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Messaggi - 0xdeadbeef

#331
A Sgiombo ed Ipazia
Non dovrebbe essercene bisogno (visto che è stato detto innumerevoli volte), ma ricordo che l'argomento in
discussione non è la credibilità dei miracoli operati da Padre Pio da Petrelcina o l'attendibilità dei racconti
dei veggenti di Medjugorje; ma l'esistenza NON dell'idea (che esiste indubitabilmente), ma del Sacro come realtà
effettiva (che, naturalmente, può essere assunta solo come postulato) quale unica alternativa al "tutto è lecito"
(ovvero come unica alternativa al trionfo totale e definitivo della volontà di potenza così come descritta dal suo
massimo cantore; che è evidentemente Nietzsche).
Da questo punto di vista non esiste un sacro "religioso" ed uno "profano"; perchè il Sacro altro non è se non
l'"Inflessibile" (cioè l'indiveniente nel divenire), cioè un concetto filosofico/epistemico che, in questo contesto,
nulla ha a che vedere con il concetto teologico (il quale, semmai, solo fornisce la "struttura originaria").
Il Sacro "profano" è, insomma, solo una inutile specificazione del Sacro filosofico/epistemico.
Vi sarebbe in teoria, come dicevo, una "terza via": quella descritta dalla filosofia anglosassone poi ripresa dal
liberalismo politico.
Sulla scia della Scuola Scozzese (ma la radici sono evidentemente molto più antiche), questa visione del mondo
e delle cose ritiene che fra gli essere umani esista una naturale empatia/simpatia, e questo basilare concetto
sarà "innestato", da H.Spencer, sul tronco storico dell'empirismo fondendolo inoltre con un altra basilare
concezione: l'"evoluzionismo" filosofico, figlio (degenere) della teoria darwiniana.
Da queste basi, F.A.Von Hayek formulerà il coerentissimo concetto di "spontaneismo", cioè la teoria per cui
l'interrelazione fra individui produce la "miglior società possibile", che rappresenta il vero ed autentico
fondamento filosofico della visione mercatistica attuale (l'estremismo liberista, insomma).
Ora, è chiaro che se si abbraccia (come fate voi) la teoria morale della Scuola Scozzese lo "spontaneismo" ne è
la naturale e logica conseguenza (come del resto pensò Lucio Colletti, che da marxista diventò liberale), ma
non è tanto questo che qui ci interessa, quanto piuttosto che quel fondamento: "fra gli esseri umani esiste una
naturale empatia/simpatia" (che Ipazia traduce con: "la socialità produce necessariamente l'etica") ha una
evidentissima radice metafisica (dall'"homo homini deus" di Spinoza all'"orologiaio" di Leibniz, passando per
il giusnaturalismo di Grozio fino al "trickle and down" di Stiglitz le dimostrazioni di questa radice si sprecano).
Per cui essa non risulta affatto una "terza via", ma si riduce al primo termine, cioè al Sacro filosofico/epistemico
(è necessaria questa aggettivazione: "epistemico", perchè è di una filosofia che cerca una "verità incontrovertibile"
che stiamo parlando).
Del resto, ritengo, serve a poco aggiungere la distinzione per cui la società "declinerebbe" la necessaria produzione
etica della natura comportamentale dell'individuo (come, chiedevo, con l'evoluzione o con la rivoluzione?); perchè
introduce nel discorso un elemento sovrastrutturale (proprio quella "ratio" che Ipazia si è lasciata scappare) che va
solo ad "inquinare" (per quel che qui ci riguarda, beninteso, perchè altrimenti dovremmo inserire nel discorso quel
fondamentale concetto di "soggetto storico" che, appunto, rende "storico" il materialismo di Marx e non lo "adagia"
sulle posizioni scientiste della filosofia anglosassone) la pretesa scientificità della "produzione naturale e
necessaria dell'etica".
saluti
#332
SGiombo dice (scusa ma sono costretto a fare così: non mi dà più la citazione...


Innanzitutto, dopo le ultime intemperanze, cerco di non fare il permaloso.

