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Messaggi - Jacopus

#3226
Buonasera di nuovo a tutti. Non penso di aver espresso una posizione "terza" da osservatore. Ho semplicemente guardato le cose da un'altra prospettiva, come tutti noi in questo forum. Volevo solo porre l'attenzione sulla vicinanza fra certi tipi di violenza ovviamente non fisica, che si nascondono dietro l'ideo che bisogna "mostrare" agli altri che la mia "visione del mondo" è quella giusta e non ce ne sono altre possibili. Molto del male del mondo nasce da questo principio, il principio del dominio che parte dalla imposizione delle proprie idee. Vi invito a leggere gli interventi degli utenti che vi ho citato nel precedente post (ma ce ne sono anche altri) per "sentire" una diversa sensibilità di attenzione e di rispetto, se non addirittura di sano dubbio verso le proprie posizioni. Io credo che una posizione mite nel mondo nasca proprio dalla necessità di coltivare il dubbio e di ritenere anche le idee degli altri non solo giuste ma anche un pochino condivisibili (con tutte le eccezioni del caso, ovviamente).
Non so, forse la spiriitualità ha bisogno di modelli forti e integralisti? Non credo. Si può vivere anche in altri modi non ortodossi. Del resto già il titolo del topic suggeriva che nella Bibbia, accanto a porzioni di testo assolutamente indigeste, presenta altre parti che sono sublimi che possono essere tuttora considerate un cardine importante del pensiero umano (umano per me, divino per chi crede).
Se ho dato l'impressione di essere superbo, mi scuso, non era mia intenzione. Volevo solo porre l'attenzione da una prospettiva che non era ancora stata sottolineata (forse :)).
#3227
Buonasera a tutti. Vorrei metariflettere su questa lunga discussione. Ebbene ho l'impressione che la stragrande maggioranza degli interventi, per quanto dotti, tranchant, esaltati dalla fede, siano animati dalla stessa violenza che si nasconde fra certe parole della Bibbia. Solo in pochi sono riusciti ad evitare questo tranello, Sariputra e Paul 11 fra tutti. Certo non è la violenza di chi invoca lo schiavismo o l'infanticidio, è una violenza più sottile che però fa intendere che l'altro non è al mio livello, almeno finché non avrà accettato le mie idee, o meglio la mia ideologia. Certi interventi sembrano fatti quasi da un palcoscenico, in attesa di un applauso scrosciante. Ma in questo modo non si fa davvero conversazione ed ognuno resterà delle proprie idee, giustamente convinto di avere a che fare con un antagonista pericoloso.
Credo invece, per quanto insidioso, sia più creativo il confine, lasciarsi andare alle suggestioni dell'altro, al credere nella non-credenza e al non-credere nella fede.
Mi viene in mente l'immagine di Dio che ride egli stesso della satira che si fa su di lui. Sarebbe bellissimo concepire un Dio autoironico che pieno di debolezze ammetta di aver esagerato con certe affermazioni e che dica "cerco anch'io di imparare dai miei sbagli. Aiutatemi a correggermi anche voi, mie piccole creature".
#3228
RIspondo nuovamente a Don. In linea di massima sono d'accordo con quello che scrivi. Sono relativista ma credo nella necessità di una collettività unita. Il relativismo non è collegabile all'individualismo, tutt'altro. Il problema è come concepire una collettività unita di questi tempi.
A proposito della esperienza dell'università in Germania, ti assicuro che il rispetto delle gerarchie esiste molto più che da noi, perché molto più che da noi il professore universitario è li per merito e non per discendenza o clientelismo vario. Questo però non esclude il confronto, perchè l'opposizione nasce dalla capacità critica che viene sollecitata dagli stessi professori. Si tratta di costruire delle persone ripeto "critiche" e "creative" non dei ribelli incapaci di rispettare le gerarchie.
#3229
Buona sera Don Quixote. Tocchi dei problemi veri ma il rischio è di "buttare via il bambino insieme all'acqua sporca": Non credo che a Erdogan voglia imbavagliare la cronaca nera, anzi esaltarla può avere effetti benefici per il suo regime, perché fa invocare più sicurezza. Inoltre oggi, con i social network, ed in primis Facebook, più che la morte attraverso l'informazione si trasmette l'ebetismo, che è una forma di morte un pò diversa.
