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Messaggi - doxa

#331
Tematiche Culturali e Sociali / Sapienza e ... dintorni
17 Novembre 2023, 17:55:58 PM
"Sapienza": questo sostantivo deriva dal latino "sapientia", in ebraico "Hohmàh",  in greco "Sophìa".

"Sapientia"  discende dal verbo "sàpere" che nell'antichità significava "avere sapore",  saporito = "sapido",  dal latino sapĭdus, anche questo aggettivo deriva dal verbo latino "sàpere".

Sapienza e mitologia

Atena, la dea greca della sapienza, protettrice delle arti e della strategia in battaglia. Difendeva e consigliava gli eroi, come Eracle (= Ercole), Giasone, Odisseo (= Ulisse).



Nell'Iliade compare come  sostenitrice degli Achei durante la guerra di Troia. Ma essi dopo aver conquistato la città con l'inganno (il cavallo di Troia), non rispettarono la sacralità di un altare dedicato ad Atena,  presso il quale si era rifugiata la profetessa troiana Cassandra. Per punirli, Atena chiese a Poseidone, dio del mare, di scatenare una tempesta che distrusse la maggior parte delle navi greche sulla via del ritorno  nelle loro polis.

Atena aveva come epiteti "Pallade"  (= lanciatrice d'asta) o "Parthènos" (= la vergine) perché non ebbe amanti o mariti, secondo la mitologia.

I suoi simboli: la civetta e l'ulivo.

E' raffigurata  con indosso la corazza  l'elmo e lo  scudo, sul quale è appeso un dono votivo di Perseo: la testa  di Medusa, una Gorgone.

Le Gorgoni, mostri marini,  erano tre sorelle: Medusa, Euriale e Steno.  Ognuna di essa  simboleggiava una forma  di perversione. Euriale la perversione sessuale, Steno la perversione morale, Medusa la perversione intellettuale.

Avevano ali d'oro e mani di bronzo, al posto dei capelli avevano dei serpenti. Chi le guardava negli occhi rimaneva pietrificato.

Medusa era l'unica mortale fra le tre e la  loro regina. Per volere di  Persefone custodiva gli Inferi.

Il mito narra che Perseo,  avendo ricevuto l'ordine di consegnare la testa di Medusa a Polidette, sovrano dell'isola di Serifo,  si recò prima presso le Graie, sorelle delle Gorgoni, costringendole a indicargli la via per raggiungere le Ninfe. Da queste ricevette sandali alati, una bisaccia e un elmo che rendeva invisibili: doni ai quali si aggiunsero uno scudo levigato, tanto da riflettere l'immagine della Gorgone, da parte di Atena e un falcetto da parte di  Ermes.

Così armato, Perseo volò contro le Gorgoni e, mentre erano addormentate, guardandone l'immagine nello scudo donato da Atena per evitare di rimanere pietrificato, tagliò la testa a Medusa e la chiuse nella bisaccia delle Graie. Dal tronco decapitato di Medusa uscirono, insieme al sangue, il cavallo alato Pegaso  e Crisaore, padre di Gerione.

Perseo donò la testa della Gorgone alla dea Atena, la quale la fissò al centro del proprio scudo per terrorizzare i nemici in battaglia.

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#332
/3

Nel linguaggio contemporaneo la locuzione  "fijo de na mignotta" o "figlio di mignotta"  può avere diversi significati: una persona da disprezzare, un individuo astuto, un "cordiale saluto tra amici durante un  casuale incontro: "a fijo de na mignotta, come stai ?".

I più precisi distinguono nel dire "fijo de mignotta" come complimento  ad una persona furba,  invece "fijo de 'na mignotta", come insulto ad una persona, mirando alla immaginaria "professione della madre".

"Vviè cqua, a fijo de 'na mignotta",  anche questa tipica espressione può essere detta in modo minaccioso oppure in senso ironico, dipende dal contesto.

Nell'uso della lingua italiana il ricorso al turpiloquio  è generalmente utilizzato in situazioni specifiche, come sfogo alla propria aggressività. Invece a Roma la parolaccia  a volte è considerata parte integrante di tranquilli dialoghi, è percepita come rafforzativo di alcuni concetti, diventando  essenziale in alcune circostanze per far capire meglio all'interlocutore.

Dipende dal tono di voce (scherzoso o adirato), dalla situazione in cui viene detta la parolaccia, dal linguaggio non verbale: la gestualità. 

