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Messaggi - Jacopus

#3211
E' un discorso complesso. Parte dai rapporti di famiglia, da come un discorso di potere gerarchico venga avviato nel rapporto genitori-figli. E' del resto inevitabile. A meno che non si vogliano allevare dei piccoli despoti, i figli devono comprendere il senso del limite sessuale e generazionale, quello insomma predicato da Freud con il suo famoso complesso di Edipo. Quella visione però insistendo sulla separazione dell'individuo, tenuta ferma dal Padre-super-Io, dimentica o comunque pone in secondo piano la relazionalità fra gli individui. L'individuo per affermarsi deve essere autonomo, rispondere a sè stesso, diventare una sorta di monade dotata di un ampio senso morale, scaturito dal senso di colpa. Nel momento in cui affermandosi come singolo, estromette il mondo da sè stesso, afferma la possibilità di oggettivare il mondo, ovvero di gestirlo a suo uso e consumo. In questo senso vedo un forte nesso fra la psicoanalisi classica e l'approccio della scienza nei confronti della realtà.
Questo discorso potrebbe essere definito come il prototipo arcaico del rapporto servo-padrone, dove il rovesciamento non avviene tanto nell'ambito della proprietà dei luoghi, quanto nella proprietà del tempo, ovvero nella dimensione generazionale: il figlio, una volta diventato padre, perpetuerà lo stesso rapporto servo-padrone e così via. Si tratta della introiezione profonda nell'intimità delle dinamiche familiari dei ruoli gerarchici e dei rapporti di dominio.
A questa prospettiva se ne potrebbe affiancare un'altra più democratica, fondata sulla relazione fra soggetti che si pensano alla pari, perchè intersoggettivamente comuni. Una prospettiva del genere renderebbe però vano tutto il discorso dell'autonomia e dell'affermazione dell'homo occidentalis, con quanto di positivo esso ha apportato alla cultura dell'uomo. Una prospettiva che sarebbe materna, a differenza della prima prospettiva tipicamente paterna.
Entrambe le visioni mi appaiono contemporaneamente portatrici di valori positivi e negativi e la risoluzione verso una nuova dimensione emancipatoria dovrebbe in qualche modo rendere possibile la coesistenza, l'equilibrio fra queste due visioni, quello dell'autonomia e dell'identità (che ho inserito attraverso il mito freudiano di Edipo), e quello della intersoggettività, del rispecchiamento fra individui eguali, realizzata attraverso la comunicazione e la relazione.
#3212
CitazioneE' molto importante in cosa ci identifichiamo, in che cosa è "io" e "noi". Più questo campo è ristretto ad una tradizione, una nazione, una cultura, una tribù, più in nome di essa le persone sono capaci delle più efferate nefandezze. E nessuno nega che quando la nostra sopravvivenza era al vaglio, questo fosse necessario. E non come effetto collaterale di qualche scoperta, ma come voluto risultato e anelito più profondo del proprio io. Se qualcuno che ha studiato un po di storia ha da spendere un nome, non due ma uno, per una persona che abbia calcato questa terra  e senza identificarsi in una singola tradizione e avvocandosi come "suo difensore\propagatore" si è macchiato di atti riprovevoli  ed è rimasto impresso sui libri di storia per ciò, lo citi, lo sfido. Si dirà "la morale era diversa, non si può giudicare gli antichi attraverso la "teologia dei diritti umani" moderna".
Si dica pure, e intanto sia oggi che ieri, quelli che abbiamo considerato "i buoni e i grandi" sono sempre stati quelli che hanno cercato di unire, di mettere in relazione, anzichè dividere, magari anche "portando la spada" ma in un ottica di un unione futura superiore a tutte le altre. Nessuno vuole le persone che portano problemi, tutti cercano persone che portano soluzioni, relazioni. Io non so che cosa tu intenda per "politeismo", ma se intendi mettere in relazione le diverse culture, senza tentare di distruggerle nel processo comprimendole (e perdendo perciò la relazione), io sono con te, e in questo penso che sopratutto gli altri cristiani dovrebbero esserlo, avendo una trinità, una relazione, come loro "padre". Purtroppo si sta buttando via il bambino e l'acqua sporca, e io onestamente me ne dispiaccio,  ma se per salvare il bambino bisogna giungere ad affermare che "prima l'acqua era pulita" beh non fa sopresa che nessuno ci creda quando ha ancora la bocca che puzza di lercio dopo averla bevuta, e corra ai ripari con metodi più drastici.
