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Messaggi - sgiombo

#3256
Citazione di: paul11 il 07 Ottobre 2016, 10:42:33 AM
Sgiombo,
rispettabilissimo il tuo punto di vista culturale, ma sfugge un passaggio fondamentale, che se sensitivamente io tocco, vedo, odoro una foglia,quella foglia non entra MATERIALMENTE dentro il mio cervello, ma sono segnali elettromagnetici che a loro volta si ricostituiscono dentro una materia che è cervello, neuroni, sinapsi ecc. e di nuovo formano un pensiero che non è materiale.
In sostanza noi abbiamo un'"immagine "della foglia ,non la sua fisicità, perchè nel cervello  non c'è quella foglia fiisica.
Adatto che quella immagine fisica della foglia adesso è pensiero,concetto relazionato ad altre miriadi di fenomeni, allora solo linguisticamente è possible descriverla.
Il problema è semmai quanto dell'immagine divenuto pensiero che è nel mio cervello corrisponda linguisticamente a quella fisicità che è là fuori dal mio cervello/mente. Quindi l'immagine è già astrazione descrivibile linguisticamente.
CitazioneLa questione di cui parli mi sembra compleamente diversa da quella da me proposta.

Anch' io credo che se tocco, vedo, odoro una foglia, quella foglia non entra MATERIALMENTE dentro il mio cervello, ma vi sono correnti di impulsi nervosi, eccitazioni o inibizioni postsinaptiche ecc. (eventi neurofisiologici determinati) nel mio cervello (visto da altri, nell' ambito delle esperienze coscienti di altri) che corrispondono a quella mia determinata esperienza fenomenica cosciente; la quale, al pari delle altre umane e forse almeno in parte di altri animali, comprende anche "res cogitans", pensieri che non sono materiali.
E i miei pensieri (esperienza fenomenica "mentale") comprendono (possono comprendere) considerazioni, pensieri, predicati, desideri, ecc. delle più svariate parti della mia esperienza fenomenica materiale del tutto arbitrariamente "ritagliabili" spaziotemporalmente in "oggetti" (enti e/o eventi) distinti dagli altri "oggetti" che con essi la mia esperienza fenomenica materiale stessa costituiscono nella sua integrità.
#3257
La lettura (ad essere sincero molto parziale e un po' distratta) della discussione sulla nave di Teseo e quella più puntuale e partecipata all' altro argomento della conoscenza e critica della conoscenza (si vede che sono allergico ai termini tecnici in inglese come "topic" o "nick name" quando esistono parole italiane che esprimono chiarissimamente ed anche piuttosto elegantemente i relativi concetti) mi hanno suggerito la considerazione che vado ad esporre sotto questo titolo alquanto pomposo di "principio di arbitrarietà mereologica" (non mi sembrava si potesse inserire con sufficiente coerenza in quelle altre due discussioni).
 
Secondo me la realtà può essere presa in considerazione teoricamente (cioè pensata, fatta oggetto di predicato -ad esempio predicata accadere realmente in un certo o in un certo altro modo-, conosciuta -cioè predicata correttamente, conformemente al suo effettivo accadere; oppure predicata falsamente, ecc.-, desiderata accadere in questo o quest' altro modo, ecc.) in quanto suddivisa in parti stabilite con assoluta arbitrarietà.
 
La realtà accade così come accade e non altrimenti indipendentemente dall' eventuale essere pensata linguisticamente (attraverso concetti di cui sia denotazione, simboleggiati da vocaboli).
Il pensiero può anche sbizzarrirsi del tutto arbitrariamente ad immaginare indefinitamente enti ed eventi non reali, ma se ambisce a conoscere la realtà (veracemente; di fatto inevitabilmente in modo solo parziale e relativo, cioè non senza qualche necessariamente ineliminabile elemento di errore e falsità "mescolato" all' eventuale verità "sostanziale" delle conoscenza; ma in linea di principio ciò varrebbe a maggior ragione nel caso di una conoscenza integrale, assoluta) deve (per definizione) descrivere la realtà stessa così come è o accade.
E dunque la conoscenza è pensiero della realtà vincolato oggettivamente alla realtà stessa e non arbitrario.
E tuttavia vincolato oggettivamente solo in modo relativo, limitato, parziale (secondo la regola generale per cui l' assoluto, la perfezione, se anche fossero reali, sarebbero comunque incompatibili con ciò che è umano, con ciò che l' uomo fa, compreso il suo conoscere: nulla di assoluto -se anche fosse- può essere oggetto di sensata considerazione umana, men che meno di conoscenza).
Il pensiero (umano; o di eventuali altri soggetti) se vuole essere conoscenza deve essere pensiero della realtà oggettiva (da esso indipendente), ma può comunque "applicarsi del tutto arbitrariamente ad essa", prendendone in considerazione elementi, insiemi di elementi, componenti, parti da esso stesso stabilite, "scelte  del tutto arbitrariamente, ad libitum".
Per esempio si può del tutto correttamente, "lecitamente" considerare l' evento costituito dall' esistenza (divenire, muoversi, mutare) del sistema solare negli ultimi 500 000 anni ("oggetto" di conoscenza comunemente considerabile piuttosto "naturale", "ragionevole", non "astruso", ma soprattutto utile a ricavare ulteriori conoscenze di tipo scientifico e ad agire praticamente con successo nel perseguimento di scopi; ovviamente realistici).
Ma si possono altrettanto "lecitamente", correttamente prendere in considerazione "oggetti" o eventi ("pezzi di realtà") ben più "astrusi", costituiti per esempio dai tre quarti settentrionali del pianeta terra negli anni dal 237 a. C. al 1729 d. C unitamente a tre galassie diverse dalla Via lattea in tre arbitrarie posizioni del cosmo dagli anni dal 7429 d. C. al 15711 d. C.; oppure da Napoleone Bonaparte dall' età di tre anni a quella di 12 anni e dall' età di 27 anni a quella di 31 anni unitamente alla gamba sinistra di Giulio Cesare dall' età di 7 anni a 38 anni, unitamente al monte Cervino dal 7429 d. C. al 9555 d. C. alla mia moto dal 2011 al 2117, unitamente all' Unione Sovietica dal 1929 al 1967, ecc., ecc. ecc.
Come può considerare ad libitum enti ed eventi "immaginari", non reali, così il pensiero altrettanto ad libitum può "ritagliare" nelle sue considerazioni la realtà oggettiva esistente-diveniente dal pensiero stesso indipendentemente (anche se non fosse pensata) in parti spaziotemporali altrettanto arbitrarie.

