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Messaggi - daniele22

#331
 
Partendo dal dato che tutto tende al disordine e dandolo per buono fino a prova contraria, mi sembra che all'interno del sistema universo tanto noi quanto i canguri o i batteri, questi ultimi due probabilmente a livelli inconsapevoli e in modi più contenuti, ci si dia da fare per opporsi all'entropia dell'universo. Immagino quindi che questo spendere faccia parte della natura. Comunque, il fatto che Il_Dubbio dica che la natura agisce contro sé stessa non mi sembra una osservazione molto acuta, anzi mi sembra un'osservazione arrogante. Mi manca proprio l'idea che un individuo possa giudicare l'operato della natura. Può essere in ogni caso che io non abbia i mezzi per comprendere la profondità di tale pensiero.
Resto pertanto fermo al mio primo intervento in questo tema e che riporto in parte di seguito:
"A mio giudizio ci sarebbero almeno un paio di cose che sarebbero d'ostacolo all'attuazione di un'etica più "sana" di quella che da sempre viviamo. Con buona pace dei filosofi che fino ad oggi si sono cimentati nell'impresa, il primo ostacolo sarebbe dovuto alla presenza di ciò che noi chiamiamo il "dono" dell'autocoscienza che tanti pomi avvelenati produsse e produce ancor oggi tanto da chiedersi se si tratti più di una malagrazia che di un dono, e il secondo dall'istituto della proprietà privata che sicuramente favorirebbe il "mors tua vita mea"."
Una piccola aggiunta: probabilmente la proprietà privata è solo una conseguenza di una "autocoscienza" assai affettata da un protagonismo del tutto inopinato anche se naturale
#332
Citazione di: Il_Dubbio il 13 Novembre 2024, 15:15:13 PMTu come molti altri rispondono a metà. Se fosse vero che l'essere umano si opponga alla natura (in quanto informazione acquisita) cos'è allora l'etica? Anche l'etica si oppone alla natura, quindi anche i nostri comportamenti si oppongono alla natura, oppure l'etica fa parte di un mondo parallelo alla natura?

Per come è la mia personale visione delle cose, anche se ci fosse una distinzione fra comportamenti naturali e non, tutti i comportamenti sarebbero di opposizione alla natura.
Noi non voliamo come gli uccelli, ma se crediamo che il volo degli uccelli sia naturale e il nostro (con le attrezzature adatte) non lo sia, allora non ci siamo capiti. Per me tutti i comportamenti, da quelli naturali a quelli che non sembrano esserlo, si oppongono alla forza della natura.

L'etica esige che si abbia un comportamento. Questo per te è contro natura oppure no?

Per me sono contro natura anche i comportamenti naturali, e questo forse perchè intendiamo la natura (e la sua forza) in modo differente.

Gli squilibri di cui parlavo alcune pagine dietro, sono una costante naturale nel tempo. I comportamenti, naturali o meno, tendono a ricomporre un equilibrio. Ma il tempo è dalla parte della natura. Noi non possiamo avere alcun comportamento (naturale o meno) che blocchi la forza della natura.
 



Mi sembra che che tu abbia preso fischi per fiaschi. Perdona questa piccola nota polemica, ma te la sei cercata; ti invito quindi, prima di parlare a vanvera, di leggere meglio quello che uno scrive. Oppure puoi continuare a non farlo. Nel caso, di sicuro non ti risponderei ... risposta per intero e non mezza risposta.
Comunque, giusto per precisare, tempo fa, non ricordo il tema discusso, espressi il pensiero (e mi rivolgevo a più di una persona) che fosse semplicemente ridicolo sostenere l'idea che l'essere umano potesse andare contro natura dato che siamo parte di essa. Si sosteneva in particolare che l'essere umano si fosse svincolato dalle leggi di natura grazie alla tecnologia. Non ricordo inoltre se nella stessa discussione o in altra, dissi pure che fosse aberrante fare un distinguo tra naturale e artificiale, anche se il distinguo in determinati contesti sarebbe pur lecito. Pertanto, non è certo a me che devi addebitare simili posizioni di pensiero.