Sull'universalismo dei valori non ci credo più molto. Sarebbe già notevole tutelare i nostri valori italiani ma non in un senso aggressivo, semplicemente, ancora una volta, diffondendo cultura. Se gli italiani mediamente fossero più colti si accorgerebbero ad esempio di vivere su una immensa miniera d'oro: il nostro patrimonio artistico e culturale. Invece sull'ignoranza prosperano infinite rendite che sottraggono risorse agli sfortunati e alle generazioni future. Vivo in Liguria, regione fatta scempio dai palazzinari trenta anni fa. Eppure ancora oggi si vedono proliferare costruzioni antiestetiche, brutte, prive di ogni riferimento con il territorio, che rozzi lombardi acquistano a cuor leggero.
E' un esempio banale, circoscritto ma serve proprio per spiegare che l'unione, le relazioni nascono dalla comprensione e la comprensione dalla cultura e la cultura ci fa necessariamente relativisti, perché dopo aver letto il libro dei libri abbiamo letto molti altri libri ed abbiamo scoperto quello che Amleto dice ad Orazio. Il politeismo è questo, una sorta di politeismo sociale, saper accettare le idee, i modi di fare degli altri, accettare anche l'ibridazione, perché la vita è continuo rimescolamento. Chi crede nelle divisioni etniche è un illuso che non ha studiato bene la storia dell'uomo. Le uniche idee che vanno combattute sono quelle che usano la violenza fisica o culturale o psicologica, o la propaganda per avere il predominio e queste idee si diffondono assai meglio laddove la cultura è assente.
#3213
Citazione"Ci sono più cose in cielo e in terra Orazio di quante ne sogni la tua filosofia" diceva Amleto. Limitare arbitrariamente la propria "conoscenza" del mondo (come quella del professore del film) escludendo tutto ciò che sta al di fuori di essa perchè non lo si riconosce, o non lo si comprende, o lo si ritiene irrilevante significa di conseguenza condannarsi alla sua incomprensione. Inoltre, come diceva Nietzsche, "Tutte le cose sono incatenate, intrecciate, innamorate", dunque tutte concorrono come concause al verificarsi dei fenomeni. La metafisica è la scienza del "tutto" e dunque ogni visione particolare deve essere inserita nella visione universale in maniera da mantenere l'equilibrio complessivo, e siccome quella della scienza è una visione particolare la sua assolutizzazione conduce alla formazione di uno squilibrio nella conoscenza che avrà conseguenze devastanti. Non vi può essere paragone fra metafisica (o, in un ambito più ristretto, religione) e scienza perchè è come paragonare la medicina intesa come scienza della salute del corpo umano con la pneumologia che si occupa della salute di una sola parte. Se si mette queste ultime sul medesimo piano e si considera "legittimamente opinabile" la prevalenza di una rispetto all'altra andrà a finire che avremo un morto con i polmoni sanissimi (ma siccome il funzionamento di questi ultimi dipende dal resto del corpo anch'essi ovviamente moriranno). Se condividi la visione organica del mondo ti dovrebbe essere facile anche dedurre le medesime considerazioni, e i "valori etici" di cui parli sono comunque deduzioni tratte dalla conoscenza metafisica ma, essendo elaborati da umani, saranno diversi fra loro e a volte anche "sbagliati", come nel caso di una civiltà che considera l'essere umano "moralmente superiore" a qualsiasi altro ente e dunque pone come "imperativo morale" la salvaguardia del medesimo (e addirittura della sua mera "vita biologica") a prescindere da qualsiasi altra considerazione, gettando in tal modo le basi della costituzione di uno squilibrio nel "funzionamento" del mondo dalle conseguenze necessariamente negative.

