Menu principale
Menu

Mostra messaggi

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i messaggi inviati da questo utente. Nota: puoi vedere solo i messaggi inviati nelle aree dove hai l'accesso.

Mostra messaggi Menu

Messaggi - sgiombo

#3301
Attualità / Re:sulla giovane suicida di Napoli
17 Settembre 2016, 08:39:51 AM
Citazione di: donquixote il 17 Settembre 2016, 01:43:09 AM
Citazione di: sgiombo il 14 Settembre 2016, 18:47:39 PMOvviamente il suicidio della ragazza che aveva mandato in rete un proprio filmato pornografico è un fatto estremamente tragico che, come ogni suicidio, tanto più se perpetrato in giovane età, lascia sgomenti. Ciò non toglie che, con il doveroso rispetto e la necessaria pietas verso chi si è dato la morte, si presti anche a considerazioni sullo stato di profonda degenerazione, di decadenza civile e morale in cui versano le odierne società occidentali...


Innanzitutto e tanto per contestualizzare meglio bisogna considerare che i video porno che costei aveva girato in prima persona (o comunque acconsentito esplicitamente alle riprese) sono 4 o 5 e non solo 1; poi che l'avrebbe fatto per "farla pagare" al suo fidanzato, che evidentemente le aveva fatto uno sgarbo, e dimostrargli che era un "cornuto". Lei stessa li aveva inviati a qualche suo "amico" via Whatsapp senza tener conto del rischio enorme di diffusione incontrollata (o magari auspicandolo, chi lo sa?) che avrebbe corso. Il resto sono solo prevedibili conseguenze sino al tragico epilogo.
Con riferimento alle eventuali considerazioni di Fusaro posso prevedibilmente azzardare che il suo sintetico commento sarebbe "è colpa del capitale", poichè ormai da tempo il nostro teorico del monocausalismo tende a ricondurre a tale ragione qualunque fenomeno negativo, tanto che spesso non lo afferma direttamente ma lo lascia indovinare ai lettori dando solo qualche indizio e ponendo domande retoriche così magari si sentono perspicaci e anche un po' filosofi; e, per inciso, è curioso che il critico per eccellenza del cosiddetto "pensiero unico" abbia anch'egli un pensiero unico, o piuttosto un'ossessione.
Per quanto mi riguarda invece credo che il "senso di colpa" abbia ragione di esistere (e abbia anche una sua positiva funzione psicologica e sociale) solo in un contesto di regole morali condivise, altrimenti è solo ed esclusivamente distruttivo. Quando esisteva una morale condivisa vi era una sorta di "controllo sociale" che oltre a suscitare un sano senso di colpa in coloro che commettevano atti immorali impediva che le loro conseguenze si diffondessero ovunque poiché era immorale anche solo essere a conoscenza di certe cose e quindi a maggior ragione diffonderle. La morale, è bene ricordarlo, è un portato della religione (Kant addirittura affermava l'esistenza di Dio deducendola da quella della morale), ma essendo quest'ultima caduta talmente in basso da aver formato già un cratere anche la morale ha ormai perso qualunque "appeal" ed è stata sostituita dalla "legge" che prevede che ognuno possa fare di sé quel che gli pare, ed esibirlo di fronte a tutti.
