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Messaggi - Jacopus

#3241
Buonasera Giona. Ritengo che il diritto all'aborto sia una conquista e non un abominio. Non credo che una madre mandi a morte il proprio possibile figlio a cuor leggero e se lo facesse, allora tanto meglio abortire perchè non sarebbe una buona madre. La libertà di abortire non significa l'obbligo di abortire. E' una possibilità, dolorosa, contraddittoria che lascerà le sue tracce in quella donna per tutta la vita (a meno che non sia una psicopatica e allora torna il discorso che è meglio che non faccia figli). Altrettanto tremendo è pensare che viene soppresso il più debole, quello che non può decidere e che probabilmente vorrebbe vivere. Non so, l'aborto è un tema complesso e delicato, uno di quelli dove è difficile separare nettamente la ragione e il torto. Forse sarebbero necessari strumenti di educazione alla contraccezione come prevenzione, dei colloqui di approfondimento nel momento in cui la donna chiede l'interruzione. Sicuramente hai ragione a considerare la società occidentale una società di morte, e dovrebbero esserci più spazi di riflessione, ad esempio sulla sessualità, sul godimento del corpo come atto meccanico. Anche questo è un fenomeno mortifero a cui può facilmente conseguire un aborto.
Ho avuto la fortuna di non essere mai stato coinvolto in una situazione del genere ma credo che la decisione debba essere individuale. La nascita di un figlio è una scelta troppo importante per poterla lasciare al caso, ad una notte di leggerezza, ad un rapporto occasionale.. La vita presenta tante circostanze che non possono essere tagliate con l'accetta della fede e credo che una nazione rispettosa delle donne debba garantire l'esercizio dell'interruzione di gravidanza. E' la donna che porta il peso della nascita. Poni il caso di un rapporto bellissimo fra un uomo e una donna. La donna resta incinta e l'uomo, per paura, vigliaccheria, o altro, la lascia. La donna sa che dovrà affrontare quella nascita da sola. Questo non giustifica automaticamente l'aborto, ma purtroppo la natura ha scisso le responsabilità e l'uomo può sfuggire. Può essere inchiodato alle sue responsabilità economicamente ma quel figlio vivrà senza un padre. E' comunque solo un esempio, il primo che mi è venuto in mente.
 Anche per un motivo pratico e di igiene collettiva, l'aborto mi sembra necessario, poichè laddove l'aborto è vietato, l'intervento si pratica lo stesso, in cliniche clandestine oppure affidandosi a "mammane" che uccidono oltre al feto anche la madre. Un diritto maturo deve considerare anche queste prospettive, poiché i principi ferrei, di qualunque tipo, religiosi e non, hanno il difetto di stritolare le persone e di non considerare la loro umanità, dolente, peccatrice, contraddittoria. Se poi proprio insisti, ti posso cercare dei passi della Bibbia dove viene proclamata la santità dell'infanticidio.
#3242
Vorrei chiedere e la mia domanda non è sarcastica ma animata dal desiderio di comprendere, come si fa a considerare la Bibbia un libro sacro, quando contiene un passo come il seguente:

Esodo 21-20/21: Per la legge di Dio "se uno bastona il suo schiavo o la sua schiava fino a farli morire sotto i colpi, il padrone deve essere punito" - ma se sopravvivono un giorno o due, non sarà punito, perchè sono denaro suo".

In questo passo non solo si approva la schiavitù, ma essa è talmente legittimata al punto da considerare lo schiavo un oggetto, che può essere distrutto dal suo proprietario. Vi sono ovviamente nella Bibbia altri passi completamente differenti. Questo è solo un esempio, ma come tutti sanno, esempi del genere sono diffusissimi. La domanda che voglio proporre è: come è possibile che Dio, onnipotente, saggio, buono e desideroso di fare del bene al suo gregge, abbia permesso di inserire nel suo libro dei precetti così evidententemente  contrari ad ogni comune sentimento morale?
#3243
Citazione di: Duc in altum! il 08 Aprile 2016, 09:46:15 AM
**  scritto da Jacopus:

Citazionecredere o non credere sono due ipotesi con uguale dignità? A questa domanda non si può che rispondere: sì.
Anche in questo caso rispondere sì non è oggettivo, ma ragione di Fede.

Infatti, bisogna crederci, senza averne prove, che ogni dimensione di Fede (credere, non credere, non pervenuto, astensione, menefreghismo) possa donare uguale dignità.
Io, ad esempio, al contrario, non solo rispondo no alla domanda, ma rilancio sostenendo che non c'è niente di mera provenienza terrestre, che possa donare dignità all'esistenza umana, senza l'intervento del trascendente.

Non penso si possano attribuire uguale dignità a Madre Teresa di Calcutta od a un terrorista; a Gino Strada o a un cattolico farisaico; ecc. ecc.