Buonasera di nuova Don. Scusa il ritardo delle risposte ma ho una vita movimentata. Capisco il tuo discorso ma, "secondo me", è facilmente attaccabile perché fondato su una visione teorica che non tiene conto della storia. Nella storia invece le religioni monoteistiche non sono state così olistiche come ritieni. Il Dio degli eserciti distingueva bene i suoi dai nemici che faceva di solito friggere nella genna, dopo averli affidati al braccio secolare, eventualmente. Nella mia ormai sclerotizzata visione del mondo non vedo facilmente il male, anzi spesso cerco di vederlo su di me piuttosto che sugli altri, ma se dovessi scegliere un "male", allora lo applicherei ad ogni forma di assolutismo e il monoteismo è una forma di assolutismo piuttosto pervasiva. Non sono contrario al senso religioso e alla spiritualità che può manifestarsi in mille forme ma credo che il monoteismo abbia molto a che fare anche con lo spirito scientista, ne è in qualche modo l'antesignano, così come con lo spirito che H. Arendt ha definito totalitarismo. Per lo stesso motivo ripudio il comunismo, che sulla carta potrebbe essere considerato il migliore dei mondi possibili, ma che nella realtà ha creato un universo concentrazionario e la riduzione degli uomini ad automi. Ed anche il neoliberismo spesso ormai acquista gli stessi connotati di verità, di unidimensionalità che impoverisce il pensiero e la critica.
Preferisco un mondo imperfetto, dove si possa lottare liberamente, dove ci sia spazio per la dignità di ognuno, ma senza voli pindarici perché il meglio è nemico del bene, di questo sono più che certo. E' un pò come pensare ad uno spazio democratico, realmente democratico, in cui ci si possa confrontare liberamente, come nel suo piccolo in questo forum. Il "bene", "l'armonia", "l'equilibrio", chi decide in cosa consistono? Scusami ma ho molte difficoltà a credere che lo spirito religioso nelle sue interpretazioni storiche possa essere di aiuto. Se invece pensiamo ad una forma di metafisica ancora da realizzare entriamo nel campo dell'utopia e allora nulla mi vieta di credere che anche il nazionalsocialismo, quello vero mai sperimentato, non quello storico, sia un toccasana per l'intera umanità.
Un discorso simile si può fare sui "valori etici". Mi rendo conto che sono valori relativi, fondati sul qui e ora, ma la mia visione del mondo ormai rigidina mi dice che questa è l'unica strada. I valori etici si costruiscono insieme attraverso mille discussioni, forum, lezioni universitarie, fogli di giornale, attraverso i mille mezzi comunicativi che abbiamo. Ma per fare questo in modo serio, circostanziato, argomentato, occorre una cosa di cui si sente sempre di più la mancanza: la cultura. Pensavo proprio oggi alla disparità di numeri fra questo piccolo forum, dove saremo un centinaio di persone a scambiarci pareri e opinioni serie, documentate mentre milioni di persone vomitano insulti e idee violente su altri social forum ben più famosi. Bisognerebbe invertire le proporzioni per costruire un'etica che possa condurre responsabilmente le nostre azioni, senza dover riferirci ad esseri sopranaturali, che sono, detto per inciso, le nostre proiezioni dell'infanzia felice, quando i nostri genitori erano, a nostri occhi, delle divinità.
#3214
Buonasera Don. Non capisco davvero. Se vuoi porre la metafisica sopra la scienza è una tua scelta legittima e puoi definire bestemmiatore chi non segue questa linea, ma è proprio questo pensiero assolutistico che mi è estraneo. Non sono certo io a voler santificare la scienza e spero che si sia capito, come credo che un essere umano dipende molto dal suo corpo e da come lo cura ma anche da altre cose, che indirettamente influenzano il suo corpo. Basti pensare che i nostri pensieri influenzano la stessa struttura organica plastica del cervello, per non parlare delle azioni.
Spero che il mio pensiero sia legittimo come il tuo, che non qualifico come bestemmia ma semplicemente come opinione passibile di critica come ogni discorso umano, anche eventualmente inerente il sovraumano.
Che la metafisica debba controllare e dirigere la scienza, sono d'accordo anche su questo, anche se più che di metafisica parlerei di valori etici costruiti attraverso la storia umana. Non credo ci convenga dimenticare quando la "metafisica" zittiva gli scienziati mostrando loro gli strumenti di tortura se non avessero ripudiato le loro teorie blasfeme ma scientificamente "vere" (fatto realmente accaduto a un certo Galileo Galilei).
