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Messaggi - cvc

#331
La memoria storica di un popolo è il suo inconscio collettivo, il centro di forza dei suoi impulsi vitali che necessitano di essere diretti, di essere setacciati a livello razionale per dare un senso all'esperienza ed una prospettiva al domani. Ciò che agisce su questa massa pulsante inconscia e il nostro dialogo, il nostro modo di soddisfare il nostro bisogno di comunicare, condividere, agire e interagire, partecipare. Attraverso questi sforzi razionali noi incanaliamo i nostri impulsi vitali che soggiacciono nel profondo, e si esplicano attraverso la rete di convinzioni razionali cristallizzate per mezzo del linguaggio. In questo meccanismo svolge un ruolo chiave il linguaggio ma, soprattutto, la qualità del linguaggio.
Spengler distingue la civiltà classica caratterizzata dalla retorica, dalla regolarità apollinea, dalla cultura basata sull'oralità da quella moderna della carta stampata, dalla estemporaneità, da un linguaggio superficiali. Le civiltà classica e moderna hanno due differenti modo di mettere in relazione l'inconscio col conscio perché hanno due diverse forme di linguaggio. E mi pare strano che - nella nostra memoria storica, appunto - non si siano ancora sottolineati dovutamente gli effetti di questo passaggio dall'oralità alla scrittura. La parola scritta perde la fisicità, cade nelle pieghe dell'intellettualismo più astratto, trasforma il linguaggio da mezzo a scopo. Gli antichi scrivevano per essere ascoltati, i moderni scrivono per essere letti. C'è differenza. E da questo spartiacque storico rappresentato dall'invenzione della carta stampata nacque il giornale. In una civiltà dove i testi vengono scritti a mano non potrebbero esserci i giornali. I giornali hanno via via reso la gente più informata e cosciente dei fatti del mondo, ma lo stile giornalistico ha sostituito il rigore della retorica. Sempre più informazioni in sempre meno tempo, ma in un linguaggio sempre più povero. E mi è capitato di notare che ora c'è chi preferisce tenersi informato più con video di improvvisati youtubers che con i canali ufficiali di informazione. Ognuno ha diritto di dire la sua, ognuno ha diritto di insultare, anche chi ha torto ha le sue ragioni. In definitiva nessuno ha torto e tutti hanno ragione, tutti sanno tutto di tutti, nessuno sa in che mondo viviamo.
#332
Secondo Spengler, nella sua analisi sociologico-storicistica (chiedo scusa per la brutta parola) il tramonto dell'occidente (cui pare stiamo assistendo) passa attraverso il passaggio dalla retorica al giornalismo. Ossia dal passaggio da un dialogo retorico - volto a persuadere partendo da solide basi per giungere a conclusioni convincenti - ad una comunicazione imperniata sull'immediatezza e sulla estemporaneità, dove la cosa più recente prende necessariamente il sopravvento sulle opinioni precedenti, dove le notizie vengono ingoiate subito senza filtro, dove tutto viene travolto da una corsa continua all'aggiornamento più recente per cui, la memoria storica, perde sempre più i suoi valori. In questa continua corsa dietro all'ultim'ora si perde il senso delle cose. Perché il presente, il qui e ora isolato dal contesto, perde quella continuità rappresentata dal filo che lega ieri ad oggi e si tende verso il futuro. Tutto - il senso storico dell'esistenza - si sbriciola nella deflagrazione dell'ultimo aggiornamento che, come in un drogato,  rianima in virtù di ciò che lo rende schiavo.
#333
Più che Matrix a me viene in mente 'Tempi moderni ' di Charlie Chaplin, un mondo di omini che di arrabattano goffamente per stare dietro ai ritmi imposti dalle macchine. Quando mi sento ottimista penso ad un futuro umanesimo, ad un uomo che torni a mettere se stesso, la propria umanità al centro del suo mondo e che riesca a mediare questa riscoperta con l benefici - ci sono anche quelli - del progresso. Certo sarà un lavoro più che duro e che dovrà fare i conti con la componente demografica che diviene sempre più invasiva, col pericolo di arrivare sempre più all'equazione persona=numero=cibo tecnologico.
