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Messaggi - sgiombo

#3241
Citazione di: acquario69 il 11 Ottobre 2016, 23:34:49 PM
Citazione di: Apeiron il 11 Ottobre 2016, 19:27:36 PM
Concordo. Tuttavia l'intelletto analitico non può comprendere il "perchè" interagiscono le "parti". Per questo motivo ritengo la scienza è limitata. L'intelletto deve per forza farsi una "rappresentazione" della realtà in cui affida "essenze" a cose che ne sono "prive". Tuttavia è solo un'immagine (parziale), una prospettiva, un modo di vedere le cose. Perchè mai queste particelle dovrebbero interagire? Perchè mai l'universo non è una massa omogenea ma sembra composto di parti che sembrano avere "essenza propria" (perdonatemi se continuo a citare il Buddha, però secondo lui la "forma materiale è un ammasso di schiuma", immagine molto simile da come mi immagino io la realtà in cui le bolle di schiuma sono gli "enti convienzionali") ? Boh non saprei :)

Cercare la materia come origine della materia è un errore concettuale, perché la fisica non ha ancora compreso la necessità di Dio"...

"Ciò che la scienza non ha ancora compreso", ha sostenuto ancora Corbucci, "è che la ricerca dell'origine della materia entra nel campo della metafisica, dove le unità di misura della fisica non hanno più senso. Una scienza che non ha compreso la necessità di Dio è una scienza amorale che ci permette di esseri immorali. L'umanità sta andando catastroficamente verso un disfacimento morale perché la scienza scientista fa credere che l'universo sia come un aereo che viaggia alla deriva senza pilota".

queste qui sopra non sono parole mie ma di un fisico italiano,Massimo Corbucci,che condivido al 1000%

qui sotto l'articolo completo:
http://www.centrostudilaruna.it/il-bosone-di-higgs-la-crisi-irreversibile-della-fisica-moderna-e-le-ultime-tracce-di-una-scienza-sacra.html
CitazionePerché mai cercare una presunta "origine della materia" quando si può benissimo ipotizzare che sia sempre esistita e in trasformazione secondo modalità universali e costanti (leggi di conservazione)?

Non esiste nessuna relazione necessaria fra credenze in fatto di ontologia e metafisica (quale, come qualsiasi altra, quella nello scientismo; che personalmente non seguo affatto considerandolo una forma di irrazionalismo e considerando me stesso un razionalista) e morale e moralità, come dimostrano innumereoli illustri credenti in Dio immoralissimi (da Costantino ai Bush a Obama a Woytila, ecc., ecc., ecc.) e innumerevoli illustri atei moralissimi (da Ernesto "Che" Guevara a Salvador Allende a Giacomo Matteotti, ecc., ecc. ecc.).

Chiunque non abbia pregiudizi (spesso pericolosissimi perché tendono a favorire atteggiamenti "fondamentalistici" e intolleranti) non può che constatare che possesso di un' etica e comportamento etico e mancanza di un' etica e comportamento immorale o amorale sono equamente distribuiti fra credenti e non credenti.
#3242
Citazione di: maral il 11 Ottobre 2016, 10:24:40 AM

Citazione di: sgiombo il 11 Ottobre 2016, 09:10:09 AM
Non sostengo che scegliamo a caso (ma invece secondo i più svariati motivi teorici e/o pratici) come considerare le cose e come designarle con concetti indicati da simboli verbali arbitrari (cosa considerare parte e cosa considerare intero).
Sostengo invece che queste scelte sono arbitrarie, le facciamo ad libitum, che le decidiamo noi e non "il contesto" (il contesto oggettivo ne determina casomai l' imporsi in pratica di alune piuttosto che talaltre).
Perdona Sgiombo, ma qui c'è qualcosa che mi sfugge. Non sostieni che scegliamo a caso (i nostri modi di considerare le cose e intenderne i significati dandone espressione), bene, fin qui siamo d'accordo, ma allora in che modo le nostre scelte possono essere arbitrarie, determinate fondamentalmente da un nostro libero arbitrio svincolato dai contesti (e nei contesti ci metto dentro, oltre ai modi di pensare, i modi linguistici di esprimersi, gli strumenti tecnici che utilizziamo per fare le cose, le credenze a cui partecipiamo secondo istruzione ricevuta e tutte le nostre prassi)? Come è possibile pensare insieme che il significato (il modo in cui qualsiasi cosa appare) non è frutto del caso, ma nello stesso tempo è frutto di una volontà mia, tua o di altri individui che possono scegliere ad libitum, svincolati da qualsiasi necessità davanti a un panorama di infinite possibilità in origine (ossia nella loro purezza oggettiva in sé) del tutto equivalenti?

CitazioneSemplicemente scegliamo secondo i nostri interessi teorici o pratici i nomi da dare alle cose: queste scelte non sono casuali (in generale; potrebbero esserle se decidiamo che lo siano) perché motivate, determinate dai nostri interessi, ma sono arbitrarie perché questi interessi che ci condizionano a sceglierli sono insindacabilmente avvertiti e assecondati (o meno) da ciascuno di noi (li scegliamo arbitrariamente, ma le nostre scelte non sono casuali, bensì determinate, comunque dai nostri soggettivi interessi e non dalla realtà oggettiva; anche quando il nostro interesse, come spesso accade di fatto, é quello di conoscere la realtà oggettiva).


Non c'è dubbio che le espressioni linguistiche possano arrivare a traduzioni, accordi espressivi, vocabolari concordati e via dicendo, ma questo è il risultato finale del processo linguistico, non il suo punto di partenza. Nessuna lingua è nata da un vocabolario (anche perché pe comporre un vocabolario, bisogna già avere un vocabolario), ma ogni lingua produce il suo vocabolario che non è chi parla quella lingua a decidere in partenza.
CitazioneLe lingue evolvono e i vocabolari si definiscono in seguito aprocessi storici; ma ciò non toglie che le parole e i loro significati sono decisi arbitriamente (qualche volta perfino "in partenza"; per esempio Galileo stabilì "in partenza", oltre che del tutto arbitrariamente, anche se motivatamente, non casualmente, di chìamare "pianeti medicei" -e così infatti si chiamarono per molto tempo- quelli che oggi, non più "in partenza" ma altrettanto convenzionalmente sono detti "satelliti di Giove".
#3243
Citazione di: Apeiron il 11 Ottobre 2016, 00:19:34 AM
Citazione di: maral il 11 Ottobre 2016, 00:02:53 AM
Citazione di: Apeiron il 10 Ottobre 2016, 19:31:51 PM
Se separi una molecola d'acqua nei suoi costituenti, questi non sono più "parti" della molecola d'acqua. Viceversa se togli alla molecola un atomo di idrogeno, non è più acqua. Inoltre non trovo nulla nell'esperienza che mi dica che esista un "io" che permane da quando nasco a quando sono vecchio. Anzi l'anima viene postulata proprio per questo motivo e l'anima è un tutt'uno, senza parti.
Appunto: se separi una molecola d'acqua nelle parti che la costituiscono, ovvero 2 atomi di idrogeno e uno di ossigeno, questi 3 atomi non sono più parti di quell'intero rispetto al quale erano parti, ma sono degli interi a sé stanti, quindi il loro esser parti viene cancellato (e infatti un idrogeno o un ossigeno presi come atomi hanno comportamenti ben diversi rispetto a un idrogeno e un ossigeno parti di una molecola d'acqua).
Se togli un atomo di idrogeno a una molecola d'acqua, come prima la parte rimasta non è più parte essendo diventata un intero e resta un diverso intero: ad esempio un radicale ossidrile.
E' lo stesso se scrivo 123 (centoventitre) o 1 2 3 (uno due tre). 1 2 3 preso ciascuno da solo non sono più l' uno, il due e il 3 che sono nel 123 in cui ciascuno di esso è parte in quella relazione d'ordine specifica.