Ciò che "fa la differenza", per così dire, fra le diverse partizioni in cui il pensiero può "ritagliare" la realtà nelle sue considerazioni è unicamente l' efficacia di fatto che tali "ritagli" possono avere o meno nella conoscenza (eventualmente anche scientifica, oltre che "episodica" o "aneddottica") della realtà stessa e conseguentemente l' efficacia della loro utilizzabilità pratica nel perseguimento di scopi (ovviamente realistici): l' oggetto lecitissimamente considerabile "Napoleone Bonaparte dall' età di tre anni a quella di 12 anni e dall' età di 27 anni a quella di 31 anni unitamente alla gamba sinistra di Giulio Cesare dall' età di 7 anni a 38 anni, unitamente al monte Cervino dal 7429 a. C. al 9555 d, C. alla mia moto dal 2011 al 2117, unitamente all' Unione Sovietica dal 1929 al 1967" non serve proprio a nulla, teoricamente e praticamente, al contrario dell' oggetto "sistema solare negli ultimi 500 000 anni" o all' oggetto "specie biologica 'felis catus' " o all' oggetto "pendolo galileiano", ecc.
#3258
Non ho ben capito se il problema é:
cosa decidereste di fare se l' amputazione di una gamba fosse conditio sine qua non per (sperare di; perché potrebbe comunque capitare di morire ugualmente e non necessariamente per errori medici, come non sanno i tanti che quasi sempre a vanvera sparlano spessissimo di "malasanità") salvarvi la vita fosse farvi amputare una gamba?

Oppure: cosa fareste di una gamba amputatavi?

Il primo mi sembra molto più interessante, riguardando il rapporto far qualità e quantità (durata) della vita.

Personalmente, credo di poter dire da epicureo, privilegio il primo aspetto: se mi accorgessi di essere destinato a una grave invalidità (a diventare un peso per me e per i miei cari e a soffrire molto più di quanto potrei ragionevolmente sperare di avere soddisfazioni) credo che non avrei dubbi nel procurarmi per tempo l' eutanasia.
In particolare perdere una gamba significherebbe per me rinunciare a due delle attività che più mi fanno godere la vita: i giri in bicicletta (faticosi ma produttori di endorfine e fonte di grandi soddisfazioni) e quelli alquanto spericolati in moto (coi quali provare a me stesso le mie buone qualità di "manico").
Tuttavia il fatto di poter continuare a leggere, sentire musica, mangiare e bere cose buone, avere rapporti amicali con ottime persone mi compenserebbe abbondantissimamente dei piaceri a cui dovrei rinunciare, dei quali dunque farei volentieri a meno in cambio della speranza di (e assolutamente non: certezza!) prolungare la mia vita.

Circa il secondo quesito, forse un po' narcisisticamente mi piacerebbe farla seccare per poterla mostrare agli amici...
Però a pensarci bene, considerata la possibilità che l' umidità la facesse putrefare, la farei cremare (io stesso, "nella mia più o meno completa integrità", desidero esser cremato -dopo morto ovviamente e ...senza fretta- perché l' idea che quello che fu il mio corpo divenga una schifezza puzzolente piena di vermi mi fa ribrezzo).

(Per la cronaca: pur non essendo proprio perso fra le nuvole come il Socrate di Aristofane, spesso non trovo motivazioni per attività pratiche, soprattutto se volte all' arricchimento fisico-materiale; però me la cavo abbastanza bene per piccole riparazioni domestiche, che stimolano invece molto il mio limitato ingegno).

Accidenti, a forza di lamentarmi che sono vecchio sono stato passato nella categoria "utente anziano".
Ben mi sta!
#3259
Citazione di: maral il 05 Ottobre 2016, 23:18:00 PM
Citazione di: sgiombo il 05 Ottobre 2016, 13:05:22 PM
Noi decidiamo razionalmente (e arbitrariamente) di far significare alle parole quello che significano quando potrebbero tranquillamente significare qualsiasi altra cosa ci passasse per la testa
Non so Sgiombo, forse tu, io non ho mai deciso di far significare a nessuna parola che normalmente uso quello che per me significa.
CitazioneForse tu no, ma le comunità dei parlanti sì: così é nato il linguaggio e si evolvono le lingue (o credi che le abbia insegnate una qualche divinità o che le cose stesse abbiano detto: "chiamatemi "così" e non "cosà"?).


Che le cose reali esistano prima di tutto in sé e per sé, prima di apparirci nel significato che i loro nomi ci esprimono è forse necessario, ma dopotutto anche dire che quelle delle cose sono reali e che esistono in sé e per sé restano sempre significati. Anche "cosa" per quanto sia un termine generalissimo è un significato.

CitazioneAppunto: dire che le cose reali esistono é un fatto, mentre l' esistenza reale delle cose é un altro, ben diverso fatto (e spessissimo si dà l' uno e non l' altro o viceversa)!

Secondo me la cosa e la parola restano proprio come due facce della stessa medaglia, diverse, ma inseparabili in un determinato contesto che non siamo comunque noi a scegliere e che può sempre cambiare.
Citazione
http://www.francescomorante.it/pag_3/313bb.htm

CECI N' EST PAS UNE PIPE

                                             (Magritte)



(Purtroppo non sono riuscito a copiare-incollare il dipinto, che determina un "eccesso di caratteri")

E infatti non é una pipa reale, ma una "pipa", cioé la rappresentazione di una pipa reale, qualcosa che intende farla considerare teoricamente, che la "sostituisce" nei pensieri e ragionamenti umani .

E in generale i concetti, arbitrariamente e convenzionalmente simboleggiati dalle parole, non sono affatto le cose reali che denotano, di cui parlano le proposizioni che i concetti stessi compongono, bensì ne sono una sorta di "rappresentazione", qualcosa che intende farle considerare teoricamente, che le "sostituisce" nei pensieri e ragionamenti umani.

Qualsiasi concetto di qualsiasi "cosa" é altro dalla corrispettiva cosa che ne può eventualmete costituire la denotazione reale.

E possono esistere (o accadere) cose reali senza che ne esista (che accada che se ne pensi) un rispettivo concetto di "cosa" (simboleggiato da una parola arbitrariamente e convenzionalmente "affibbiatagli"; solito esempio delle motagne su pianeti mai abitati o esplorati da soggetti di sensazione e pensiero); così come possono esistere (può accadere che si pensino) concetti senza che ne esistano o accadano (di essi) denotazioni reali (solito esempio degli ippogrifi).