#334
Citazione di: maral il 14 Gennaio 2017, 23:16:23 PM
Citazione di: cvc il 14 Gennaio 2017, 14:10:06 PM
@Maral

Scusa ma tu dici che non c'è l'ente legno che diventa cenere, ma ci sono semplicemente l'ente legno e l'ente cenere. Quindi fra l'ente legno che si trova ad una certa coordinata spazio-temporale e l'ente cenere che occupa la stessa coordinata spazio-temporale non c'è in mezzo niente? C'è in mezzo il tempo, ma stando alla logica del tuo discorso il tempo è niente. Perché se - come credo - il tempo è divenire, allora secondo il tuo ragionamento il tempo non esiste. È un punto di vista non impensabile perché se deve esistere una sostanza - al di là della quahle tutto sarebbe parvenza - allora deve esserci qualcosa che permane immutato nel tempo e, d'altronde, le due realtà possibili - quella dell'immutabilità e quella del divenire - paiono escludersi vicendevolmente. Però se torniamo al punto che esiste l'ente legno e l'ente cenere, innegabilmente esiste anche l'ente fuoco. Ora seguendo sempre il tuo discorso, anche il fuoco è un ente immutabile. Però ragione ed esperienza ci dicono che il fuoco è un processo che trasforma una materia in un'altra e produce energia, e ciò non può avvenire in un piatto mondo atemporale. Anche la fisica dimostra che la materia permane nel tempo mutandosi, perciò l'immutabilità - che è una categoria necessaria di realtà - va posta nell'ambito generale dell'esistenza e non della semplice forma dell'essere.  Il marmo del blocco grezzo permane nella statua, nella forma della statua. Ma la statua è anzitutto un pezzo di marmo e poi, più particolarmente, una statua bella o brutta a seconda dell'artista. Ma ne tu ne Parmenide o Severino danno - a mio parere - dimostrazione di necessità dell'implicazione fra esistenza e immutabilità, più di quanto all'interno del divenire sia anche contemplata l'immutabilità della materia - che cambia forma ma non sostanza - e dei principi che caratterizzano il muoversi dell'universo, appunto attraverso spazio e tempo.
CVC, come ho detto il principio su cui si basa tutto il ragionamento di Severino è la concreta (ossia completa) identità dell'ente con se stesso, se c'è questa identità (che Severino stesso riconosce che in linea di principio può anche essere messa in discussione, ma che se la mettiamo in discussione dobbiamo accettare che nulla più di coerente può essere detto), l'ente, ogni ente per come interamente è, non può che essere eterno, immutabile, dunque il Divenire non c'è, perché gli enti, ognuno di essi, qualunque cosa siano, sono sempre sé stessi e non può esistere alcun tempo in cui questo pezzo di legno che ora è un pezzo di legno sarà cenere, pur rimanendo in astratto il pezzo di legno che era (onde si possa dire che il legno è diventato cenere). Certo, tutto è presente un presente che non passa e non muta. Ogni attimo di questo presente è ente, ma in questo presente si svolge la scena sempre diversa dell'apparire dovuto al continuo richiamarsi reciproco degli enti attraverso la negazione che li lega, dunque il tempo che passa non è che l'illusione del gioco dell'apparire. Che tutto sia presente ci sembra assurdo, ma se ci riflettiamo un attimo non è così, non lo è nemmeno fenomenologicamente: noi viviamo sempre e solo il presente, tutto accade solo adesso, il passato non è più, il futuro non è ancora, entrambi non sono, solo il presente è.
Seguendo il filo di questo discorso non può esserci una sostanza (una essenza fissa) non meglio specificata, ma fondamentale, che non muta, mentre tutti i suoi attributi formali che la specificano di fatto mutano, tale così da rendere possibile il divenire,
appunto perché sono proprio e solo quegli attributi formali, nessuno escluso, che specificano l'ente a mezzo deli infiniti altri enti che quell'ente non è. Questa sostanza è una sorta di idea astratta dell'ente, e, in quanto tale, è qualcosa di diverso dall'ente stesso non l'essenza, se la prendiamo come se ne fosse l'essenza, dice Severino, la prendiamo in astratto, ossia pensiamo l'astratto in modo astratto e questo pensiero astratto dell'astratto è la radice stessa dell'errore.