Però questo implica solo che il nostro concetto di parte non descrive più la situazione degli atomi, non che gli atomi non esistano più;) Quindi ancora ritengo più fondamentali gli oggetti che "si comportano" come parti che l'intero composto da esse. Se vuoi lo stato dell'oggetto "essere parte di" è tanto reale quanto "l'oggetto composto da tali parti". Ma l'oggetto in sè è più fondamentale


CitazioneEsistono realmente, nella realtà (ovviamente "con un grado limitato di realtà", secondo la terminolgia di Apeiron: contingenti e non eterni) gli atomi di idrogeno e quello di ossigeno (che formano la molecola d' acqua), ovvero esiste la  molecola d' acqua.

Il pensiero li può del tutto arbitrariamente, ad libitum considerare separatamente (considerare ciascuno dei tre atomi: "primo atomo di H"; "secondo atomo di H"; "atomo di O") o congiuntamente come "molecola d' acqua", ovvero molecola "H2O".
#3244
Citazione di: maral il 10 Ottobre 2016, 12:25:41 PM

CitazionePerò mi sembra innegabile che questa distinzione derivi da un'arbitraria decisione di intenderli così, che potrebbe benissimo essere diversa, basta mettersi d'accordo con tanta buona volontà per considerare nel mondo ogni "intero" e "parte" che si vuole.
A me pare piuttosto che possiamo pensare la distinzione come qualcosa che avrebbe potuto essere diversa, ma di fatto non lo è. Ossia noi vediamo che le cose vengono considerate in modo diverso (nel tempo e nei luoghi) e che da questi modi diversi di considerarle è possibile giungere a un'intesa, a una traduzione. Ma nel loro ambito originario esse non sono per nulla arbitrarie: noi non scegliamo a caso quale significato (e implicazione di significati) dare agli enti, cosa sia parte e cosa sia intero, è il contesto che lo decide per ciascuno di noi, l'insieme dei rapporti, degli usi e dei modi di fare che insieme già tutti pubblicamente condividiamo in un determinato luogo e tempo. Per esempio "Italia" (come Eurasia o qualsiasi denominazione geografica) può sembrare solo un nome del tutto arbitrario per una certa regione del globo terrestre, che qualcuno ha scelto di chiamare così potendola chiamare anche diversamente (Enotria, Esperia ...), ma sappiamo che così non è, perché il significato di quel nome non è per nulla arbitrario, ma il frutto di secoli di storia in cui è presente qualcosa che nonostante tutto accomuna in modo simbolico astratto e che quel nome indica. Non è in origine "solo un'espressione geografica", come diceva Metternich, anche se certamente può diventarlo, ossia il simbolo può perdere ogni significato e diventare solo un segno che non significa più nulla e quindi a piacere tutto e il contrario di tutto, ma non il contrario.  
Chiunque può trovare (non inventare dal nulla) una definizione, ma in realtà non è lui che la trova, è il contesto che gli sta attorno che sempre gliela suggerisce e gliela impone anche nella sua novità e questo è il motivo per cui, anche se sembra che nulla te lo impedisca, non potrai mai chiamare se non per insignificante vezzo una cosa in altro modo (e anche questo solo richiamandoti al modo o ai modi con cui la si chiama e la si conosce), finché il contesto non ammette questo altro modo che è un altro modo di significare e quindi di apparire.
CitazioneNon sostengo che scegliamo a caso (ma invece secondo i più svariati motivi teorici e/o pratici) come considerare le cose e come designarle con concetti indicati da simboli verbali arbitrari (cosa considerare parte e cosa considerare intero).
Sostengo invece che queste scelte sono arbitrarie, le facciamo ad libitum, che le decidiamo noi e non "il contesto" (il contesto oggettivo ne determina casomai l' imporsi in pratica di alune piuttosto che talaltre).
E naturalmente, essendo animali sociali generalmente ("di regola") concordiamo e condividiamo queste scelte con gli altri; e ovviamente nella storia i concetti tendono ad assumere e in molti casi assumono significati più o meno complessi e "stratificati" (anche mutandoli, almeno in parte).
M ma questo non mi imedische, per esempio, di stabilire del tutto  lecitamente e sensatamente il concetto (fra l' altro dotato di una denotazione reale) di "Asiafrica". Le caratteristiche del contesto oggettivo potranno impedire che si affermi in un ambiente sociale, culturale, non destituirlo di significato e correttezza (men che meno di denotazione).
#3245
Citazione di: maral il 10 Ottobre 2016, 14:28:58 PM
Citazione di: sgiombo il 06 Ottobre 2016, 08:09:19 AM
Forse tu no, ma le comunità dei parlanti sì: così é nato il linguaggio e si evolvono le lingue (o credi che le abbia insegnate una qualche divinità o che le cose stesse abbiano detto: "chiamatemi "così" e non "cosà"?).
Forse una qualche mitologica comunità di parlanti, perché che io sappia non vi è nessuna traccia di una comunità i cui membri, senza avere alcun linguaggio, si mettano a inventarne uno convenzionando su di esso.

CitazioneOvvio: non vi é alcuna traccia dell' inizio del linguaggio, comunque sia avvenuto!
Ma di fatto il linguaggio é un insieme di arbitrari e convenzionalmente accettati simboli verbali e delle regole grammaticali e sintattiche del loro impiego.


CitazioneAppunto: dire che le cose reali esistono é un fatto, mentre l' esistenza reale delle cose é un altro, ben diverso fatto (e spessissimo si dà l' uno e non l' altro o viceversa)!
E come fanno le cose reali a esistere se la loro esistenza reale non ha luogo?
CitazioneInfatti non ho scritto: L' avere luogo delle cose reali é un fatto, mentre l' esistenza reale delle cose é un altro, ben diverso fatto (e spessissimo si dà l' uno e non l' altro o viceversa)!
Bensì:  
dire che le cose reali esistono é un fatto, mentre l' esistenza reale delle cose é un altro, ben diverso fatto (e spessissimo si dà l' uno e non l' altro o viceversa)!

L' affermazione che mi attribuisci e quella che ho effettivamente sostenuto mi sembrano completamente diverse!

