistono, quanto per noi non esistono omini verdi su Plutone o ippogrifi in una valle nascosta del Tibet. Il cavernicola sa che esiste quello che è abituato a vedere, pensare e interpretare. Noi non sappiamo nulla più di lui, sappiamo in modo diverso e magari in certi ambiti più efficace, mentre in altri meno. Questo è un punto fondamentale da riconoscere, altrimenti si rischia di continuare ad andare in giro per il mondo convinti di poter insegnare a chiunque come stanno o devono stare veramente le cose (e magari pure a "esportare democrazia" per salvare i poveri selvaggi di turno!)  Citazione
CitazioneSgiombo:Dunque secondo te, non esistendo i microbi per il cavernicolo che non vede e studia al microscopio i microbi della polmonite , che non riconosce un significato di senso all'espressione "vedere al microscopio", ecc., costui non può ammalarsi e magari morire di polmonite!
Beato lui!
Anzi : beata illusione (perché lui, senza antibiotici, ha molte più probabilità di noi di lascrci la pelle)!

Ma tu credi avvero che, pur non conosciuti da noi, esistano davvero  
omini verdi su Plutone o ippogrifi in una valle nascosta del Tibet???

Sono convinto che abbiamo molte cose da insegnare a e da imparare a chiunque e da chiunque (in particolare ai e dai cavernicoli; se ancora ce ne fossero).









CitazioneSgiombo:
Non potrò mai morire per un calcio in testa da parte di un ippogrifo, mentre potrei benissimo morire (e non necessariamente per pretesa "malasanità", come pensano giornalisti e cretini in generale; e anche più probabilmente potrà morire il cavernicolo che se la rideva) per una polmonite!

Maral:
Tu no, ma il cavernicolo sì. perché è questo il significato che dà a quello che tu chiami polmonite di cui non ride affatto, mentre può ridere della tua interpretazione finché non entra nella tua visione culturale.

Lui non vede lo stesso schermo che vedi tu, poiché tu sai (l'immensa storia da cui provieni te lo ha insegnato) cos'è uno schermo e cos'è un computer, lui no, lui non sa di schermi, sa altre cose che tu non vedi e non sai, per cui quella cosa che tu e lui vedete non è per nulla la stessa cosa e lo sarà solo quando il selvaggio si metterà una maglietta con su scritto "I love New York", verrà in città e imparerà a usare un computer, se nel frattempo non impazzisce o si suicida.  
CitazioneSgiombo:
Che rideva l' hai detto tu, non io.

Ma possiamo morire di polmonite sia io che (più probabilmente) il cavervicolo.

Io so l' immensa storia, ecc. che il cavernicolo ignora, ma se  non siamo ciechi e guardiamo lo stesso schermo del computer, allora vediamo lo stesso schermo del computer.

Vedere (sentire, percepire) =/= sapere.





CitazioneSgiombo:
perché mai quel che dico non varrebbe nulla se sono io stesso che dico che quello che si dice non ha nessuna rilevanza su come è la natura?

Maral:
Perché sei tu stesso che lo dici. Stai dicendo che quello che si dice non ha rilevanza, quindi anche quello che tu dici quando dici questo (ossia quando dici che "quello si dice non ha rilevanza") non può averla, quindi è di fatto irrilevante che tutto quello che si dice non ha rilevanza. 
E' lo stesso motivo per cui lo scettico non può che contraddirsi quando il suo scetticismo è assoluto: se tutto non è vero, non è vero nemmeno che tutto non è vero.

CitazioneSgiombo:
E allora?

Lo scettico non dice che tutto ciò che é creduto é falso ma che tutto ciò che é creduto é dubbio: sospende il giudizio non afferma la falsità di tutto.

Il paradosso pseudoscettico é tutt' altra cosa da ciò che affermo.
Non affermo affatto che dire qualcosa su come é la realtà é non dire qualcosa su come é la realtà, bensì la ben diversa affermazione che la realtà é come é , indipendentemente da come si dice che é (es: se é deterministica la é anche se qualcuno dice ché indeterministica e non: se qualcuno dice che é indeterminsituica non é che qualcuno dice che é indeterministuica).

Fin che per te "dire, pensare circa la realtà" = "la realtà" non potremo mai intenderci!






CitazioneSgiombo:
Che la natura è indifferente a noi (essendo noi nient' altro che una parte di essa
) significa che ad esempio sé è determinstica é deterministica anche se noi diciamo che è indeterministica, che se diviene diviene malgrado Parmenide e Severino lo neghino, che se non comprende ippogrifi non li comprende anche se molteplici miti lo affermano.
Maral:
Già, ma come fai a dirlo e allo stesso tempo pretendere che abbia una qualsiasi rilevanza?

CitazioneSgiombo:
Non pretendo che ciò che dico abbia alcuna rilevanza circa ciò che é (ciò che é é ciò che é così com' é sia che io ne dica qualcosa, sia che io non ne dica qualcosa; se ne dico qualcosa comprendendo fra l' altro che ne dico qualcosa, se non ne dico nulla non comprendendo il dirne alcunché da parte mia).
#3198
Citazione di: cvc il 23 Ottobre 2016, 09:29:19 AM
Sariputra e Acquario, a me piace pensare che se l'intera civiltà andasse distrutta, e ne sorgesse un'altra del tutto ignara dell'esistenza della precedente, ancora si fonderebbe - o meglio tenterebbe di fondarsi - sugli ideali di giustizia, libertà, uguaglianza, solidarietà.