Però non vedo che ci "azzecchi" il confronto fra riformismo e rivoluzione col fatto che l' etica é di fatto presente nel comportamento umano (malgrado non fondabile logicamente, non dimostrabile né tantomeno fondabile su alcuna pretesa rivelazione divina: ma comunque empiricamente constatabile interiormente).

Se Dio é morto (per coloro, come me per i quali "é morto") non é affatto tutto lecito né permesso: la coscienza di ciascuno detta i comportamenti, promuovendone taluni, vietandone talaltri; anche se ovviamente i divieti possono anche essere trasgrediti, come lo sono sempre stati e lo sono anche quelli creduti di provenienza divina.

Casomai una vecchia accezione "estremistica" del marxismo, a mio parere ormai quasi completamente superata, tendeva ad assolutizzare i condizionamenti sociali e di classe dell' etica, negando che esistesse alcun imperativo morale generalmente umano, anche se variamente condizionato in qualche non affatto irrilevante misura dallo sviluppo delle forze produttive, dai rapporti di produzione e dalla lotta di classe.



Risposta  mia

Ciao Sgiomno
Beh, io dico invece che "ci azzecca" tantissimo, perchè sia tu che Ipazia state sostenendo che: "la socialità
produce necessariamente l'etica" (senonchè, rilevo che negli ultimissimi interventi è stato distinto fra, diciamo,
una natura comportamentale dell'individuo e una società che "declinerebbe" la necessaria produzione etica del
primo termine - questione della quale chiedo in un precedente intervento). Ma tale produzione necessaria dell'etica
è il fondamento su cui si regge tutta l'impalcatura teoretica del liberalismo politico, della quale è evidente
la radice metafisica (tra i tanti lo spiegava anche R.Stiglitz in un ciclo di lezioni ad Harvard, che intitolò
"trickle and down" - "sgocciolare" - proprio per sottolineare il concetto basilare di una ricchezza che, nell'
ideologia liberale, passa, "sgocciola", dall'alto in basso perchè chi sta in alto ha una "naturale empatia"
per chi sta in basso...
Se quello è (ma è quello per forza, visto che lo avete detto esplicitamente e ripetutamente) il fondamento del
vostro discorso, vi avverto appunto che non solo la sua radice è metafisica, ma pure che è la stessa del liberismo
(che per me è anche peggio) e che poco ci "azzecca" col marxismo.
saluti
#333
Citazione di: sgiombo il 03 Febbraio 2019, 17:39:30 PM
Secondo questa pretesa logica, quando tutti credevano in Dio non ci sarebbero dovute essere ingiustizie e delitti si sarebbe dovuta avere "la miglior società possibile": SIC!

L' etica esiste come pure esistono le violazioni dell' etica, sia con Dio, sia senza Dio: senza differenze significative!

NOn si possono rinfacciare alle etiche laiche le violazioni di esse, pretendendo di non rinfacciare allo stesso identico modo alle etiche religiose le stesse identiche violazioni di esse!
Questo si chiama "pregiudizio".


Ciao Sgiombo
Senonchè quello è ciò che dice la filosofia anglosassone (e il liberalismo politico), non ciò
che dico io (che dico tutt'altro).
E comunque, a voler fare l'avvocato del diavolo, il concetto di "miglior società possibile" non
esclude che ci siano "violazioni"...
Per quanto riguarda un tuo successivo intervento in cui affermi: "la natura produce l'etica, la società
la declina", posto il primo termine come "evoluzione" (almeno così mi parrebbe...), il secondo termine,
lo "diamo" per evoluzione o per rivoluzione?
saluti
#334
(aiuto tecnico: non mi dà più le citazioni....

(questo sono io)
Ciao Ipazia
Ho già avuto modo di dirti che questo tuo punto di vista è plausibile, ma è il punto di vista della filosofia anglosassone.
Ugo Grozio, all'alba della concezione moderna del "giusnaturalismo", disse che vi sono dei principi validi: "anche se,
cosa empia, Dio non esistesse"; ma così, evidentemente, trasferendo sul terreno della "validità" l'originaria struttura
metafisico/sacrale (e senza alterarla, naturalmente).
Questa tua visione, se logicamente sviluppata, porta a dar ragione allo "spontaneismo" di Von Hayek (come alle peggiori
derive liberistiche).
saluti
Citazione

E sgiombo ...
CitazioneDissento drasticamente.