La "libertà individuale" ha ormai raggiunto e superato il limite di ciò che una volta si soleva definire "licenza", e quindi quelli che per certi versi erano un tempo reati "morali" o "sociali" come gli atti osceni in luogo pubblico o l'offesa al comune senso del pudore sono ormai stati derubricati a comportamenti privati e insindacabili, e in questo contesto il "senso di colpa" non trova più alcuna giustificazione né legale né tantomeno morale: perché mai infatti si dovrebbe provare senso di colpa per qualcosa che non è affatto considerata una colpa? Non è questo il luogo per esprimere ulteriori considerazioni su questo, ma non si può non sottolineare almeno un principio basilare che sta a fondamento di ogni morale e anche del concetto stesso di libertà come lo si intende modernamente e che ad esso è strettamente connesso: quello di responsabilità. La libertà di fare ciò che si vuole, e di esibirlo in pubblico, implica anche la responsabilità di assumersi le conseguenze delle proprie azioni, a maggior ragione in una cultura cosiddetta "dell'immagine" che attraverso questa può esaltarti oppure degradarti nel giro di un attimo. Questa cosiddetta "cultura", associata alla enorme amplificazione del messaggio consentita dai nuovi media, ha reso ricchi e famosi personaggi senza arte né parte che hanno diffuso in rete qualche video in cui si esibiscono in squallide performances che hanno incontrato il favore degli utenti; allo stesso modo però le eventuali reazioni negative verranno amplificate a tal punto da poter divenire, magari, insopportabili; se un tempo si poteva diventare l'eroe come pure lo zimbello del paese e, nella peggiore delle ipotesi, si poteva sempre optare per un trasferimento altrove, ora nel "villaggio globale" non è più possibile sfuggire nemmeno alla memoria, che rimarrà sempre viva nelle indicizzazioni dei motori di ricerca. Per questa ragione la responsabilità dovrebbe essere enfatizzata e indirizzare ad una sempre maggiore prudenza, mentre pare che invece ognuno tenda a responsabilizzare sempre meno se stesso e ribaltare questa incombenza su coloro che in qualche modo reagiscono a quelle che comunque le si giudichi sono sempre una sorta di provocazioni. E proprio non si capisce perché mai, in un mondo di irresponsabili, dovrebbero esserlo di più le migliaia di persone che commentano un atto, un gesto, un video o uno scritto e invece non lo è colui che se ne è reso protagonista e che ha scatenato tali reazioni prevedibilmente incontrollabili. Ma questo palese, ulteriore, ribaltamento della logica e del buonsenso deriva da una visione della società sempre più disumana che, priva del più banale senso della realtà, vorrebbe assurdamente intervenire (magari anche per legge) per abolire non le cattive azioni, ma i "cattivi sentimenti" che tali azioni suscitano e salvare solo quelli "buoni", senza rendersi conto che così facendo priverà progressivamente l'uomo di tutte le caratteristiche che, nel bene e nel male, lo rendono tale, riducendolo ad una macchina programmabile e prevedibile come i cittadini della Londra descritta da Huxley ne "Il Mondo Nuovo", o come gli operai del film "Metropolis".
Citazionepur essendo convintamente d' accordo su gran parte di quanto qui sostenuto mi sento in dovere di manifestare il mio totale, assoluto dissenso circa la valutazione di Diego Fusaro (anche se ovviamente non ne condivido ogni tesi; sono per esempio decisamente contrario a quella sul preteso "superamento della dicotomia destra/sinistra") e sull' affermazione che l' etica non possa non avere un fondamento se non religioso; fra l' altro a quanto mi risulta Kant nella Critica della ragion pratica (ma per correttezza devo dire di non averla mai letta, ma solo averne letto qualcosa) fonda casomai la credenza in Dio (e nell' immortalità personale) sulla morale e non viceversa.