Tornando a bomba, sicuramente con parole diverse dal post precedente che già erano distanti da quello che tu hai inteso, io dico che l'etica è un animale un po' particolare perché a differenza delle altre discipline il suo oggetto è esclusivamente il comportamento. Ovverosia, l'oggetto della filosofia, della fisica, della chimica, della danza o del tiro con l'arco, insomma l'oggetto delle discipline umane non è il comportamento come lo sarebbe invece per l'etica. Tutto secondo natura, giusto per rassicurarti. Vi è certamente per queste discipline una scuola di comportamento, quindi un'etica, ma il comportamento non è il loro oggetto. Detto questo a mio giudizio la scuola di comportamento per l'etica sarebbe senz'altro una scuola disastrata. E per affermare questo non ci vuole certo un genio quando ci si guardi attorno. Tanto per dire, ¿ti sembra che i cristiani si comportino seguendo l'etica di Gesù? Ora guarda i liberal liberisti in America che vogliono ritornare ai dazi dopo che se n'erano liberati. Guarda l'Italia, che ripudia la guerra in Costituzione e di fatto vi partecipa inviando armi all'Ucraina che non appartiene né all'Europa, né alla Nato. Oppure anche, visto che in Italia l'etica viene regolata dallo stato di diritto e quindi dalle leggi positive, mi piacerebbe sapere quanti reati si consumano ogni giorno, ma anche quanti trucchetti leciti si compiono per aggirare dette leggi snaturandone il loro senso. E si potrebbe continuare fin che si vuole.
Allora chiedo, e non solo a te ovviamente: visto e considerato che le scuole che reggono tutte le discipline umane hanno dei principi di base che vengono osservati qualora si vogliano ottenere dei risultati, ¿perché i principi di base che reggono le dottrine etiche vengono spensieratamente disattesi? Un saluto
#333
Citazione di: Il_Dubbio il 12 Novembre 2024, 09:40:13 AM@Alberto Knox
@daniele22

La mia è una risposta generale ad ogni idea che l'uomo propone per migliorare la propria esistenza. Come è anche l'idea di etica. L'etica, la filosofia, la religione ed anche la scienza ecc. sono tutte forme per proporre una soluzione al dilemma dell'esistenza. E' qualcosa che si pone per rimediare alla potenza opposta, quella che ci fa desistere, ci fa soffrire, ci fa intristire o morire. Questa potenza opposta è la forza della natura.
L'idea che tutto questo sforzo che fa l'umanità per erigere forme di filosofia, scienza ecc. non sia del tutto senza alcuno scopo, è l'idea che l'umanità intera sia un unico essere vivente che, attraverso la mente (dei miliardi di persone vissute sulla Terra), attraverso il linguaggio e la coscienza, continui a vivere nei millenni forse ancora a venire.




Che l'essere umano si opponga anche vanamente alla forza della natura è per me un'informazione acquisita. L'etica in quanto dottrina è però un animale un po' particolare perché a differenza delle altre discipline si rivolge al comportamento e di fatto sarebbe impossibile vivere senza comportarsi. Possiamo cioè vivere senza le scienze, ma non senza comportarsi. Vi sarebbe poi da dire che queste discipline, scienze, necessitano di comportamenti adeguati perché possano produrre i frutti che noi ci aspettiamo che producano. Visto che a regolare tali discipline vi è o una ricerca di armonia, o, nel caso delle scienze addirittura delle prescrizioni dettate dalla razionalità e logicitá, vien da chiedersi come mai l'etica produca negli individui che ad essa si ispirano dei comportamenti contradditori che almeno apparentemente stridono tanto con una ricerca di armonia quanto con la ragionevolezza
#334
@Alberto Knox
@Il_Dubbio
Per come la penso il tema della discussione mi è abbastanza chiaro e la mia posizione è stata espressa in modo inequivocabile nel post nr. 22 rispondendo a una domanda chiave posta da Koba, post che però è passato più o meno inosservato. Poco male dato che successivamente, ferma restando la mia opinione, ho cercato e cerco tutt'ora di confrontarmi nel dialogo.
A differenza di me, mi sembra che Dubbio si sia attestato su posizioni meno politicizzate introducendo l'entropia per dare una dimensione scientifica al problema e fornendo pure una conclusione; le sue parole, per me abbastanza chiare, furono: "La causa del malessere è dovuta allo squilibrio. Per cui il benessere vuol dire equilibrio.......In politichese potrei richiamare al compromesso". Più che condivisibile, salvo che dal mio punto di vista e per ciò che riguarda l'umanità non si individua l'origine dello squilibrio.