La possibile soluzione di Inverno mi trova d'accordo. E' un problema educativo e di cultura. Bisogna saper maneggiare le notizie e saper distinguere, distinguere ciò che può essere verificato e ciò che è un semplice proclama.
Ad un certo punto dici 
"Una cultura che si possa definire tale si basa su equilibri delicati, vive di una "normalità" che è recepita e vissuta da tutti i suoi componenti e difesa dalle istituzioni, che si occupano di fornire un quadro di senso e di sicurezza alla popolazione e devono inoltre gestire in modo sensato le inevitabili eccezioni a questa normalità in modo tale da non creare scompensi."

La cultura che proponi è una cultura omogenea, che fa parte però del nostro passato, quando gli italiani stavano in Italia, i tedeschi in Germania, i libici in Libia (e neanche tanto, ma possiamo parlare di "inevitabili eccezioni"). Ora la cultura al singolare diventa già una impresa ardua.  La migliore gestione di questo multiculturalismo è la promozione di tutto ciò che passa attraverso il rispetto dell'altro e delle sue peculiarità attraverso un processo che non sia di integrazione, né di vita a scompartimenti stagni (modello francese o modello inglese), ma di "ibridazione". Noi occidentali dobbiamo saper apprendere dagli altri come gli altri possono apprendere da noi. Ma senza questa umiltà non ci sarà mai una società normale.
D'altronde, che fare? Quali sono le soluzioni possibili. Quella di Erdogan mi sembra piuttosto simile a quella di un fascistello in salsa islamica. Non resta che educare i nostri figli a sviluppare le capacità per vivere in questo mondo, differente da quello dove le informazioni erano scritte solo per le élite, e vigeva una presunta normalità.
Ti propongo un altro esempio. In gioventù ho frequentato una università tedesca, a Francoforte. Notai subito con sorpresa, fra le altre cose, che il rapporto con i professori non era di sudditanza. Gli studenti non facevano solo la domandina servile per approfondire il tema, ma contestavano il professore e argomentavano contro di lui in modo fondato su testi conosciuti o su metodi riconosciuti dalla comunità degli studiosi di riferimento. Sviluppare un sistema didattico del genere crea una classe futura "critica" che non fonda il suo giudizio sui "pregiudizi", e non abbocca facilmente alle sirene dell'informazione becera che ci circonda, ma che è curiosa ed indaga la realtà con gli strumenti della sua epoca, concependo anche quegli stessi strumenti in modo critico. Un modo di osservare il mondo in modo critico a sua volta libera la prospettiva e permette di "aprire davvero gli occhi", senza più considerare la cosiddetta verità, scritta una volta per tutte (eh, si, sono un relativista).
#3230
Tematiche Filosofiche / Re:La direzione della storia
15 Aprile 2016, 22:32:40 PM
La mia domanda nasce appunto da una riflessione scaturita dal post sulla violenza nella bibbia. Ragionavo sul fatto che anche le religioni possono essere storicizzate. Il passaggio da antico a nuovo testamento è in questo caso un modello. Dal Dio oscuro che pretende l'amore e la cieca ubbidienza si è passati ad un Dio misericordioso, dove le istanze verso gli ultimi si moltiplicano, così come quelle all'universalismo. Non più una religione del popolo eletto, ma una religione di convertiti. Anche per questo motivo, probabilmente, avevo messo già nel titolo il riferimento al discorso "evangelico".
Da qui ho preso spunto per parlare di questo, di come il progetto storico umano "sulla lunga distanza" possa essere interpretato.
Faccio un esempio che non è Vico (ma anche Vico va benissimo). Jaspers in "Origine e senso della storia" parla di un tempo assiale che va dall'800 al 200 a.c., che è il tempo delle grandi scoperte, e che ha messo in moto tutti i successivi passi. Da questo sviluppo iniziale, la speranza di Jaspers è quella di vedere l'umanità indirizzata verso una progressiva razionalizzazione universale, intesa in un senso di rispetto per la libertà di tutti gli esseri umani. Ma anche Marx fa filosofia della storia, quando descrive come inevitabile il passaggio dal capitalismo al socialismo e infine al comunismo e fa filosofia della storia anche il cristianesimo, quando legge e interpreta la storia umana come inevitabile passaggio, una sorta di palcoscenico, prima dell'epilogo finale a cui è concatenato.