CitazioneA me piace pensare che nell' universo infinito esistono altri pianeti abitati da viventi simili al nostro.
E che, come in parte di essi la vita si estingue non avendo superato la condizione degli procarioti (batteri); in un' altra parte non avendo superato quella degli eucarioti monocellulari; in un' altra ancora non avendo superato quella dei pluricellulari vegetali e animali privi di linguaggio e autocoscienza (e di "storia umana o similumana" accanto alla "storia naturale"; come sarebbe successo qui da noi se insieme ai dinosauri si fossero estinti anche i primi mammiferi); così potrebbe darsi ed effettivamente sia che in un' ulteriore parte minore la "storia similumana" superi per tempo la fase "similcapitalistica" prima dell' estinzione dei viventi autocoscienti e raggiunga una fase "similcomunistica".
E che (nel caso probabile l' umanità si autoestingua non riuscendo a superare il capitalismo), come noi pensiamo con ammirazione e gratitudine a chi ha lottato prima di noi per la giustizia e il progresso ed é stato sconfitto (da Spartaco a fra Dolcino, a Huss, a Robespierre, a Babeuf, a Toussaint Louverture, a Salvador Allende, a Thomas Sankara e a tantissimi altri dai nomi sconosciuti), allo stesso modo, con la stessa ammirazione e venerazione i "similuomini nuovi" di quei fortunati pianeti pensano a noi che qui sulla terra e in altri mondi ci battiamo per salvare la nostra umanità e il suo progresso storico venendo (se lo saremo, come é probabile) sconfitti.
Lo so, é una consolazione più "religiosa" che "filosofica", per dirlo in termini boeziani, non molto razionalistica.

#3199
Citazione di: cvc il 23 Ottobre 2016, 09:01:25 AM
Sgiombo, il passaggio della filosofia da teoria a prassi, da mezzo per capire il mondo a mezzo per trasformarlo ha coinciso con il porre l'economia al centro dell'uomo. Il marxismo, il socialismo, sono filosofie che pure nei loro ideali ugualitari finiscono col porre la questione economica al centro di tutti i problemi, laddove la filosofia è nata come fenomeno spirituale. Materialismo storico se non erro significa proprio questo: storia dell'uomo = storia dell'economia.

CitazionePer me la filosofia della prassi (per dirlo a la Gramsci) si pone sì come scopo non semplicemente di capire il mondo ma di trasformarlo (ma capendolo, conoscendolo nella usa realtà oggettiva come conditio sine qua non per poterlo trasformare).
Ma non pone l'economia al centro dell'uomo, bensì riconosce per l' appunto il fatto oggettivo che essa di fatto è in ultima istanza e attraverso molteplici e complesse mediazioni determinante nella storia umana (ma "storia dell'uomo = storia dell'economia" ne è una semplificazione decisamente caricaturale); e in base a questa conoscenza oggettiva opera per trasformarlo (ovviamente questa è la mia convinzione; non credo proprio che sia il caso di tentare in questa sede di argomentarla, anche solo molto approssimativamente e per brevi cenni, pur sapendo bene che ben pochi la condividono; mi limito a illustrare ciò che penso a chi ne possa eventualmente essere interessato).


Quanto alla ragione come ancella del sentimento, io nemmeno credo sia il sentimento ancella della ragione. Non ci sono ancelle e padroni, semplicemente perché ogni fatto umano è una concatenazione inseparabile di ragione e sentimento. Il fatto è che, non credendo nella percezione diretta, tutto ciò che pensiamo è già stato etichettato dal linguaggio e dal raziocinio, e il cambiate le etichette (i nomi) influisce sul nostro sentire. Tutto ciò che non ha etichetta è inconscio. Sul fatto l'inconscio ci domini, sono d'accordo, ma in modo indiretto. La ragione determina la nostra volontà nel momento in cui distingue cosa desiderare e cosa evitare, e ciò avviene a livello conscio.

CitazioneCome mi pare risulti evidente anche da quanto da me scritto, concordo che ogni fatto umano è una concatenazione inseparabile di ragione e sentimento; non concordo invece con una teoria aprioristica della conoscenza (se ben la capisco) qual quella cui accenni.
Men che meno concordo sull' inconscio, che ritengo una sorta di "mostruosità ideologica freudiana (aggettivo cui attribuisco una connotazione decisamente deteriore)" del tutto priva di alcun valore scientifico (anche questo senza ridicole pretese di convincere chichessia attraverso una discussione come questa).
I sentimenti di cui parlo, che ci pongono scopi che la ragione può cercare di "ponderare" e di realizzare nella parte preferibile fra quelle alternativamente possibili mediante opportuni mezzi, sono ben consapevoli (li avvertiamo coscientemente).
Secondo me è più giusto dire che la ragione, nel momento in cui cerca di distinguere e valutare cosa è più fortemente desiderato e cosa meno, cosa da ricercare e cosa da evitare (e a cosa rinunciare) per sperare di ottenere la migliore soddisfazione complessiva possibile dei nostri desideri irrazionali (e ciò avviene a livello conscio: perfettamente d' accordo!) contribuisce a determinare la nostra volontà in concorso con i sentimenti che gli scopi dell' azione ci pongono indiscriminatamente, con maggiore o minore forza.
#3200
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
22 Ottobre 2016, 21:24:36 PM
Citazione di: Apeiron il 22 Ottobre 2016, 13:33:46 PM
 Come dicevo nel post inziale non si può dire di conoscere la realtà in-sè se conosciamo solo come appare-a-noi. Per inciso se divento cieco tutti i colori spariscono e quindi la realtà in-sé è incolore. Il problema è che la stessa scienza potrebbe conoscere la realtà come "apparente" e come quindi derivante da come ci appare a noi.