Ma si tratta di questioni (entrambe) decisamente troppo grandi e complesse per poterle adeguatamente affrontare in questo forum, per cui mi limito ad esprimere il mio dissenso (in base al principio che "chi tace acconsente") non avendo alcuna intenzione di imbarcarmi in discussioni in proposito.
#3302
Attualità / Re:sulla giovane suicida di Napoli
15 Settembre 2016, 15:43:54 PM
Citazione di: altamarea il 15 Settembre 2016, 14:00:09 PM
Sgiombo ha scritto:
CitazioneCome volevasi dimostrare: i soliti commenti buonisti per cui é severamente vietato vergograrsi di ciò che di vergognoso si fa e cercare di migliorare.

Scusami Sgiombo, mi puoi aiutare a capire dove vedi il "buonismo" nelle affermazioni del giornalista Aldo Cazzullo e del garante per la privacy Antonello Soro ?

In particolare cosa intendi con "ciò che di vergognoso si fa" ? Non è stata la ragazza ad inserire nei social quel filmato di un rapporto intimo e privato ma quel mascalzone del cosiddetto fidanzato. Un rapporto sessuale privato e consenziente cosa ha di vergognoso ?
CitazioneQuel rapporto non é stato poi così "intimo e privato" -per definizione- se la protagonista ha pensato bene di riprenderlo e diffonderlo.
E non mi risulta che la ragazza avesse raccomandato al "cosiddetto fidanzato" (ma perché "cosiddetto"? Se ci aveva rapporti rapporti sessuali -oltretutto "autofilmati"- il fidanzamento mi sembra assai credibile) di non divulgare oltre il filmato, né tantomeno che avesse preso precauzioni legali in proposito (se non a posteriori, pretendendo di chiudere la stalla quando i buoi erano già scappati): non é forse questa occidentale odierna la società nella quale si può fare tutto ciò che non é espressamente vietato?

La vergogna é un sentimento personale e soggettivo.
Non so te (e non mi interessa...), ma per quel che mi riguarda mi vergognerei di filmarmi durante un rapporto sessuale per renderne edotti terzi, ovvero per renderlo pubblico (mentre non mi vergogno affatto di avere rapporti sessuali al contrario privati, oltre che ovviamente consenzienti).
E se la ragazza ha cercato in ogni modo di limitarne la diffusione (anziché ammettere di aver fatto una cosa vergognosa -che peraltro solo chi fosse "senza peccato", cioé, per intenderci, chi da adolescente non ha mai consumato pornografia e non si é mai masturbato, cioé nessuno, potrebbe condannare come irrimediabilmente oltraggiosa- e proporsi di essere più seria e degna di stima in futuro), mi punge vaghezza che un qualche senso di vegogna lo provasse anche lei.
Tuttavia continuo a propendere (e comunque a considerarla rilevante e degna di riflessione per noi vivi) per l' ipotesi che si sia tolta la vita perché convinta, secondo l' ideologia dominante, di essere un' irreprensibile vittima di una persecuzione insopportabile; ma questa é solo una supposizione che ritengo di grande interesse e attualità e che espongo senza alcuna intenzione di mancare di rispetto e di pietas per la vittima del suicidio: e comunque in realtà questo é quanto sostenuto a chiare lettere dai commentatori qui citati (e da tutti gli altri politicamente corretti), e questi commenti e l' atteggiamento che esprimono e intendono promuovere, e non chi si é suicidato, é quanto più mi preme di condannare;proprio per questo ho proposto le mie considerazioni nel forum).

Il buonismo politicamente corretto consiste per l' apppunto proprio nel pretendere che la vittima del suicidio non doveva vegognarsi di niente, che di niente andasse né vada criticata (perbacco, é morta, ergo é al di sopra di ogni possibile critica! =buonismo) né dovesse autocriticarsi.


#3303
Attualità / Re:sulla giovane suicida di Napoli
15 Settembre 2016, 12:56:45 PM
Citazione di: altamarea il 15 Settembre 2016, 11:51:27 AM
Aldo Cazzullo (Corriere della sera, del 14 9 – 2016)
Cosa resta dell'educazione sentimentale, ai tempi feroci dei social network? Come possiamo capovolgere le regole di questo gioco perverso, in cui i carnefici vincono sempre e continuano a ridere maligni e impuniti, mentre le vittime si ritrovano senza identità e senza difesa? Sono due storie molto diverse, quella di Rimini e quella di Napoli. Ma qualcosa le lega. E ci chiama tutti in causa. A Rimini è stato commesso un reato contro una minorenne, che la diffusione delle immagini ha reso ancora più odioso. A Napoli una donna di trent'anni ha creduto di poter giocare un gioco che l'ha travolta. Entrambe le tragedie confermano che la violazione dell'intimità personale è ormai fuori controllo. La mancanza di un codice dell'amore e del sesso è assoluta. E la combinazione di narcisismo e voyerismo genera una spirale persecutoria cui è molto difficile sottrarsi.
Tiziana Cantone aveva provato a cambiare città; ma la sua città le è venuta dietro, come nella terribile poesia di Kavafis, poiché «sciupando la tua vita in questo angolo l'hai sciupata su tutta la terra». Aveva anche provato a cambiare nome. C'è un elemento comune a tutte le testimonianze delle vittime del bullismo elettronico: è inutile iscriversi a un'altra scuola, trasferirsi in un altro luogo; dopo pochi giorni le immagini arrivano, la fama si diffonde, la persecuzione ricomincia.