Mi rendo conto che l'argomento è vastissimo e potrebbe alimentare dispersione e confusione, ma abbiamo sempre l'alternativa di concluderlo qui.  ;)
#3231
Tematiche Filosofiche / La direzione della storia
15 Aprile 2016, 18:56:17 PM
Questo argomento mi è stato suggerito da quello che ho aperto a proposito della violenza nelle Sacre Scritture. Ad ogni modo si tratta di una semplice domanda che è l'oggetto di una disciplina filosofica, la filosofia della storia: "La storia ha una direzione?".
Si potrebbe pensare alla storia come a un percorso causale (freccia casuale), oppure ad un progressivo miglioramento ed innalzamento (freccia verso l'alto), oppure ad un progressivo peggioramento (freccia verso il basso), oppure ad un'opera già programmata (freccia teleguidata), oppure all'eterno ritorno delle cose (freccia circolare). Ogni concezione ha i suoi fautori, i suoi punti critici, e una sottostante Weltanschaung. Voi cosa ne pensate?
#3232
Citazione di: giona2068 il 13 Aprile 2016, 10:13:00 AM
Koli si trova nelle stesse condizioni in cui si troverebbe chi conosce l'italiano ma pretendesse di comprendere e spiegare ad altri un testo scritto in spagnolo. Faccio riferimento allo spagnolo ed all'italiano per dire  che si assomigliano un po' ma non sono la stessa cosa. Per comprendere ciò che il Signore Dio dice, occorre credere in Lui, amarLo ed aver timore rinunciando alle nostre elucubrazioni mentali che ai suoi occhi sono stoltezza pura. Non dimentichiamo che Lui è verità. Se crediamo in Lui, entra in noi, o si manifesta, tutta la Sua sapienza disintegrando la nostra stoltezza. Solo così possiamo comprendere la Sua parola che è rivolta alla salvezza della nostra anima. Se però  crediamo di essere carne, non possiamo non preoccuparci del nostro corpo, per questo la parola del Signore Dio Verità ci sembra provenire da chi non ci ama, ma Costui è Verità ed oltretutto è Colui che ci ha creato, nessuno più di Lui conosce come siamo fatti!!
La Sua parola è adeguata ai tempi in cui l'ha proferita perché il Sapiente non può parlare una lingua che chi ascolta non può comprendere.  Se leggiamo le scritture partendo dal principio che la carne, il nostro corpo, è solo un involucro perché siamo anima da salvare, ivi compresa quella del padrone malvagio, le nostre conclusioni cambieranno radicalmente. Capiremo anche il perché ha permesso la crocifissione a nostro vantaggio, del Suo Figlio prediletto, oltretutto porremo fine al puntare il dito verso di Lui.
Scusami Giona se prendo spesso i tuoi post per criticarli, ma sono davvero in un certo senso "paradigmatici" e quindi spesso colgono il centro della questione che mi sta a cuore, cioè il conflitto fra spiritualità e razionalismo e la possibilità di superare quel conflitto senza appiattirsi nelle due fazioni, entrambe pericolose, dello scientismo o del radicalismo monoteistico.
Intanto l'esempio fra spagnolo e italiano non è esattamente corretto. Sia l'italiano che lo spagnolo hanno delle regole. Basta padroneggiarle e si può tradurre un testo da una lingua all'altra. "La fede, l'amore e il timore" non sono regolamentate: fanno parte del mondo delle passioni, che di solito si focalizzano su eventi reali. Il passaggio dell'umanità dallo stato di natura allo stato di cultura ha comportato il riferimento di queste passioni a costruzioni simboliche, le religioni. E' stato un passaggio importantissimo che ha liberato energie umane e ha facilitato ulteriori sviluppi. Ma altrettanto importante, a mio avviso, è il cammino della filosofia e in questo cammino, l'illuminismo. Ad esempio, mi riferisco alla famosa frase di Kant, che ne riassume lo spirito: "l'illuminismo è il superamento dello stato di minorità dell'uomo dovuto a se stesso". E' il "sapere aude", che si pone in una posizione antitetica a qualunque religione fondata sull'autorità e sulla tradizione.