Pace&Bene

Buonasera Duc. Fra i tanti interventi, penso che questo riassuma esattamente il motivo per cui rifiuto ogni tipo di religione. Se la dignità umana proviene dal trascendente è facile giungere anche alla conclusione che quella dignità possiamo calpestarla in nome del trascendente, cosa che è accaduta ripetutamente nella storia dell'uomo. Una cosa molto simile è avvenuta nel mondo del socialismo reale, allorquando la fede nel comunismo aveva le sue chiese, i suoi sacerdoti e la sua Santa Inquizione, i suoi martiri e i suoi dannati che potevano essere appunto calpestati in nome del Comunismo.
Al contrario di te e in accordo con la Costituzione tedesca penso che la dignità umana sia intangibile anche se si tratta di quella di un terrorista o di un cattolico farisaico. Chi sono io per degradare a essere non dignitoso un terrorista o un cattolico farisaico? Che ne so della sua vita, del perché è diventato terrorista o farisaico? La sua dignità umana resta intangibile. Questo non significa che "allora siamo tutti uguali". Ognuno già su questa terra deve sentirsi responsabile di quello che fa e renderne conto alla giustizia umana ma resta un appartenente dell'umanità e se è diventato terrorista ci potrà essere una storia interessante su quella sua scelta che ci chiama in causa tutti.
Dalla mia posizione di non credente non mi permetto di giudicare i credenti come dei poveri scimuniti a cui ha dato di volta il cervello  e non mi sento di dire che la posizione del credente non è dignitosa (come tu invece fai intendere per i soggetti non credenti). D'altronde non tutti i credenti, fortunatamente, la pensano come te. Direi che l'argomento avviato da Freedom in effetti tocca un atteggiamento che riguarda entrambi i membri dei due schieramenti. Vi è una fazione "hard" da entrambe le parti, incapace di pensare all'outgroup come ad un gruppo con pari valore e una fazione "soft", in grado di convivere tranquillamente con chi la pensa in un altro modo e a cui riconosce appunto "pari dignità".
A me pare che in società multietniche e complesse come le nostre converrebbe promuovere una visione "accettante" delle visioni altrui. 
Mentre scrivo mi viene in mente che in altri post del vecchio forum avevo  anche argomentato sulla natura psicopatologica delle religioni monoteistiche e questo potrebbe essere considerato in contraddizione con quanto sto dicendo. Eppure quella psicopatologia fa parte dell'umanità, ammesso che sia così, e va compresa, interpretata, discussa, con ragionamenti umani, non con ragionamenti trascendenti. Come dire, la dignità umana va tutelata nell'ambito della vita terrena, di quello che siamo noi ora, esseri biologici e culturali allo stesso tempo. Se vogliamo ascrivere a qualcosa di esterno al nostro vivere, le regole per giudicare gli altri e per pesarli, allora si giunge inevitabilmente nel territorio dell'autoritarismo e dell'ipse dixit e si chiude ogni possibilità di discussione fra chi la pensa in modo diverso.
Al territorio della religione sembra in qualche modo connaturato questo confine, che diventa poi anche un confine mentale, un modo per categorizzare le persone e le vicende umane. Non a caso religo e relegare hanno la stessa origine etimologica.
E alla fine di questi miei pensieri notturni, mi rendo conto di come sia difficile coniugare il rispetto per le idee altrui e la inevitabile necessità di affermare le proprie.
#3244
Citazione di: donquixote il 06 Aprile 2016, 22:57:09 PMMi permetto, se me lo si consente, di non essere d'accordo con questa affermazione. Il cosiddetto "credente" (definizione che trovo assai impropria perchè ormai troppo degenerata negli ultimi decenni) crede che ciò in cui crede sia la Verità. e la Verità non può avere la stessa dignità del suo opposto, la menzogna, per cui il "credente" non può (se crede davvero) parificare la sua credenza con quella dei "non credenti". Il rispetto nei confronti delle persone è certamente dovuto, ma quello nei confronti delle idee (che non sono proprietà di nessuno e sono di per sè neutre) non lo è affatto. Allo stesso modo il "non credente", se ritiene che quello a cui "non crede" sia la verità non potrà conferire dignità a quella che egli considera una menzogna: potrà al massimo tollerarla, sopportarla, ma non certo rispettarla e porla al pari della verità, o di quella che lui considera tale.
Quando però questo accade, ovvero quando capita che ognuna delle parti in causa ritenga ugualmente rispettabile la propria visione e quella altrui, non è certamente prova di "maturità intellettuale" oppure di "civiltà" dei diversi interlocutori, ma solo dimostrazione di una estrema superficialità e leggerezza nell'analisi degli argomenti di cui si tratta, che poi si ripercuote pari pari in una "credenza" o in una "non credenza" altrettanto superficiali e annacquate che non sono in grado di argomentare sufficientemente perchè loro stessi per primi non ne sono sufficientemente convinti.
Buona sera, Donquixote. Penso che tu abbia toccato un punto fondamentale di questa discussione. Ho provato a pensare la mia posizione personale attuale rispetto ai credenti, comprese persone a me molto vicine. Credo di rispettare le loro persone e anche le loro idee, anche perché mi risulta difficile fare una separazione ed anche perché il loro essere credenti non li identifica in modo assoluto. Fortunatamente rivestono anche altri ruoli oltre a quello di "credenti".
Teoricamente si può pensare di scindere le due posizioni: idee e persone, ma di fatto se non si rispettano le idee delle persone, al massimo le si guarda come dei soggetti da educare, oppure dei bambinoni o anche degli esseri che nascondono qualche malvagità. Le nostre idee sono una parte così intima e fortemente identitaria che probabilmente preferiremmo vederci amputata una mano ma conservare la nostra capacità di pensare "liberamente" alle nostre idee  e ai nostri sistemi concettuali. Questo significa quindi che non sono maturo intellettualmente o sono superficiale e leggero negli argomenti? Non so e veramente non ritengo ciò. Il fatto di non essere sufficientemente convinto di un argomento non lo vedo come un difetto, anzi, se ci pensi un attimo è il meccanismo che ha fondato la filosofia della Grecia antica, da Socrate in poi. Ed è proprio per questo motivo, tra l'altro che non posso accettare il concetto di "verità religiosa", così come di qualunque altra verità imposta per dogma, per tradizione, per autorità. Anch'io ovviamente, come tutti, ho i miei riferimenti, quella sorta di mappa culturale che mi permette di orientarmi e di stabilire decisioni, fare ragionamenti e prendere posizioni ma non è scritta sulla pietra della verità ma sull'argilla del verosimile, del presumere  e questo mi fa sentire più libero, più in grado di mettermi nei panni degli altri e di non giudicare nessuno.
Ed in fondo questo relativismo, che è anche alla base di una società aperta e laica, lo hai assorbito anche tu proprio quando distingui fra persone ed idee. In altri tempi ed in altre latitudini succedeva e succede che le idee contrarie venissero/vengano tagliate insieme alla testa che le esprime.
Concludo l'excursus e rientro sul tema caro a Freedom. Io piuttosto che parlare di probabilità, formulerei la domanda nel seguente modo:  credere o non credere sono due ipotesi con uguale dignità? A questa domanda non si può che rispondere: sì.
#3245
"Ripropongo questo thread fiducioso che possa essere oggetto di ulteriori sviluppi.
L'incipit iniziale era questo:
La tesi di questo thread è che i credenti e i non credenti sono sullo stesso piano per quello che riguarda la probabilità che essi abbiano ragione.
 Più che tesi a me sembra di tutta evidenza, tuttavia, ci sono molte persone che contraddicono questa affermazione. Queste ultime sostengono, pur non avendone l'assoluta certezza, che Dio non si percepisce dunque non c'è. E questa posizione è maggiormente veritiera di coloro i quali sostengono che (Dio c'è/Dio non c'è) stanno alla pari."