Nei secoli passati  il "panorama espressivo"  era usato anche dall'alto clero e dai nobili, specie quando parlavano con la "plebe".

Un aneddoto vuole  che sia stato "parolacciaro" il papa Benedetto XIV: Prospero Lorenzo Lambertini, che pontificò dal 1740 al 1758.




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#333
/2

La "Ruota degli Esposti" e i "Filius di Matris ignotae".

Adesso vi faccio vedere la foto di una "ruota degli esposti" (tutelata da una grata), visibile a Borgo Santo Spirito, vicino al Vaticano.

E' nel lato esterno della "Corsia sistina" (da non confondere con la "Cappella Sistina), che faceva parte dell'antico ospedale di  "Santo Spirito in Sassia".



Vicino  la "ruota" è visibile la cassetta per le offerte. Sul marmo  c'è scritto: "Elemosine per li poveri projetti dell'hospidale"  "proietti" significava "trovatelli", "fanciulli abbandonati", poi usato come cognome del neonato, idem "Diotallevi". A Napoli  da "esposti" è derivato il cognome "Esposito" e similari. 

Nei secoli la ruota del Santo Spirito ha salvato tanti neonati dalla morte ( ipotizzano circa mille ogni anno). Fu abolita  nel 1923. 

Le famiglie povere non potevano permettersi di mantenere un altro figlio, di solito non voluto.

Papa Innocenzo III (pontificò dal 1198 al 1216) per non far uccidere i neonati (anche gettandoli nel Tevere) nell'ospedale di Santo Spirito fece creare  la "ruota degli esposti", tramite la quale le madri o loro parenti, in modo anonimo, potevano abbandonare i piccini per affidarli alle cure dell'ospedale e delle balie che lo frequentavano per allattare neonati non loro,  in cambio di denaro.

La "ruota degli esposti" era simile ad un ruotante  barilotto di legno con sportello. Dall'esterno  vi veniva adagiato in forma anonima, l'"esposto",  il neonato di genitori ignoti.


Foto di un'altra ruota degli esposti.

Chi lasciava "er pupo" tirava la corda di una campanella per avvertire dell'abbandono. Dall'interno la suora, faceva girare la "ruota" e prelevava il "pargolo" per affidarlo alla cura e tutela all'interno dell'ospedale. 

Quando quei bambini raggiungevano l'età adulta (la minoranza, altri morivano di malattie) il loro destino cambiava in base al sesso: i maschi apprendevano un lavoro e venivano avviati all'attività lavorativa,  le femmine, invece, venivano addestrate alla cura della famiglia.  Per loro ogni anno venivano svolte le cosiddette "processioni" in date prestabilite, a cui erano invitati i giovani  che cercavano una moglie.  Se  avveniva il "fidanzamento la donna era libera di andare, se invece restava nubile era destinata a diventare suora oppure a lavorare come domestica di un vescovo o cardinale  oppure  in una famiglia nobile.

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#334
Nel 1969 la docente universitaria Nora Galli de' Paratesi scrisse il libro titolato "Le brutte parole. Semantica dell'eufemismo". Uno studio sulla "censura" del linguaggio, sulle parole "proibite". Lo scopo del testo è quello di trovare le motivazioni psicologiche che vietano di pronunciare una parola, una frase.

Per evitare o sostituire le parole tabu si usa l'eufemismo.

Nel passato l'auto-censura entrava in azione per parole che riguardavano il sesso, la "decenza", oggi si esercita sulle parole del politicamente corretto. Quindi, il potere coercitivo dell'eufemismo dipende dalla società.

Il disagio nel pronunciare o scrivere determinate parole può derivare da vari fattori: il timore di offendere l'interlocutore, l'interdizione religiosa, il pudore, ecc..


Stasera la frase che ho scelto nel dialetto romanesco è "colorita, "sorge spontanea dal profondo dell'antro, specie per motivi di viabilità: "fijo de na mignotta". Nel Nord Italia prevale "figlio di puttana", nel Sud, in particolare in Campania, "figlio 'e 'ntrocchia".

La frase a me interessa soltanto dal punto di vista etimologico e storico, non mi suscita ilarità.

Se non è gradita, "no problem":  i moderatori possono togliere i tre post che dedico a questa locuzione.


Secondo un'interpretazione diffusa, l'espressione "fijo de na mignotta", deriva dalla frase "filius matris ignotae" (= figlio/a di madre ignota) che veniva scritta sui registri anagrafici per i neonati abbandonati.