Francamente, infine, mi sembra che tu ti stia perdendo a fare distinzioni filologiche che nello specifico del tema che si sta trattando poco possono essere d'aiuto
#335
@Alberto Knox
Citandoti:
"Ma allora da questo punto di vista è la necessità vitale di ogni essere vivente, probabilmente anche una pianta sente di essere viva e sicuramente uno scimpanzè sente di essere vivo. Allora la questione non è più definire un etica condivisa ma che cosa siamo."
Ciò che ci differenzia dalla pianta e dallo scimpanzé sarebbe il fatto che probabilmente solo noi riusciremmo a immaginare l'idea di "sentirsi vivi", idea che conduce anche al pensiero di avere gioco, ovvero di avere possibilità di vita; tale necessità sarebbe certamente vissuta pure dalla pianta o dalla scimmia, ma non sarebbe idealizzata. Dovrebbe dunque essere chiaro che di fronte al pensiero "sentirsi vivi", "avere possibilità di vita", si apra tutto l'universo antropologico, nel bene e nel male, tanto per sé stessi quanto per gli altri.
Allora,  come dici, la questione sarebbe innanzitutto capire cosa siamo in quanto esseri umani e quindi vedere se vi sia spazio per definire un'etica ampiamente condivisibile.
Infine, per quello che ne so anche altre specie mostrano forme di cura nei confronti dei propri simili; non riusciranno ad aggiustare femori, ma questa è un'altra cosa
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@Koba II
In effetti non ho mai pensato che la filosofia fosse nata dallo stupore dato che penso che le persone del sesto secolo avanti Cristo non fossero ingenue a tal punto. Certamente ho sempre pensato che dovesse esserci utile, ma a scuola non mi è riuscito di cogliere questa utilità.
Circa il riferimento al "conosci te stesso" tendo a interpretarlo come un invito a sforzarsi di comprendere l'altro attraverso l'analisi del proprio agire, di comprendere cioè la tua uguaglianza all'altro. Di comprendere infine che le nostre diversità siano imputabili a sorti diverse in cui saremmo incappati a partire dall'impronta genetica assegnataci dai nostri genitori. Sorti diverse che possono anche implicare situazioni di estrema fortuna o sfortuna come ventilato da Dubbio. Solo così pensando per me avrebbe senso la formula per intero che non so se fosse scritta in origine, o manipolata successivamente e che reciterebbe appunto "conosci te stesso e conoscerai il pensiero degli dei". Se così non fosse il detto "conosci te stesso" da solo suonerebbe come un semplice conoscere i propri pregi, difetti e i propri limiti personali; per carità, c'è pure chi non lo fa mentre sarebbe opportuno farlo, ma che tale semplice formula fosse stata posta all'ingresso del tempio di Apollo mi sembrerebbe quasi banalizzare Apollo attribuendogli un monito che se non è alla portata di tutti poco ci manca
#336
@Alberto Knox
Contesto il pensiero che sostiene che l'essere umano abbia come bisogni fondamentali quelli di amare ed essere amato. Ricordo che la necessità di un'azione qual è l'amare, l'odiare o il coltivare fragole tanto per dire nasce da contingenze del qui e ora. Dal mio punto di vista, oltre alle necessità chiamiamole vitali, il bisogno fondamentale di un essere umano resterebbe confinato a un generico "sentirsi vivo". Inoltre, non pensare che le ferite interiori vengano stordite solamente con droghe, alcool etc.; esistono altre forme di stordimento forse più nocive soprattutto perché socialmente apprezzate.
@Koba II
Visto che hai detto che l'essere umano è ontologicamente problematico, a livello filosofico sarebbe interessante conoscere o sforzarsi almeno di conoscere i motivi per cui egli verserebbe in tale situazione, sempre ammesso che gli "altri" non evidenzino tale problematicità e che un compito della filosofia sia quello di essere d'aiuto al pover 'om.