Non so più come cercare di fartelo capire: un fatto è l' esistere delle cose (enti ed eventi) reali, cioè l' "avere luogo" delle loro esistenze (del loro accadere) nella realtà, un' altro ben diverso (eventuale) fatto è il pensare, il dire, il considerare teoricamente le cose (reali o meno): l' uno di questi due generi completamente diversi di fatti può accadere insieme all' altro (dicesi "conoscenza vera"), ma può anche benissimo accadere e di fatto accade anche senza che accada l' altro: se tu non cogli questa enorme differenza è inutile continuare a discutere: continua pure a considerare assurde farneticazioni quanto io sostengo perché non c' è modo da parte mia di farti comprendere che non lo sono.

CitazioneCECI N' EST PAS UNE PIPE
Certo, l'immagine di una pipa non è una pipa, esattamente come il termine "pipa" non è la cosa che quel termine indica, è solo il suo segno. Questo però non significa che quel segno possiamo decidere di cambiarlo quando e come ci pare, né inventarcelo dal nulla di punto in bianco. Nel momento in cui la cosa si presenta si presenta in un significato (e non in tutti i significati) che gli è proprio e quel significato è tradotto da un nome e proprio in quel nome (che non è la cosa) appare in oggetto l'accadere di quella cosa.  
Che ci siano montagne in luoghi mai visitati dall'uomo fa parte del significato che l'uomo (e solo l'uomo) dà al termine "montagna", proprio come che non ci possano essere ippogrifi fa parte del significato che l'uomo dà al termine "ippogrifo", ove "l'uomo", in entrambi i casi, non è né questo né quell'uomo, ma la comunità umana nelle condizioni storiche, tecniche e culturali da cui si trova espressa e in cui realmente accade solo ciò che in quel contesto di significati può apparire.
CitazioneNon ho mai visto e sentito una pipa dire a chichessia (o apparire dicendo a chichessia): <<mi raccomando, chiamami "pipa", perché se invece mi chiamassi -che ne so- "apip" mi offenderei tantissimo e renderei disgustoso il tabacco che fumerai usandomi>>.

Le cose si presentano ai nostri sensi nel loro accadere e non nel (l' accadere e inoltre) significare alcunché, a meno che non si tratti di un peculiarissimo genere di cose che sono i simboli, arbitrariamente e convenzionalmente dotati di significato da parte degli uomini.

Casomai l' uomo da un significato "a montagne mai viste" nel pensare, nel sapere (da parte per l' appunto dell' uomo) che quelle montagne esistono, ma questo significato non l' ha l' esistenza reale di quelle montagne, che semplicemente accadrebbe (e basta) anche se nessuno lo pensasse.
Ma se non esistono ippogrifi come cose reali indipendentemente dal pensarli, allora non è vera la tua affermazione "Secondo me la cosa e la parola restano proprio come due facce della stessa medaglia, diverse, ma inseparabili in un determinato contesto che non siamo comunque noi a scegliere e che può sempre cambiare": la parola "ippogrifo" non ha un' "altra faccia della medaglia" costituita da alcun ippogrifo reale (una cosa ippogrifo: faccia "B"), oltre al pensiero dell' ippogrifo (faccia "A").

Ma continuare a ripetere sempre le stesse cose non mi sembra utile né tantomeno dilettevole, quindi stavolta mi asterrò davvero dal replicare dato che da almeno quattro o cinque volte sia tu che io non facciamo che ripetere sempre inutilmente le stesse affermazioni (ovvio che in questo caso chi tace non acconsente).
#3246
Citazione di: paul11 il 10 Ottobre 2016, 16:04:30 PM

E' chiaro che un oggetto fisico lo si può spezzettare fino all'atomo(fermiamoci al'atomo per non andare oltre, quark,ecc), ma deve essere riconoscibile come parte di un'unità definita e quindi limita quello spezzettamento. Deve essere salvaguardata la relazione che lega la parte all'unità.

E'chiaro che fisicamente non posso frazionare un concetto, ma posso analizzarne le parti che lo costituiscono ma ribadisco deve essere relazionata la parte e l'unità di "quel" concetto.
Ad esempio, l'articolo "la" posso inserirlo in una miriadi di frasi che indicano un concetto che si vuol esprimere .Può appartenere quindi come parte linguistica in tutti i domini da descrivere, ma se lo limito dentro un concetto, quel concetto non può perdere di senso e significato se  tolgo quel "la" dalla frase.

Sei legato all'utilità e funzionalità e va bene, ma a mio parere la conoscenza se è limitata  a questo ambito  del pensiero relato solo al dominio fisico-materiale,non è conoscenza o meglio è parziale conoscenza.
Il pensiero diviene conoscenza se riesce a concatenare in un'unità di senso le diversi parti di conoscenza.

Più che arbitrarietà direi un non senso ,in quanto non concatena, una conoscenza che è priva dei legami delle parti. E' una catena di senso in cui ogni anello della catena che costruisce la concatenazione è legato al precedente,quindi relazionato, e potrebbe anche inizare dalle tue considerazioni di realtà fisica e di utilità e funzionalità che non nego, ma  personalmente non mi bastano a costruire una conoscenza.

Capisco il tuo punto di vista, ma devi tener presente che il tuo stesso pensiero, il tuo stesso linguaggio, che poi è quello che ci accomuna in una "convenzione" che può essere naturale o specialistica, fino al formale, è già oltre quella realtà fisica che osserviamo, appartiene ad un altro dominio che non è il naturale fisico-materiale  anche se ci servisse solamente per descriverlo e conoscerlo.
Penso che al fondo del tuo pensiero tu alluda principalmente al fatto che a prescindere da noi umani, là fuori c'è un mondo che "vive" che esiste in sè, e l'uomo non può alterare quel mondo con il suo pensiero, ma deve sempre riconoscerlo.
Sono d'accordo, infatti per me la conoscenza quando va "oltre" il dominio naturale deve rispettarne la logica, ma questa stessa logica deve e può essere utilizzata anche nel dominio del pensiero speculativo, quando il pensiero riflette se stesso ed è già oltre il dominio del fisico-materiale.
Penso che l'uomo ,nel momento in cui viene in contatto come essere che esiste nella realtà fisica, in qualche modo lo trascenda(non prendere questo termine come spirituale in questa discussione),
Vuol dire che porta la realtà fisica in una rappresentazione del pensiero attraverso concetti, simboli, psiche, emotività e anche spiritualità.Ma non deve separare dicotomicamente i domini e quindi analizzare in forma diversa, ma concatenare l'unità in un senso logico,Diversamente allora sorgerebbe quell'arbitrarietà per cui la filosfia diverrebbe fantasia.

CitazioneNon trovo interessante (e ovviamente mi guardo bene dal pretendere che non lo trovino nemmeno gli altri) cercare di capire il perché quei simboli e non altri sono stati scelti; i motivi possono essere i più disparati e contingenti.
Se affermando che che "il legame fra oggetto materiale e un simbolo scelto, comunque trascende l'aspetto materiale, lo astrae dal suo dominio originario per portarlo in un altro" intendi dire che una cosa è la parola (simbolo verbale), un' altra ben diversa cosa è l' oggetto (ente o evento) che la parola significa, (connota e denota se reale o solo connota se immaginario) sono d' accordo.
 