Torniamo però al tema. In questo intervento esponi una posizione efficace e  coerentemente medioevale. Dio ama la nostra anima e non il nostro corpo. Per questo le sue scelte ci sembrano incomprensibili. Penso che il nocciolo della violenza divina sia in questa tua affermazione. Al tempo della inquisizione per i condannati vi erano procedure molto complicate, così come confraternite dedicate per provare a salvare l'anima del condannato. Il corpo era giustamente solo un "involucro". La cosa importante era salvare l'anima.
Che cosa evita in una visione del genere, eliminare i propri nemici, preoccupandosi magari di salvare la loro anima e proclamando che questa è l'unica verità perseguibile?
Sinceramente spero che la tua visione del mondo sia condivisa dal minor numero possibile di persone, perlomeno in Italia, perché seppure professi in più occasioni la tua mitezza, la posizione profonda che proclami è una posizione tendenzialmente violenta che non vede e non tollera le posizioni diverse dalle proprie.
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#3233
buonasera a tutti. Finora le risposte alla mia domanda sono di due generi. Una classica: "bisogna considerare i tempi, i costumi di allora e separare il tempo storico che cambia, dal contenuto dello spirito che resta vero ed eterno".
Elyah produce anche una ulteriore prova considerando popoli e divinità che "non erano migliori", perchè consentivano sacrifici umani (come del resto il cristianesimo: Gesù non è forse un esempio di sacrificio umano?).
Questo argomento è fragile. Ci sono delle parti della Bibbia che mantengono a distanza di secoli la loro attualità e freschezza, ci si può ragionare sopra come se fossero testi filosofici ed altre che invece sono vergognose o inutili. Perchè Dio non ha guidato la mano dei suoi profeti a scrivere tutto allo stesso livello? Non mi pare che manchi di poteri, onniscienza e preveggenza. Forse vuole confonderci per vedere chi crede in lui anche se non c'è rigore e chiarezza nelle sue parole? A questo punto però poteva anche far scrivere della parole senza senso e metterci alla prova in modo ancora più radicale. A proposito della circostanza che anche altri popoli avevano pessime abitudini, è una magra consolazione. Sarebbe come dire "vabbè io rubo, ma c'è anche chi uccide".

L'argomento di Giona è diverso. Secondo la sua interpretazione, permettere al padrone di bastonare lo schiavo è il "male minore", altrimenti il cuore malvagio del padrone lo ucciderebbe senz'altro. Poi nel campo spirituale però le cose si aggiusteranno e il padrone, suppongo, non avrà scampo.
Premesso che nel testo si parla anche di morte dello schiavo, purchè non sia immediata, questo ragionamento mi sembra piuttosto perverso. Il libro sacro per eccellenza della tradizione occidentale scende a compromesso nelle questioni secolari e permette la violenza, fino a provocare la morte lenta dello schiavo per evitare la morte immediata. Se fossi lo schiavo probabilmente preferirei la morte immediata alla morte lenta per agonia, dopo aver preso un sacco di mazzate.
Mi dispiace ma finora gli argomenti addotti sono poco persuasivi.
#3234
Buonasera Giona. Ritengo che il diritto all'aborto sia una conquista e non un abominio. Non credo che una madre mandi a morte il proprio possibile figlio a cuor leggero e se lo facesse, allora tanto meglio abortire perchè non sarebbe una buona madre. La libertà di abortire non significa l'obbligo di abortire. E' una possibilità, dolorosa, contraddittoria che lascerà le sue tracce in quella donna per tutta la vita (a meno che non sia una psicopatica e allora torna il discorso che è meglio che non faccia figli). Altrettanto tremendo è pensare che viene soppresso il più debole, quello che non può decidere e che probabilmente vorrebbe vivere. Non so, l'aborto è un tema complesso e delicato, uno di quelli dove è difficile separare nettamente la ragione e il torto. Forse sarebbero necessari strumenti di educazione alla contraccezione come prevenzione, dei colloqui di approfondimento nel momento in cui la donna chiede l'interruzione. Sicuramente hai ragione a considerare la società occidentale una società di morte, e dovrebbero esserci più spazi di riflessione, ad esempio sulla sessualità, sul godimento del corpo come atto meccanico. Anche questo è un fenomeno mortifero a cui può facilmente conseguire un aborto.