Secondo me se sviluppata logicamente e conseguentemente porta per lo meno a una generica etica "solidaristica" (quali in maggiore o minor misura a seconda dei casi sono tutte l etiche storicamente affermatesi); ma credo anche ad un' etica collettivistica che dia la prevalenza a istanze e valori collettivistici rispetto a quelli individualistici.
Ma penso che il prevalere in maggiore o minor misura nelle diverse circostanze storiche delle istanze valoriali prevalentemente individualistiche o collettivistiche sia profondamente condizionato dai rapporti sociali e dalla lotta di classe (la naturalità umana include astrattamente le une e le altre, la culturalità é decisiva nella loro diverse possibili espressioni concrete).

Ciao.

Ciao Sgiombo
Sai sicuramente meglio di me come nel dibattito all'interno della cultura marxista, o comunque di sinistra, si
sia avuto il confronto fra gli "evoluzionisti" (generalmente individuati come "socialisti") e i "rivoluzionari"
(i "comunisti").
A volte, nel piano politico "reale", questi due concetti sono diventati quasi indistinti, ma chiaramente c'è
una grande differenza filosofica alla base.
Una differenza che il piano politico reale ha voluto attenuata anche nella sfera propriamente teoretica, ma che
è restata nonostante queste pressioni (il realismo politico non ha certo "tempo da perdere" con la teoresi
filosofica...).
Anche nell'"evoluzionismo" di sinistra più spinto, però, mai si è abbracciata una tesi così estrema come quella
che proponete tu ed Ipazia (Ipazia esplicitamente, tu con, diciamo, qualche riserva...).
Dire infatti che: "la socialità produce necessariamente l'etica" vuol dire travisare completamente il
"materialismo storico" e la funzione del "soggetto storico" da esso teorizzata ( e fin da: "L'Ideologia
Tedesca" di Marx, poi palesemente nei pensatori successivi).
Ma non è finita certamente qui...
Questo "evoluzionismo radicale", deriva ideologica della teoria darwiniana, è ciò che caratterizza
l'estremizzazione del liberalismo operata da H.Spencer, il quale "innesta" nel tronco storico dell'
empirismo anglosassone tale idea "nuova"; con questo spianando la strada al darwinismo sociale
sociologico e, più tardi, allo "spontaneismo" di F.A.Von Hayek.
Permettetemi una battuta: fermatevi finchè siete in tempo...
saluti
PS
E fermatevi voi tutti, non siate permalosi...
#335
Citazione di: Ipazia il 03 Febbraio 2019, 19:42:30 PM
Esattamente. Ma almeno non è illusorio e fantastico come il Verbo ultramondano. E' tutto fatto in casa e non potrebbe essere diversamente visto che oltre quella casa non c'è nulla. Per cui anche le illusioni e le loro etiche sono fatte in casa. La stessa.