Certamente il pensiero di Severino (che, ripeto, è assai diverso da quello di Parmenide, in quanto non riguarda l'Essere, ma tutti gli innumerevoli Enti) può sembrare assurdo e ci sono dei punti in cui mi resta oscuro (ad esempio cosa sono davvero gli enti), ma non si può negargli né profondità né rigore logico e filosofico, oltre a un enorme coraggio nel negare ciò che a tutti ci appare tanto ovvio, che le cose passano, che il fuoco (simbolo per eccellenza del divenire fin dai tempi di Eraclito) bruciando trasforma, divora, si trasforma.  
L'identità dell'ente con se stesso è la coscienza che esiste solo negli esseri pensanti. Un pezzo di legno o di cenere non ha coscienza, non percepisce il divenire, per ciò si potrebbe dedurre che in virtù del suo non-percepire-il tempo esso sia immutabile. Ma è un ragionamento arbitrario, perché l'immutabilità del pezzo di legno o di cenere non è un attributo del pezzo di legno o cenere stesso, bensì una caratteristica che gli attribuisce quel commisto di ragione-coscienza-pensiero che è la visione umana. Anche il modello di Diogene della vita naturale dell'animale non è una cosa in sé, è la vita dell'animale vista e modificata attraverso le lenti dell'uomo. Lo stesso si può dire del buon selvaggio di Rosseau, che giudica il selvaggio con le lenti dell'uomo civilizzato. Così come spesso vengono travisati gli scrittori antichi attraverso le lenti del progresso. È il punto di osservazione che determina la coscienza e il tempo. Il mondo descritto da Severino è razionale come può esserlo un circuito stampato di un computer: è logico e razionale ma manca l'esperienza. In Severino manca il vissuto, la vita è fatta di sentimenti che prendono a schiaffi la ragione, di rimpianti, di scelte che impongono rinunce, di scommesse, di un pensiero che lotta ad oltranza per un brandello di pace, di intelligenza che cerca ospitalità in un sentimento.
L'amore è eterno finchè dura...  e anche l'ente è immutabile fino a quando si trasformerà. Posso percepire questo momento come immutabile, perciò esso sarà per la mia coscienza immutabile relativamente alla sua durata. 
#335
@Maral

Scusa ma tu dici che non c'è l'ente legno che diventa cenere, ma ci sono semplicemente l'ente legno e l'ente cenere. Quindi fra l'ente legno che si trova ad una certa coordinata spazio-temporale e l'ente cenere che occupa la stessa coordinata spazio-temporale non c'è in mezzo niente? C'è in mezzo il tempo, ma stando alla logica del tuo discorso il tempo è niente. Perché se - come credo - il tempo è divenire, allora secondo il tuo ragionamento il tempo non esiste. È un punto di vista non impensabile perché se deve esistere una sostanza - al di là della quahle tutto sarebbe parvenza - allora deve esserci qualcosa che permane immutato nel tempo e, d'altronde, le due realtà possibili - quella dell'immutabilità e quella del divenire - paiono escludersi vicendevolmente. Però se torniamo al punto che esiste l'ente legno e l'ente cenere, innegabilmente esiste anche l'ente fuoco. Ora seguendo sempre il tuo discorso, anche il fuoco è un ente immutabile. Però ragione ed esperienza ci dicono che il fuoco è un processo che trasforma una materia in un'altra e produce energia, e ciò non può avvenire in un piatto mondo atemporale. Anche la fisica dimostra che la materia permane nel tempo mutandosi, perciò l'immutabilità - che è una categoria necessaria di realtà - va posta nell'ambito generale dell'esistenza e non della semplice forma dell'essere.  Il marmo del blocco grezzo permane nella statua, nella forma della statua. Ma la statua è anzitutto un pezzo di marmo e poi, più particolarmente, una statua bella o brutta a seconda dell'artista. Ma ne tu ne Parmenide o Severino danno - a mio parere - dimostrazione di necessità dell'implicazione fra esistenza e immutabilità, più di quanto all'interno del divenire sia anche contemplata l'immutabilità della materia - che cambia forma ma non sostanza - e dei principi che caratterizzano il muoversi dell'universo, appunto attraverso spazio e tempo.