Frequentemente l'annotazione veniva abbreviata in: "m. ignotae". Nel parlato popolare le due parole vennero unite, composte, e formarono il neologismo "mignotta".

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#335
Tematiche Culturali e Sociali / A Roma dimo così...
04 Novembre 2023, 19:46:08 PM
Roma, aristocratica e plebea

La celebre invettiva romanesca, "Li mortacci tua" , di solito viene detta con cattiveria quando si guida l'auto ed è  rivolta verso un altro conducente che non rispetta il Codice della strada o per motivi di viabilità.

L'improperio, però, viene anche espresso  con un sorriso per manifestare la propria sorpresa quando s'incontra un conoscente dopo tanto tempo: "Li mortacci tua !, come stai ?"

Nel "Liber pontificalis" si può leggere che nell'anno 545 quell'insulto venne usato contro papa Vigilio (pontificò dal 29 marzo 537 alla sua morte, nel 555) da persone a lui contrarie perché  non aveva voluto accettare l'eresia monofisita.

Il monofisismo (dal greco "monos" (= unico) + "physis" (= natura) è  il termine usato dalla teologia cattolica per indicare la forma di cristologia elaborata nel V secolo dall'archimandrita greco Eutiche, secondo la quale la natura umana di Gesù era inclusa in quella divina, perciò in lui era presente solo la natura divina.

Secondo il Liber Pontificalis, il 22 novembre dell'anno 545  mentre il pontefice stava celebrando la Messa in occasione della festa di Santa Cecilia nell'omonima basilica nel rione Trastevere, il legato imperiale  Antimo, impose al pontefice di mettersi immediatamente in viaggio per Costantinopoli su ordine dell'imperatore bizantino Giustiniano.  Il papa fu condotto sull'imbarcazione nel fiume Tevere,  ormeggiata nel porto fluviale di Ripetta.

Le tante persone presenti alla scena, non sapendo il motivo  dell'urgente trasferimento papale, anziché reagire uniti per difenderlo si divisero per opinioni diverse, chi lo compiangeva e chi  lo malediceva, perché in quel periodo Roma era assediata dai Goti di Totila  e tutta la popolazione versava nella miseria.  Molti pensarono che quella di Vigilio fosse una fuga dalla difficile situazione in città.

Chi lo insultava  gli gridava: "Male fecisti Romanis, male invenias ubi vadis!" (= Hai fatto del male ai cittadini di Roma, che  tu possa trovare il male dove ora vai!). E aggiungeva: "Mortalitas tua tecum pro te" (Tutti i tuoi morti con te e per te!). Da questa frase deriva quella più concisa: "mortacci tua".

Papa Vigilio non rivide più Roma, Durante il viaggio di ritorno  da Costantinopoli morì a Siracusa il 7 giugno dell'anno 555.

A complemento dell'ingiuria c'è da aggiungere un'altra frase, ormai in disuso,  in dialetto romanesco o romano: "Mortacci tua, e de tu' nonno in carriola. . ., con riferimento agli anziani ricoverati  nelle corsie ospedaliere o nelle ali aggiunte durante le epidemie, quando non era possibile curare tutte le persone e non si poteva avere sempre un posto letto. Ma i malati non venivano collocati nelle carriole: erano sedie con ruote, sulle quali venivano adagiati i corpi di vivi o morti..



Gli anziani che non potevano essere assistiti dai loro familiari venivano portati negli "spedali". Ricevevano cure palliative, un po' di cibo, ma sostanzialmente erano parcheggiati in attesa di morire.


Da aggiungere che a Roma e in altre zone del Lazio quando tuona durante i temporali i bambini, specie nel passato, chiedono  "Mamma, cos'è questo rumore?",  e la madre risponde: "Nonno in cariola!" (a Roma si pronuncia con una sola "r").
#336
Tematiche Spirituali / Re: 2 Novembre
02 Novembre 2023, 17:07:45 PM
Oggi è giorno di meditazione della morte e  il sacerdote durante la celebrazione della Messa chiede a Dio: "Ricordati dei nostri fratelli, che si sono addormentati nella speranza della risurrezione e di tutti i defunti che si affidano alla tua clemenza: ammettili a godere la luce del tuo volto".
 
Il filosofo e matematico  greco Crisippo di Soli (280 a. C. circa – 208 a. C. circa), che  ad Atene  diresse la scuola filosofica dello Stoicismo, diceva che l'individuo deve imparare a convivere con la prospettiva di dover morire. O. K.,  ma avere "i giorni contati" ed esserne consapevole è una  sensazione complicata e difficile da accettare.
 