Sul resto del discorso sono completamente d'accordo. Dovremmo pensarci di più come un organismo unico, umanità, natura, pianeta terra.
P.S.: a proposito di Kieslowski: è abbastanza chiaro che parteggia per la metafisica, ma il rovesciamento di ruoli, Il Dio-macchina, lascia ampio spazio ad una valutazione ambigua, tipica di ogni grande opera d'arte.
#3215
Ho seguito il tuo consiglio e visto il film che non fa che rafforzare il mio principio politeista. Che sia scienza o religione quando la fede ti toglie la capacita' di vedere si diventa disumani e a farne le spese siamo noi stessi.
#3216
Che la verità scientifica sia tale lo dimostra l'evoluzione delle scoperte scientifiche degli ultimi 400 anni. La capacità di descrivere il mondo fisico, sia pure attraverso una mappa, è innegabilmente attendibile. In questo contesto l'uomo di scienza si pone all'esterno dell'oggetto e come un entomologo può vivisezionare il campo della sua ricerca, attraverso la misurazione, la verifica sperimentale e quant'altro.
Il problema che Carlo mi sembra abbia ben colto è la colonizzazione di questo metodo a tutto il resto, una colonizzazione ad esempio corroborata dalla credenza che la politica possa essere innalzata ad un livello più logico e razionale attraverso l'applicazione della scienza (infatti c'è un corso di laurea che si chiama "scienze politiche"), così come i rapporti umani più intimi o la stessa motivazione dell'agire umano.
In questo processo vi è un intento pericoloso, perché sottrae alla discussione pubblica la decisione, delegandola agli "specialisti". Specialisti che sono parte stessa dell'oggetto che vorrebbero studiare e per questo motivo sono portatori di interessi che inevitabilmente influenzano le loro decisioni. Si mette in atto così una mirabile opera di disumanizzazione, e la scienza da fattore emancipativo diventa uno "istrumentum regni" finalizzato al perpetuarsi di un processo capitalistico illogico e destinato all'autodistruzione.
Infatti solo una razionalità non scientifica può indirizzare la scienza, i suoi metodi, le risorse necessarie per le ricerche. Una razionalità che possiamo chiamare "etica" per distinguerla da quella scientifica e che rimanda alla necessaria distinzione fra conoscenze delle spirito e conoscenze della natura.
#3217
Quando si parla di scienze si dovrebbe distinguere fra scienze dello spirito e scienze della natura, o soft e hard sciences. Prendiamo l'esempio dell'albero di Apeiron. Da un punto di vista semantico il discorso su mappa e territorio è valido. L'albero sarà definibile in tanti modi diversi quanti sono gli osservatori, poichè ogni osservatore collega il proprio significato di albero ad una propria ed unica famiglia di altri nodi semantici. Ma dal punto di vista scientifico naturale, quell'albero è misurabile attraverso la tassonomia, la chimica e le scienze forestali (che non conosco ma che immagino possano misurarlo). Grazie a questa misurazione marco un nome all'albero e ne delineo le proprietà, genericamente ripetibili per ogni altro esemplare di quella specie, ne comprendo i processi di crescita e posso sfruttarlo meglio come risorsa economica.
E' questa la forza e la debolezza della scienza moderna. Il principio di misurabilità porta con sè quello della ripetibilità, della produzione in serie, della omologazione. In questo senso è illuminante ad esempio il libro di Benjamin sull'opera d'arte al tempo della sua riproducibilità.
La scienza ci ha aperto un campo di conoscenza inestimabile, ha reso le nostre civiltà più tolleranti, ha allungato la vita media e ha reso la nostra vita più confortevole. Ma abbiamo pagato un prezzo che con il passare del tempo diventa sempre più salato. Non c'è più un riserva di senso, che possa ridare vita alla parola "meraviglioso". Tutto è scoperto, tutto è spiegabile da una pletora infinita di saccenti e il mistero, l'oscurità, il fantastico di cui si nutre inevitabilmente la natura umana viene relegato ai primi anni di vita per poi scomparire.