Non esistono limiti alla considerazione (teorica, nel pensiero) di parti sempre più piccole delle cose: può darsi (ma non ci giurerei: è già stato fatto erroneamente per gli atomi e per le particelle subatomiche!) che la scienza dimostri che i quark non sono fisicamente divisibili, ma il pensiero può comunque sempre considerare correttamente "parti di quark" di qual si voglia "piccolezza", illimitatamente.
 
Concordo (è appunto quanto ho sempre sostenuto da parte mia) che non si può frazionare spazialmente un concetto: analizzarlo è certamente possibile, ma è un' altra cosa.
 
Non sono particolarmente "legato all' utilità e funzionalità" (se non per lo stretto indispensabile per vivere e vivere discretamente bene): sono un filosofo, e ciò che più cerco come scopo nella vita è la conoscenza!
Che "la conoscenza se è limitata a questo ambito del pensiero relato solo al dominio fisico-materiale, [omissis] è parziale conoscenza" è un' obiezione che potrai rivolgere a qualcun altro, ma -accidenti!- non certo a me!
Lostesso dicasi per "una conoscenza che è priva dei legami delle parti (a-ri-accidenti!).
Direi quindi che "il mio punto di vista" non l' hai capito per nulla!
(Sarò magari io che non mi so spiegare ma è proprio così).
Se leggi i miei inutili, disperati tentativi di dialogo con Maral ci trovi dozzine di volte l' affermazione che enti ed eventi reali (indipendentemente dall' essere eventualmente anche pensati o meno) da una parte e pensieri di enti ed eventi (reali o meno) dall' altra sono due "generi di cose" completamente diversi: se intendi questo (altro significato non riesco a dare alle tue parole) dicendo che pensiero e linguaggio sono "già oltre quella realtà fisica che osserviamo", appartengono "ad un altro dominio che non è il naturale fisico-materiale anche se ci servisse solamente per descriverlo e conoscerlo", allora sfondi una porta non aperta, ma apertissima, spalancatissima!
 
Invece pensando (a proposito di me): "al fondo del tuo pensiero tu alluda principalmente al fatto che a prescindere da noi umani, là fuori c'è un mondo che "vive" che esiste in sè, e l'uomo non può alterare quel mondo con il suo pensiero, ma deve sempre riconoscerlo" pensi bene: qui mi hai capito perfettamente.
E mi compiaccio del tuo accordo.
Concordo anche che la logica serve per pensare e conoscere il pensiero, oltre che la realtà in generale (ma almeno per questa serve anche l' esperienza sensibile).
Per me l' uomo che consce la natura può "trascenderla" solo nel senso che è altra cosa da essa, non certo nel senso che ne è assolutamente separato, irrelato, che non é in rapporto con essa.
Per me conoscenza è predicazione dell' accadere del reale così come il reale accade; e questo vale per la "res cogitans" come per la "res extensa"; ma conoscere è anche distinguere ciò che non è uniforme nella realtà.
#3247
Citazione di: maral il 10 Ottobre 2016, 12:25:41 PM
Citazione di: sgiombo il 09 Ottobre 2016, 22:20:48 PM
Però il tutto, la totalità della realtà (come che sia) mi sembra concretamente esistente e non una pura astrazione mentale, dato che contrariamente al punto geometrico (come è inteso nell' ambito della geometria euclidea e non della realtà fisica) è reale indipendentemente dal fatto che lo si pensi o meno (così come un tratto di spazio fisico reale -non: geometrico- infinitamente piccolo; anzi: infiniti di questi).

Ma come si potrebbero confondere fra loro un punto geometrico e tutto ciò che è reale (compreso il pensiero de il punto geometrico)?
La totalità (tutto quello che c'è) è definibile solo in senso astratto in quanto non è possibile pensarla concretamente (ossia andando a definirne gli elementi). Non è possibile in due sensi: il primo è che non possiamo definirla per sottrazione di quello che non c'è, dato che qualsiasi cosa di cui diciamo che non c'è ha pur tuttavia un suo modo di esserci e in questo modo c'è, fa parte della realtà; il secondo è che non possiamo definirla nemmeno per addizione, ossia nominando tutti gli enti che ci sono, non tanto in quanto questi enti sarebbero un numero molto grande, ma che potremmo concepire finito, quanto perché via via che li andiamo numerando essi crescono in virtù della loro stessa numerazione (E' come per la diagonalizzazione con cui Cantor dimostra che i numeri reali sono sempre di più dei numeri naturali: ci sarà un insieme di tutti i numeri naturali, ma non si potrà mai dire quanti e quali sono nella loro totalità, ce ne è sempre almeno uno in più ancora da individuare e contare). Se la totalità che costituisce l'insieme di tutti gli insiemi è concretamente indefinibile è un principio formale astratto quanto quello di punto inteso come intero primario non ulteriormente suddivisibile in parti. Questi elementi primari (i mattoni che permettono di costruire il reale e i suoi significati) infatti sono sempre stati cercati e mai trovati, siano essi le particelle subatomiche o le proposizioni elementari del linguaggio.  
CitazioneCiò che non c'è non ha alcun modo di esserci (realmente): ha eventualmente qualche modo di essere (realmente) pensato; e con i concetti non si costruisce la realtà, ma casomai la conoscenza della realtà (a questo proposito non replicherò, né in questa discussione né in quella su Conoscenza e critica della conoscenza, con ulteriori ripetizioni da parte mia ad ulteriori ripetizioni da parte tua; col che, chi tacesse, in questo caso non acconsentirebbe).

Concordo invece che la totalità del reale non è pensabile particolareggiatamente ma solo indefinitamente.

#3248
Citazione di: Apeiron il 10 Ottobre 2016, 10:14:03 AM
Citazione di: sgiombo il 09 Ottobre 2016, 22:20:48 PM
CitazioneAd Apeiron: Mi sembra che secondo la tua definizione di "ente assolutamente reale/perfetto" tale possa dirsi unicamente Dio; nemmeno l' "anima", almeno se creata da Dio, sarebbe tale, ma solo se eternamente esistente e trapassante di corpo in corpo per metempsicosi. Non capisco in che senso in assenza di anima (immortale e interagente con il corpo alla maniera in cui la intendeva Cartesio, mi par di capire) si può dire che la nostra identità sia in parte "illusoria". Normalmente si ritiene che l' essere contingente e mortale (di durata temporale finita) sia compatibilissimo con l' essere reale. Per esempio un cavallo, che poteva non essere nato se l' allevatore non avesse predisposto la fecondazione, naturale o artificiale, della femmina da parte di un maschio (contingente) e che viva ad esempio per quindici anni, è correntemente ritenuto interamente "reale", mentre un immaginario ippogrifo che in un mito o in un poema sia inteso come sempre necessariamente esistente, innato e immortale (per un qualche motivo inerente il mito o il poema) sarebbe correntemente ritenuto interamente "illusorio"..[/color]

Allora per me in effetti l'unico ente veramente reale è l'Assoluto (es: Dio, Atman/Brahman indù, Deus sive Natura di Spinoza, Apeiron di Anassimandro, il Dio-Tutto di Eraclito, l'Essere di Parmenide, il Tao e il Nirvana/Nibbana buddista - se ci fai caso sono tutti enti indipendenti e non condizionati dal divenire). Detto questo l'anima del cristianesimo non è "totalmente" reale perchè appunto diventa eterna solo dopo "la grazia" divina. L'atman induista lo è invece.