Antonello Soro, garante per la privacy: «Introdurre l'educazione civica digitale tra le materie scolastiche»
"Il suicidio della giovane Tiziana ripropone il tema della gogna cui la rete rischia di esporci in mancanza di una adeguata consapevolezza, da parte degli utenti, della natura di spazio non circoscritto e degli effetti lesivi che può avere una comunicazione violenta o la ferocia nella irrisione degli altri".


"La prima questione è quella della consapevolezza delle insidie che affrontiamo ogni volta che consegniamo alla Rete pezzi sempre più importanti della nostra vita privata. Una consapevolezza carente".


La seconda "È la ferocia e la violenza della nostra società. I social network sono lo specchio della mancanza di rispetto nei confronti delle altre persone, il continuo calpestare la dignità degli altri. È una questione che viaggia in parallelo con il diritto alla privacy: quando riguarda noi, lo difendiamo con le unghie e con i denti. Quando riguarda gli altri...".
CitazioneCome volevasi dimostrare: i soliti commenti buonisti per cui é severamente vietato vergograrsi di ciò che di vergognoso si fa e cercare di migliorare.
#3304
Attualità / sulla giovane suicida di Napoli
14 Settembre 2016, 18:47:39 PM
CitazioneOvviamente il suicidio della ragazza che aveva mandato in rete un proprio filmato pornografico è un fatto estremamente tragico che, come ogni suicidio, tanto più se perpetrato in giovane età, lascia sgomenti.
Ciò non toglie che, con il doveroso rispetto e la necessaria pietas verso chi si è dato la morte, si presti anche a considerazioni sullo stato di profonda degenerazione, di decadenza civile e morale in cui versano le odierne società occidentali.
Non mi stupirei se Diego Fusaro ne prendesse lo spunto per interessanti considerazioni. Intanto cerco di abbozzarne una da parte mia.
Uno degli aspetti più eclatanti di questa avanzata "putrefazione sociale" che viviamo qui e oggi è a mio parere la rimozione, secondo me di origine sostanzialmente "freudiana" sul piano culturale (per me che sono marxista ha cause più profonde e in ultima istanza determinanti nella struttura economica della società), è la rimozione, il sostanziale "divieto" (alla faccia della pretesa "apertura" -Popper- della nostra società) del senso di colpa, della vergogna, del pentimento, dell' autocritica, del disprezzo per se stessi in quanto autori di azioni esecrabili.
Questo estremamente fisiologico "senso di colpa" che l' ideologia dominante (e in particolare la "premiata ditta psicoanalisi e c.") pretendono di trasformare in patologico "complesso di colpa", da curare se è proprio il caso, ma ancor meglio da prevenire, da evitare ad ogni costo, aveva diverse declinazioni, tanto religiose (ammissione del peccato, pentimento, confessione, buoni propositi per il futuro, ecc.), quanto laiche (basti pensare alla pratica marxista-leninista e "stalinista" dell' "autocritica"), ed era (ed è, nella pure scarsa misura in cui ancora la società non è completamente fradicia) la premessa indispensabile per qualsiasi autocorrezione, progresso interiore, miglioramento personale, per potere evitare o comunque limitare per quanto possibile in futuro gli errori e le infamie che tutti, chi più chi meno, inevitabilmente almeno in qualche misura commettiamo.
In una società più moralmente sana probabilmente questa ragazza non sarebbe stata convinta che ogni suo gesto è da rispettare, che nessuno può permettersi di disprezzarla lecitamente e meritatamente per nessun motivo (come vanno ripetendo sul suo tragico gesto i soliti giornalisti "frugatori di merda", come li chiamo io; ma letteralmente il termine "gossip", di cui vanno fieri -sic!- ha un significato non troppo diverso in sostanza, anche se è un po' più eufemistico; o meglio: era tale in origine, mentre ora, a dimostrazione delle mie convinzioni sullo stato della società civile, è decisamente "encomiastico": si può andare fieri di coltivarlo!); probabilmente avrebbe avuto maggiori opportunità di trovare chi (laico o prete; parente, conoscente, amico, ecc.: tutto fuorché "psicologo di professione"!) avrebbe potuto farle capire che il disprezzo e il ridicolo che aveva attirato su di sé erano giusti e meritati, e che riconoscerlo (e autodisprezzarsi innanzituttto in prima persona per il proprio gesto) sarebbe stato il primo indispensabile passo per superare i propri limiti e difetti e diventare migliore.