CitazioneConcordo che si può esperire (e conoscere come inieme e successioni di sensazioni fenomeniche) solo la realtà come appare (a noi, se anche noi come soggetti di tali sensazioni siamo reali) e non come é in sé (se qualcosa in sé é reale oltre le sensazioni fenomeniche che appaiono).
Della realtà in sé si può secondo me sensatamente parlare, si può ipotizzare e predicare che é reale (eventualmente anche conoscerla in qualche misura, conoscerne "qualcosa", se se ne predica veracemente; cosa comunque insuperabilmente dubbia; dunque non si può mai sapere se se ne conosce "qualcosa", non si può comunque essere certi di questa eventuale conoscenza).
Ma non si può dimostrare, né tantomeno mostrare (per definizione) che realmente accada.

Se divento cieco la realtà per come appare é incolore: la realtà in sé é incolore comunque.

#3201
Citazione di: cvc il 22 Ottobre 2016, 19:43:41 PM
Io non capisco. Secondo voi sono tramontati i valori morali tradizionali, le virtù cardinali, la fede nella ragione, e pensate che debbano essere archiviati e sostituiti con nuovi valori. Oppure che si debba filosofare nella consapevolezza di non poter mai arrivare ad alcun valore riconosciuto, eppure bisogna continuare a filosofare, filosofare, filosofare.... La critica a cui alludete è quella della decostruzione. Ma tale pensiero, che fa una grande impressione, non è altro che una antitesi che per reggersi ha bisogno della tesi cui si oppone.  Se eliminate le virtù, non ha più alcun senso nemmeno la critica dei valori tradizionali. Questa decostruzione non è un distruggere per ricostruire. Distrutti i valori che hanno guidato la civiltà per millenni, non ce ne sono altri con cui sostituirli. Perché quei valori non sono il frutto della pura arbitrarietà, ma sono ciò che è emerso dall'uomo data la sua struttura fisica e mentale. La dimostrazione è che per quanto la tecnologia abbia cambiato il mondo, i valori dell'uomo sono sempre quelli. La corruzione, l'odio, l'ingiustizia, la violenza, l'inganno, c'erano ai tempi più antichi e venivano percepiti allo stesso modo: anche 2000/3000/10.000 anni fa gli uomini si innamoravano, di risentivano, si disprezzavano, ma anche solidarizzavano e collaboravano come adesso. Cambiano gli apparati, ma non lo stato d'animo di fondo. Ed il paradosso è che Nietzsche è considerato l'emblema della filosofia moderna, ma quello che ha scritto lo ha tratto dalla filosofia antica. Senza quei valori che critica, che vorrebbe distruggere, di Nietzsche non rimane niente. La ragione è l'ancella del sentimento? Ma senza la ragione che gli da un senso ed un significato, che ne è del nostro sentire? I valori cadono perché le strutture le li incarnano, gli stati, le repubbliche che li sintetizzano nelle loro costituzioni e nelle loro leggi, più o meno imperfettamente, sono sempre più soppiantati da interessi che sfuggono alle loro sovranità. Le multinazionali contano più degli stati, coi loro ideali di giustizia. Gli ideali delle multinazionali sono la tecnologia e la crescita economica. Ideali che l'uomo, la filosofia non riesce a contrastare. E questo è il fallimento della filosofia moderna e contemporanea.

Citazione"I filosofi hanno solo interpretato diversamente il mondo; ma si tratta di trasformarlo"
                                                                                                                       (Karl Marx, XI tesi su Feuerbach)

Il problema é che trasformarlo si é dimostarlo da allora estremamente difficile; e restando com' é imputridisce sempre più in tutti i sensi.

"Socialismo o Barbarie
                                            (Rosa Luxemburg)

Ma, stante lo sviluppo attualmente raggiunto dallo sviluppo delle forze tarasfomative (produttive ma anche distruttive) materiali, senza un socialismo tempestivamente realizzato la barbarie giungerà fino all' irreversibile distruzione delle condizioni fisico-chimiche e biologiche della sopravvivenza umana: non un qualche "nuovo Medio Evo" più o meno lungo cui potrà comunque prima o poi succedere un qualche "nuovo Rinascimento", ma la fine della storia (umana; in senso letterale , non in quello becero e falso in cui ne blaterava Fukuyama).


***************************************************

Concordo con Green Demetr (al quale pure moltissimo mi oppone) che la ragione non può che essere l' ancella del sentimento nel senso (per parte mia; non sono sicuro che lui sarebbe d' accordo) che la ragione può indicarci i mezzi adeguati a raggiungere un fine (purché realistico) in determinate circostanze; può anche aiutarci a calcolare o meno (di solito solo probabilisticamente e di certo sempre non infallibilmente! Ma comunque molto meglio che qualsiasi strumento o atteggiamento irrazionale) la compatibilità o meno di insiemi di scopi oppure la loro reciproca esclusione e perseguibiltà alternativa; e inoltre a "soppesare" o "ponderare" in qualche modo non quantitativo e irriducibilmente vago e incerto (non letteralmente a "pesare", cioé non a misurare: impossibile trattandosi di res cogitans!) la forza complessiva di insiemi di scopi conseguibili alternativamente gli uni agli altri (l' intensità del desiderio di avere "la botte piena" rispetto a quello di avere "la moglie ubriaca") onde decidere quale scelta fra di essi sia preferibile per cercare di raggiungere la maggiore felicità possibile.