Ma dove sarebbe l' altra faccia della medaglia (la cosa reale) della parola "ippogrifo"?
E l' altra faccia della medaglia (la parola) di una delle infinite cose reali costituite dalle infinite montagne che nessuno ha visto, denominato, pensato sui pianeti disabitati e inesplorati di galassie lontane?
#3260
Citazione di: Andrea Molino il 05 Ottobre 2016, 15:36:20 PM
In teoria, se un'entità dotata di capacità di calcolo, potesse lavorare su un archivio contenente tutte le informazioni sullo stato di tutte le particelle dell'universo, "fotografate" in un certo istante X, potrebbe calcolare in modo assolutamente preciso lo stato di tutte le particelle in qualunque istante X+Y o X-Z, indipendentemente dalla velocità di calcolo... sarebbe solo questione di tempo.

In pratica ciò non può verificarsi in un universo chiuso in cui tutto esiste solo al suo interno, per varie ragioni:

  • La "fotografia" dovrebbe essere ottenuta con una macchina fotografica che utilizza un tipo di radiazione che si muova ad una velocità infinita in modo da raggiungere tutte le particelle nello stesso istante
  • Per archiviare la "fotografia" delle particelle occorrerebbe un archivio composto da almeno altrettante particelle e sarebbe quindi incontenibile nell'universo.
  • L'archivio sarebbe costituito anch'esso di particelle, quindi la memorizzazione della "fotografia" cambierebbe lo stato di innumerevoli particelle invalidando la "fotografia" stessa.

Un'affermazione che invece sarebbe valida anche in pratica potrebbe essere la seguente:
Se l'universo fosse costituito da un insieme d'informazioni all'interno di un sistema che ne simulasse l'evoluzione, un'entità che abbia accesso al sistema sarebbe in grado, in qualunque istante X, di calcolare in modo assolutamente preciso lo stato di tutte le particelle in qualunque istante X+Y o X-Z.

Tale calcolo non sarebbe applicabile alle particelle che fossero sotto il controllo di altre entità che partecipassero alla simulazione, ma fossero dotate di libero arbitrio. In questo caso anche l'entità con accesso al sistema dovrebbe accontentarsi di una previsione probabilistica.

La cosa interessante, è che le previsioni probabilistiche ottenibili da comuni mortali all'interno dell'universo sarebbero simili a quelle ottenibili da un ipotetico operatore all'esterno del sistema che simula l'universo.

In conclusione penso che l'affermazione di Laplace potrebbe essere considerata nel modo seguente:  
"Visto che non possiamo conoscere tutto per calcolare in modo preciso, potremmo usare la teoria delle probabilità per prevedere almeno in modo approssimativo"

CitazioneOh, alla buon ora!

Finalmente uno che ha capito Laplace e non ne deforma caricaturalmente le tesi circa il determinismo (Ontologico; e indeterminismo relativo, probabilistico-statistico gnoseologico) dell' universo materiale - naturale!
#3261
Citazione di: maral il 04 Ottobre 2016, 23:09:54 PM
Citazione di: Phil il 02 Ottobre 2016, 23:18:53 PM
Non vorrei insistere, ma il punto cieco mi sembra proprio il "gioco dell'apparire"(cit.), come funziona l'avvicendarsi degli enti?
Il gioco dell'apparire è dovuto alla contraddizione che è insita nella totalità dell'ente (totalità che è necessaria se l'ente è ciò che è, perché può esserlo solo nella totalità di ciò che è). Ma questa totalità può essere colta solo tautologicamente dal pensiero astratto,

CitazioneMa prché mai (e come?) nella "totalità dell' ente" dovrebbe "essere insita la contraddizione"?
La contraddizione può darsi di un predicato o discorso (o al limite di un concetto) se vi é implicata un' affermazione e la sua negazione contemporaneamente; un ente può essere (o accadere, o divenire) realmente o meno, non essere logicamente coerente o contraddittorio (a meno che l' ente predichi, "significhi" qualcosa come mi sembra tu continui a sostenere accada necessariamente di qualsiasi ente, non solo dei simboli), ma palesemente (per definizione) ciò non é di enti che non siano simboli (verbali o al limite di altra natura); e comunque se anche la si desse di un ente -ammesso e non concesso da parte mia- la contraddizione sarebbe di ciò che l' ente dicesse o significasse, e non di ciò che fosse.

Poi dire che questa totalità (contraddittoria!) possa essere colta solo tautologicamente dal pensiero astratto mi sembra per così dire una "contraddizione al quadrato": la pretesa che la tautologia stessa, che ne é l' esatto contrario, sia contraddittoria!

Se per te una tautologia può essere contraddittoria, allora parliamo proprio due lingue diverse e non intertraducibili!
(E forse é meglio porre termine qui a un tentativo di comunicare -almeno su questi argoimenti- sicuramente destinato a fallire).


Ps non per nulla Sini dice che non è opportuno leggere in pubblico certi passi di "Dike" per quanto significativi, si rischia di passare per matti totali di fronte al senso comune delle cose.:)

CitazioneCome lo capsico (unicamente limiatatamente a questa affermazione, sia chiaro)!
#3262
Citazione di: maral il 04 Ottobre 2016, 23:30:13 PM
CitazioneTu continui a confondere le cose reali anche se non denominate, pensate, predicate, conosciute con i nomi e i concetti delle cose.
Sgiombo, come si fa a non confondere le cose reali se non appunto denominandole, pensandole e predicandole? Come si fa a non confondere le cose reali (ove "cosa reale" è pur sempre un nome, come lo è "cosa irreale" e la stessa differenza che corre tra loro) se non nel significato che il nome ci riflette?
Noi, esseri umani, è sempre con dei significati che abbiamo a che fare e i nomi sono i segni e i segni accadono significando, e significando qualcosa dicono e altro nascondono sempre, ma non perché noi decidiamo razionalmente di farli significare quello che significano quando potrebbero tranquillamente significare qualsiasi altra cosa ci passasse per la testa. Un monte sarà sempre un monte perché c'è una parola "monte" che non è nata pescando a caso due sillabe e che ci dice cos'è, come si presenta e ciò che implica in oggetto.
CitazioneReitero le stesse obiezioni alle stesse affermazioni proprio perché "tirato per i capelli".

Denominando diversamente (in modo del tutto arbitrario) le cose reali (denotate da concetti) si può cercare di evitare di confondere le une cose reali con le altre cose reali (ma si può sempre sbagliare).