Nel tuo esempio del cavallo. Il cavallo non è "assolutamente reale", tuttavia lo è ma di un grado inferiore. Perciò non è nè illusorio nè reale. Non è illusorio perchè appunto esiste ma non è reale - non ha un'identità ben definita - perchè appunto dipende da condizioni per la sua esistenza. L'ippogrifo se esistesse realmente allora sarebbe, se vogliamo un assoluto se la sua esistenza non dipende da altro. Tuttavia l'ippogrifo come mito è ancora meno reale del cavallo, perchè appunto esiste solo in quanto parte del mito, il quale esiste solo perchè lo abbiamo inventato noi ecc.
CitazioneMi sembra una buona traduzione dei concetti che impieghi (per me alquanto originali e tuoi personali -in linguaggio corrente un cavallo esistente é reale al 100% anche se contingente e morituro- ma con queste spiegazione comprensibili).
#3249
Citazione di: Sariputra il 10 Ottobre 2016, 09:22:06 AM
Oggi su Repubblica online viene riportata la notizia di una giovane, maga dell'informatica, che  avendo perso l'amato, ne ha utilizzato tutti i "frammenti" digitali (foto, filmati, registrazioni,ecc.) per crearne un alter-ego virtuale con apposito algoritmo con cui interagire e , presumo, continuare ad amare ( e a litigare... ;D ). Questo fatto mi ha indotto a riflettere sulla probabilità, con l'avanzare della conoscenza informatica, che un domani nemmeno molto distante, ci costruiremo tutti i nostri cari digitali con cui continuare a vivere insieme anche dopo la loro dipartita fisica. La perdita di ciò che si ama non sarà più così terribile perché, in un certo senso, continueranno a vivere con noi. Con l'avvento poi anche di corpi automatizzati ( di cui abbiamo già visto i primi minacciosi prototipi), sarà un gioco da ragazzi innestare in questi corpi  la personalità virtuale di nostro marito, di nostra moglie o più probabilmente del nostro amante, con cui passeggiar teneramente per le vie del centro. L'amato virtuale poi, sarà sicuramente dotato di carte di credito inglobate ( così da non dover sempre aver a che fare con il rischio attuale di perderle...) e di altre funzionalità ( tipo gli occhi a pila per trovare la serratura della porta di casa , nelle sere buie e tempestose. Ci saranno poi le varie funzionalità "sessuali" per il sollazzo e per il sollievo dall'amara "perdita" fisica.
Tutto quessto cosa c'entra con il principio di arbitrarietà mereologica?
Ecco cosa c'entra...mi son chiesto...ma questo alter-ego è un ente dotato di identità propria , oppure no? La risposta , per come riesco a concepirla personalmente, è no ( ma io, come sapete, ritengo convenzionale pure l'identità "naturale"). Coloro però che concepiscono l'universo come un tutto popolato da enti, o essenze, come si relazioneranno concettualmente con questi nuovi "enti" virtuali?
Se li abbiamo creati noi, e dipendono dall'energia che vorremo dargli, si possono definire come enti? Eppure, in certo qual modo, ragionano e agiscono, probabilmente anche con un certo grado di autonomia. Avranno sicuramente un'intelligenza molto superiore, che so...di un criceto o di una tartaruga. Avranno un corpo, un'intelligenza autonoma e agiranno di conseguenza. Basta affibbiargli un nome e avremo una "persona" o una "personalità", seppur virtuale ( ma neanche tanto visto che occuperanno uno spazio e un tempo...). Mi spingo oltre, estremizzando il concetto...avranno un'intelligenza e un'autonomia sicuramente superiore a quella della povera "Adriana", di cui ho parlato nella discussione "La nave di Teseo".
Questo dilemma, almeno per me, dimostra l'arbitrarietà di assegnare il concetto di entità, di personalità e di identità.
Sono d'accordo con Sgiombo che, se vogliamo trovare il concetto di "ente perfetto", dobbiamo necessariamente  concepirlo com viene convenzionalmente definito Dio. L'universo, non avendo ancora rinvenuto l'ente perfetto, si dovrebbe considerare popolato da enti imperfetti ( entità in divenire) ma questo risulta contradditorio perchè un'essenza che si trasforma non è più un'essenza, almeno come viene convenzionalmente designata.

P.S. Non è neppur sicuro che si trovi meno soddisfazione nell'amato virtuale che non in quello "reale", anzi...basta caricar la batteria bene!  ;D
CitazionePenso che una riproduzione "virtuale" dei nostri cari estinti non possa costituire altro che un modesto sollievo o una consolazione al dolore della loro perdita (non molto diverso da una fotografia o uno scritto o un oggetto che ci abbiano lasciato).
Non é di certo un modo per continuare a farli esistere.

Un "alter ego" artificiale, robotico (ammesso e non concesso che sia effettivamente realizzabile di fatto) sarebbe altrettanto altra cosa dalla persona reale che una sua statua (la quale pure occupa uno spazio e un tempo): né più né meno.

Ma non credo ci sia bisogno di questi argomenti per rendersi conto dell' arbitrarietà con la quale si possono distinguere dal tutto enti ed eventi "parziali". 
#3250
Citazione di: Sariputra il 10 Ottobre 2016, 09:22:06 AM

P.S. Non è neppur sicuro che si trovi meno soddisfazione nell'amato virtuale che non in quello "reale", anzi...basta caricar la batteria bene!  ;D
E poi si può sempre decidere di non litigare (o fose é meglio di non litigare troppo, che un po' di sale anche nei migliori dolci bisogna mettercelo...).

Al resto dell' intervento risponderò eventualmente più tardi o domani.

Ciao!
#3251
CitazioneAd Apeiron:

Mi sembra che secondo la tua definizione di "ente assolutamente reale/perfetto" tale possa dirsi unicamente Dio; nemmeno l' "anima", almeno se creata da Dio, sarebbe tale, ma solo se eternamente esistente e trapassante di corpo in corpo per metempsicosi.

Non capisco in che senso in assenza di anima (immortale e interagente con il corpo alla maniera in cui la intendeva Cartesio, mi par di capire) si può dire che la nostra identità sia in parte "illusoria".
Normalmente si ritiene che l' essere contingente e mortale (di durata temporale finita) sia compatibilissimo con l' essere reale. Per esempio un cavallo, che poteva non essere nato se l' allevatore non avesse predisposto la fecondazione, naturale o artificiale, della femmina da parte di un maschio (contingente) e che viva ad esempio per quindici anni, è correntemente ritenuto interamente "reale", mentre un immaginario ippogrifo che in un mito o in un poema sia inteso come sempre necessariamente esistente, innato e immortale (per un qualche motivo inerente il mito o il poema) sarebbe correntemente ritenuto interamente "illusorio".