Invece l' ideologia dominante (come confermato dai commenti penosamente "buonisti" al suo tragico gesto da parte dei gazzettieri, come sprezzantemente li chiamava Palmiro Togliatti) le ha inculcato la convinzione che di nulla si deve vergognare, nulla di sé si deve ritenere spregevole e infame per poterlo evitare in futuro e poter migliorare come persona; che nessun biasimo, disprezzo, nessuna condanna morale verso di sé è ammissibile da parte di se stessa o di altri.
Cosicchè, dopo non essersi accorta di avere agito in maniera spregevole, non ha capito che il disprezzo che aveva suscitato era meritato e che ammetterlo in prima persona sarebbe stato giusto e necessario per rimediare e cambiare in meglio.
Anziché capire che vi sono cure dolorose (come "la famigerata chemioterapia per ciarlatani new age"), tanto più dolorose quanto più è grave il proprio stato di infermità, cure che consentono comunque di guarire da qualsiasi male morale se assunte con la necessaria tenacia e forza d' animo (non gratuitamente, ma appunto al prezzo di sofferenze proporzionate alla gravità della propria condizione iniziale), ha vissuto il disprezzo e il ridicolo che inevitabilmente aveva suscitato come una delle conseguenza del suo gesto come un' ingiusta, immeritata (mai ammettere di meritare disprezzo e sarcasmo!), insopportabile persecuzione, con quello che purtroppo ne è conseguito...
E' stata due volte vittima del "buonismo politicamente corretto di ascendenza freudiana": nel non rendersi conto della schifezza che aveva commesso e nel sentirsi vittima di pretese ingiuste persecuzioni insuperabili e intollerabili anziché della propria leggerezza e dei propri errori (di cui nessun uomo è esente del tutto, in cui tutti, chi più chi meno, inevitabilmente cadiamo); e nel non rendersi conto che errori e colpe -noi stessi e non altri essendone i principali responsabili-  sono invece superabili per il futuro migliorando noi stessi; ma alla conditio sine qua non di innanzitutto vergognarsene, sentirsene in colpa, autodisprezzarsene con la dovuta severità.
CitazioneNon dubito che i buonisti politicamente corretti più o meno freudiani mi considerino un turpe moralista (magari -orrore!- addirittura "cattocomunista"!).
Per parte mia mi considero uno che ancora possiede valori etici.
#3305
Citazione di: paul11 il 11 Settembre 2016, 14:08:19 PM
Sgiombo,
è vero che gli empiristi hanno messo in discussione il platonismo metafisico e a parere mio giustamente,ma loro hanno semplicemente aiutato a spostare il focus.Se un nuovo pensiero non mette in contraddizione i paradigmi del vecchio sistema replica la contraddizione spostando il luogo dell'osservazione.Così gli empiristi non guardano più al cielo, ma alla terra e togliendone la trascendenza divennero cinici.
Vuoi che ti faccia l'esempio critico di come gli scozzesi compreso un certo Adam Smith da allora abbiano interpretato nelle prassi costruendo i paradigmi egocentrici che ha gonfiato le vele a quel futuro capitalismo di cui gli inglesi furono i primi maestri?
La stessa cosa vale per il pragmatismo americano più avanti.
Sono importantissimi per capire come le scienze moderne hanno mutato nelle pratiche i sisitemi e li hanno teorizzati, ma togliendo assolutamente la coscienza umana, spostando le relazioni formali dal metafisico ai rapporti socio-economici e quindi sono la base di tutto il pensiero pratico degli ultimi due secoli almeno.
Sgiombo, devi vedere le conseguenze di un pensiero che sifa cultura per poterne leggere le contraddizioni.
Il mio parere è che la cultura anglo-statunitense è basata sulle pratiche e in quanto tale appoggia la tecnica scientifica, come luogo dei rapporti di forza che a loro volta danno strumenti pratici come le tecnologie.
Ma hanno asservito l'uomo così, lo hanno reso schiavo della tecnica. perchè daccapo hanno spostato a loro volta il focus dicendo che l'Essere non esiste.
L'empirismo anglo-scozzese si sposò con alcune correnti culturali continentali come il positivismo.
Ma quali tipi  di  pensatori ha dato Oxfor e Cambridge, quale tradizione ha portato avanti e tutt'ora  lo fa,
insieme al pragmatismo americano divenuta analitica.