Ma quel che tu continui a confondere sono le cose reali (genericamente intese, non distinte fra loro) e i concetti (genericamente intesi, non distinti fra loro) con i quali le pensiamo, che ad esse si riferiscono, di cui (se si tratta di cose sono veramente reali e non puramente  immaginarie) esse sono le denotazioni.
E' ovvio che noi umani pensiamo per concetti dotati di significato ("abbiamo direttamente a che fare" con dei significati), ma possiamo pensare puri concetti mentali -"enti (ed eventi) di pensiero", immaginari- oppure enti (ed eventi) reali anche indipendentemente dall' essere eventualmente pure pensati, i quali ultimi sono denotati da concetti simbolizzati da vocaboli (arbitrariamente scelti e convenzionalmente condivisi), ma con tali concetti non si identificano affatto (esistendo o accadendo anche in assenza dei concetti stessi, di noi che li pensiano).

Noi decidiamo razionalmente (e arbitrariamente) di far significare alle parole quello che significano quando potrebbero tranquillamente significare qualsiasi altra cosa ci passasse per la testa: potremmo benissimo chiamare "fiiumi" le montagne e viceversa, che tutto filerebbe liscio, ci intenderemmo benissimo (altrtettanto bene di come ci intendamo chiamando "montagne" le montagne e "fiumi" i fiumi), e le cose resterebbero le stesse: le montagne montagne, i fiumi fiumi.

Nessuna montagna ha mai detto ad alcuno: "Il mio mome é <<montagna>> e così dovete chiamarmi e non altrimenti", né alcun fiume o alcun altra cosa.

(Quando avrò tempo risponderò ad atlre tue obiezioni a Phil da cui dissento; ora non posso).
#3263
Citazione di: maral il 02 Ottobre 2016, 22:45:40 PM
Sgiombo, in breve, ho già detto che esistono molti modi diversi per dire la stessa cosa (ognuno dei quali si riferisce a un aspetto particolare di quella cosa e ai contesti diversi in cui esso risalta particolarmente), così come può esistere un solo modo di nominare molte cose diverse (partendo da qualcosa in comune tra loro ed è esattamente quando si usano i nomi comuni come cane, gatto, uomo), ma nessuno di questi nomi è arbitrario né convenzionale. Passeggiando in un parco Tizio non ha mai detto a Caio "guarda, un tree!", e Caio ha risposto "no guarda che quello è un albero, mi piace di più chiamarlo così", proprio come passeggiando lungo un corso d'acqua Sempronio ha mai detto "questo è l'Eridano!", subito contestato da un altro a cui veniva più facile chiamarlo Po, per cui alla fine si sono messi democraticamente d'accordo che potevano chiamarlo in entrambi i modi. Ogni denominazione ha la sua necessità originaria che deriva da ciò che nomina nei particolari posti in evidenza dai contesti in cui appare e il nome ne è subito il riassunto pubblico, detto ad alta voce per tutti.
Tu continui a dirmi che il nome non è la cosa, e chi lo nega! Ma resta il fatto che nome (quanti ce ne possano essere per quella cosa) e cosa sono sempre strettamente legati fin dal principio, non sono la stessa cosa, ma vanno sempre in parallelo, dove c'è l'una c'è l'altro, perché il nome dà alla cosa il significato e non c'è cosa senza significato se è vero che c'è qualcosa, qualsiasi cosa essa sia, dato che solo il nome può dire cos'è.
Chi scala il Monte Bianco, non scala il nome "Monte Bianco", ma scala quello che solo quel nome "Monte Bianco" significa e rappresenta, quindi, in tal senso, è proprio quel nome che scala, perché comunque ne scala il significato che solo quel nome e non un altro ci mostra, con tutte le implicazioni di significato che quel nome possiede e lo lega ad altre parole, per quanto ti possa sembrare assurdo.
Capisco che il tuo intento è mantenere una salda presa sulla realtà delle cose, non confondendo cavalli e ippogrifi dato che ad entrambi si può dare un nome, quindi sai mai che a qualcuno potesse passare per la testa di galoppare in cielo su un ippogrifo dato che ha un nome e dei significati, ma proprio perché il nome è legato alla cosa che nomina attraverso il suo significato questa confusione è impossibile, non perché il nome è una pura etichetta che uno mette a piacere come gli pare e dove gli pare, d'accordo o in disaccordo con gli altri, d'accordo o in disaccordo con la realtà.
CitazioneIl dissenso non potrebbe essere più completo e integrale.
Riassumo le mie convinzioni per l' ultima volta (almeno in questa discussione), a meno di nuove argomentazioni da parte tua (stiamo diventando -o lo siamo sempre stati e lo saremo sempre?- ripetitivi).
Per lo stesso motivo rinuncio a reiterare critiche già espresse ad affermazioni già proposte in replica a Phil.

Anche se solitamente i sinonimi non sono perfettamente tali, i casi del del principale fiume e dei maggiori laghi italiani dimostrano che possono benissimo esistere ed esistono di fatto casi nei quali si usano diversi vocaboli per dire esattamente la stessa cosa (senza che ognuno di essi si riferisca a un aspetto particolare di quella cosa e ai contesti diversi in cui esso viene consdetata).

Il fatto stesso che le stesse cose possono essere denominate in diversi modi nelle diverse lingue dimostra a sufficienza che non é vero che ogni denominazione ha la sua necessità originaria che deriva da ciò che nomina nei particolari posti in evidenza dai contesti in cui appare, bensì che é del tutto contingente e convenzionale (nulla di rilevante cambia negli oggetti che in italiano sono detti "alberi" e in inglese "trees" e in altre lingue in altri modi ancora, né nelle circostanze in cui appaiono, a necessitare la particolare denominazione propria di ciascuna lingua).

Tu continui a confondere le cose reali anche se non denominate, pensate, predicate, conosciute con i nomi e i concetti delle cose.
Il nome ha un significato o connotazione che il parlante o pensante o scrivente attribuisce alla cosa, veracemente se questa realmente esiste; e non viceversa la cosa reale attribuisce il significato al nome: e infatti quale cosa reale  attribuirebbe il significato al nome "ippogrifo Pegaso" (il quale pure esiste)?.
E inoltre il nome può avere una denotazione reale o meno (cavalli versus ippogrifi).
Di qualsiasi cosa il nome può dire cos'è (nel caso sia impiegato in predicati veri), ma ci possono benissimo essere cose reali (e non essere pensate, conosciute: due ben diverse cose che continui a confondere) senza significato di un nome che le connoti (solito esempio delle infinite montagne su stelle lontane che nessuno ha mai visto e denominato, attribuendo un corrispondente significato a un corrispondente nome).