Ciao Ipazia
Se l'evoluzione storica e naturale, che produce il "contenuto", riguarda quegli stessi individui che producono
il "contenitore", allora non ha senso distinguere fra contenuto e contenitore (come infatti non ne ha).
E dunque sono costretto a ripetere che se la socialità produce necessariamente l'etica, come hai esplicitamente affermato, allora basta lasciar liberi
gli individui, che di tale socialità sono i protagonisti, perchè necessariamente si abbia la miglior società possibile.
Ma questo, che fai tuo è, attenzione, il fondamento filosofico del liberismo.
saluti
PS
Poi, se vogliamo, possiamo continuare a buttarla in santi e madonne...
#336
Ciao Viator
Mah, io mi sento più critico che avversario...
Fino a qualche anno fa erano davvero poche le ricerche sul rapporto che intercorre fra democrazia e mercato. Una
delle poche, del francese J.P.Fitoussi, me la accaparrai appena uscita...
Beh, secondo Fitoussi il miglior rapporto, cioè il più efficiente "capitalisticamente parlando", fra democrazia e
mercato era quello raggiunto dal Messico di quegli anni (una decina d'anni fa).
Nel Messico di quegli anni era raggiunto il miglior compromesso fra libertà economica e diritto sociale (la libertà
economica permette lo sviluppo degli "animal spirits" capitalistici e il diritto sociale non arriva al punto
di ostacolare eccessivamente questo sviluppo).
Ma secondo te, il Messico di quegli anni, è davvero un esempio da seguire?
saluti
PS
Però a pensarci bene mi sembra un esempio superato. Forse l'attuale Cina è la più efficiente "capitalisticamente parlando"...
#337
Citazione di: viator il 03 Febbraio 2019, 19:02:01 PM
Salve Ox. Dio me ne scampi. Io ho escluso immediatamente e chiaramente in concetto di verità (che non può conoscere gradazioni in più od in meno) dalla raggiungibilità filosofica o fattuale.
La maggior condivisibilità di argomentazioni logiche serve, è utile, è necessaria per orientarsi circa ciò che è più adatto a formulare delle decisioni logiche.
Le quali avranno tanto maggiori probabilità di successo (cioè di pragmatica utilità nell'effettuare delle scelte) quanto più diffuse e possibilmente maggioritarie se non addirittura universalistiche.
Il fatto che domani il sole sorga non rappresenta affatto una verità precostituita (del futur non v'è certezza........). Però quasi tutti considerano logico il crederlo ed io mi adeguo (faccio programmi che tengono conto del fatto che il sole sorga ancora) sperando non dissennatamente che ciò accada ancora Saluti.

Ciao Viator
Tempo fa proposi un argomento: "La verità è ciò che si dice", nel quale portavo alla riflessione una provocazione di
U.Eco, che a proposito della diceria (che girava nel passato) secondo cui gli Ebrei mangiavano i bambini disse: "se
allora si diceva quello, quella era la verità, perchè la verità è ciò che si dice" (intendendo che se adesso si dice
il contrario la verità è questo contrario).
E allora te lo chiedo "brutalmente": credi che ad una "fake new" basti essere creduta da molti per assurgere allo
status di verità?
Che ruolo ha, se lo ha, nella tua visione, quel "movimento" di trascendentalità di cui dicevo, e che permette se non di
conoscere la verità oggettiva, perlomeno di avvicinarvisi al punto di poter dire: è sicuramente da questa parte,
non dall'altra...
saluti
#338
Ciao Viator
Quindi, per te, una cosa è "più vera" se condivisa da un numero maggiore di persone?
Questione antica, questa del se la "maior pars" dovesse essere considerata anche "melior pars" (in fondo questo
è il fondamento stesso della democrazia). Il discorso possiede una sua intrinseca validità, ma non esaurisce certo
l'argomento (tant'è che le democrazie hanno inventato le "costituzioni" per, almeno in teoria, tutelare il
diritto delle minoranze (come nella fondamentale opera di Toqueville).
Giustamente affermi che la verità oggettiva è irraggiungibile, ma non è che si finge di ignorarlo; è che senza un
criterio di oggettività assunto "come se" (fosse raggiungibile) vivere sarebbe impossibile.
E comunque non bisogna dimenticare che, pur nella irragiungibilità "ultima", è possibile "avvicinarsi" alla
verità oggettiva. E' possibile cioè "capire da che parte sta"...
saluti
#339
Citazione di: Ipazia il 03 Febbraio 2019, 16:26:04 PM
La socialità produce naturalmente la questione etica, ma non i suoi contenuti per i quali è richiesta la Ratio. Quale? La migliore che il contesto storico-evolutivo sa produrre.