Ma desideri e aspirazioni li avvertiamo dentro di noi irrazionalmente, non si possono "dimostrare razionalmente".
#3202
Presentazione nuovi iscritti / Re:Buonasera a tutti
22 Ottobre 2016, 08:43:20 AM
Benvenuto fra noi!
(Mi piace la definizione di "studioso amateur", penso che la userò io stesso per autodefinirmi).
#3203
Citazione di: DrEvol il 21 Ottobre 2016, 16:42:19 PM
CitazionePer questo l'uomo non nasce razionale né lo diventa realmente mai. La razionalità umana non è uno stato, ma un percorso continuo in cui nulla resta esente dal dubbio e ogni soluzione è solo inevitabilmente provvisoria, sempre aperta alla sua re interpretazione senza porsi mai come insormontabile de-finizione su cui non si possa mai ulteriormente dire e ridire.  
Ciao Maral. E' sempre un piacere leggere i tuoi commenti.

Allora, se per razionalità umana s'intende la scoperta e la correzione delle proprie contraddizioni, non dobbiamo pensare ad essa come un valore essenziale da coltivare sia in occidente che in oriente? Sappiamo tutti che la scienza e la tecnologia non sono risposte capaci di eliminare le nostre ansie esistenziali, perché sono prodotti parziali della razionalità. Ma quello che l'uomo ha saputo fare con la ragione nel campo del progresso scientifico non ha saputo applicare alla sua capacità di vivere eticamente (almeno se si considera gran parte degli individui che compongono l'umanità),  Qual è, mi chiedo io, il rapporto tra razionalità ed etica?  In che modo la razionalità può aiutare le persone (l'umanità) a distinguere il bene dal male, il giusto dall'ingiusto, il morale dall'immorale? Oppure stiamo accettando l'idea che il bene, il giusto e il morale non sono de-fini-bili, e quindi sia la razionalità che l'etica diventano cose superflue?

CitazioneSecondo me i valori etici si "avvertono" irrazionalmente dentro di sé, non sono dimostrabili (anche se li ritengo in parte di fatto universalmente presenti nell' uomo in conseguenza dell' evoluzione biologica, in parte condizionati variabilmente nel tempo e nello spazio dai diversi contesti sociali e "microsociali").

La razionalità può e secondo me deve aiutare ad applicarli quanto meglio possibile nei diversi contesti.

Per esempio può aiutare, molto meglio che "intuizioni irrazionali" o acritiche adesioni a testi più o meno sacri o comunque aurtorevoli, per quanto non senza difficoltà, ad applicare il principio "non uccidere" (uomini; e se possibile altri senzienti) alla contraccezione e alla interruzione della gravidanza (...facile a dirsi peserà più d' uno; difficile, certo! Ma pur sempre molto meglio che scegliere irrazionalmente).
#3204
Presentazione nuovi iscritti / Re:presentazione
21 Ottobre 2016, 20:38:35 PM
Stavolta "frego" il moderatore nel darti il benvenuto per primo!

(Spero non me ne voglia).
#3205
Citazione di: cvc il 21 Ottobre 2016, 16:24:55 PM
Citazione di: sgiombo il 21 Ottobre 2016, 16:09:25 PM
Citazione di: cvc il 21 Ottobre 2016, 12:15:23 PM
Allora una volta la via della ragione era quella che doveva condurre alla pace dell'anima; ora invece conduce alla costruzioni di apparati tecnologici che puntano a sostituire sempre più uomo. Hawking profetizza un domani in cui gli androidi ridurranno l'uomo in schiavitù.
Citazioneinvece per parte mia profetizzo l' estinzione "prematura e di sua propria mano" dell' umanità (oltre che, sempre per mano umana, di moltissime altre specie viventi, cosa già in atto; e strettamente correlata) a causa dell' irrazionalità degli assetti sociali vigenti (e a meno che si verifichi il caso -ipotizzabile attraverso uno sforzo estremo di ottimismo della volontà- che non vengano superati per tempo); essi infatti impongono inevitabilmente la concorrenza fra unità produttive (imprese private) reciprocamente indipendenti, determinando la crescita tendenzialmente illimitata della produzione di beni direttamente o più o meno indirettamente materiali (merci) in un ambiente dalle risorse materiali e dalla capacità di metabolizzare gli effetti dannosi delle produzioni stesse e dei rispettivi consumi realisticamente (e non fantascientificamente o secondo l' ideologia scientistica) limitate.
Ma anche l'irrazionalità degli assetti sociali vigenti si potrebbe considerare una conseguenza del delegare alla tecnologia da parte dell'uomo. Poiché in qualsiasi contesto la quantità di informazioni e variabili è tale da poter essere gestita solo con l'ausilio di algoritmi, quindi la ragione umana ne esce sclerotizzata. La crescente quantità di informazioni che siamo costretti a gestire quotidianamente è una conseguenza dell'informatica come paradigma della nostra vita. Dobbiamo somigliare ai computer, perché sono più efficienti dell'uomo. I computer sono stupidi ma velici, quindi possono gestire enormi quantità di dati simultaneamente. Lo stesso si pretende sempre più anche dall'uomo, ridotto ad imitazione mal riuscita della macchina. L'efficienza domina, la creatività riposa in pace.
CitazioneNon credo sia necessario assomigliare ai computer.
Credo piuttosto che un razionalismo conseguente dovrebbe imporre un "principio prudenza" nell' azione individuale e collettiva, tanto più fortemente quanto più aumenta il potere tecnologico di intervenire (nel bene e nel male, costruttivamente e distruttivamente) sulla natura e quanto più le nostre azioni hanno conseguenze (volute e non volute) estese all' umanità o addirittura al mondo in cui viviamo (ci vuole più prudenza a guidare una Ferrari che un ciclomotore e più a portare un autobus pieno di persone che a viaggiare da soli o a portare merci).
La velocità non necessariamente sempre e comunque é una buona cosa.
In molti importanti casi é una cattiva o addirittura pessima cosa.
#3206
Citazione di: cvc il 21 Ottobre 2016, 12:15:23 PM
Allora una volta la via della ragione era quella che doveva condurre alla pace dell'anima; ora invece conduce alla costruzioni di apparati tecnologici che puntano a sostituire sempre più uomo. Hawking profetizza un domani in cui gli androidi ridurranno l'uomo in schiavitù.
Citazioneinvece per parte mia profetizzo l' estinzione "prematura e di sua propria mano" dell' umanità (oltre che, sempre per mano umana, di moltissime altre specie viventi, cosa già in atto; e strettamente correlata) a causa dell' irrazionalità degli assetti sociali vigenti (e a meno che si verifichi il caso -ipotizzabile attraverso uno sforzo estremo di ottimismo della volontà- che non vengano superati per tempo); essi infatti impongono inevitabilmente la concorrenza fra unità produttive (imprese private) reciprocamente indipendenti, determinando la crescita tendenzialmente illimitata della produzione di beni direttamente o più o meno indirettamente materiali (merci) in un ambiente dalle risorse materiali e dalla capacità di metabolizzare gli effetti dannosi delle produzioni stesse e dei rispettivi consumi realisticamente (e non fantascientificamente o secondo l' ideologia scientistica) limitate.
#3207
Citazione di: maral il 21 Ottobre 2016, 10:50:58 AM
Ben ritrovato carissimo.