Chi scala il monte Bianco in nessun senso veracemente (casomai falsamente) scala il nome monte Bianco: non scala una parola detta scritta o pensata ma una montagna (la più alta d' Itala).
Prova a dire a Reinold Messner che ha scalato sette o otto nomi di montagne superiori agli 8ooo metri!
Se fosse come dici tu nessun assassino sarebbe da condannare, poiché tutti si limiterebbero a uccidere parole (che -ammesso che significi qualcosa- non credo sia un reato da galera).
Fra l' atro chi attraversa a nuoto il Po attraversa una cosa reale che non solo quel nome, ma anche quello "Eridano" significa esattamente allo stesso modo e nelle stesse circostanze.

I nomi sono "le etichette" arbitrarie dei (significati dei) concetti che connotano.
E non si possono  cavalcare ippogrifi nel cielo solo perché le cose dette "ippogrifo" non esistono, e non perché il nome "ippogrifo" (ovviamente, come tutti i nomi, anche quello di "cavallo", che denota una cosa esistente e dunque cavalcabile) è legato alla cosa che nomina attraverso il suo significato (altrimenti non si potrebbe nemmeno cavalcare un cavallo).
#3264
Citazione di: Jean il 02 Ottobre 2016, 12:30:22 PM

Se poi ho malamente interpretato il termine intelletto con ciò fornendo all'amico sgiombo motivo per il suo richiamo a voi giudicare e nel caso chiedo venia, son elefante in una cristalleria...

Tuttavia non penso d'esser andato fuori tema nell'aver  scomodato futuribili supercomputer e l'intelligenza artificiale, per molti son già parte della realtà attuale e per altri, come sgiombo, fantasiose ipotesi.
È lecito aver opinioni diverse e citare, parlare in funzione di queste.

Sicuramente Laplace non poteva immaginare le attuali conquiste e direzioni  della scienza ai nostri giorni, ma quella che nell'ipotesi del genio matematico per sgiombo appare come un'inesistente intelligenza onniscente (mi par ben detto, rende l'idea) per altri (me compreso) può essere un'anticipazione di una possibile direzione dell'umanità che ne io né sgiombo probabilmente vedremo compiersi (ma mai dire mai...).



Cit. sgiombo - Ma verità e rettitudine morale non vanno sempre necessariamente di pari passo e l'assenza dell'una (in un autore) non é un buon motivo per rifiutare l' altra.

Qui invece concordo pienamente, infatti non rifiuto nulla e nessuno, credendo, come detto in precedenza, che  i frantumi dello specchio della verità son diffusi dappertutto...  


CitazioneDunque, se ben capisco, stiamo parlando di due questioni diverse (avendo interessi almeno in buona parte diversi).

A me interessa non (tanto) la questione dei limiti di fatto (naturali o artificiali) di ciò che é calcolabile (che mi pare interessi sopratutto a te), quanto la questione ontologica di che cosa realmente accade e com' é, come accade ciò che reale, che accade realmente.

E ribadisco che a questo proposito non c' é (ma forse non era tua intenzione sostenerlo) considerazione che tenga circa attuali o future macchine di calcolo che possa scalfire (mettere in discussione) l' affermazione di Laplace, che di questo infatti non trattava (parlava d' altro).

Sempre cordialissimo nel ricambiare la tua cordialità!

#3265
Citazione di: Sariputra il 02 Ottobre 2016, 11:52:09 AM

E' l'autunno Sgiombo, fa questo effetto di melanconica introspezione, di riaffiorare alla memoria degli "enti ricordi". Si potrebbe, severinianamente, anche definirlo come l'apparire dell'"ente autunno"... ;)

Citazione(Spero mi si perdoni la contravvenzione alle regole del forum; fantozziana attenuante: ce n' é stata anche qualche altra sinimile).

Bellissima la "firma"!

Vado subito in Google a cercare qualche norizia sul suio autore.
#3266
Tematiche Filosofiche / Re:Tecnocrazia
02 Ottobre 2016, 12:25:41 PM
Citazione di: altamarea il 02 Ottobre 2016, 11:26:51 AM
A proposito di economia..., sul quotidiano "Il Sole 24 Ore", di oggi, 2 ottobre, c'è un articolo di Fabrizio Galimberti titolato: "Impariamo a leggere l'economia",  in cui fra l'altro dice: "Non si finisce mai di imparare", recita un antico detto. E quel che è vero per le lezioni delle scienze, delle lettere e della vita, è specialmente vero per l'economia. L'economia è sempre stata una disciplina che reagisce agli eventi. Da quando le teste pensanti dell'umanità si sono chinate su quel "formicaio impazzito" che è il sistema economico (milioni di individui che producono e consumano, comprano e vendono, si affannano e lavorano) hanno elaborato varie teorie su come funzionano ingranaggi e rotelle di questo complesso meccanismo. Ma poi gli eventi si incaricano di gettare in faccia crisi impreviste e costringere gli economisti a tornare alla lavagna e cambiare quelle leggi economiche che erano meno cogenti di quel che si credeva.
Il primo grosso evento che le fece cambiare pelle fu la Grande depressione degli anni Trenta. Fu allora che l'economia scoprì, grazie al genio di John Maynard Keynes, il ruolo della domanda e degli "spiriti animali" nel determinare il cammino di un sistema economico.

Il secondo grosso evento è la recente Grande recessione. Una crisi imprevista anch'essa. E proprio questa imprevisione ha costretto ancora una volta gli economisti a rinnovare la 'cassetta degli attrezzi'. Questa volta fu riscoperta l'interazione cruciale fra finanza ed economia.

Fra Grande depressione e Grande recessione c'è un filo rosso di comunanza. Nella crisi degli anni Trenta teneva banco l'ingenua convinzione che l'economia non si potesse adagiare in un equilibrio di sottoccupazione: il sistema economico si sarebbe risanato da solo. Del pari, all'origine della crisi finanziaria che debordò nella Grande recessione, ci fu un'altra versione di quell'ingenua convinzione: i mercati finanziari sono super-efficienti e si aggiustano da soli.

Da allora molte iniziative sono state prese per irrobustire l'architettura finanziaria. Ma ancora siamo alle prese con le ferite profonde di questa crisi, mentre siamo entrati nella terra incognita delle politiche monetarie non convenzionali.


CitazioneOvvio: l' economia non é scienza (nemmeno umana o "soft", come direbbero gli amerikanofili) é ideologia (falsa coscienza al servizio del potere)!