Nella prima metà del XV secolo  fu elaborato un genere letterario denominato "Ars moriendi" (l'arte di morire) con suggerimenti e procedure per la "buona morte" secondo i precetti cristiani.
 
La sua popolarità era tale che fu tradotta nella maggior parte delle lingue  europee.
 
La necessità di prepararsi alla propria morte era nota nella  letteratura medievale, ma prima del XV secolo non c'era la tradizione sul come morire bene e come fare.
 
L'Ars moriendi fu la risposta innovativa della  Chiesa cattolica  alle mutate condizioni sociali causate dalla peste nera. Il clero  era stato duramente colpito. Per reintegrare l'organico ci sarebbero volute generazioni per sostituire tutti i sacerdoti sia in quantità che in qualità.
 
Il testo dell'Ars moriendi   con le immagini aveva la funzione di "prontuario": insegnava al popolo come fare una buona morte e le regole utili per andare in Paradiso.
 

Angeli ed  altre entità assistono all'agonia di un moribondo. Notare sulla sinistra anche la presenza del diavolo provvisto di corna: è l'uomo barbuto vicino la testiera del letto.
 
In origine  dell'Ars moriendi furono elaborare due versioni: una breve ed un'altra lunga,  quest'ultima  con 11 xilografie  istruttive, in modo da poter essere spiegata e memorizzata facilmente.
 
La versione originale "lunga", chiamata "Tractatus (o Speculum) artis bene moriendi", fu scritta nel 1415 da un  anonimo frate  domenicano.
 
#337
Tematiche Spirituali / Re: 2 Novembre
02 Novembre 2023, 15:35:29 PM
Un aforisma attribuito a Ippocrate, medico greco del V sec. a. C., dice: "la vita è breve, l'arte è lunga, l'occasione fuggevole, l'esperimento pericoloso, il giudizio difficile".

L'aforisma è spesso citato in forma concisa: "Vita brevis, ars longa", con evidente richiamo a Seneca nel dialogo "De brevitate vita" (1, 1), però, al contrario del titolo, il filosofo dice: "l'esistenza umana non è breve, ma viene resa tale dalla nostra incapacità di adoperare il tempo che ci è stato assegnato in maniera proficua. Molti infatti sprecano i propri giorni...".

La locuzione ippocratica mi evoca sia l'epicedio (nell'antica Grecia il canto di accompagnamento del defunto; per estensione, lamento funebre, componimento funebre) sia il brano musicale titolato "Metamorphosen", composto da Richard Strauss nel 1945. E' una malinconica e meditativa elegia di compianto con 23 strumenti musicali ad arco: 10 violini, 5 viole, 5 violoncelli, 3 contrabbassi.

Strauss in quel periodo era a Garmisch-Partenkirchen, nel Land della Baviera (in Germania), a circa 10 km dal confine con l'Austria).

Lesse sul giornale che il giorno precedente (12 marzo 1945) la Staatsoper (Teatro dell'opera) di Vienna era stata devastata dalle bombe lanciate da un aereo inglese della RAf. In quel teatro erano state rappresentate le sue opere.

Consapevole che da quelle rovine non poteva rinascere quel mondo da lui conosciuto e quella civiltà musicale a lui cara, colmo di tristezza si mise a comporre "Metamorphosen", riunendo i suoi abbozzi precedenti. La composizione musicale definitiva la elaborò in un mese, terminata il 12 aprile 1945.

Nell'ultima parte, quando ogni canto si estingue nella rammemorazione di ciò che fu, Strauss cita un tema (proposto da tre violoncelli e tre contrabbassi) della Sinfonia Eroica di Beethoven, l'attacco della Marcia Funebre.

La prima esecuzione di Metamorphosen" fu a Zurigo il 21 gennaio 1946.
#338
Tematiche Spirituali / Re: 2 Novembre
02 Novembre 2023, 15:19:40 PM
Il pittore e architetto Herman Posthumus (nato nel 1512 circa nella Frisia orientale e morto nel 1588 ad Amsterdam) nel 1536 realizzò questo dipinto: un immaginario paesaggio di epoca romana con rovine, da lui ideato durante il suo soggiorno a Roma.


Herman Posthumus, Tempus edax rerum, olio su tela, 1536, Museo Liechtenstein, Vienna.