L'intendere l' uomo come (potenziale) essere razionale, ossia come soggetto del logos (del discorso che razionalmente mira a istituire una verità condivisa) è il grande motivo che segna la nascita della filosofia in contrapposizione al mito, alla volontà irrazionale di credere. E il logos si afferma come negazione della contraddizione. Su questo pilastro si erge tutto il pensiero occidentale, dalla metafisica alla scienza con tutte le meraviglie di conoscenza che ha saputo produrre, e su questo pilastro (principio fermissimo) viene a morire e viene a morire quando si esige che tutto abiti la razionalità e nulla di reale possa ad essa sfuggire, che tutto sia logos, esprimibile secondo misura, analisi oggettiva e calcolo, poiché proprio in tali termini totalizzanti, il pensiero razionale, se onestamente condotto, se non vuole porsi a sua volta come mito, come una sorta di superstizione onto-teo-logica, non può non vedere la propria contraddizione che sta nel pretendersi totalità.
E dunque credo che se vogliamo essere coerentemente razionali è necessario saper accettare il limite (la parzialità) della razionalità e, alla luce di questo limite, intenderla come una costante apertura, un costante superamento delle proprie posizioni che non possono, per quanto ovvie possano sembrare, essere mai definitive. Il rifiuto di ciò che appare ovvio, quindi esente da interpretazione e dibattito, è ciò che il razionale deve saper costantemente rifiutare, razionalmente.
Per questo l'uomo non nasce razionale né lo diventa realmente mai. La razionalità umana non è uno stato, ma un percorso continuo in cui nulla resta esente dal dubbio e ogni soluzione è solo inevitabilmente provvisoria, sempre aperta alla sua re interpretazione senza porsi mai come insormontabile de-finizione su cui non si possa mai ulteriormente dire e ridire.
CitazioneConcordo pienamente!

(Chi se lo sarebbe mai aspettato?).

Da parte mia aggiungerei che la scelta di seguire la ragione (del razionalismo), precedendo (e determinando) il razionalismo, é irrazionalistica: si é razionalisti (se lo si é) irrazionalisticamente, per una decisione irrazionale (non razionalmente fondata).
Ed esserne consapevoli (essere consapevoli dei limiti intrinseci del razionalismo) significa essere più conseguentemente razionalisti che ignorarlo (-).