#336
Citazione di: Sariputra il 14 Gennaio 2017, 11:21:16 AM
Citazione di: cvc il 14 Gennaio 2017, 10:41:33 AM@Sariputra Intuito e ragione sono due forze imprescindibili che interagiscono in noi. Dato che noi abbiamo anche la capacità di concentrarci sull'una o sull'altra tendiamo, per semplificazione, a considerarli separatamente scordando l'intuito che c'è nella ragione e la parte di razionalità che alberga nell'untazione. Come ho detto secondo me i principi cardine sono necessità e volontà. Dato che erroneamente li consideriamo separatamente, e dato che ci è più facile esercitare la volontà sulla ragione che sull'intuito, tendiamo a privilegiare la prima. Ma c'è anche l'altro principio, quello della necessità, dell'inevitabile, del fluire e divenire delle cose che ha una sua logica che ci sfugge e che gli stoici identificano con Dio-Ragione Universale. A me riesce impossibile negare l'esistenza di Dio, perché anche proclamandomi ateo non posso fare a meno di tornare a pensare a Dio. Si può essere atei solo in vista di un'esistenza creduta o supposta di Dio. E capita di vedere atei incalliti (Corradi Augias ad es) che non smettono di parlare di Dio. È nel rapporto fra necessità e volontà. - o destino e libertà. - che vedo le cose più interessanti. La libertà giunge solo quando si accetta l'inevitabile - inclusa l'umana ignoranza sull'esistenza o meno di Dio - esercitando la propria volontà e libertà attraverso questa decisione deliberata.

C'è sempre in noi questa sorta di ambivalenza, di affermare negando e di negare affermando. Spesso, quelli che non credono in Dio ( noi diamo per scontato che quando si parla di Dio s'intende il dio cristiano, ma ci sono molte visioni e idee diverse su questo "Dio"...), passano la vita a tentar di dimostrare che il loro non credere è veritiero. quindi inconsciamente , negando l'Altro, tentano di affermare se stessi. Personalmente vedo , sia nel credere indimostrabile che nel non credere, lo stesso tentativo fatto dall'Io di delimitarsi dei confini precisi. Per affermare il suo "essere ente" reale, sostanziale questa creatura immaginaria ha bisogno di sentirsi in relazione con altro ( nel caso del credente) o con se stesso ( nel caso dell'incredulo). E' un bisogno psicologico fondamentale, direi quasi naturale. Essere consapevoli di questo bisogno naturale aiuta, a mio parere, ad osservarlo, a comprenderne l'irrealtà pur essendone vincolati come necessità. Già solo la pratica di osservare questo fenomeno mentale interiore, questa necessità e volontà di essere un ente ben definito, crea un minor attaccamento a questo processo mentale incessante. Da non sottovalutare  anche la necessità e volontà di sicurezza dell'Io e la necessità e volontà di fuggire la Paura. Nel primo caso si manifesta nell'egoismo personale e nel secondo nella credenza in una divinità protettrice dalle nostre paure ( di non-essere un ente ben definito in questo caso...). Le due fasi d'essere dell'Io si alternano continuamente. e s'intrecciano senza sosta durante l'esistenza. Osserviamo come all'aumentare della paura ci si rivolga all'Altro protettore e al diminuire si ritorni velocemente all'ego...( basta la minaccia di una malattia per accorgersi di come funziona la nostra mente...). Ai due estremi abbiamo il mistico che si identifica con la divinità protettrice adorata e viceversa , dall'altra parte, l'incredulo che si identifica totalmente con il proprio egoismo, assumendo di fatto il volto di un "demone".