Intanto ben ritrovati a tutti. A proposito del tema, partirei da una considerazione critica sulla costruzione del tema stesso. Ovvero la contrapposizione netta fra credenti e non credenti, come se fossero due fazioni, due armate che combattono per avere ragione. I partecipanti dei due partiti devono in qualche modo adeguarsi all'impossibilità di dimostrare la verità della loro "ideologia", ma ciò non toglie che comunque "credono" fermamente o ad una divinità o al fatto che non esista una divinità. Sono due schieramenti contrapposti, che firmano una tregua temporanea, finché non sopravvenga la prova che il loro partito era nel "giusto".
Ebbene tutto questo mi sembra molto cattolico e lontano dalla mia sensibilità. Il non credente "ideale" è invece a mio parere, quello che dubita anche della sua infedeltà e che è sempre pronto a mettere tutto in discussione e quindi non ha bisogno di sentirsi superiore a chi crede, perché così facendo perderebbe quella capacità critica che lo rende non superiore ma differente da chi invece "crede" (indipendentemente da cosa).
Se c'è una cosa che bisogna riconoscere ai non credenti è che la loro scelta è sicuramente una scelta libera, senza seconde finalità, mentre talvolta credere, in Italia, nasconde interessi e ipocrisie note. Il contrario accadeva ovviamente, ad esempio, negli ex paesi comunisti.
In uno dei primi interventi nel vecchio forum, Sariputra parlava proprio di questo binomio come di un vincolo e di un limite alla libertà di sentire il proprio senso religioso.
Il binomio credere/non credere fa forse parte di uno strumentario per l'ortodossia e la rieducazione spirituale, per il quale gli eretici vengono malvisti e redarguiti attraverso gli scritti della tradizione?