#3208
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
21 Ottobre 2016, 11:32:44 AM
Citazione di: davintro il 20 Ottobre 2016, 23:33:05 PM
Lo scetticismo si può sconfiggere attraverso il metodo cartesiano (poi ripreso per un certo aspetto e sviluppato dal procedimento delle riduzioni fenomenologiche husserliane) per il quale portando all'estremo il dubbio, questo dubbio presupporebbe l'esistenza di un soggetto dubitante, dunque pensante, dunque esistente o vivente (ma già Agostino aveva anticipato questo discorso nella polemica contro gli  Accedemici, gli scettici della sua epoca). Si potrebbe pensare che allora il campo della certezza dovrebbe essere ristretto all'esistenza del soggetto pensante e dunque rappresentante la realtà, mentre l'esistenza di una realtà oggettiva dovrebbe essere lasciata nell'oscurità, nell'arbitrarietà di qualunque pretesa di giudizio scientifico o descrizione. Ad evitare tale rischio interviene l'idea dell'intenzionalità per la quale coscienza e mondo non sono realtà dualisticamente estrinseche o separati tali che la certezza del riconoscimento della prima resterebbe indifferente a qualunque discorso sul secondo. Se la coscienza è essenzialmente intenzionalità, coscienza sempre di "qualcosa", allora non è mai chiusa in sè stessa ma correlata agli oggetti del mondo che si manifestano come contenuti dei propri vissuti. L'intenzionalità fissa una polarità "attività-passività" per cui da un lato intenzionalmente un Io si rivolge attivamente verso un mondo oggettivo attraverso prese di posizioni di tipo intellettuale, estetico, volontario, dall'altro lato questa attività trae la sua base dalla percezione, che non è solo attività dell'io percepiente, ma presupone anche una passività. Una passività per la quale la percezione di un oggetto è costantemente rifondata e modificata dalla ricezione di stimoli esterni che colpiscono l'attenzione dell'Io portandolo a rivolgersi verso contenuti che smentiscono le aspettative della sintesi anticipativa che la percezione determina. Questa possibilità che il mondo smentisca le aspettative che su di esso il soggetto si crea nel corso del flusso delle percezioni attraverso la passività delle sensazioni testimonia l'esistenza di un'alterità, un'ulteriorità del mondo che interviene nella costituzione della coscienza a partire dalla base percettiva. Diciamo che mi troverei d'accordo con il "realismo trascendentale"... la certezza del soggetto pensante può essere trasferita alla realtà oggettiva, spogliando quest'ultima dal complesso di giudizi che nell'atteggiamento comune, naturale rivolgiamo su essa, atteggiamento ingenuo in cui non tematizziamo il problema della corrispondenza tra nostra rappresentazione e realtà e pensiamo, per abitudine, che le cose oggettive coincidano pienamente con i contenuti percettivi una volta che di questi ultimi si è stata accertato un certo livello (ovviamente stabilito in modo arbitrario) di regolarità, e limitandoci alla certezza che una realtà X indeterminata comunque esiste come fattore di fronte al quale la coscienza passivamente si pone e da questa passività fondare la percezione, che essendo un vissuto immanente, soggettivo, partecipa della certezza della coscienza. "Realismo" perchè riconosce l'esistenza di questa trascendenza (trascendenza non in senso teologico, verticale, ma gneoseologico, orizzontale), ma non "ingenuo", bensì "trascendentale" perchè ci si limita ad ammetterne un'esistenza generica, sufficiente a riconoscerla come necessaria per la costituzione della coscienza soggettiva intenzionale, che la critica dello scetticismo manifesta come presenza di un'evidenza originaria, a partire dallo stadio primordiale di tale intenzionalità, la percezione, dove attività e passività, immanenza e trascendenza, si incontrano interagendo fra loro
CitazioneRitengo (con Hume) che nel praticare il dubbio critico razionale delle credenze sia possibile andare "fino in fondo", essere più radicali e conseguenti di Cartesio, procedere oltre il "cogito ergo sum": ciò di cui può darsi assoluta certezza (se accadono "eventi di coscienza": pensieri e anche percezioni tipo "res extensa") sono unicamente tali eventi fenomenici, tali percezioni: la realtà constatabile ogni ragionevole dubbio finisce lì.
Che esista anche inoltre un loro "soggetto", oltre che loro "oggetti", "ulteriore rispetto ad esse non è constato (sono constate unicamente le sensazioni fenomeniche) né a mio parere dimostrabile: non c' è nulla di contraddittorio, assurdo, insensato nell' ipotesi contraria.
 
 
E nemmeno mi sembra dimostrabile la tesi husserliana circa l' intenzionalità: chi mi dice, come mi si dimostra che la coscienza è essenzialmente intenzionalità, coscienza sempre di "qualcosa", e dunque non è mai chiusa in sè stessa ma correlata agli oggetti del mondo che si manifestano come contenuti dei propri vissuti?
L' ipotesi contraria, che la coscienza esaurisca la realtà non essendo intenzionalità verso "qualcosa" di diverso da essa (ma semplicemente essendo "qualcosa" di fenomenico e basta" che esaurisce la realtà), che sia chiusa in sè stessa e non correlata ad alcun oggetto del mondo non presenta nulla di contraddittorio, assurdo, insensato.
Il fatto che la percezione di un oggetto è costantemente rifondata e modificata indipendentemente dalla volontà percepita è ipotizzabile non contraddittoriamente, sensatamente anche senza postulare la passivaricezione di stimoli esterni che colpiscono l'attenzione di un io portandolo a rivolgersi verso contenuti che smentiscono le aspettative della sintesi anticipativa che la percezione determina: nulla impedisce che ciò accada senza attività oggettiva e passibità soggettiva, che "accada e basta", che "la realtà sia tutta lì".
 
Dunque secondo me solo "indimostratamente né "mostratamente", solo arbitrariamente, letteralmente per un irrazionale, gratuito atto di fede si possono superare il solipsismo (e anzi un ancor più radicale scetticismo) e si può credere che, oltre alle sensazioni fenomeniche immediatamente evidenti nel loro accadere, esistano anche soggetti ed e oggetti di esse (che, se esistono, poiché sono pensati, poiché li si intende, come reali anche indipendentemente dalle sensazioni, anche allorché non accadono sensazioni fenomeniche, allora non possono essere della stessa natura, fenomenica, non possono essere costituiti da sensazioni, bensì "di altra natura" non sensibile, non apparente -non fenomeni- ma solo pensabile, congetturabile –noumeno-).
 
Per quel che mi riguarda, una volta fatta questa (che io ritengo invece una) scelta (irrazionale, arbitraria) di credere all' esistenza di soggetti e oggetti delle sensazioni fenomeniche, sostanzialmente concordo con quanto esponi come "realismo trascendentale" nel senso che è necessario spogliare la realtà oggettiva dal complesso di giudizi che nell'atteggiamento comune, naturale rivolgiamo su essa, atteggiamento ingenuo in cui non tematizziamo il problema della corrispondenza tra nostra rappresentazione e realtà e pensiamo, per abitudine, che le cose oggettive coincidano pienamente con i contenuti percettivi una volta che di questi ultimi si è stata accertato un certo livello (ovviamente stabilito in modo arbitrario) di regolarità, e limitandoci alla certezza che una realtà X indeterminata comunque esiste come fattore di fronte al quale la coscienza passivamente si pone e da questa passività fondare la percezione, che essendo un vissuto immanente, soggettivo, partecipa della certezza della coscienza. "Realismo" perchè riconosce l'esistenza di questa trascendenza (trascendenza non in senso teologico, verticale, ma gneoseologico, orizzontale), ma non "ingenuo", bensì "trascendentale" perchè ci si limita ad ammetterne un'esistenza generica, sufficiente a riconoscerla come necessaria per la costituzione della coscienza soggettiva intenzionale.
Ma senza ammettere da parte mia che la critica dello scetticismo manifesta questa reltà trascendente i fenomeni (noumeno) come presenza di un'evidenza originaria, a partire dallo stadio primordiale di tale intenzionalità, la percezione, dove attività e passività, immanenza e trascendenza, si incontrano interagendo fra loro.
#3209
Risposte alle ultime obiezioni di Maral