Questa necessità e volontà dell'Io di "appoggiarsi" all'ego o all'Altro ne rivela la fragilità, l'inconsistenza oltre che variabilità. Se l'Io fosse realmente un "ente in se stesso fondato" non avrebbe bisogno di identificarsi incessamente con altro per essere.
Si potrebbe dire che tutto è relazione. Però la relazione stessa ha bisogno di un principio, la funzione che unisce elementi di insiemi diversi. E questo principio deve rimanere immutabile affinché la relazione sia valida. Perciò la relazione è un qualcosa di dinamico che ha però bisogno di una costante. Quindi le cose sono sempre più complesse di quando diciamo che tutto è questo o tutto è quest'altro . E Dio è la più grande delle semplificazioni. Sta di fatto che abbiamo bisogno di semplificare per orientarci in un mondo complesso, e abbiamo bisogno di orientarci per adattarci, per assimilare, per obbedire al nostro istinto di autoconservazione. Perché conservarci è la nostra necessità maggiore, la priorità. Ma quando, data la nostra natura razionale, capiamo di non poterci conservare per sempre, allora assume importanza la nostra idea di libertà. Perché a fianco di ciò che non possiamo cambiare scopriamo la nostra facoltà di dare un senso alle cose. E questa è la sola vera libertà, la libertà di giudicare, perché essa sola può dipendere esclusivamente da noi. In questo senso l'io acquista la sua autonomia.
#337
@Sariputra

Intuito e ragione sono due forze imprescindibili che interagiscono in noi. Dato che noi abbiamo anche la capacità di concentrarci sull'una o sull'altra tendiamo, per semplificazione, a considerarli separatamente scordando l'intuito che c'è nella ragione e la parte di razionalità che alberga nell'untazione.
Come ho detto secondo me i principi cardine sono necessità e volontà. Dato che erroneamente li consideriamo separatamente, e dato che ci è più facile esercitare la volontà sulla ragione che sull'intuito, tendiamo a privilegiare la prima. Ma c'è anche l'altro principio, quello della necessità, dell'inevitabile, del fluire e divenire delle cose che ha una sua logica che ci sfugge e che gli stoici identificano con Dio-Ragione Universale.
A me riesce impossibile negare l'esistenza di Dio, perché anche proclamandomi ateo non posso fare a meno di tornare a pensare a Dio. Si può essere atei solo in vista di un'esistenza creduta o supposta di Dio. E capita di vedere atei incalliti (Corradi Augias ad es) che non smettono di parlare di Dio.
È nel rapporto fra necessità e volontà. - o destino e libertà. - che vedo le cose più interessanti. La libertà giunge solo quando si accetta l'inevitabile - inclusa l'umana ignoranza sull'esistenza o meno di Dio - esercitando la propria volontà e libertà attraverso questa decisione deliberata.
#338
@Apeiron

La metafisica è una sublimazione razionale che - dato che non può fare completamente a meno del sensibile - subordina il sensibile al razionale.
La metafisica presuppone l'esistenza di un Dio, perché la ragione allo stato puro con cos'altro si identifica se non con la forza immateriale dominatrice del sensibile che è uno dei tratti fondamentali con cui si designa Dio? Poi è venuto il cristianesimo, la verità rivelata, e ci ha incasinato le cose. Perché il cristianesimo ha preso a calci nel sedere la metafisica che può essere tuttalpiù un ancella, con D'Aquino che va in trance alla mensa del Re d'Inghilterra, smette di mangiare e si fa portare da scrivere, per enunciare la sua ennesima prova metafisica dell'esistenza di Dio. Che la metafisica debba preoccuparsi di dimostrare Dio è un assurdo, perché nel mondo classico la metafisica presume Dio, quindi più che un assurdo è un discorso circolare che non porta da nessuna parte. E d'altronde non a caso questa è stata definita l'età oscura cui fece seguito il rinascimento con la riscoperta dei valori classici e la sublimazione del cristianesimo in umanesimo.