La locuzione latina "Tempus edax rerum" (= "Il tempo che tutto divora") è tratta dal verso 234 del XV libro delle "Metamorfosi" di Ovidio":

"tempus edax rerum, tuque, invidiosa vetustas,
omnia destruitis vitiataque dentibus aevi
paulatim lenta consumitis omnia morte!"



Il pittore Posthumus usò l'inizio della frase come titolo del suo dipinto. Il parziale enunciato è visibile in primo piano, scritto in stampatello e in lingua latina su un  blocco di marmo.


particolare del paesaggio con rovine (Tempus edax rerum).

Le rovine dei monumenti capovolgono il concetto di perfezione formale e compiutezza dell'opera d'arte, fanno riflettere sulla caducità, su un passato non più recuperabile, comunque le ammiriamo nonostante il deperimento. Ecco perché ci piace la Venere di Milo così com'è.


il pittore si è autorappresentato (?) mentre osserva e misura la base di una colonna per il riuso come materiale edilizio di una nuova costruzione.
#339
Tematiche Spirituali / Re: 2 Novembre
02 Novembre 2023, 14:22:58 PM
Vi è capitato di riflettere sull'estetica delle rovine archeologiche come simbolo di morte ?
 
 Gli edifici in rovina, siano essi antichi monumenti diroccati ma anche palazzi in abbandono, invasi dalla vegetazione che penetra tra le crepe delle pietre, offrono la visione dell'ineluttabile precarietà, la testimonianza del tempo che passa.
 
 Nel '700, in particolare, le rovine di epoca romana furono ritratte da pittori e incisori: templi crollati, colonne, resti di abitazioni. Di quel che furono, poderosi edifici, offrono allo sguardo la silenziosa malinconia.


 Johann Heinrich Füssli, l'artista è commosso dalla grandezza delle rovine antiche, 1778-80, sanguigna e seppia, Kunsthaus, Zurigo.
 
 


 Rovine nel parco archeologico di Selinunte. Sullo sfondo, il Tempio di Era, della prima metà del V sec. a.C..
 
 
Nel 1517 papa Leone X per far continuare la costruzione della nuova basilica di San Pietro, iniziata il 18 aprile 1506 durante il pontificato di papa Giulio II, non avendo il denaro necessario istituì una speciale indulgenza per coloro che avessero fatto un'offerta.

 Inoltre, per accelerare i lavori fece depredare numerosi monumenti dell'antica Roma.
 
 Nel 1519 il famoso pittore e architetto rinascimentale Raffaello Sanzio per difendere quei resti monumentali dalle spoliazioni da parte di nobili, cardinali ed anche pontefici per la costruzione di altre dimore o chiese, scrisse una lettera al papa Leone X per porre fine alla rovina arrecata ai resti della Roma imperiale "dalla scielerata rabbia et crudel'impeto di malvaggi huomini".
 
 Per elaborare la lettera Raffaello chiese l'aiuto del suo amico Baldassarre Castiglione, il quale mise in elegante prosa volgare i sentimenti appassionati e i progetti visionari concepiti dall'amico artista su "quella nobil patria, che è stata regina del mondo".
 
 Raffaello, a cui era affidata la direzione del cantiere per la nuova basilica di San Pietro, avvertiva la profonda contraddizione tra le esigenze del papa e il proprio convincimento circa la necessità di risparmiare le rovine del passato nella città. Da questa constatazione l'appello di Raffaello per la sistematica documentazione della Roma antica superstite, secondo gli insegnamenti di Vitruvio e di Leon Battista Alberti.
 
 La lettera sarebbe stata concepita da Raffaello come reazione "emozionale e ragionata" all'asportazione dei ruderi, a cui l'artista stesso era stato costretto, nella speranza di riuscire a trasformare un papa "ruinante" in un papa conservatore dei monumenti.
 
 Le speranze dell'artista erano destinate a cadere con la sua morte, avvenuta a Roma alle ore tre nella notte del Venerdì Santo del 6 aprile 1520. Aveva 37 anni.
 
 Fu sepolto nel Pantheon, ai piedi della Madonna del Sasso: opera scolpita dal suo allievo Lorenzetto.
 
 Il cardinale scrittore e umanista Pietro Bembo, suo grande amico, volle scrivere l'epitaffio che fu poi inciso sulla tomba nel Pantheon:
"Ille hic est Raphael timuit quo sospite vinci, rerum magna parens et moriente mori" (= "Qui giace Raffaello: da lui, quando visse, la natura temette d'essere vinta, ora che egli è morto, teme di morire".
 