E infatti a qualcuno risulta forse che i professoroni della Bocconi (o della London School of Economics) ne abbiano mai imbroccata una che é una (nemmeno per isbaglio, alla faccia della statistica secondo la quale non sarebbe possibile sbagliare sempre immancabilmente) ?!?!?!
#3267
Citazione di: maral il 01 Ottobre 2016, 22:37:02 PM


L'ente appare sempre in un cerchio dell'apparire o in un altro, quindi per Severino in qualche luogo è. I cerchi dell'apparire (quell'essere in scena o fuori scena di cui sopra) non sono niente di fantascientifico, nessun universo parallelo. Sono semplicemente la coscienza degli osservatori, sono gli stessi esseri umani, ogni essere umano in relazione a tutti gli altri, niente di più. Quando l'ente non appare alla mia coscienza è nella coscienza di qualche altro ente umano con cui sono direttamente o meno intrecciato, è la storia che a qualcun altro appare. Se mio nonno che è morto tanti anni fa non è qui, e quindi non appare, è per quell'ente maral bambino che pure è e che, pur non essendo il maral ormai vecchio di ora, qualcosa in comune con lui ce l'ha.

Citazione 
Mi sembra che si tratti semplicemente di uno "spostamento" e non di una autentica risoluzione del problema (come dire che la terra è sulle spalle di Atlante, il quale è sulla groppa dell' elefante, il quale è sul guscio della tartaruga...).
 
Il nonno di Maral, morto tani anni fa, continua ad essere reale ma non qui, cioè non appare a noi oggi, bensì è altrove (in un altro "cerchio"), e cioè appare a Maral-bambino.
Il quale pure è reale allo stesso modo del nonno, cioè continua ad essere reale ma non qui, cioè non appare a noi oggi, bensì è altrove (in un altro "cerchio"), e cioè appare a qualcun altro (suo coevo).
Siamo al punto di partenza: dov' é quell' "altrove" in cui è tuttora reale Maral-bambino e conseguentemente, apparendo a lui, il suo nonno (morto) da vivo?
Appare forse ai compagi di scuola del Maral-bambino?
Ma questi sono reali allo stesso modo del nonno di Maral e di Maral-bambino; ergo: non qui  ma "in un altro cerchio", ovvero appaiono altrove....

La cosa che mi lascia perplesso semmai è che nella Gloria l'ente deve apparire in ogni cerchio dell'apparire e nella Gioia della Gloria questo accade concretamente a ogni ente. Non so, forse questo può accadere nel momento in cui la Terra Isolata (questa nostra terra in cui gli enti si manifestano mutilati, quindi sopraggiungono non sopraggiungendo) può apparire compresa nel Destino.

CitazioneRilevo in quest' ultimo discorso, peraltro anche indipendentemente da ciò a me del tutto incomprensibile (minchia! -mi si scusi la licenza poetica- i dogmi della chiesa Cattolica sono meno incomprensibili e astrusi!), una patente contraddizione:

"questa nostra terra in cui gli enti si manifestano mutilati, quindi sopraggiungono non sopraggiungendo" (sottolineatura mia).


#3268
Citazione di: maral il 01 Ottobre 2016, 21:05:41 PM
Per quanto riguarda la questione della poliglossia posta da Sgiombo, ossia perché mai le lingue sono tante anziché una sola, noto solo che, anche se sono tante non significa che le tante parole usate per designare la stessa cosa non implica che queste parole vengano messe arbitrariamente a posteriori (tra l'altro è anche vero il contrario, si può usare un'unica parola per designare tante cose). Vuol solo dire che i significati si presentano in molti modi diversi (come inizia Aristotele il libro della Metafisica: "l'Essere si dice in molti modi" e i modi di dirlo potremmo pensare che sono gli enti), ma non c'è altro modo che la cosa (l'essente) si presenti se non attraverso l'espressione dei suoi significati (che debbano poi essere tutti o ne basti solo qualcuno è faccenda collegata a quella degli Eterni di Severino, l'importante comunque è non credere che quando se ne sono presentati solo alcuni, quei pochi siano tutto ciò che si può dire, questo è quello che ho chiamato astrazione e Severino pensiero astratto dell'astratto).
In fondo è vero: le cose significando sono poliglotte e insegnano con la loro presenza fisica i loro linguaggi agli uomini che le percepiscono, i quali (seguendo la distinzione di Phil) poi ne fanno delle lingue con cui parlarsi.  

CitazionePer quanto la traduzione da lingua a lingua non sia mai "perfetta" (ma nemmeno fra i parlanti la stessa lingua l' identità -delle connotazioni- dei concetti espressi dalle parole è mai "perfetta"; regola generale: nulla è perfetto in natura e men che meno nell' uomo e nel suo operato), tuttavia è sempre ragionevolmente possibile intendersi mediante di essa fra parlanti idiomi diversi.
Dunque quando un italiano dice, scrive o sente: "albero" intende sostanzialmente ciò che un inglese intende quando dice, scrive o sente: "tree" (anche se con qualche ineliminabile "residuo di diversità"; che peraltro è ineliminabile, al massimo con una modesta differenza meramente quantitativa, anche fra ciò che due italiani intendono per "albero" e ciò che due inglesi intendono per "tree"; anzi, è probabile che con i due diversi termini un botanico inglese e uno italiano intendano -connotino- concetti reciprocamente più affini che un botanico inglese e un ingegnere italiano; che magari progetta alberi motori).
 
Mi sembra che questo basti per negare la tua affermazione "siniana" che "le parole non sono il frutto di nessuna arbitrarietà, nessuno dà il nome alle cose come gli pare".
 
E' ovvio che gli enti (ed eventi!) si possono conoscere solo attraverso le parole con cuii ne predichiamo l' essere (o accadere).
Ma conoscere (il "presentarcisi") delle cose è diverso dalla realtà (l' essere/accadere) delle cose; e ovviamente può essere più o meno completo, integrale, ma mai perfettamente tale (includente la totalità degli "aspetti delle cose" o "considerabili nelle cose").
 
Dissento dall' antropomorfizzazione finale delle "cose" (se non come metafora; ma allora in questo caso, le cose non sarebbero realmente poliglotte).


CitazioneOvvio che senza nome non possiamo parlare delle cose (ma quando mai avrei scritto quest' altra corbelleria?); ma le cose sono reali indipendentemente dagli eventuali nomi che si danno loro e dal fatto che se ne parli o meno (esempio delle numerosissime montagne su pianeti di altre galassie che nessuno vedrà e nominerà mai).