A Maral:


Concordo che Parte e intero (di cui quella parte è parte) sono concetti che fanno parte del processo linguistico cognitivo dell'osservatore e sono concetti che si implicano strettamente tra loro: non vi può essere parte se non vi è un intero sulla base del quale essa è intesa come parte, né può esservi intero che possa essere inteso se non come somma e prodotto delle sue parti, comprese le relazioni che legano le sue parti tra loro e ogni parte all'intero, a meno che non si tratti di un intero elementare e senza parti, come un punto geometrico, una pura astrazione. Ogni intero, oltre a essere infinitamente suddivisibile, può essere senza limite considerato parte di interi che lo inglobano come loro parte, definendo unità composite di ordine superiore al cui vertice ipotetico concettuale ci sta l'intero di tutti gli interi: il Tutto ontologico.
Però il tutto, la totalità della realtà (come che sia) mi sembra concretamente esistente e non una pura astrazione mentale, dato che contrariamente al punto geometrico (come è inteso nell' ambito della geometria euclidea e non della realtà fisica) è reale indipendentemente dal fatto che lo si pensi o meno (così come un tratto di spazio fisico reale -non: geometrico- infinitamente piccolo; anzi: infiniti di questi).

Ma come si potrebbero confondere fra loro un punto geometrico e tutto ciò che è reale (compreso il pensiero de il punto geometrico)?

Concordo che è "l' osservatore" (o meglio, secondo me il "pensatore", colui che li prende in considerazione) a stabilire che cosa è un certo determinato "tutto" e che cosa ne sono certe determinate "parti", e che dunque una tale distinzione non è oggettiva, propria della realtà ma soggettiva, posta (considerata) dal pensiero.
Però mi sembra innegabile che questa distinzione derivi da un'arbitraria decisione di intenderli così, che potrebbe benissimo essere diversa, basta mettersi d'accordo con tanta buona volontà per considerare nel mondo ogni "intero" e "parte" che si vuole.
Creatore di definizione può in teoria essere chiunque (nessuno mi impedisce di definire, se così mi pare, "sistema alpinappenninico" quell' insieme di rilievi montuosi che vanno ininterrottamente dall' Aspromonte "fin quasi a Vienna" o "Asiafrica" -così come altri considerano l' "Eurasia"- l' insieme dei continenti asiatico e africano), anche se le definizioni per essere socialmente rilevanti devono ovviamente essere pubblicamente condivise (ma non per questo sono meno arbitrarie e convenzionali; anzi, convenzionali lo sono senz' altro di più delle mie due suddette personalissime definizioni, che ho stabilito sui due piedi e non ho convenuto con nessuno).
La definizione di "nave", oltre a dirci qualcosa (molto o poco? Valutazione soggettiva e arbitraria) del contesto sociale in cui è formulata e usata (per esempio che non si tratta di una comunità chiusa vivente in una zona montuosa con corsi d' acqua troppo piccoli e impervi per essere navigati), ci dice anche qualcos' altro (molto o poco? Valutazione altrettanto soggettiva e arbitraria) della realtà oggettiva delle cose (per esempio che tale oggetto può essere usato per navigare e trasportare merci non troppo pesanti e ingombranti su specchi d' acqua abbastanza ampi e profondi e non troppo agitati).
Che poi i nostri giudizi e le nostre conoscenze siano sempre limitati e imperfetti e non possano mai esaurire integralmente e assolutamente le cose cui si riferiscono (se è questo che intendi dire) sono perfettamente d' accordo.
#3252
Citazione di: paul11 il 09 Ottobre 2016, 01:13:05 AM
Sgiombo,

se entrambi osserviamo la stessa foglia nello stesso tempo e luogo, e ci limitiamo ad una sua descrizione fisico materiale, sono solo i nostri sensi che decidono linguisticamente l'osservazione, per cui il nostro pensiero +/-
collima. Ma se ognuno di noi due pensa alla foglia astrattamente, senza necessariamente essere nella condizione dell'esempio precedente, a me possono venire in mente una miriade di tipologie di foglie, come penso a te.
Ma ancora quella foglia può acquisire una simbologia.
Più ci allontaniamo dalla condizione del primo esempio e più quella foglia diventa rappresentazione che trascende la condizione fisica di quella foglia.



CitazioneSe ho ben capito intendi dire che ad esempio una foglia d' acero oltre ad essere una foglia d' acero é anche il simbolo del Canada (per chi lo sa, e dunque può pensarlo) e la foglia d' edera, oltre ad essere una foglia d' edera era anche il simbolo del (credo) fu Partito Repubblicano Italiano, con gli stessi limiti e alle stesse condizioni; e un aquila oltre a essere un' aquila é il simbolo dell Moto Guzzi e un leone oltre ad essere un leone é il simbolo della Benelli, ecc.

Bene; se é così sono d' accordo.


La mereologia tratta delle parti e del tutto. Non è vero che debbano essere necessariamente oggetti fisici, possono essere parti proposizionali ed essere quindi oggetto di analisi di logica  formale, oppure  ad esempio un articolo, un aggettivo, una preposizione nella grammatica o possono essere enti metafisici.

CitazioneAnche qui concordo: la mereologia é talmente arbitraria da poter "mescolare" enti ed eventi e "pezzi di enti ed eventi" (fenomenici) esteriori-materiali e/o interiori-mentali ad libitum.

Ma a differenza dei secondi (e di quelli auditivi, gustativi e olfattivi fra i primi , cioé quelli caratterizzati da qualità "secondarie"), i primi (e in particolare quelli visivi e tattili: grosso modo quelli caratterizzabili -per lo meno anche- dalle qualità "primarie") sono anche sensatamente "spezzettabili" nello spazio, oltre che nel tempo, (e poi "riassemblabili" fra loro e con qualsiasi cosa d' altro) ad libitum: si può considerare qualsivoglia pezzetto di un sasso, di un cavallo o di un albero senza limiti di "spezzettamento" (proseguendo, se si vuole, all' infinito nel considerarne parti sempre più piccole), mentre un sentimento o una credenza o anche solo il pensiero di un concetto si possono spezzettare ad libitum (e all' infinito) nel tempo (grazie alla sincronia con eventi esteriori-materiali!) per poi eventualmente "riassemblarli" con "di tutto e di più", ma non invece nello spazio, ovvero in ogni istante di tempo (quale sarebbe la metà o un terzo o i 7/495 di un concetto, di una credenza o di un sentimento?).


.....adesso alzo il livello di difficoltà, così sarò "incomprensivo".
Prima di tutto è vero Sgiombo che le mereologia può aiutare ad affrontare la problematica della discussione "la nave di Teseo", poichè ponendo  in relazione le parti con l'intero richiama la regola dell'identità e in più l'implicazione in quanto una parte è all'interno di un complesso e dall'insiemistica l'inclusione, in quanto una proprietà è l'insieme di particolari che la istanziano...........
Può una parte sussistere senza l'interò? Può una foglia  o una gamba vivere senza una pianta o una persona;
può l'alberatura o la velatura della nave essere da sole definita nave?.............