Detto questo la scienza è un metodo, né più, nè meno. Può aver rafforzato indirettamente l'ideologia materialista ma va distinta da essa.  Tutto ciò che riguarda gli aspetti interiori dell'uomo, l'arte, la morte, l'amore, la mente, il  libero arbitrio, la religiosità, sono appannaggio di altri stili di comunicazione e la scienza dovrebbe considerarli esterni al suo campo d'azione, proprio per preservare quegli universi di senso che non sono stati colonizzati dal sapere razionalizzatore e che servono anche alla ragione per non cadere in un sistema assoluto e monoteistico.
#3218
Tematiche Filosofiche / Re:Vita
17 Agosto 2017, 12:27:30 PM
Secondo Freud il senso della vita si riassume in due scopi: lavoro e amore. Risposta straordinaria se si considera che e' stata pensata da un cocainomane.
Un altro mio maestro di gioventu' si limitava a dire che "bisogna coltivare il proprio giardino". Si narra che Tolkien amasse dire che per una vita felice fosse sufficiente una scorta di te e una biblioteca ben fornita. Per San Francesco occorreva invece donarsi agli altri.
Per me invece il senso della vita e' guardarsi indietro e giudicare senza sentimentalismi cio' che si e' fatto di positivo.
#3219
Tematiche Filosofiche / Re:Vita
16 Agosto 2017, 23:04:03 PM
Effettivamente quello che dice Altamarea ha un senso, alla luce dell'evidenza scientifica che condividiamo il 50 per cento del patrimonio genetico con l'albero di banane (sic) e il 98,2 per cento con lo scimpanzè, il quale geneticamente è più simile all'homo sapiens che al gorilla.
#3220
CitazioneIl fantomatico "umor nero" è una ipotesi scientifica come tante altre, basate sull'osservazione e l'esperienza, che poi è stata accantonata come è stato fatto con migliaia di altre teorie scientifiche nel corso dei secoli e come si farà con tante altre che adesso si ritengono "assolutamente vere". Einstein diceva che "un milione di fatti non potrà mai dimostrare che ho ragione, ma ne basterà uno per dimostrare che ho torto" ovvero che una teoria basata esclusivamente sui fatti non potrà MAI essere "assolutamente vera" perchè dato che questi "fatti" accadono nel mondo del divenire qualora mutino certe condizioni muteranno anche i fenomeni da esse determinate, per cui è possibile che una teoria scientifica  sia vera oggi e non lo sia più fra mille anni, senza che però gli scienziati che verranno fra mille anni possano dire "quelli di allora non avevano capito niente" perchè loro lavoreranno nelle condizioni della loro epoca e non in quelle di mille anni prima.
Infatti si ipotizzano anche leggi fisiche diverse se osservate in sistemi solari diversi dal nostro, proprio perchè potrebbero mutare le stesse condizioni fisiche. Ma la differenza sostanziale fra una fede e la scienza è proprio che la scienza se applicata rigorosamente apprende dai propri errori e non continua orgogliosamente ad asserire una ipotesi che viene smentita dai fatti. La scienza si autocorregge in vista del fine della conoscenza sperimentalmente testata. Che poi vi siano altri metodi di conoscenza, ben venga, come ho già ripetuto molte volte ciò che mi fa paura è l'unidimensionalità del pensiero. Il misticismo, la spiritualità avrebbero molto da insegnare alla scienza in termini di umiltà e credo che gli scienziati più accorti se ne rendano conto, senza per questo dover diventare degli alchimisti.
#3221
CitazioneAllora mi sembra, su queste basi, una discussione fatua, inutile.
Qualcuno osa opinare che non si è liberi di pensare ciò che si vuole? Persino che la terra è piatta e il sole le gira intorno?

Non è inutile nella misura in cui prendiamo atto che non siamo completamente liberi di pensare ciò che vogliamo (come spesso tendono a farci credere) nè che siamo completamente coartati (come altre  correnti di pensiero ritengono). Pensa che sono usciti studi che  tendevano a dimostrare che l'azione anticipa il pensiero per asserire l'idea che i nostri supposti pensieri non esistono ma siamo piuttosto delle macchine programmate per fare certe cose (di qualche millesimo di secondo, ma tanto è bastato per costruirci su delle carriere universitarie).