Ho avuto la fortuna di non essere mai stato coinvolto in una situazione del genere ma credo che la decisione debba essere individuale. La nascita di un figlio è una scelta troppo importante per poterla lasciare al caso, ad una notte di leggerezza, ad un rapporto occasionale.. La vita presenta tante circostanze che non possono essere tagliate con l'accetta della fede e credo che una nazione rispettosa delle donne debba garantire l'esercizio dell'interruzione di gravidanza. E' la donna che porta il peso della nascita. Poni il caso di un rapporto bellissimo fra un uomo e una donna. La donna resta incinta e l'uomo, per paura, vigliaccheria, o altro, la lascia. La donna sa che dovrà affrontare quella nascita da sola. Questo non giustifica automaticamente l'aborto, ma purtroppo la natura ha scisso le responsabilità e l'uomo può sfuggire. Può essere inchiodato alle sue responsabilità economicamente ma quel figlio vivrà senza un padre. E' comunque solo un esempio, il primo che mi è venuto in mente.
 Anche per un motivo pratico e di igiene collettiva, l'aborto mi sembra necessario, poichè laddove l'aborto è vietato, l'intervento si pratica lo stesso, in cliniche clandestine oppure affidandosi a "mammane" che uccidono oltre al feto anche la madre. Un diritto maturo deve considerare anche queste prospettive, poiché i principi ferrei, di qualunque tipo, religiosi e non, hanno il difetto di stritolare le persone e di non considerare la loro umanità, dolente, peccatrice, contraddittoria. Se poi proprio insisti, ti posso cercare dei passi della Bibbia dove viene proclamata la santità dell'infanticidio.
#3235
Vorrei chiedere e la mia domanda non è sarcastica ma animata dal desiderio di comprendere, come si fa a considerare la Bibbia un libro sacro, quando contiene un passo come il seguente:

Esodo 21-20/21: Per la legge di Dio "se uno bastona il suo schiavo o la sua schiava fino a farli morire sotto i colpi, il padrone deve essere punito" - ma se sopravvivono un giorno o due, non sarà punito, perchè sono denaro suo".

In questo passo non solo si approva la schiavitù, ma essa è talmente legittimata al punto da considerare lo schiavo un oggetto, che può essere distrutto dal suo proprietario. Vi sono ovviamente nella Bibbia altri passi completamente differenti. Questo è solo un esempio, ma come tutti sanno, esempi del genere sono diffusissimi. La domanda che voglio proporre è: come è possibile che Dio, onnipotente, saggio, buono e desideroso di fare del bene al suo gregge, abbia permesso di inserire nel suo libro dei precetti così evidententemente  contrari ad ogni comune sentimento morale?
#3236
Citazione di: Duc in altum! il 08 Aprile 2016, 09:46:15 AM
**  scritto da Jacopus:

Citazionecredere o non credere sono due ipotesi con uguale dignità? A questa domanda non si può che rispondere: sì.
Anche in questo caso rispondere sì non è oggettivo, ma ragione di Fede.

Infatti, bisogna crederci, senza averne prove, che ogni dimensione di Fede (credere, non credere, non pervenuto, astensione, menefreghismo) possa donare uguale dignità.
Io, ad esempio, al contrario, non solo rispondo no alla domanda, ma rilancio sostenendo che non c'è niente di mera provenienza terrestre, che possa donare dignità all'esistenza umana, senza l'intervento del trascendente.

Non penso si possano attribuire uguale dignità a Madre Teresa di Calcutta od a un terrorista; a Gino Strada o a un cattolico farisaico; ecc. ecc.


Pace&Bene

Buonasera Duc. Fra i tanti interventi, penso che questo riassuma esattamente il motivo per cui rifiuto ogni tipo di religione. Se la dignità umana proviene dal trascendente è facile giungere anche alla conclusione che quella dignità possiamo calpestarla in nome del trascendente, cosa che è accaduta ripetutamente nella storia dell'uomo. Una cosa molto simile è avvenuta nel mondo del socialismo reale, allorquando la fede nel comunismo aveva le sue chiese, i suoi sacerdoti e la sua Santa Inquizione, i suoi martiri e i suoi dannati che potevano essere appunto calpestati in nome del Comunismo.
Al contrario di te e in accordo con la Costituzione tedesca penso che la dignità umana sia intangibile anche se si tratta di quella di un terrorista o di un cattolico farisaico. Chi sono io per degradare a essere non dignitoso un terrorista o un cattolico farisaico? Che ne so della sua vita, del perché è diventato terrorista o farisaico? La sua dignità umana resta intangibile. Questo non significa che "allora siamo tutti uguali". Ognuno già su questa terra deve sentirsi responsabile di quello che fa e renderne conto alla giustizia umana ma resta un appartenente dell'umanità e se è diventato terrorista ci potrà essere una storia interessante su quella sua scelta che ci chiama in causa tutti.