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Quanto all'educazione e all'istruzione va da sé che bisognerebbe applicarsi a tirare fuori le potenzialità dell'individuo, ma al tempo stesso bisognerebbe istruire su ciò che è ammesso e ciò che non è ammesso nella comunità
#337
Così come è stato messo giù nel tema proposto non penso che si possa dire che da un punto di vista scientifico noi si ricerchi la felicità o il benessere. Direi piuttosto, lasciando la scientificità ad altri temi, che noi si abbia semmai un'inclinazione a tenersi distanti dal nostro malessere. Questo naturalmente nulla toglie che comperando un'auto nuova o una casa ci si senta felici almeno per una settimana, ma non mi dilungherò su questa osservazione che a mio vedere porta a ben poco. Questo cercare di tenersi a distanza dai guai quindi varrebbe naturalmente a livello teorico (si veda la discussione in "Psicanalisi" ... e nel frattempo mi accendo una sigaretta che di sicuro mi fa benissimo). Quando dunque mi alzo al mattino, a livelli non propriamente consapevoli, più che ambire al mio benessere cerco più che altro di non fare cazzate che mi arrechino danno. Tutto questo avviene più o meno all'interno di pratiche di routine. Va da sé che all'interno di questa ripetitività io possa cogliere di tanto in tanto qualcosa che migliori il mio agire rendendomi così un poco più felice, ma tutto sommato mi sembra di poter dire che saremmo ben distanti dalla fantomatica ricerca del benessere. Riprendo quindi la domanda posta da Koba:
"Qual'è la vera difficoltà nel fare in modo che l'idea dell'interazione virtuosa come espressione dell'essenza stessa della natura e dell'uomo diventi una nozione comune, scontata, come comune e scontata è la cura per il luogo in cui si abita?"
A mio giudizio ci sarebbero almeno un paio di cose che sarebbero d'ostacolo all'attuazione di un'etica più "sana" di quella che da sempre viviamo. Con buona pace dei filosofi che fino ad oggi si sono cimentati nell'impresa, il primo ostacolo sarebbe dovuto alla presenza di ciò che noi chiamiamo il "dono" dell'autocoscienza che tanti pomi avvelenati produsse e produce ancor oggi tanto da chiedersi se si tratti più di una malagrazia che di un dono, e il secondo dall'istituto della proprietà privata che sicuramente favorirebbe il "mors tua vita mea"
#338
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
29 Ottobre 2024, 21:55:30 PM
"Fino agli anni settanta in Italia la trattazione delle malattie del sistema nervoso includeva nell'unica disciplina della "neuropsichiatria" sia le patologie "organiche", sia le patologie della mente. Il 29 aprile 1976 con la legge nº238, in Italia, si sancisce definitivamente la separazione della psichiatria dalla neurologia, sotto l'impulso dello psichiatra Carlo Lorenzo Cazzullo. Le due branche sono oggi praticate separatamente, anche a causa della grande quantità di dati che sono stati accumulati negli ultimi 50 anni che rende difficile unificarle in un'unica disciplina."
Tratto da Wpedia alla voce "Storia della neurologia ".
Più che altro, per rispondere alle domande di Dubbio bisognerebbe rivolgersi ai dibattiti che erano in corso all'epoca. Forse c'è qualche connessione con la successiva legge Basaglia che è del 1978
#339
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
28 Ottobre 2024, 09:19:32 AM
Citazione di: Jacopus il 27 Ottobre 2024, 21:47:00 PMNon hai tutti i torti sugli psichiatri ;). Molti di loro ce la mettono tutta per rendersi antipatici, ma resta il fatto che la malattia mentale va affrontata. A mio parere però va affrontata con un metodo diverso da quello della medicina tradizionale fondata su malattia/terapia/cura. La diversità si trova sul nesso fra malattia mentale e società, ovvero la malattia mentale, molto più di ogni altra malattia, è una patologia sociale. In linea di massima essa trae origine dal trauma, ovvero da condizioni avverse nella vita. Se, ad esempio, le condizioni sono davvero molto avverse, per sopravvivere occorre estraniarsi dalla realtà, ci si può dissociare temporaneamente (nevrosi) oppure in modo permanente (psicosi). Quindi per tenere sotto controllo la malattia mentale occorrerebbe agire in modo preventivo sul trauma, che, se avviene in infanzia, è molto impattante. Si può giungere alla malattia mentale anche attraverso le sostanze psicoattive, compresa quella che viene quasi idolatrata come la cannabis. Ma non di meno è l'alcol, capace di creare le precondizioni per malattie mentali di mezza età. Accanto a ciò vi è anche una predisposizione genetica, ma sempre su base ambientale. Infatti i nostri geni possono esprimere o non esprimere un certo tipo di carattere (ad esempio l'ansia). Ma se i nostri genitori e i nostri nonni sono stati esposti all'ansia, le possibilità che noi sviluppiamo un carattere ansioso è molto alto, anche se serve comunque un innesco ambientale. L'epigenetica è la dimostrazione di come siamo un intreccio inestricabile di corpo e ambiente. Alcuni "psichiatri" chiamano questo intreccio Mente-Cervello, che opera con continui e reciproci feed-back ( il che è anche molto coerente con la teoria evoluzionistica).