Lo scontro dell'ultimo secolo fra analitici e continentali è proprio nel governo delle tradizioni scelte come paradigmi culturali.
Ma mentre i continentali soccombevano cercando l'Essere e Heidegger dichiarava la fine della filosofia, la cultura
più pratica che paradossalmente avrebbe dovuto soccombere visto che nessun sistema era certo spostava nell'utilità e nel funzionale il finalismo delle pratiche .

Oggi il mondo va avanti da sè, proprio perchè è governato dalle pratiche anche se nessuna teoria è fondativa e certa: questo è il vero inestricabile problema.
E' fallito l'Essere quanto è fallita la democrazia e la libertà, è fallito il principio fondativo dei sistemi, ma non il prodotto delle disuguaglianze economiche e sociali.
E cosa ci rimane se non un 'autocoscienza nostra(obliata completamente ormai dalla sparizione dell metafisica e dell'appropriarsi della tecnologia del destino) che lega tutte le contraddizioni nel mondo coagulandole nel tormentato uomo della post modernità che non sa nemmeno gestire i flussi migratori?

So benissimo che la ragione e la verità non vincerebbero mai,non bastano, sulle pratiche dei rapporti di forza che da sempre governano la storia umana di un uomo decadente che ha scelto la natura animale per giustificare le ignominie e il suo cinismo obliando l'Essere per perdere con esso  la propria coscienza e con essa la morale e la responsabilità del governo di sè e del mondo in maniera armonica.
CitazioneGià il compianto Preve  pretendeva, secondo me del tutto a torto, che l' empirismo inglese (e in particolare David Hume) sia il "padre" dell' odierno capitalismo  monopolistico transnazionale. Per me che sono marxista (immodestamentecredo credo più coerente del buon Preve), lo é in ultima analisi lo sviluppo delle forze produttive.
E non ritengo "lecita" (corretta) nessuna  lettura unilaterale dell' empirismo inglese e in particolare del "mio" grandissimo David Hume, in questo senso.

La cultura ha una sua autonomia, per quanto relativa, limitata, dalla struttura economica della società e dalla lotta di classe, e Hume oggettivamente (quale che sia l' uso ideologico che può esserne stato fatto a torto o a ragione) resta il grandissimo genio che ha saputo "vedere" l' indimostrabilità della realtà di un soggetto e di oggetti eccedenti l' esperienza (fenomenica) cosciente (metafisici), che é conditio sine qua non del superamento del solipsismo, e del divenire naturale ordinato secondo leggi causali, che é conditio sine qua non (della  possibilità, della verità) della conoscenza scientifica.

Non si può di certo  rinfacciargli alcun "feticismo della certezza", come pretendevi di fare nel precedente intervento (facendo di tutte le erbe un fascio: non distinguendolo dal resto della cultura moderna (e antica) a cui muovevi la critica; che a mio parere é peraltro per lo meno  discutibile anche a proposito di buona parte del resto della cultura occidentale moderna e antica; ma la cosa é meno lampante, richiederebbe argomentazioni più complesse, e inoltre mi preme personalmente di meno).