Dalla mia posizione di non credente non mi permetto di giudicare i credenti come dei poveri scimuniti a cui ha dato di volta il cervello  e non mi sento di dire che la posizione del credente non è dignitosa (come tu invece fai intendere per i soggetti non credenti). D'altronde non tutti i credenti, fortunatamente, la pensano come te. Direi che l'argomento avviato da Freedom in effetti tocca un atteggiamento che riguarda entrambi i membri dei due schieramenti. Vi è una fazione "hard" da entrambe le parti, incapace di pensare all'outgroup come ad un gruppo con pari valore e una fazione "soft", in grado di convivere tranquillamente con chi la pensa in un altro modo e a cui riconosce appunto "pari dignità".
A me pare che in società multietniche e complesse come le nostre converrebbe promuovere una visione "accettante" delle visioni altrui. 
Mentre scrivo mi viene in mente che in altri post del vecchio forum avevo  anche argomentato sulla natura psicopatologica delle religioni monoteistiche e questo potrebbe essere considerato in contraddizione con quanto sto dicendo. Eppure quella psicopatologia fa parte dell'umanità, ammesso che sia così, e va compresa, interpretata, discussa, con ragionamenti umani, non con ragionamenti trascendenti. Come dire, la dignità umana va tutelata nell'ambito della vita terrena, di quello che siamo noi ora, esseri biologici e culturali allo stesso tempo. Se vogliamo ascrivere a qualcosa di esterno al nostro vivere, le regole per giudicare gli altri e per pesarli, allora si giunge inevitabilmente nel territorio dell'autoritarismo e dell'ipse dixit e si chiude ogni possibilità di discussione fra chi la pensa in modo diverso.
Al territorio della religione sembra in qualche modo connaturato questo confine, che diventa poi anche un confine mentale, un modo per categorizzare le persone e le vicende umane. Non a caso religo e relegare hanno la stessa origine etimologica.
E alla fine di questi miei pensieri notturni, mi rendo conto di come sia difficile coniugare il rispetto per le idee altrui e la inevitabile necessità di affermare le proprie.
#3237
Citazione di: donquixote il 06 Aprile 2016, 22:57:09 PMMi permetto, se me lo si consente, di non essere d'accordo con questa affermazione. Il cosiddetto "credente" (definizione che trovo assai impropria perchè ormai troppo degenerata negli ultimi decenni) crede che ciò in cui crede sia la Verità. e la Verità non può avere la stessa dignità del suo opposto, la menzogna, per cui il "credente" non può (se crede davvero) parificare la sua credenza con quella dei "non credenti". Il rispetto nei confronti delle persone è certamente dovuto, ma quello nei confronti delle idee (che non sono proprietà di nessuno e sono di per sè neutre) non lo è affatto. Allo stesso modo il "non credente", se ritiene che quello a cui "non crede" sia la verità non potrà conferire dignità a quella che egli considera una menzogna: potrà al massimo tollerarla, sopportarla, ma non certo rispettarla e porla al pari della verità, o di quella che lui considera tale.
Quando però questo accade, ovvero quando capita che ognuna delle parti in causa ritenga ugualmente rispettabile la propria visione e quella altrui, non è certamente prova di "maturità intellettuale" oppure di "civiltà" dei diversi interlocutori, ma solo dimostrazione di una estrema superficialità e leggerezza nell'analisi degli argomenti di cui si tratta, che poi si ripercuote pari pari in una "credenza" o in una "non credenza" altrettanto superficiali e annacquate che non sono in grado di argomentare sufficientemente perchè loro stessi per primi non ne sono sufficientemente convinti.
Buona sera, Donquixote. Penso che tu abbia toccato un punto fondamentale di questa discussione. Ho provato a pensare la mia posizione personale attuale rispetto ai credenti, comprese persone a me molto vicine. Credo di rispettare le loro persone e anche le loro idee, anche perché mi risulta difficile fare una separazione ed anche perché il loro essere credenti non li identifica in modo assoluto. Fortunatamente rivestono anche altri ruoli oltre a quello di "credenti".