La tua asserzione  è proprio il contrario di quanto vorrei chiarire (anche a me stesso). Non si è liberi di pensare ciò che si vuole. Oggi si può dire che la terra è piatta perchè effettivamente c'è uno svuotamento e una delegittimazione del metodo scientifico oppure una paura del futuro che cerchiamo di esorcizzare attraverso credenze mitiche e rassicuranti. Su questa base esistono dei gruppi che cercano di dimostrare che la terra è piatta o che ci sono gli alieni. Nel 1200 credere alla terra piatta era normale ed accettato e a meno che tu non fossi un geografo lo accettavi come dato di fatto. Eppure Democrito un migliaio di anni prima aveva già calcolato abbastanza esattamente la circonferenza della terra. Esiste sempre una dialettica fra ciò che il mondo ci offre in termini di condizionamenti sociali e genetici e ciò che noi creativamente possiamo offrire, ma questo nostro surplus di creatività è a sua volta, condizionato dalla struttura sociale. Una società come quella italiana, che reprime e non da opportunità di lavoro e di carriera ai giovani preferendo loro una gerontocrazia affluente, è una società che restringe quel surplus di creatività perchè un cinquantenne, per motivi semplicemente organici, non può essere creativo come un ventenne.
#3222
buongiorno don. Oggi ho tempo da perdere  :),  o meglio tempo da investire in "riflessioni". Secondo me la scienza è ovviamente materialistica poichè il suo oggetto è prevalentemente la materia (ma non sempre, ci sono studi scientifici sulle religioni, e più genericamente sull'uomo che esulano dal concetto specifico di materia, prova ad esempio a trovare dentro il cervello il Super-Io, eppure come paradigma ha avuto un successo scientifico impressionante).
Penso che la distinzione fra materialismo e scienza sia in questa discussione una distinzione di metodo. Il materialismo impone una certa visione del mondo appunto materiale e in questo si abbina in modo speculare alle religioni integraliste, che manifestano la loro fede come unica verità, che non permette altre verità concorrenti.
La scienza è invece semplicemente un metodo che attraverso la sperimentalità, la misurazione e classificazione del mondo e l'accettazione da parte della comunità scientifica della tesi dimostrata, permette una miglioramento delle condizioni umane. Così si è scoperto che la depressione non deriva dal fantasmatico "umor nero" contenuto nella bile ma da condizioni organiche e sociali che possono essere curate attraverso farmaci e psicoterapia. Altra cosa è credere che tutto si risolva nella scienza. Decadiamo allora nello scientismo positivista e priviamo l'uomo di altre fonti di sapere, ugualmente importanti, tornando inoltre a credere ad una divinità, in questo caso la scienza.
#3223
CitazioneMa per tutti vale il teorema Pitagora, o l'incommensurabilità della diagonale col lato del quadrato.
Si confonde il pensare con l'avere dei pensieri, delle opinioni, un bagaglio socio-culturale.
Buongiorno Lorenzo. Pensare solo in termini matematici e scientifici è estremamente riduttivo e pericoloso. Oltretutto sono proprio gli studi scientifici sul cervello ad aver indirizzato il mio intervento. Ritengo che anche pensare su cosa significhi il diritto di abortire o il diritto di avere una pistola in casa abbia pari dignità al pensiero matematico. Anzi dal punto di vista della filosofia pratica ne ha certamente di più. Non condivido l'idea che il pensare sia una attività scissa dal vivere in società ed inoltre, fatto ben più importante, la libertà di pensiero è stata proprio perseguita come necessità di pensare liberamente le proprie opinioni politico-religiose. Non dava sicuramente fastidio a nessun potente concedere la libertà di pensiero a dei matematici assorti sui loro problemi assolutamente inefficaci per estirpare la fame nel mondo o per redistribuire il potere nel mondo.
#3224
Sulla possibilità e opportunità di comparare diversi miti e religioni credo che sia una forma di studio ormai accettata e molto istruttiva. A proposito dell'incipit biblico, mi è spesso apparso somigliante al mito di Edipo. Edipo non sa perchè la città di Tebe di cui è il re è sottoposta ad una pestilenza.