Cioè, praticamente un contenitore che poi va riempito...
E lo riempirebbe la "ratio", che sarebbe il frutto di una evoluzione storico-naturale (il frutto "migliore", naturalmente,
trattandosi appunto di una "evoluzione")...
Quindi ricapitolando gli individui, che della socialità sono i protagonisti, produrrebbero spontaneamente il contenitore
ma non il contenuto, che sarebbe frutto invece di una evoluzione storica e naturale.
E chi riguarderebbe, questa evoluzione, se non quegli stessi individui che producono il "contenitore"?
saluti
#340
Citazione di: Ipazia il 03 Febbraio 2019, 14:51:24 PM
Purtroppo la scienza non è nè democratica nè filosofica, ma veridica, per quanto sia possibile parlare di verità: la socialità produce necessariamente l'etica.  Da qui non c'è arrampicata speculativa possibile che permetta la fuga.

Se la socialità produce necessariamente l'etica, allora basta lasciar liberi gli individui, che di tale socialità sono i
protagonisti, perchè necessariamente si abbia la miglior società possibile.
Questo è il fondamento filosofico del liberismo.
saluti
PS
Ma il liberismo ha torto, e proprio perchè, in radice, la socialità NON produce necessariamente l'etica.
#341
Citazione di: paul11 il 02 Febbraio 2019, 19:29:20 PM
Se dovessi darmi un epitaffio "cercò il senso e i signifcati della vita" farei scrivere.Per me è il problema numero uno.
Tu dici che potrebbe essere un'illusione? Io rispondo che persino un'ameba è dentro un ordine biologico, più studio e più
mi accorgo che tutto,, persino nel dominio terrestre che riflette e rispecchia gli universali, ha un senso.

Che dirti, amico mio...
Spero con tutto il cuore che tu abbia occhi migliori dei miei.
saluti
#342
Citazione di: Ipazia il 03 Febbraio 2019, 14:19:59 PM
Non funziona così 0xdeadbeef perché homo è animale sociale per cui ethos è incarnato in physis fin da tempi più remoti dell'invenzione del primo nume. Fin da prima dell'origine dell'homo sapiens.


Ciao Ipazia
Ho già avuto modo di dirti che questo tuo punto di vista è plausibile, ma è il punto di vista della filosofia anglosassone.
Ugo Grozio, all'alba della concezione moderna del "giusnaturalismo", disse che vi sono dei principi validi: "anche se,
cosa empia, Dio non esistesse"; ma così, evidentemente, trasferendo sul terreno della "validità" l'originaria struttura
metafisico/sacrale (e senza alterarla, naturalmente).
Questa tua visione, se logicamente sviluppata, porta a dar ragione allo "spontaneismo" di Von Hayek (come alle peggiori
derive liberistiche).
saluti
#343
A Sgiombo
Scusa ma mi ero dimenticato di questa tua replica a quel rilievo che già giudicavo, se ricordi, acuto e giustificato.
Dico in quel modo semplicemente perchè l'idea del sacro, o di una morale universale, "esiste" anche se non dovesse
esistere non l'idea di Dio (che esiste), ma la realtà effettiva di Dio.
Insomma, considera sempre che per me (come per Kant): "l'idea di Dio non ha più realtà dell'idea che io abbia 1 milione di
euro in tasca" (in realtà ce li ho, ma non in tasca...).
Ora, come ben sappiamo con Dio "muore" soprattutto l'idea del sacro (e quindi l'idea di una morale universale), che da
indiveniente "diventa"; e diventando perde la sua caratteristica precipua di immutabile, di eterno; di, appunto, sacro
(su questi aspetti ti rimando alla risposta all'amico Davintro, poco sopra).
Dunque nella morte di Dio, cioè nella morte del Sacro, come è possibile fondare un "ideale universale pratico" che,
necessariamente (vedi ancora la mia discussione con Davintro), riproponga quella stessa sacralità?
Ecco, a parer mio è possibile solo "postulando" ("in logica, proposizione o regola di inferenza che si assume, senza
provarne la validità, fra i costituenti di un sistema deduttivo") non l'idea, che già esiste, ma la realtà effettiva
del Sacro.
Ma, ed è questo il punto, vi è (e vi deve essere) piena consapevolezza della natura di postulato della realtà del
Sacro; la qual cosa può solo voler dire che non c'è (e nemmeno vi può o vi deve) essere un legame necessario fra Dio
e la legge morale.
In altre parole, ciò vuol dire che la legge morale fa parte della sfera del "dover essere", non di quella dell'"essere" (fa
cioè parte del "regno del nomos", non di quello della "physis").
La legge morale, cioè, è necessariamente fondata non sulla certezza, ma sulla speranza (cioè è fondata non sulla "necessità"
del Sacro ma sulla sua "possibilità").
saluti
#344
Tematiche Filosofiche / Re:Il fine giustifica i mezzi?
03 Febbraio 2019, 00:16:41 AM
Citazione di: everlost il 01 Febbraio 2019, 23:06:30 PMOxdeadbeef,
non ti offenderai se osservo che il tuo nickname cade proprio a fagiolo...
Fai bene a ribadire che Machiavelli non ragionava come noi moderni.