CitazioneQui secondo me bisogna distinguere le questioni "di diritto" o teoriche da quelle "di fatto" o reali.
 
Ho affermato l' arbitrarietà di qualsiasi considerazione mereologica (suddivisione e/o "assemblaggio") di enti ed eventi nello spazio e nel tempo (salvo quelli mentali e fra i materiali quelli caratterizzati da qualità secondarie per quel che riguarda lo spazio) da un punto di vista teorico, della pensabilità (della possibile esistenza reale di concetti, di enti ed eventi tali -reali- unicamente in quanto pensati), cioè del pensiero sulla realtà o meno, e non della realtà quale è o accade anche indipendentemente dal suo essere o meno eventualmente pure oggetto di considerazione teorica.
  .
Ma ho anche scritto che di fatto in pratica le infinite possibili "definizioni mereologice" di enti ed eventi differiscono fra loro per quanto riguarda l' "utilità pratica" e anche l' "applicabiltà o fecondità teorica", se così la vogliamo chiamare:
Ciò che "fa la differenza", per così dire, fra le diverse partizioni in cui il pensiero può "ritagliare" la realtà nelle sue considerazioni è unicamente l' efficacia di fatto che tali "ritagli" possono avere o meno nella conoscenza (eventualmente anche scientifica, oltre che "episodica" o "aneddottica") della realtà stessa e conseguentemente l' efficacia della loro utilizzabilità pratica nel perseguimento di scopi (ovviamente realistici): l' oggetto lecitissimamente considerabile "Napoleone Bonaparte dall' età di tre anni a quella di 12 anni e dall' età di 27 anni a quella di 31 anni unitamente alla gamba sinistra di Giulio Cesare dall' età di 7 anni a 38 anni, unitamente al monte Cervino dal 7429 a. C. al 9555 d, C., alla mia moto dal 2011 al 2117, e unitamente all' Unione Sovietica dal 1929 al 1967" non serve proprio a nulla, teoricamente e praticamente, al contrario dell' oggetto "sistema solare negli ultimi 500 000 anni" o all' oggetto "specie biologica 'felis catus' " o all' oggetto "pendolo galileiano", ecc.
Come dire che, al di là della totale arbitrarietà mereologica propria del pensiero (circa la realtà o meno), esistono delle "linee di faglia naturali" (o "generi naturali") che non essendo proprie del pensiero circa la realtà o meno ma invece della realtà quale è/diviene, anche indipendentemente dal suo essere o meno eventualmente pure oggetto di considerazione teorica o pensiero, non possono per nulla essere arbitrariamente scelte o stabilite ad libitum.
 
Sempre più mi convinco, anche in seguito alle discussioni nel forum su La nave di Teseo e su Conoscenza e critica della conoscenza, che la "questione critica" o "fondamentale", il "punto archimedico", per così dire, della filosofia (per lo meno dell' ontologia e della gnoseologia) è proprio questo: quello della distinzione o differenza fra realtà quale è o accade anche indipendentemente dal suo essere o meno eventualmente pure oggetto di considerazione teorica da una parte, e dall' altra considerazione teorica o pensiero della realtà o meno (nozioni, concetti, predicati, oggetti di immaginazione fantastica, di desiderio -positivo o negativo- di aspettativa, di speranza, di timore, ecc.), i cui "oggetti" o "contenuti", se tutto ciò accade, sono necessariamente reali di per sé solo e unicamente in quanto tali (oggetti di considerazione teorica) e non necessariamente "come enti ed eventi quali sono o accadono anche indipendentemente dal loro essere o meno eventualmente pure oggetto di considerazione teorica.

Fra gli enti ed eventi reali ve ne sono di peculiarissimi, la cui distinzione dagli altri per così dire "generici" è fondamentale (per la conoscenza e indirettamente per l' azione razionalmente fondata), e cioè gli enti ed eventi "teorici", che oltre ad essere reali in sé (come tutti gli altri, se accadono) "alludono a", per così dire, o per far contenti i seguaci della fenomenologia si potrebbe anche dire "intenzionano", la realtà o meno di altro da sé (e confondere le due ben diverse cose è sempre e comunque "peccato mortalissimo" in filosofia, e spesso anche generalmente nella vita).
#3253
Presentazione nuovi iscritti / Re:Presentazione
08 Ottobre 2016, 15:24:21 PM
Benvenuto!!

Personalmente (come vedo anche CVC) ho apprezzato molto il tuo atteggiamento verso la vita"da filosofo" (non necessariamente da professore di filosofia, anche se ti auguro di cuore di diventarlo, poiché lo vuoi), così come appare dal tuo intervento nella discussione "Perché fare filosofia?".
#3254
Ho letto l' ultimo intervento di Davintro nella discussione sull' identità (la nave di Teseo) e concordando con gran parte di quello che vi afferma, in particolare nella prima parte (salvo l' uso dei termini "spirituale" e "spiritualità" che mi suonano un po' ambigui (preferisco "mentale" e "coscienza" o "coscienzialità"):

"Coscienza, pensiero volontà, sensazioni...  possono essere considerate come "parti" dello spirito solo in senso metaforico, figurato, non reale. Il concetto di parte ha un senso reale solo se si parla del piano materiale, il piano nel quale qualcosa occupa uno spazio ed occupandolo esclude l'occupazione dello spazio ad un'altra cosa, producendo una separazione che fà sì che l'unità materiale sia sempre un'unità esteriore e fittizia. Pensiero, volontà ecc. sono diverse forme di espressioni della spiritualità, non sono propriamente "parti", non seguono il principio fisico, dell'impenetrabilità dei corpi, ma sono nel complesso della vita interiore della persona costantemente intrecciati, reciprocamente condizionati, tra loro vi è una compenetrazione, e questa compenetrazione è il segno della tendenza all'unità data dalla nostra componente spirituale".

Forse avrei fatto meglio a inserire in quella discussione le mie considerazioni sull' arbitrarietà degli enti ed eventi considerabili e delle possibili partizioni teoriche della realtà (considerabili nel pensiero su di essa).
In particolare quanto qui affermato da Davintro (che ringrazio) mi impone una correzione o integrazione a ciò che ho affermato a mia volta in quest' altra discussione.