Interroga Tiresia, fa delle ricerche sempre più approfondite, finchè non scopre la verità, ovvero di aver ucciso suo padre e di aver sposato e generato dei figli con sua madre. Inorridito da questa scoperta si acceca e si impone l'esilio, ed inizia così a vagare per la Grecia.
La necessità di sapere, di interrogare il passato e la storia, per quanto dolorosa possa essere, è il tratto umano di Edipo, che lo fa perchè sinceramente preoccupato della carestia che sconvolge il suo popolo. Una volta conosciuta quella verità anche Edipo, come Adamo perde il regno e il suo benessere ed inizia il suo vagabondaggio mortale, in condizioni di cecità.
In entrambe le narrazioni viene detto che la conoscenza ha un prezzo salato da pagare e che non dovrebbe mai trasformarsi in hybris. Vi è altresì nella storia greca anche un certo senso di fatalità, perché si sa che già è tutto scritto e tutto avverrà come già è stato preordinato. In questo si differenzia la storia biblica, dove il libero arbitrio degli attori si associa al senso di colpa per aver fatto una cosa che non doveva essere fatta.
Però ha ragione Carlo, quando dice che tutto ciò richiama l'emancipazione del figlio rispetto al padre. Non mangiare il frutto del bene e del male avrebbe relegato l'uomo in una dimensione felice ma inconsapevole, da eterno bambino. Una condizione che caratterizza ogni epoca mitica e pre-storica, una condizione quindi che ci avvicina alla nostra origine animale. Il suo superamento avviene proprio contravvenendo gli obblighi di minorità o cercando una conoscenza terribile ma necessaria.
#3225
Se ho ben capito, la tesi iniziale postula l'impossibilità di essere liberi di pensare a causa dei pensieri intossicanti, cioè falsi e contraddittori che si insinuano nella nostra psiche a causa di tradizioni erronee, condizionamenti culturali e/o familiari, sostanzialmente per via di una scarsa attitudine, diciamo così, al pensiero critico.
La nostra impossibile libertà di pensiero è secondo me più radicale e non può prescindere da questi condizionamenti. La storia personale di ognuno di noi ci struttura, ci definisce e ci ingabbia ma non abbiamo scelta. Un tuareg che vive nel deserto penserà diversamente da un cittadino americano di Los Angeles e un cittadino dei bassifondi di Los Angeles penserà diversamente da Angelina Jolie. Sono le nostre esperienze e il nostro codice genetico, diverso per ognuno di noi, a farci pensare in modo diverso. In ogni momento della nostra vita facciamo delle scelte e queste scelte si riversano sul nostro modo di pensare. Il cervello è un organo estremamente plastico. Nel momento in cui sto scrivendo si sta modificando e non sarà più lo stesso proprio a causa di questo mio atto di scrivere.
Questo ad un livello di base. Ovviamente le società e i valori sociali non sono uguali ovunque e in qualsiasi tempo. Vi sono società più orientate verso la libertà di pensiero e società invece che perseguono la tradizione e la condanna dell'eresia culturale. In una società aperta è più facile coltivare pensieri liberi, fare nuove associazioni. Essere certi di non essere perseguitati per una nuova idea "eretica" favorisce la nostra stessa plasticità cerebrale. In questo il nostro patrimonio genetico cerebrale e mentale è meravigliosamente condizionato dall'ambiente, ed essendo il nostro un ambiente prevalentemente sociale siamo prevalentemente condizionati dalla cultura che però si riversa in questa continua dialettica nel nostro organismo, in un continuo dare-avere.
Un ultima annotazione sulla contradditorietà dei pensieri. Penso si tratti di un fenomeno umano e che anzi proprio la sua negazione porta a grandi sciagure, laddove si crede ad un Dio unico, ad una scienza unica e vera, al denaro come unico fine dell'esistenza, ad un leader politico come unico depositario della giustizia. Coltivare la propria ambivalenza è un antidoto a tutto ciò e se si riesce ad essere ambivalenti anche rispetto alla propria ambivalenza possiamo perfino coltivare delle certezze (con riserva).