Ciao Everlost
In realtà volevo rispondere proprio a te, che nel primo intervento dimostravi un, chiamiamolo, "saggio senso pratico tutto
femminile" nel ribadire, contro chi afferma: "il fine non può e non potrà mai giustificare i mezzi", la possibilità della
liceità del mezzo anche violento (il dittatore sanguinario etc.).
C'era una celebre domanda che T.W.Adorno pose all'umanità intera all'indomani di Auschwitz (che Adorno vedeva come il simbolo
etico ed estetico del fallimento della stessa umanità e della sua cultura): "ma voi, davanti ai vagoni piombati diretti ad
Auschwitz, avreste voltato lo sguardo?"
saluti
#345
Citazione di: davintro il 02 Febbraio 2019, 15:48:56 PM

Mi sento di dover premettere che l'utilizzo di espressioni come "morte di Dio" o "morte del sacro" mi risultano indigeste, in quanto mi "puzzano" di storicismo, cioè la mentalità per il quale l'analisi concettuale dovrebbe lasciarsi riformulare sulla base delle valutazioni sul succedersi storico delle varie egemonie culturali. 
perché dal punto di vista teoretico non si danno scomparse o riapparizioni, ma solo realtà permanenti, e per quanto riguarda l'etica ciò che permane nell'uomo, è la sua natura di animale razionale.


Ciao Davintro
Nessun problema per la risposta mancata, naturalmente.
Allora fammi capire: l'uomo come "animale razionale" è per te quella che l'amico Paul11 chiama "verità incontrovertibile"?
E' cioè una verità indiveniente nel divenire? Ma la verità indiveniente nel divenire è propriamente ciò che viene definito
"metafisica", per cui essa è del tutto ed in tutto assimilabile ad una "entità" metafisica (evito per carità di patria di
pronunciare quel famoso nome composto di tre lettere...).
Quanto allo "storicismo" beh, mi chiedo come si possa non essere storicisti, visto che da gran tempo abbiamo deciso che il
"divenire" è l'evidenza originaria.
Ed su questa evidenza che abbiamo edificato gli "indivenienti", cioè che abbiamo fatto nascere la metafisica.
Ora, la "morte di Dio", o "morte del Sacro" come oblio della metafisica vuol dire appunto che anche l'indiveniente "diventa"
(Dio, che era indiveniente, diventa "altro", cioè diventa morto).
Tu mi dici: "dal punto di vista teoretico non si danno scomparse o riapparizioni, ma solo realtà permanenti". Vuoi forse con
questo dire che dal punto di vista teoretico non si dà il divenire ma solo l'indiveniente? Ma questo può solo voler dire che
il punto di vista teoretico si occupa solo di metafisica (occupazione onorevolissima, ed anzi la prima occupazione propria
della filosofia. Basta però averne consapevolezza...).
E del resto la stessa descrizione che fai dei "parametri di riferimento", delle "forme universali" come di una "giustizia in
sé come modello" sono cose che richiamano abbastanza distintamente le idee iperuraniche di Platone.
Mi chiedo a questo punto a cosa serva parlare di "riempimento in chiave teistica" di tali forme.
Perchè il discorso, e personalmente lo ripeto in diversi interventi, non è tanto di dire "quale" sacro; ma di dire "se" vi è
sacralità (e tutto il tuo ragionamento mi sembra che dica: "sì, vi è").
saluti