Ma, mi chiedo, questo nostro volgerci alle filosofie orientali, non è forse un inconscio tentativo di liberarci dal giogo della realtà rivelata? Perché attraverso il tao e il buddismo noi alla fine ci ricongiungiamo col mondo classico.
E purtroppo il cristianesimo viene inteso come una realtà rivelata che congloba tutto in se, mentre esso è un fenomeno sui generis con le sue straordinarie novità, che si è però annesso altre realtà che non sono farina del suo sacco: il mondo classico, il culto del sole, pure parte del positivismo scientifico con la possibilità di mantenere in vita a tempo indeterminato dei vegetali.
#339
La filosofia è una giungla nella quale ci si sposta con le liane delle parole, dove se si sbaglia lo slancio si finisce col girare su se stessi, e si viene strangolati da quelle stesse liane che dovevano essere il mezzo per spostarsi nella giungla.
Ente è una di queste liane-parole, e il pensatore è come il bambino cui i genitori han detto che non compreranno più giochi: rovescia la scatola dei giocattoli per vedere se ce n'è uno con cui non ha ancora giocato. Ma poi vede che li ha già provati tutti, allora inizia da capo.
Visto che sono anch'io un bambino- filosofo o filosofo -bambino o bambino che gioca al filosofo, visto che anch'io ho la mia scatola dei giochi e anch'io ni aggrappo alle liane per muovermi o strangolarmi, allora io pongo alla base di ciò che è due principi: necessità e volontà. Attorno ad essi ruota tutto, si potrebbe anche definirli destino e libertà dove, purtroppo, si pensa spesso che una cosa escluda l'altra.
#340
Tematiche Filosofiche / Morte liquida
10 Gennaio 2017, 09:26:10 AM
Nel paradossale mondo della filosofia dove - per dirla alla Kant  - i protagonisti muoiono e risorgono ogni giorno, forse si può pensare alla morte di un filosofo come ad un fatto irrilevante. Io mi rifiuto di pensare che Seneca, Marco Aurelio, Socrate o Giovanni Reale siano morti. E perché dovrebbero esserlo? Vivono nei miei pensieri, nel mio animo.
Ieri è morto Zygmunt Bauman. A parte il suo passato filo-marxista, ha detto cose molto profonde riguardo al rapporto fra l'uomo moderno e la modernità, utili per la presa di coscienza dell'uomo di oggi su di un mondo che è (già) cambiato.
La liquidità dei valori. Nell'ottocento, ad esempio, il sentimento nazionale era tanto forte che si diceva che un uomo che amava la patria, nel suo cuore non aveva altro spazio per poter amare anche una donna. Oggi invece ci si innamora con facilità e ci si disinnamora altrettanto superficialmente.
Il paradosso della globalizzazione. La retorica dei mercati aperti hanno portato il mondo ad essere un unico grande mercato globale.... chiuso!
Facebook e la solitudine. L'illusione di sconfiggere la solitudine coi social network. L'assurdità di voler annientare il sentimento della solitudine che oltre ad essere una malattia può essere anche una risorsa, la possibilità di un risveglio dello spirito che ha bisogno del silenzio per riemergere. Altro che lo sconcertante sond of silence di Simon and Garfunkel.
Caro Bauman, hai parlato di cose attualissime del mondo che ti apprestavi a lasciare con maggior consapevolezza di chi ha ancora molto o tutto da vivere. Forse i veri morti sono altri, quelli che dormono da svegli e ignorano il filo della storia che collega passato e presente. Che ignorano la possibilità che hanno di essere quel filo.
#341
Cesare Lombroso, il pioniere della scienza criminale, attribuiva questa frase (il titolo di questo topic) ad generale che partecipò alla celebre convocazione del parlamento sul brigantaggio, di poco successiva all'unità.
Fin troppo esplicita appare qui la giustificazione morale che a maggior ragione nei tempi attuali viene solitamente accompagnata ai reati vari. Quindi la valanga dei luoghi comuni: "Le multinazionali sono disoneste, fa bene chi ruba nei supermercati". "Non mi danno la pensione, bravo chi non paga le tasse". "Mi hanno dato la multa, giusto aggredire le forze dell'ordine".