Se assumiamo che questa sia la descrizione sintetica della genesi della malattia mentale, dobbiamo domandarci cosa deve fare lo psichiatra e come lo deve fare. Qui entrano in gioco tanti discorsi possibili. Uno che mi ha sempre incuriosito è quello del superamento della differenza soggetto/oggetto, che ancora una volta chiama in causa la struttura sociale. Infatti lo psichiatra per essere tale dovrebbe dismettere i suoi panni di soggetto-terapeuta che tratta l'oggetto-paziente, cercando di ottenere al suo posto un rapporto terapeutico in condizioni di reciprocità. Si tratta però di una visione rischiosa perché mette in discussione le stesse basi sociali della società di classe, nella quale c'è un soggetto-padrone che tratta con un oggetto-servo. Non a caso Basaglia chiamava in causa Hegel per giustificare il superamento del manicomio. Se vogliamo restare ad un livello funzionale, invece, comunque lo psichiatra è inevitabile per la sua formazione, per il suo occhio clinico, per la sua conoscenza dei farmaci e dei suoi effetti, in un ottica olistica. Infatti, prima di prescrivere una terapia è importante stabilire un check-up generale sulle condizioni di salute del paziente. In una concezione pragmatica sarebbe anche auspicabile un modello che unisca aspetti di cura funzionali (farmaci, psicoterapia, attività socio-educative, formative) e la tensione verso un modello di cura che superi il contrasto soggetto/oggetto.
In merito a questo pensiero e a quello che dice Dubbio ci sarebbero un paio di cose da dire:
1)Un medico è un uomo di scienza che non può preparare esperimenti agli stessi livelli di un fisico o di un biologo. Nella sua figura chiaramente sussistono tanto l'uomo di scienza che l'artista. A mio giudizio la nostra società tenderebbe a inibire la parte artistica.
2)Piacere e dolore esistono, e sul dolore il buddismo ha generato una filosofia. C'è infine l'idea della morte.
Premesso che non vedo di buon grado l'attuale sistema socioeconomico, penso che in qualsivoglia società noi si vivesse, il punto 2 continuerebbe a esercitare la sua forza soprattutto a cagione del fatto che esiste quella porta che si chiama morte, la quale da sola continuerebbe secondo me a produrre quel che si può ben chiamare il "male di vivere", male che sembra essere un'esclusiva umana.
Non porrei il problema in termini di padrone/servo, bensì di persona che ha più bisogno di aiuto rispetto ad altri; cioè lo status sociale di un individuo sicuramente in molti casi può contribuire ad alleviare il male di vivere, ma non può eradicarlo. Anche lo psicoterapeuta è ammalato e sarebbe per questo che se fossi un paziente cercherei di metterlo in crisi ... ma forse questa idea non sarebbe percorribile per uno che pensa di essere disagiato
#340
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
26 Ottobre 2024, 10:05:07 AM
Citazione di: Il_Dubbio il 24 Ottobre 2024, 18:28:44 PM@daniele22

Se non ho capito male il tuo è un ragionamento ancora piu sofisticato del mio. Arriviamo alla stessa conclusione ma partendo da un ragionamento diverso. Tu dici in pratica che nonostante la diagnosi "certa" ogni persona potrebbe reagire al farmaco in maniera differente, cosi che il farmaco non riesca a dare il suo effetto sperato, anzi che possa addirittura peggiorarlo. Questo perchè il corpo su cui si va ad operare ha una dinamica complessa. La diagnosi potrebbe anche essere ben inquadrata, ma la cura avere risultati diversi e piu o meno efficaci, o alle volte addirittura peggiorativi. 
Per questo serve almeno una diagnosi, altrimenti se si da un farmaco ad una persona che non ne ha bisogno gli effetti peggiorativi sono tutte causate dalle diagnosi sbagliate.
Se invece la diagnosi è giusta ma il farmaco da effetti negativi in quel caso si torna indietro e si tenta di stabilire una concausa (non diagnosticata immediatamente) che ha scatenato l'effetto negativo.