Teoricamente si può pensare di scindere le due posizioni: idee e persone, ma di fatto se non si rispettano le idee delle persone, al massimo le si guarda come dei soggetti da educare, oppure dei bambinoni o anche degli esseri che nascondono qualche malvagità. Le nostre idee sono una parte così intima e fortemente identitaria che probabilmente preferiremmo vederci amputata una mano ma conservare la nostra capacità di pensare "liberamente" alle nostre idee  e ai nostri sistemi concettuali. Questo significa quindi che non sono maturo intellettualmente o sono superficiale e leggero negli argomenti? Non so e veramente non ritengo ciò. Il fatto di non essere sufficientemente convinto di un argomento non lo vedo come un difetto, anzi, se ci pensi un attimo è il meccanismo che ha fondato la filosofia della Grecia antica, da Socrate in poi. Ed è proprio per questo motivo, tra l'altro che non posso accettare il concetto di "verità religiosa", così come di qualunque altra verità imposta per dogma, per tradizione, per autorità. Anch'io ovviamente, come tutti, ho i miei riferimenti, quella sorta di mappa culturale che mi permette di orientarmi e di stabilire decisioni, fare ragionamenti e prendere posizioni ma non è scritta sulla pietra della verità ma sull'argilla del verosimile, del presumere  e questo mi fa sentire più libero, più in grado di mettermi nei panni degli altri e di non giudicare nessuno.
Ed in fondo questo relativismo, che è anche alla base di una società aperta e laica, lo hai assorbito anche tu proprio quando distingui fra persone ed idee. In altri tempi ed in altre latitudini succedeva e succede che le idee contrarie venissero/vengano tagliate insieme alla testa che le esprime.
Concludo l'excursus e rientro sul tema caro a Freedom. Io piuttosto che parlare di probabilità, formulerei la domanda nel seguente modo:  credere o non credere sono due ipotesi con uguale dignità? A questa domanda non si può che rispondere: sì.
#3238
"Ripropongo questo thread fiducioso che possa essere oggetto di ulteriori sviluppi.
L'incipit iniziale era questo:
La tesi di questo thread è che i credenti e i non credenti sono sullo stesso piano per quello che riguarda la probabilità che essi abbiano ragione.
 Più che tesi a me sembra di tutta evidenza, tuttavia, ci sono molte persone che contraddicono questa affermazione. Queste ultime sostengono, pur non avendone l'assoluta certezza, che Dio non si percepisce dunque non c'è. E questa posizione è maggiormente veritiera di coloro i quali sostengono che (Dio c'è/Dio non c'è) stanno alla pari."


Intanto ben ritrovati a tutti. A proposito del tema, partirei da una considerazione critica sulla costruzione del tema stesso. Ovvero la contrapposizione netta fra credenti e non credenti, come se fossero due fazioni, due armate che combattono per avere ragione. I partecipanti dei due partiti devono in qualche modo adeguarsi all'impossibilità di dimostrare la verità della loro "ideologia", ma ciò non toglie che comunque "credono" fermamente o ad una divinità o al fatto che non esista una divinità. Sono due schieramenti contrapposti, che firmano una tregua temporanea, finché non sopravvenga la prova che il loro partito era nel "giusto".
Ebbene tutto questo mi sembra molto cattolico e lontano dalla mia sensibilità. Il non credente "ideale" è invece a mio parere, quello che dubita anche della sua infedeltà e che è sempre pronto a mettere tutto in discussione e quindi non ha bisogno di sentirsi superiore a chi crede, perché così facendo perderebbe quella capacità critica che lo rende non superiore ma differente da chi invece "crede" (indipendentemente da cosa).
Se c'è una cosa che bisogna riconoscere ai non credenti è che la loro scelta è sicuramente una scelta libera, senza seconde finalità, mentre talvolta credere, in Italia, nasconde interessi e ipocrisie note. Il contrario accadeva ovviamente, ad esempio, negli ex paesi comunisti.
In uno dei primi interventi nel vecchio forum, Sariputra parlava proprio di questo binomio come di un vincolo e di un limite alla libertà di sentire il proprio senso religioso.
Il binomio credere/non credere fa forse parte di uno strumentario per l'ortodossia e la rieducazione spirituale, per il quale gli eretici vengono malvisti e redarguiti attraverso gli scritti della tradizione?