Da qui nasce una sorta di sentimento apologico nei confronti dei delinquenti, che sarà pure una brutta parola, ma come lo vogliamo chiamare chi delinque? Da qui anche una specie di peccato originale nella coscienza comune, dobbiamo portarci sulle spalle la croce e la colpa di una società ingiusta che fa figli e figliocci. E noi fortunati come ci permettiamo di puntare il dito sui delinquenti, che non sono altro che le vittime di una società ingiusta?
Poi si rischia di cadere da un giustificazionismo ad un altro, si rischia di diventare forcaioli. Ma a dire il vero su questa categoria c'è già una certa guerra preventiva, chi auspica la legalità con intransigenza viene infatti subito bollato come fascista. Ma se uno in cuor suo sa di non aver mai fatto del male ad una mosca, perché deve portarsi dietro la croce e la colpa di una società ingiusta che - proprio perché ingiusta - deve essere indulgente coi farabutti (e mi scuso per quest'altra brutta parola)?
#342
Varie / Re:BUON NATALE
25 Dicembre 2016, 19:07:58 PM
Per quanto consideri il natale un'allucinazione collettiva, anche le tradizioni hanno la loro parte.
Auguri a tutti.
#343
Tematiche Filosofiche / Re:pensieri sull'inconscio
24 Dicembre 2016, 10:48:53 AM
Dal punto di vista filosofico, come rilevato da Galimberti, Freud è figlio del pensiero greco. Sembra che, da stimatore di Nietzsche qual era, si sia servito dei concetti di conscio e inconscio per reinterpretare la dicotomia fra apollineo e dionisiaco. Se apollineo si intende la regolarità, quindi la coscienza e la razionalità, il dionisiaco è invece rappresentato dall'inconscio, l'irrazionale, la follia ispiratrice, l'istinto vitale. Ma poi - adesso mi copro di ridicolo psicanalizzando Freud - dopo aver concettualizzato la potenza creatrice dell'inconscio, Freud (e Nietzsche) riprende in mano il conscio (la razionalità) a mo di randello, per domare la bestia e condurla alla propria volontà.
Dal punto di vista psicologico - oltre alla appena necessaria precisazione che il metodo Freud non funziona e non ha mai guarito nessuno - Freud ha individuato nella rimozione la causa della nevrosi. E la sua cura è stata identificata nella reintroduzione dell'oggetto o evento rimosso nella sfera conscia. Mi pare interessante il parallelo con la ipnoterapia eriksoniana, per cui l'inconscio mal tollera le intrusioni nella sua sfera da parte del conscio, per cui il tentativo di cura finisce per aggravare il male. Secondo tale ottica gli interventi sull'inconscio devono avvenire in modo naturale dirigendo si a livello conscio, ma secondo i modi dell'inconscio. Il quale percepisce positivamente le indicazioni consce non allargando la coscienza - reintroducendo la rimozione come voleva Freud - bensì restringendola, come quando si provoca uno stato di trance.
#344
Attualità / Re:BARRIERE ANTI-CAMION IN TUTTA MILANO.
21 Dicembre 2016, 20:51:21 PM
A me pare assurdo che nessuno abbia ancora fatto un calcolo serio per poter dire possiamo integrare tot immigrati, possiamo accogliere tot profughi. I discorsi accogliamo tutti o non accogliamo nessuno non valgono una lira. Così come mi pare assurdo che chi ha voluto queste guerre preventive assurde non debba rispondere davanti ad un tribunale per aver trascinato il mondo in questa situazione.
#345
Attualità / Re:L'Italia è governabile?
17 Dicembre 2016, 12:07:39 PM

Ti ringrazio per la precisazione, il primo ministro non lo elegge il presidente della repubblica . Lo nomina dopo aver consultato la maggioranza, ed è ovvio che nomina chi si presume incasserà la fiducia di parlamento e senato.
Che le multinazionali possano provvedere alla sicurezza dei cittadini, alla sanità, alla pubblica istruzione, ecc., mi pare assai improbabile.