Citazione
Non ritengo razionalmente superabile lo scetticismo.
Dunque che una realtà sia conoscibile non ho certezza.
Ma se (ipoteticamente) la è, allora essa è costituita (per lo meno anche) da ciò che immediatamente accade ed è constato, sensazioni fenomeniche coscienti ("extensae" e "cogitantes").

Essa comprende determinate cose molto peculiari, dette "simboli", come le parole, i segnali stradali, le icone dei desktop de computer, ecc., cui sono attribuiti (arbitrariamente; e di solito convenzionalmente accettati) significati; e inoltre tutte le altre cose che non sono simboli, le quali invece non hanno alcun significato: appaiono come (insiemi e successioni di) sensazioni fenomeniche e basta!
Il significato è qualcosa di proprio dei simboli verbali con i quali penso (e fatto salvo l' insuperabile dubbio scettico potrei forse conoscere) la realtà, e non della realtà stessa mediante i simboli verbali pensata (e forse conosciuta, almeno entro certi limiti).
I simboli appaiono con il loro significato, tutte le altre cose (a meno che esista anche una realtà in sé o noumeno) appaiono e basta.


"Asiafrica" l' ho inventato (bello o brutto, intelligente o stupido che sia) e non esistendo (per ciò che è: non esistendo come simbolo) precedentemente alla mia invenzione, non poteva a maggio ragione significare alcunché.
Idem per l' "Alto Adige", inventato di sana pianta dai burocrati del governo fascista (o di qualche precedente governo nazionalista, non ricordo bene).


Certo!
Noi percepiamo le cose e basta e poi metaforicamente ci appiccichiamo proprio sopra un cartellino concordato con scritto cosa significano e che nome hanno (fuor di metafora: attribuiamo loro arbitrariamente e convenzionalmente un nome).

Ognuno di noi percepisce continuamente un' infinità di cose senza pensarci né interpretale in alcun modo, per esempio quando è alla guida del proprio veicolo su un percorso abituale.

Come si arrivi di fatto alla denotazione reale è ininfluente circa il fatto che ci sono concetti (pedoni) che ce l' hanno e concetti (ippogrifo) che non ce l' hanno; e questo -certo!- non dipende da noi.

Nessuno di noi può decidere cosa fare apparire e cosa no, non solo cosa toccare, ma nemmeno cosa sognare, certo!
Ma che nome dare e che nome non dare a ciò che appare, tocchiamo e sognamo, lo possiamo decidere eccome!



Ma tu ti rendi conto che i batteri esistono realmente (anche se un cavernicolo si può mettere a ridere sentendolo dire) e gli ippopgrifi no, e che questa è una differenza enorme?
Non potrò mai morire per un calcio in testa da parte di un ippogrifo, mentre potrei benissimo morire (e non necessariamente per pretesa "malasanità", come pensano giornalisti e cretini in generale; e anche più probabilmente potrà morire il cavernicolo che se la rideva) per una polmonite!
E non certo perché i batteri (come i pedoni) starebbero tutti nel loro nome, che altrimenti per non ammalarsi basterebbe chiamarli "gatti" o "fiori" o magari "nulla"!


Il selvaggio vede lo stesso schermo che vedo io, semplicemente non sa cosa sono i pixel.


Se il linguaggio nasce come una voce comune, che non denota, ma connota a tutti i parlanti che riuniti insieme  sentono e capiscono partecipando delle situazioni (proprio come un bambino sente la voce della mamma; e per la verità non sa già -prima che glielo si insegni- cosa vuol dire) ecc. ecc., allora) ciò non può significare altro che) le parole vengono arbitrariamente stabilite e convenzionalmente accettate dagli inventori del linguaggio.

Col nome "Alto Adige" si è solo voluto stabilire che il Tirolo Meridionale era italiano: nessuna montagna, nessun sasso, nessun microbo del Tirolo Meridionale è cambiato in conseguenza del cambio del nome: la denotazione è esattamente la stessa!

Dici che:
"Il nome non è certamente la cosa che denota, ma ne è la necessaria e mai arbitraria evocazione. E se la evoca la chiama, e se la chiama è perché non c'è."
Quindi secondo te, essendo realmente davanti a un cavallo chi dice "questo è un cavallo" chiama un cavallo che lì davanti a lui non c' è: contraddizione plateale!


E che male c' è e perché mai quel che dico non varrebbe nulla se sono io stesso che dico che quello che si dice non ha nessuna rilevanza su come è la natura?



Domandi:
"Ma è lecito pretenderlo? Esiste a tuo avviso questa realtà in sé a cui si deve fare riferimento?"
Rispondo: poiché ritengo lo scetticismo non razionalmente superabile, lo credo per fede (tutte le persone comunemente ritenute sane di mente per lo meno si comportano come se lo credessero), essendo indimostrabile né tantomeno mostrabile, constatabile.