#340
Tematiche Spirituali / 2 Novembre
02 Novembre 2023, 13:56:45 PM
2 novembre: la Chiesa cattolica dedica questa giornata alla commemorazione dei defunti. I credenti pregano per le loro "anime".  La festività religiosa è basata nella fede della resurrezione dei morti. 
La tradizione vuole la visita al cimitero per deporre fiori, in particolare i crisantemi, che fioriscono in questo periodo dell'anno.

"De mortuis nil nisi bonum dicendum est": (= "dei morti nulla si dica se non il bene"), come segno di pietas nei confronti del "de cuius".

La poetessa Alda Merini nei versi finali di una sua lunga poesia scrisse: "Non scongiurare la morte / di lasciarlo qui sulla terra: / ha già sentito il profumo di Dio, / lascialo andare nei suoi giardini".

Il distacco dalla persona amata è sempre lacerante e non incoraggia la giustificazione consolatrice della caducità della vita.

Le parole iniziali del Salmo 130 (129), che si recita nella liturgia per i defunti e in suffragio dei "trapassati a miglior vita": "De profundis clamavi ad te, Domine; / Domine, exaudi vocem meam." (= Dal profondo a te grido, o Signore; / Signore, ascolta la mia voce).

Leggendo queste parole sembra che sia il defunto stesso a recitare la frase nel suo passaggio dalla vita terrena alla cosiddetta "vita eterna".

Ma cosa ci accade quando perdiamo chi abbiamo profondamente amato? Quale vuoto si spalanca?

Lo psicoanalista Massimo Recalcati nel suo libro titolato "La luce delle stelle morte. Saggio su lutto e nostalgia", evidenzia il rapporto della vita con l'esperienza traumatica della perdita di una persona (ma anche un animale o una cosa) che dava significato alla propria vita.

Di questo libro ho argomentato in un altro topic.

Recalcati evidenzia che la vita di ognuno è segnata dalle perdite, non solo le morti delle persone care, ma anche da altri eventi: la separazione, l'abbandono, il tradimento, la perdita di ideali che si sono rivelati fallimentari. Ogni esperienza di sconfitta o di perdita, fa vacillare il significato del proprio mondo.

Quale reazione emotiva ed elaborazione psicologica del lutto ci attende per ritornare a vivere?

Secondo Recalcati si reagisce al lutto con due diverse modalità nostalgiche.

La prima modalità è la nostalgia-rimpianto, che cronicizza il lutto, idealizza la perdita, inchioda al ricordo: "può essere un amore, può essere una persona cara scomparsa, può essere anche la nostra stessa giovinezza o la vigoria del nostro corpo che negli anni non è più la stessa".

Sono ricordi indelebili, parole indimenticabili, profumi inconfondibili, tempi di gioia e di dolore, ma anche gesti quotidiani che restano scolpiti nella nostra memoria.

Questo tipo di atteggiamento nostalgico induce a pensare al passato ma blocca il divenire. "Il passato diventa una calamita che ci sequestra, che ci trattiene, e allora viene meno l'orizzonte dell'avvenire. La nostra vita è tutta all'indietro".

Il lutto e la nostalgia sono due esempi di come possiamo restare vicini con il ricordo a ciò che abbiamo perduto senza però farci sopraffare dal dolore, ma devono diventare risorsa per avere la volontà di ricominciare.

La seconda modalità è la nostalgia-gratitudine: necessita di tempo e dolore per la lenta separazione dall'oggetto perduto, che non è mai completa. Portiamo sempre con noi i nostri innumerevoli morti per quello che ci hanno dato: gli insegnamenti, le parole e i gesti che ci hanno lasciato.
#341
Riflessioni sull'Arte / Re: Arte e denari
29 Ottobre 2023, 15:20:13 PM
Rimango nell'ambito degli esattori tributari con il dipinto del pittore  belga  Quentin  Metsys,  nato a Lovanio nel 1466 e morto ad Anversa nel 1530.


Quentin Metsys,  Gli esattori, olio su legno, 1520, Liechtenstein Museum: pinacoteca di Vienna.

La composizione mostra due appaltatori della riscossione dei tributi, seduti a un tavolo coperto da una tovaglia verde.

L'esattore sulla sinistra ha  il  copricapo rosso e gli occhiali. Tra le dita  della mano destra ha il calamo, per scrivere  sul libro contabile, davanti al quale si vedono due monili con perle. Alcune monete le ha nella mano sinistra,  molte altre sono sul tavolo. Vicino al libro "mastro" c'è il calamaio.