Questo trattamento diretto potrebbe risultare come un esperimento se non si parte da un generale quadro clinico che contenga anche informazioni storiche sul paziente. Non so, quante volte ci siamo sentiti domandare: soffre di allergie?

Un medico di famiglia oggi segna nel suo computer tutto ciò che è successo al paziente nel corso degli anni. A me ad esempio è successo una volta che il mio medico mi ricordasse che avevo avvertito un disturbo in passato che però io non ricordavo piu di averglielo mai detto. Anzi non ricordavo di averlo mai avuto. Però lui se lo era segnato.
Comunque qua si parla di farmaci che solo uno specialista darebbe, non parliamo di quelli generici.
Sicuramente non credo si possano dare prima di aver riscontrato lo scompenso con un esame diagnostico. E nonostante l'esame diagnostico abbia dato un risultato positivo, quel farmaco potrebbe non essere efficace, tornando al punto iniziale della questione. 
Giusto per schiarirti la mia idea, quello che penso è che la scienza dell'inconscio si renda conto che molti sintomi che pervadono coloro che vi si affidano siano riconducibili alle reiterazioni "deviate" derivate probabilmente da un conflitto che si svolge tra varie maschere (varie per ciascun individuo) in cui siamo costantemente calati nel mondo; essa si prende cura quindi delle emergenze di un conflitto tra l'autentico e l'artefatto.
In merito alla diagnosi, così come quando si contrae un'influenza non si fanno esami per identificare il virus, ignorante-mente penso che la psicanalisi ritenga che per certi malesseri la diagnosi non debba andare oltre a quella che nella malattia organica chiamiamo influenza ... malattia blandamente intruppabile.
Quello che io non so, ma che mi piacerebbe sapere a livello filosofico, sarebbe, ammesso che di conflitto tra autentico e artefatto si tratti (emotività e ragione), se la psicanalisi si rende conto che l'autenticità consiste essa pure di una maschera. Nel senso che l'evoluzione delle specie potrebbe anche essere vista come l'evidente possibile molteplicità di quella che a mio vedere sarebbe l'ineluttabile tendenza alla mimesi (intesa come imitazione di parti della realtà) da parte degli organismi viventi
#341
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
24 Ottobre 2024, 13:08:52 PM
Gli psicofarmaci droghe comprese c'entrano e non c'entrano. Era solo un esempio per dire che una droga ti cambia uno stato interiore/emotivo nei confronti della realtà nel giro di una manciata di minuti.
La mia storia personale comunque mi racconta di persone che combattono da una vita con ambulatori medici per diagnosticare malattie che sfuggono dall'essere ben inquadrate. In questi casi i rimedi (farmaci) non risultano efficaci o sono blandamente efficaci. E questo è un fatto che può farci riflettere su come una diagnosi certa, scientifica, poggi su di un terreno poco solido, almeno filosoficamente parlando.
Così, a larghe spanne, penso che trovare uno stile di vita diverso, pensare in modo diverso, non sia facile, però almeno denota uno slancio a volersi sbarazzare di un problema. Tale difficoltà sarebbe costituita dal fatto che la fonte del disagio, probabilmente, genera abitudini comportamentali che tendono a permanere nonostante tutto. Questo perché probabilmente si avrebbe a che fare con la personalità dell'individuo, la quale, sedimentatasi dai tempi della prima infanzia può trovare degli incontri problematici con l'alteritá che possono anche accentuarsi una volta che si entri nel mondo della vita da adulto.