Le mie considerazioni valgono probabilmente, almeno in un senso "forte", solo per la realtà materiale - naturale (grosso modo la cartesiana "res extensa", che però per me é costituita unicamente da sensazioni, fenomeni, non é reale "in sé", indipendentemente dall' essere percepita) e non per la realtà mentale o di pensiero (la "res cogitans", da me ritenuta altrettanto meramente fenomenica): quest' ultima non essendo estesa (e misurabile) non é propriamente distinguibile in parti occupanti determinate porzioni di spazio e tempo, anche se ciò che la costituisce può comunque essere arbitrariamente distinto e/o considerato in quanto variamente aggregato in diversi possibili "assemblaggi (teorici)": se vogliamo "parti" arbitrariamente considerate, ma comunque non "spaziotemporalmente distinte" della realtà: "parti" da intendersi in un senso in larga misura diverso da quello delle "parti" del modo fisico - materiale.
Fra l' altro mentre nella res extensa possiamo considerare teoricamente enti ed eventi (oltre che arbitrariamente "assemblati" o "aggregati" in "totalità arbitrariamente grandi" o per l' appunto estese spazio-temporale) anche in quanto distinti, suddivisi in parti indefinitamente più piccole ad libitum (per esempio possiamo considerare la metà inferiore od occidentale di un sasso, i suoi 2/15, 3 /376, 1/6396, ecc. indefinitamente; e analogamente per quanto riguarda l' estensione spaziale), ciò non é possibile nella res cogitans (non é possibile considerare una parte di un sentimento o di una nozione o di una conoscenza: cos' é 1/50000000 del mio odio per la classe dirigente attuale dell' Occidente? Qualcosa di comunque sicuramente "enormissimo" -licenza poetica- ma che in realtà non ha un senso definito, é estremamente vago); al massimo ne é -forse- possibile considerare arbitrariamente suddivisa indefinitamente in diverse parti la sola durata temporale, ma unicamente grazie alla sua contemporaneità con enti ed eventi fisici-materiali; e comunque é per lo meno difficilissimo stabilire con precisione l' inizio di un sentimento o una convinzione o una conoscenza, ecc.; i sentimenti e le convinzioni o credenze fa ' altro variano di entità -o intensità- in maniera non quantificabile.

Ancor più vaga e indefinita -e dubbia- é la possibilità di un' eventuale "arbitrarietà mereologica" applicata a enti ed eventi di entrambi i tipi di fenomeni, mentali e materiali; mentre del tutto senza senso sarebbe pretendere di estenderla alla realtà in sé o noumeno (se esiste), da sola o in "pretesi assemblaggi" con enti ed eventi fenomenici materiali o mentali.
#3255
Citazione di: paul11 il 07 Ottobre 2016, 14:49:21 PM
Sgiombo,

......e adesso chiediti perchè nonstante +/- le percezioni sensitive siano identiche ognuno ha un punto di vista diverso?
perchè la prima fase è il passaggio dalla percezione della foglia fisico-materiale in immagine-astratta del pensiero, ovvero quella foglia è diventata "mentale" Ma la seconda fase è speculativa, quando il pensiero riflette se stesso, ovvero ora quell'immagine astratta della foglia ha necessità di collegarsi alle altre immagini astratte costruite attraverso l'esperienza e la speculazione filosofica.
Quindi quella foglia deve "incastrarsi" in un pregresso che è la formazione del nostro punto di vista.

CitazioneCaro Paul, devo confessare che ultimamente fatico a comprendere i tuoi interventi, e in particolare la considerazione vale per quest'  ultimo.

Cosa intendi dicendo che "nonstante +/- le percezioni sensitive siano identiche ognuno ha un punto di vista diverso"?

"Punto di vista" in senso letterale, prospettico o (come mi sembrerebbe di capire) metaforico (credenze, opinioni diverse circa le percezioni)?

Per me la percezione (-i) fiscica (-he) materiale (-i) di (costituenti) una foglia é (sono) già qualcosa di fenomenico, facente parte della coscienza, esattamente come il suo ricordo, la sua immaginazione, il concetto (particolare-concreto) di "quella foglia", mediante il quale si può pensare, eventualmete predicare, eventualmente conoscere (qualcosa circa) quella foglia.

Ovviamente il concetto di "quella foglia", nei vari soggetti che lo percepiscono e ci pensano, si trova ad essere in relazione alle diverse esperienze proprie di ciascuno di essi, che quindi potrà pensarlo diversamente (accompagnandolo con diversi altri pensieri e considerazioni) rispetto a ciascun altro.


C'è una doppia forma trascendentale: la prima dal fisico-materiale in pensiero, che può essere indagata dalla logica per capire se è un verità  in quanto giustificata(quello che fa anche la scienza contemporanea)(, ma dall'altra c'è la seconda trascendenza che va oltre la giustificazione logica del pensiero in relazione all'osservato fenomenico materiale, ed è il dominio dei sensi e significati che quelle stesse immagini astratte pongono speculativamente incastrandosi in una catena di senso , ovvero in un disegno che li comprenda, anch'essa esplorabile con la logica

CitazioneSecondo me il passaggio dalla percezione (materiale) della foglia al concetto (pensiero: percezione mentale) della foglia non ha nulla di trascendentale: accadono entrambi nell' ambito della medesima esperienza fenomenica cosciente.
E non é la logica, ma il confronto empirico con la percezione materiale (anche se pur sempre, anch' essa, "interna alla coscienza", fenomenica) che può stabilire se il predicato (mentale) dell' esistenza (reale) di tale foglia é vero o meno.
Ma non capisco che significhi che "il dominio dei sensi e significati che quelle stesse immagini astratte pongono speculativamente incastrandosi in una catena di senso , ovvero in un disegno che li comprenda" é "anch'essa esplorabile con la logica", né in che senso si tratti di una seconda "trascendenza": per me semplicemente a partire dalla percezione di quella stessa foglia si possono fare diverse considerazioni (o meno) a seconda della propria diversa esperienza.


Quì sta la la diattriba dei "punti di vista"; se la verità è  SOLO giustificabile dalla realtà materiale e fisica o se sensi e signifcazioni vadano oltre il dominio della sola materialità in un ordine superiore che comprenda lo stesso agente conoscente e l'osservato fenomenico.
Di nuovo, "ci basta il rapporto materia-pensiero, per dare sens oe signifcazione ad un disegno complessivo?"C'è chi dice sì, c'è chi dice nì e c'è chi dice no.,e lo scontro è propri osulla logic della verità giustificata, se il parametro è il mondo esterno o il disegno speculativo filosfico nell'ordine del senso e signifcati che la materialità non può esaurire.
E' altrettanto ovvio che entrambi i domini necessitano di un linguaggio, il primo che relazioni materia e pensiero e il secondo pensiero e pensiero

CitazionePer me (credo semplicemente per definizione) la verità di qualsiasi predicato circa (la percezione di) quella foglia (se si dà) consiste semplicemente nella conformità del predicato stesso (che é pensiero; fenomenico) con la realtà (della percezione; pure fenomenica) di quella foglia, quale si dà indipendentemente da tale predicato o pensiero (che "inoltre" tale predicato o pensiero accada o meno).

Che significa la domanda "ci basta il rapporto materia-pensiero, per dare senso e signifcazione ad un disegno complessivo"?
Personalmente circa i rapporti coscienza/materia (o mente/cervello) ho una concezione che chiamo "dualismo dei fenomeni, monismo del noumeno" che più volte ho illustrato nel forum, ma non comprendo in che senso "lo scontro" sarebbe "proprio sulla logica della verità giustificata, se il parametro è il mondo esterno o il disegno speculativo filosfico nell'ordine del senso e signifcati che la materialità non può esaurire".