L'uomo a fianco, con il copricapo nero e il labbro inferiore prominente,  ha il braccio destro poggiato sulla spalla del collega, con il dito indice indica il libro contabile. Notare il suo sguardo, sembra voler dire: "qui nulla sfugge, è tutto scritto". Nella mano sinistra ha una borsa di pelle. 
La scena può far  pensare al libro  "Le avventure di Pinocchio", in particolare a "il gatto e la volpe", che vivono di espedienti ed inganni.

Dietro i due personaggi c'è  in alto una mensola, sulla quale si vedono fogli di carta ma anche  oggetti simbolici:  una forbice appesa che allude alla precarietà della vita; un portacandela sulla destra, ma il cero è spento: può far riferimento alla mancanza di luce spirituale nei due personaggi, però la porta aperta indica la possibilità di salvezza per i due "peccatori", così venivano considerati.

Sulla mensola ci sono anche due finte rose, simbolo di amore, ma possono anche  significare il  segreto.

Da tener presente che in alcuni suoi dipinti Massys nasconde nei dettagli dei riferimenti alla filosofia aristotelica ed epicurea.
#342
Riflessioni sull'Arte / Re: Arte e denari
28 Ottobre 2023, 08:25:22 AM
4 di 4



Sotto il braccio destro del ragazzo  si vede la  sua mano sinistra che stringe il sacchetto per i denari.
 


C'è somiglianza tra l'uomo barbuto e il San Matteo raffigurato negli altri due quadri di Caravaggio nella Cappella Contarelli.  
 
fine
#343
Riflessioni sull'Arte / Re: Arte e denari
28 Ottobre 2023, 08:21:25 AM
3 di 4


Caravaggio, Vocazione di San Matteo, olio su tela, 1599 – 1600, Cappella Contarelli, chiesa di San Luigi dei Francesi, Roma.

Il dipinto è realizzato su due piani paralleli, quello più alto, occupato solo dalla finestra, quello in basso raffigura il momento in cui Gesù indica  Matteo, seduto ad un tavolo con un gruppo di persone.


Il fascio di luce proveniente dall'alto, sulla destra (simbolicamente è la luce di Dio), rende visibili le persone;  solo alcune volgono lo sguardo verso Gesù e Pietro.

In questo dipinto l'artista rappresenta il momento in cui Gesù  chiama  Matteo.

"In quel tempo, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: 'Seguimi'. Ed egli si alzò e lo seguì" (Mt 9, 9).

Michelangelo Merisi, invece,  ambientò l'episodio all'interno di un una taverna (osteria).

Sulla sinistra, cinque uomini vestiti con abiti del XVII secolo sono seduti attorno al tavolo, uno di loro conta il denaro.
Sul tavolo ci sono le monete, un quaderno per la contabilità, il calamo con il porta inchiostro; il sacchetto porta monete  è di Matteo ?

Sulla destra, in piedi, Gesù e Pietro. Indossano abiti coerenti con la loro epoca.

L'anziano Pietro è  rappresentato di spalle.  Nella versione originale San Pietro non era raffigurato. Caravaggio l'ha aggiunto successivamente.

Una sottile aureola è sopra il capo di Gesù, che con  il dito indice della mano destra indica un uomo.

Da notare: il gesto di Gesù con la mano è uguale a quello di Dio nella "Creazione di Adamo", realizzato in affresco nel 1511 da Michelangelo Buonarroti nella volta della Cappella Sistina, che Caravaggio vide.




L'uomo con la folta barba, stupito, guarda verso Gesù,  come per chiedergli: "dici a me ?". Ma con il dito indice della mano sinistra indica chi gli è vicino: l'uomo in piedi inchinato verso di lui che con la mano destra sta poggiando le monete sul tavolo ?  Oppure il ragazzo, che ha la mano destra vicino a quella dell'anziano ? 
Al gesto  della mano di Gesù si aggiunge il dito indice della mano destra di Pietro, come per voler dire all'uomo barbuto: "Sì, proprio te!".



segue
#344
Riflessioni sull'Arte / Re: Arte e denari
28 Ottobre 2023, 08:17:51 AM
2 di 4
 
A Roma, nei pressi di piazza Navona,  c'è la chiesa  di San Luigi dei Francesi, dedicata al re Luigi IX di Francia.
 