Tanto per capirci infine, se uno pensa di risolvere il proprio disagio razionalmente si troverà con buona probabilità a fare i conti con il suo fatalismo piuttosto che con il suo essere preventivo, con la sua generosità piuttosto che con la sua avarizia e con altri tratti che figurano come stati del proprio essere che non possono certo essere decisi da scelte ispirate dalla ragione. Penso che alla fine, razionalmente scegliendo, il dilemma ci condurrebbe inevitabilmente in situazioni tali in cui o ci si violenta cercando abitudini mentali forzate che in qualche modo, a furia di insistere, cambiano il nostro comportamento, o ci si accetta per quello che si è, o si ricorre a qualche esperto che possa aiutarci. Proprio come si va da un ortopedico con un braccio rotto ... il braccio magari si aggiusta pure da solo, ma la sua funzione può pure risultarne lesa. Chiaro che il medico, sia esso quello della mente che quello del corpo, si affiderà a una letteratura per stilare la sua diagnosi, ma, come già detto, anche per un medico del corpo succede che la diagnosi può essere sfuggente, e questo accadrebbe molto più spesso di quello che si possa immaginare. E a quel punto  non resta che l'esperimento, come dici
#342
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
23 Ottobre 2024, 08:36:36 AM
In passato ho anche fumato molte canne. In quei casi il mondo è "oggettivamente" lo stesso, ma la percezione che se ne ha è assai diversa ... in breve, le tue capacità cognitive senza ombra di dubbio restano tali e quali rispetto a quando non hai fumato una canna. Immagino che farmaci contro la depressione possano svolgere la stessa funzione delle droghe. Penso quindi che per questo motivo il concetto di malattia mentale sia assai fumoso. Se intendiamo poi una droga come una forma di alimentazione, così come una mela, l'acqua o l'aria, si può immaginare che anche questi alimenti possano mettere in crisi il concetto di malattia "organica", possano cioè farci ammalare senza che noi ce se ne dia conto 
#343
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
22 Ottobre 2024, 09:14:08 AM
Premetto che non ho alcuna nozione di psicologia o di psicoterapia. Purtuttavia mi sembra, come dice Jacopus, che siamo tutti un po' nevrotici o isterici, e se lo penso è perché credo di individuare quelli che ritengo siano i miei tratti nevrotici. Per riconoscerli mi rivolgo più che altro a osservare le cose di varia natura più o meno necessarie che tendo a non fare, che tendo a rinviare per vari motivi e che comunque alla fine risolverò con un danno che può consistere in un maggior carico di energia da profondere ... tutto sommato poca cosa. L'idea che mi sono fatto è che bisognerebbe indagare bene queste dinamiche, sicuramente abbordabili consapevolmente, al fine di trovare dei possibili nessi con quei disagi che apparentemente nulla c'entrano e che portano infine una persona a chiedere aiuto.
Comunque, se mi rivolgessi a un professionista pretenderei da lui un dialogo che si svolga alla pari nonostante che sia io ad avere bisogno di lui ... assecondando cioè quello che forse è solo un mio pregiudizio non gradirei sedute in cui il professionista ascolta e basta, o quasi
 
#344
Ad oggi la cosiddetta evoluzione, che personalmente chiamo mutazione, non è governabile e questo è un punto fermo.
In riferimento a quanto esposto negli ultimi due post penso che l'individuo del passato vivesse le stesse intensità emotive di quello di oggi. Forse potrebbe essere stato più esposto, ma sarebbe tutto da dimostrare essendo che molti degli eventi che inducevano le paure di ieri hanno mutate le loro sembianze ... magari a una persona del passato potrebbero sembrare ridicole certe nostre paure di oggi.
Detto questo ho sentito persone che percepiscono l'emotività umana come un impaccio per la nostra specie. Mi chiedo dove vivano costoro. Mi chiedo infatti se mai li abbia sfiorati l'idea che in assenza di emotività si possa precipitare nello zero Kelvin. A mia vista, senza attrazioni e repulsioni, invasioni e contenimenti, non potrebbe consumarsi alcuna vita. Saluti
#345
Percorsi ed Esperienze / Re: Immagine di sé
20 Ottobre 2024, 17:17:08 PM
Ciao doxa. Leggo in effetti i tuoi post, li trovo rilassanti.
A volte camminando mi capita di avere in mano una pallottolina di carta da gettare. Quando vedo un cestino raccolta rifiuti la lancio da un paio di metri e se faccio centro mi dico ... "che ffigo che te si" (penso in veneto). Se sono le sette del mattino mi dico pure che quello sarà quasi certamente un giorno nato sotto una buona stella.
Eccoti dunque un bell'esempio di autogratificazione, potenziale promotrice di autostima che però viene smorzata da quella associazione che sfiora la superstizione quando il fatto si verifichi appena sceso dal letto. Eh già, la metafisica ... L'orgoglio, come hai messo ben in evidenza, è una bestia particolare perché si nutre dell'altrui gratificazione. Penso che si tratti di uno spontaneo motto transitorio dell'animo in situazioni occasionali a fronte di un atto meritorio, ma noto che nel nostro tessuto sociale vi sia una tendenza alla cronicizzazione del fenomeno con gravi ripercussioni a livello individuale e sociale. In sostanza: si gratifica e si mortifica con troppa spensieratezza.Un saluto