Che la natura è indifferente a noi (essendo noi nient' altro che una parte di essa) significa che ad esempio sé è determinstica é deterministica anche se noi diciamo che è indeterministica, che se diviene diviene malgrado Parmenide e Severino lo neghino, che se non comprende ippogrifi non li comprende anche se molteplici miti lo affermano.
#3210
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
20 Ottobre 2016, 22:26:37 PM
Citazione di: Phil il 20 Ottobre 2016, 21:46:30 PM
Non riesco a seguire bene il filo logico: se è vero che
Citazione di: sgiombo il 20 Ottobre 2016, 15:09:02 PMdelle definizioni, non essendo predicati o proposizioni, non può dirsi (non ha senso dire) che siano tautologiche o meno.
allora questa definizione
Citazione di: sgiombo il 20 Ottobre 2016, 15:09:02 PMil concetto di essere si definisce come negazione di "non essere" e viceversa.
pur essendo un predicato ed una tautologia (x non è non-x), non è comunque una definizione?
Ciò sembra contraddire il tuo assunto secondo cui
Citazione di: sgiombo il 20 Ottobre 2016, 15:09:02 PMUna proposizione o predicato può essere tautologica o meno, una definizione (di un concetto) potrà casomai essere più o meno "azzeccata" [...] ma non essendo un' affermazione non può attribuire (o meno) nel predicato [..] la stessa cosa che é nell' oggetto di predicazione
poichè qui (riguardo l'essere) è esattamente ciò che accade: il predicato e l'oggetto di predicazione si "rimpallano" vicendevolmente in una tautologia non esplicativa... se "ogni determinazione è una negazione", è anche vero che una definizione, se vuole essere "pragmaticamente fruibile" non può essere una tautologia in cui il "definiens" ed il "definendum" sono in circolo vizioso... se dico che xyz è tutto quello che non è non-xyz, chi può capire davvero cos'è xyz? Se dico che l'essere non è il non-essere e viceversa, non spiego nè definisco nulla di cosa sia l'essere (dire che "il bene è tutto ciò che non è il male", non aiuta a definire le giuste scelte etiche...).

Ci sono definizioni che non sono tautologie, e forse sono quelle più fertili (anche se presuppongono altri elementi esterni che siano stati precedentemente definiti...), del tipo "spiego A tramite B e C": l'acqua è l'unione di due atomi di idrogeno e uno di ossigeno (definizione approssimativa, come le conoscenze sulla chimica di chi la usa ;D ). Le pseudo-definizioni che invece sono tautologie non definiscono nulla, non comunicano (al di là del loro rapporto o non-rapporto con la realta) ma sono solo declinazioni del principio di non contraddizione (x non è non-x).

P.s. Ho scoperto oggi che su 386 lingue, ben 175 non hanno il verbo essere o un suo sostituto... non solo può essere un serio problema tradurre il celeberimmo motto parmenideo ("l'essere è e non può non essere, etc."), ma credo che la stessa "forma mentis" filosofica possa avere un'impalcatura differente; credo sarebbe interessante parlare di ontologia con qualcuno che non ha nel suo vocabolario il verbo essere...
CitazioneIn sostanza credo di avere già obiettato rispondendo a Maral.
Aggiungo qualche ulteriore precisazione.
Le definizioni sono proposizioni, é vero; però non proposizioni che affermano qualcosa circa la realtà (ciò che realmente é o accade), bensì circa ciò che si intende con i concetti, in cosa consistono quelle "cose pensate" o "pensabili" che sono i significati dei concetti che usiamo, coi quali parliamo.
Non ha senso per essi il problema se siano veri o meno; certo, essendo proposizioni, devono essere (per essere realmente tali, dunque sensate e non mere sequenze casuali, insignificanti di caratteri tipografici o di vocalizzi) logicamente corrette, sensate e anche reciprocamente compatibili e coerenti semanticamente all' interno di ciascuna lingua (non si può, definendo il "cavallo" affermare che non é un sottoinsieme dell' "equino").

Però tautologico o meno, come vero o meno, può essere solo un predicato, non un singolo concetto che, di per sé, se non articolato sintatticamente in una proposizione, non dice nulla (nè di vero, né di falso, nè di tautologico, né di contraddittorio, né di logicamente corretto; é casomai la sua definizione che dice qualcosa, essendo una proposizione").

Quanto alla "circolarità delle definizioni", ribadisco anche qui quanto già obiettato a Maral: é inevitabile poiché i concetti si possono definire solo mediante altri concetti e di definizione in definizione non si può evitare prima o poi di incappare nel concetto che si intende definire; che si definisce quindi per forza più o meno direttamente o indirettamente mediante altri concetti che a loro volta più o meno direttamente o indirettamente sono stati definiti mediante esso.

Ma non si tratta di circolarità "viziosa" proprio perché non pretende di dire qualcosa circa ciò che realmente é o accade (e questo non lo si può fare utilizzando circolarmente ciò che va dimostrato per dimostrare ciò con cui lo si dimostra), ma solo di stabilire che cosa si intende, a cosa si pensa quando di pensa a un certo concetto (e, contrariamente al predicare circa la realtà, il pensiero "svincolato da esigenze gnoseologiche" ha come unici limiti e vincoli quelli logici, non quelli gnoseologici e ontologici propri della predicazione circa la realtà): le definizioni -di per sé- non sono vere o false ma solo corrette o meno e più o meno "azzeccate" ai fini del discorso (anche circa la realtà, anche per conoscere la realtà; eventualmente anche, ma non necessariamente, non solo, non di per sé; ossia non senza articolare sintatticamente i concetti che connotano in predicati).

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