Conoscenza delle cose =/= le cose.
Il fatto che ci siano montagne che nessuno ha mai visto, come il fatto che quella montagna c'era anche prima che ci fosse un uomo a dire il suo nome è ancora nel significato della parola "montagna" che permette di pensarla ovunque si possano formare delle rocce e ci siano moti tettonici, la montagna non è una cosa in sé, ma un significato ed è del significato che solo si parla e con i cui segni si parla e anche si agisce.
La conoscenza della cosa è effettivamente la cosa solo se ne cogliamo tutti i significati, ossia tutte le relazione che accadendo essa instaura, ma questo, concordo, è impossibile ed è il motivo per cui avremo sempre qualcosa ancora da conoscere e da poter dire su qualsiasi cosa.

Citazione
E' l' affermazione, la conoscenza del fatto, e non il fatto! (continui a confondere le due ben diverse "cose"!) che ci siano montagne che nessuno ha mai visto, come il fatto che quella montagna c'era anche prima che ci fosse un uomo a dire il suo nome ad essere ancora inevitabilmente contenuta nel significato della parola "montagna"; ribadisco: non il fatto che ci sono montagne, e fra di esse anche montagne  che nessuno ha mai visto (e dunque reali senza la realtà della parola e del concetto "montagna" che le denoti o meno).
E' il significato della parola "montagna" che permette di pensarla, certo, ma sicuramente non è esso che le permette di essere reale, dal momento che in tantissimi casi montagne sono reali senza che nessuno le denoti con tale parola.
 
Per me la montagna non è una cosa in sé ma (un insieme di sensazioni o) fenomeni; tuttavia (se e quando accadono) reali (in quanto tali: "esse est percipi"!) indipendentemente dall' eventuale esistenza reale o meno (pensata, scritta o detta; e parimenti fenomenica) della parola "montagna" col suo significato, di cui la cosa costituita da quella montagna (fenomenica, non in sé) sia la denotazione.
 
Concordo che la nostra conoscenza delle cose non sarà mai perfetta, completa, integrale; ma non affatto che essa coincida effettivamente con le cose stesse.
 


CitazioneA no? Dunque il fiume Po e l' Eridano sono due diversi corsi d' acqua?
E il Benaco e il Garda, l' Iseo e il Sebino, ecc.?
No, ma quei due nomi alludono a significati diversi del medesimo corso d'acqua (astratto come una pura entità fisica). Il fatto di chiamare quel corso d'acqua Po o Eridano indica a chi li chiama in un modo o a chi li chiama nell'altro una storia di significati diversi che non è lui a decidere arbitrariamente cosi da credere che chi lo chiama Po avrebbe benissimo potuto chiamarlo anche Eridano o viceversa. E' solo quando in questi nomi non se ne sente più il significato che diventano solo etichette interscambiabili e sulle quali ci si può anche mettere d'accordo su come segnare quel corso d'acqua, solo fisicamente inteso, sulla carta geografica.
E' chiaro poi che il "corso d'acqua" o la "cosa alta" esistono comunque li chiami, ma esistono anch'essi come significati: corso d'acqua e cosa alta sono pur sempre ancora parole con i loro significati, no? E sono proprio le parole che nominano le cose che solo consentono significandola la permanenza presso di noi di qualsiasi cosa.

CitazioneGuarda che io, nato a Cremona, nel bel mezzo del fiume, ove da bambino mio padre mi portava a pescare (era ricchissimo delle più svariate specie di pesci, anche pregiatissime, come gli enormi storioni: tutt' altri tempi! A Cremona c' era che faceva il pescatore di professione e campava anche abbastanza bene!) ho sempre usato i due termini del tutto indifferentemente (non è che quando penso -o dico o scrivo- "Eridano" lo penso in modo sia pur minimamente diverso da quando penso "Po").
Ma di fatto chiunque chiama quel fiume del tutto indifferentemente con i due nomi alternativi: se lo si chiama con l' uno lo si sarebbe potuto benissimo chiamare con l' altro e viceversa (e così la maggior parte dei grandi laghi italiani e tantissime altre cose).
 
La permanenza presso di noi dei concetti, dei pensieri di qualsiasi cosa (reale o meno) solo nel caso di cose non reali (esempio: ippogrifi) è (si identifica con) le cose stesse "presso di noi"; invece nel caso di cose reali (esempio: cavalli) è tutt' altro che le cose stesse che ne sono denotate.
 


CitazioneTautologicamente A non é non A a un tempo e luogo determinato; in altro tempo e luogo può benissimo diventare B nel pieno rispetto del principio di identità - non contraddizione.
Sgiombo, se A è sempre A, in nessun altro luogo o tempo può essere B che è non A. Puoi dirmi che A e B condividono degli aspetti in comune, ad esempio il nome (proprio perché cose diverse possono avere lo stesso nome quando ci si limita a considerarle per quella parte dei loro significati che condividono e quindi le si prende in astratto), ma se li consideri nella loro totalità di significato, ossia per quello che concretamente sono, A e B non sono lo stesso ente. Tu stesso ammetti ovviamente che il bambino Sgiombo non è l'adulto Sgiombo, ma se dici che oggi lo è diventato dici che quel bambino oggi è davvero quell'adulto proprio mentre riconosci che non lo è e non lo è in nulla tranne il nome, ma a cosa si riferisce quel nome che accomuna quei due diversi enti, il bambino e l'adulto?

CitazioneSe A è sempre A, in nessun altro luogo o tempo può essere B che è non A.
Ma se A è A non sempre, bensì per un certo lasso di tempo finito (spero tu colga la differenza!), allora può benissimo essere diventata B in un diverso lasso di tempo finito.
E naturalmente A e B in questo caso possono benissimo condividere e di solito condividono in maggiore o minor misura, oltre al nome, degli aspetti in comune (se non altro l' aspetto astrattissimo di "essere", o meglio "accadere", "divenire", ovvero la "realtà" genericissimamente intesa).

E' una questione meramente linguistica, convenzionale chiamare sempre "Sgiombo" il me bambino e il me vecchio o meno.
E infatti il soprannome "Sgiombo" mi fu dato dai compagni di scuola del liceo: fino a sedici anni non ero affatto "Sgiombo" (pur essendo sempre io, ben vivo e reale!); poi cadde in disuso all' università, ove i compagni erano in gran parte diversi, e tornò ad essere in auge (tronai a essere chiamato "Sgiombo", ma solo dai frequentatori di Internet), quando lo scelsi come nomignolo (gli anglofili o meglio i non anglofobi -ma io sono amerikanofobo, nel senso degli USA- dicono "nick nane").
Comunque nessuno mi confonde irrimediabilmente con un altro e non sorgono malintesi insanabili per il fatto che in certe occasioni e/o in certi periodi della mia vita sono chiamato "Sgiombo" e in altri periodi o in altre occasioni negli stessi periodi sono chiamato "Giulio Bonali" (e in altri ancora, tipicamente burocratici, "Giulio Maria Bonali"): esistono facili "regole di traduzione" onde intendersi perfettamente su di me (per quanto umanamente possa darsi di perfezione).
 