Facciata della chiesa
 
Il 12 agosto 1518  il cardinale Giulio de' Medici (futuro papa Clemente VII) pose la prima pietra  di questa chiesa alla presenza dell'allora papa Leone X.
 
L'edificio e la facciata sono il risultato del lavoro congiunto di due famosi architetti: Giacomo della Porta e Domenico Fontana.
 
Il sostegno finanziario del cardinale francese Mathieu Cointerel, dell'italiana Caterina de' Medici,  regina consorte del re di Francia Enrico II, poi del re Enrico III, permise il completamento della chiesa, consacrata l'8 ottobre 1589.
La decorazione interna fu completata  nel 1764.
 

interno della chiesa.
 
Nella quinta ed ultima cappella della navata sinistra, denominata Cappella Contarelli (dal cognome italianizzato del cardinale francese Mathieu Cointerel) ci sono tre capolavori di Caravaggio: "Martirio di San Matteo", "San Matteo e l'angelo", e "Vocazione di San Matteo".


Veduta della Cappella Contarelli. Alle pareti i tre dipinti del Caravaggio, 1599 – 1600.

Dei tre grandi quadri solo il dipinto titolato "vocazione di San Matteo" è coerente con il titolo del topic, infatti si vedono delle monete, alludono all'attività di Matteo come pubblicano.
 
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Riflessioni sull'Arte / Re: Arte e denari
28 Ottobre 2023, 08:13:43 AM
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In un precedente post ho collocato la foto di  un dipinto realizzato dal "caravaggista" francese Vouet.

In questo propongo  proprio Caravaggio, con la  necessaria "prefazione"...

L'apostolo ed evangelista Matteo, prima di essere un seguace del Nazareno era un "publicanus", dedito a "dare a Cesare quel che è di Cesare" con la riscossione di imposte e tasse tramite i suoi "bravi" di tipo manzoniano.

L'esoso esattore Matteo, nato a Cafarnao,  nella Galilea, vinceva le pubbliche gare di appalto per la riscossione dei tributi dai sudditi per conto dello Stato: l'impero romano.

Egli pagava in anticipo all'erario quanto dovuto dal popolo,  poi si rifaceva sui contribuenti. Spesso i pubblicani traevano arbitrariamente vantaggio dall'indeterminatezza con cui venivano stabilite le tasse.

I sacerdoti, per rispettare il primo comandamento del Decalogo vietavano  agli Ebrei di maneggiare le monete romane  con l'immagine dell'imperatore,  e accusavano i pubblicani di essere peccatori.

Nel Nuovo Testamento i pubblicani sono citati varie volte. 

Oltre all'apostolo Matteo  è citato anche Zaccheo, pubblicano di Gerico, incontrato e convertito da Gesù.

Da aggiungere la famosa parabola di Gesù dedicata a "il fariseo e il pubblicano", raccontata dall'evangelista Luca (18, 10 – 14):

"Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano.

Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: 'O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo'.

Il pubblicano, invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: 'O Dio, abbi pietà di me peccatore'.

Io vi dico: 'questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato'
". 

Ed ancora,  a Cafarnao Gesù passò vicino al pubblicano Levi e gli disse: "Seguimi" (Marco 2, 14). Egli, alzandosi, lo seguì; poi  organizzò un banchetto a cui invitò, oltre a Gesù, molti pubblicani e altri pubblici peccatori.

Il riferimento a un esattore di imposte a Cafarnao, di nome Levi, compare anche nel Vangelo di Luca (5, 27). Lo stesso episodio è nel Vangelo di Matteo (9, 9), però il pubblicano viene chiamato Matteo; Levi e Matteo vengono generalmente ritenuti la stessa persona. Gesù lo scelse come membro del gruppo dei dodici apostoli e come tale appare nelle tre liste che hanno tramandato i tre vangeli sinottici: Matteo 10,3; Marco 3,18; Luca 6,15.
Il suo nome appare anche negli Atti degli Apostoli (1, 13), dove si menzionano gli apostoli che costituiscono la timorosa comunità sopravvissuta alla morte di Gesù. 

Il nome Matteo vuol dire "dono di Dio". Alcuni studiosi  suppongono che abbia cambiato il nome come una forma tipica dell'epoca, per indicare il cambiamento di vita, analogamente a Simone, poi Pietro.

Comunque  quasi tutti gli studiosi sono convinti che l'apostolo non fu il redattore  del Vangelo di Matteo a lui attribuito. Furono vari autori.

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