(Ma come mi sento narcisisticamente "autobiografico" oggi!): chiedo scusa a tutti.
 
Comunque quel bambino è diventato (non: è) questo adulto (vecchio, per la precisione!), dunque per certi aspetti, in una certa misura, non è più lo stesso ente, mentre per altri aspetti, in un certa altra misura, lo è ancora (non è affatto vero che non lo sia in nulla salvo il nome: il mio anticonfrmismo è sempre tale! E mal che vada sarei sempre qualcosa di reale; se non io la materia -massa e/o energia- che costituisce il mio corpo; per la verità la mia persona, che è ben altra cosa, credo non sarà più, dopo la morte del mio corpo).
#3269
Citazione di: maral il 01 Ottobre 2016, 14:43:32 PM
Sariputra chiede in sostanza che influenza può mai avere concretamente una teoria che nega il divenire, quando alla comunque con il divenire, che lo si voglia o no, si ha da fare conto tutti, Severino compreso. Cosa importa intendere il divenire come un continuo apparire, se poi l'apparire della totalità dell'ente (che corrisponde alla sua eternità), non appare e, lo spiega Sini commentando e spiegando per noi il passo su "Dike", non appare giacché ciò che sopraggiunge non può essere l'eterno, non può essere la totalità, pur sopraggiungendo. Io penso che, sia pure in modo solo formale, la posizione severiniana mostri comunque l'assurdo della pretesa oggettiva della morte, mostrando come essa sia negata in partenza dalla premessa logica fondamentale, dalla pura e semplice tautologia dell'esistenza. Sini riferisce questa eternità al significato (che qui afferma esplicitamente venir prima della cosa) e su questo piano è disposto a seguire Severino, anche se poi la conclusione spinoziana di Sini non può essere con lui condivisa. Ma quello che è essenziale e che fa la differenza è appunto l'incontrovertibile certezza logica (il Destino nell'accezione in cui Severino lo intende) che appunto la morte è solo un'interpretazione errata dell'eterno apparire degli enti. Le conseguenze sono enormi e prima tra tutte che non c'è bisogno di inventarsi alcun eterno privilegiato ente supremo (Dio o principio razionale, o qualsiasi altro onnicomprensivo contenitore di mortalità) per sentirsi salvi e al riparo da essa, perché ognuno, solo perché è, è già eternamente salvo, nessuna eternità può venirgli donata, con tutte le ambiguità e i ricatti che i doni recano con sé. Fosse pure, come dice spinozianamente Sini, che "questa è l'opinione che il modo si fa della sua eterna esistenza" si tratta di un'opinione che fa un'enorme differenza nel modo di intendere l'esistenza nella sua stessa apparente contingenza e, se non altro, accoglie l'aver gettata alle ortiche ogni metafisica trascendente in una sorta di immanenza assoluta in ogni infinitesimo ente dell'eternità. Riesco a farti sentire la differenza e la rilevanza che ha sul significato?

CitazioneNon vorrei che il tono decisamente polemico e forse eccessivamente sarcastico delle mie obiezioni (sono fatto così, mi dispiace...) inducesse qualcuno, e men che meno il sempre correttissimo (forse a differenza di me...) Maral, a credere che io non consideri (e rispetti) quella di Severino (ma ovviamente anche di Sini) filosofia nel senso più alto del termine, proprio anche (nel caso di Severino) per la carica dirompente di quanto sostiene come incontrovertibile (ammesso che oggi si sia ancora disposti ad accettare l'incontrovertibilità).

Semplicemente la ritengo gravemente errata (sarò presuntuoso, ma non sono disposto a piegarmi all' autorità di nessuno, preferisco sparare -eventualmente- cazzate di cui il mio senso critico mi fa convinto).
 
Credo che, seguendo Severino, non ci sia bisogno di inventarsi alcun eterno privilegiato ente supremo (Dio o principio razionale, o qualsiasi altro onnicomprensivo contenitore di immortalità) per sentirsi salvi e al riparo dalla morte per il semplice fatto che è la sua stessa filosofia a costituire un' ontologia, sia pure pretesa non metafisica e immanente, che erroneamente e falsamente (a mio modestissimo avviso) pretende di garantire una sorta di immanenza assoluta in ogni infinitesimo ente dell'eternità (ovvero, per dirlo più prosaicamente, di scongiurare lo spiacevole inconveniente della morte cui tutti siamo destinati; senza iniziale maiuscola, naturalistissimamente).
 
 
Concordo che Il passato non c'è e non ha luogo plausibile (non é più reale), anche se alcune presenti elaborazioni di questi immaginari luoghi del passato ci sembrano più attendibili di altre, ma solo perché si accordano meglio con il nostro modo presente di essere.
Ma non per questo non è il passato quello che ricostruiamo nelle storiografie dai resti che troviamo nel presente, ricostruzioni che sono sempre prodotte solo dal presente modo di intendere: il passato è passato e non è più (presentemente, attualmente, realmente) reale, anche se l' illudersi che lo sia e che lo sia in eterno consola, esattamente come le metafisiche della presunta eternità dello spirito o del pensiero e le religioni, di fronte alla prospettiva della morte.
#3270
Tematiche Filosofiche / Re:Tecnocrazia
01 Ottobre 2016, 11:16:20 AM
Come ti capisco!

Invito comunque tutti a riflettere (non: a trarre conclusioni affrettate) sul fatto che prima della caduta del muretto di Berlino (ormai possiamo chiamarlo anche così, dato il successivo proliferare di lunghissime, munitissime, enormi, sorvegliatissime, pericolosissime, micidiali, criminalissime barriere delle più svariate fogge e materiali, che peraltro mai nessun giornalista main stream si sognerebbe di chiamare "della vergogna"... Per non parlare degli omicidi per annegamento in quella micidialissima muraglia che é diventato il Mediterraneo...) questi problemi per noi occidentali erano quasi inesistenti e anche per "gli altri" ve n' erano certo anche di molto gravi, ma comunque la situazione era infinitamente migliore dell' attuale.

Lungi da me pretendere che sempre, necessariamente "post hoc, ego: propter hoc", ma comunque qualche interrogativo comincerei a pormelo...