Tutto il resto (le possibili "libere interpretazioni" -discutibili "per definizione"- dell' empirismo inglese e di Hume come parte integrante e addirittura "radice teorica" dell ideologia dominante in Occidente e nel mondo) mi interessa ben poco (e comunque ne dissento profondamente).
#3306
Citazione di: paul11 il 11 Settembre 2016, 01:40:52 AM
A Maral, Phil e tutti quanti.
L'uomo si è illuso già dai tempi dei Greci di arrivare a CERTEZZE.
Il conoscere implica la relazione fra un agente conoscitivo e l'oggetto del sapere,Basta che uno dei due o il sistema di relazione sia implicitamente e fondativamente non certo che diventa impossibile che una verità diventi certezza.
Citazione
CitazionePerò gli antichi scettici greci e il moderno David Hume erano ben consapevoli dei limiti e delle incertezze della conoscenza e non coltivavano l' illusione della certezza, anzi la criticavano razionalmente.
#3307
Citazione di: maral il 10 Settembre 2016, 22:16:29 PM
Citazione di: paul11 il 08 Settembre 2016, 23:32:27 PM
si può ovviamente arrivare a spedire con grande precisione una sonda su Giove, ma questo non ci dice nulla sulla effettiva conoscenza delle cose, né la aumenta, solo aumenta il senso della nostra potenza in un ambito prettamente tecnologico, ma la potenza non implica nessuna verità (e questa è una semplice constatazione logica).


Obietterei che la scienza (piuttosto che la tecnica. La conoscenza teorica del sistema solare piuttosto che le sonde che lo esplorano direttamente) ci da comunque conoscenza tendenzialmente crescente in quantità e in qualità, anche se limitata al mondo fenomenico materiale naturale e non circa la realtà in sé (se esiste); e anche se ciò é credibile solo ammettendo arbitrariamente la verità di etsi non dimostrabili, né empiricamente mostrabili essere vere (Hume!).
E questo per me (soggettivamente, arbitrariamente, lo so bene) è una delle aspirazioni più profonde (in me personalmente e in quella che ritengo -sempre arbitrariamente, soggettivamente- "l' umanità migliore"), è per me un importante aspetto del progresso della civiltà umana.

Inoltre un aumento di potenza pratica, a meno che non lo si ritenga puramente e semplicemente casuale (ma questo mi sembra difficilmente sostenibile) oppure che non si creda alla magia o affini facoltà preternaturali, implica necessariamente un qualche aumento di conoscenza -vera- della realtà da potersi "dominare" (relativamente e limitatamente dominare e secondo quello che mi piace chiamare il "principio di Engels": adeguandosi alle modalità oggettive immutabili del suo divenire, in un certo senso inevitabilmente subendole, ma per applicarle nei limiti del possibile al raggiungimento di scopi realistici mediante mezzi efficaci).
#3308
Citazione di: paul11 il 09 Settembre 2016, 23:38:29 PM
Ma se siamo in fondo tutti "filosofi" in quanto problematizziamo la nostra esistenza ponendoci domande, da qualche parte essendo universali quelle domande,  per l'universalità di tutta l'umanità, quindi ci appartengono come innate, anche se si sviluppano ed emergono formalmente maturando esperienza e conoscenza.

Quello che intendevo dire sulla teoria della relatività di Einstein è che prima di essere scientificamente vera ed essere sperimentata e verificata, era già nella sua testa.E come c'è arrivato se non estendendo attraverso conoscenza, intuizione e quant'altro quei segni fomali fisici, matematici e logici che sono alla base dei postulati ed enunciati .....ed andare oltre. Einstein ha costruito metafisicamente una teooria fisica che è stata accettata dalla scienza sperimentale.

CitazioneDi innato c' é solo la mera potenzialità a ragionare e conoscere.
Che si attua solo a postriori, in seguito a molteplici esperienze.

Einstein ha elaborato le sue teorie anche con audaci ipotesi "creativamente partorite" dalla sua fantasia e non come passiva consguenza dell' osservazione emiprca (ipotesi poi sottoposte comunque a verifica empirica).
Ma in questo modo non ha fatto della metafisca bensì della scienza fisica: conoscenza scientifica del mondo fenomenico materiale - naturale e non critica razionale della sua natura, né ha trattato della realtà in sé o noumeno che eventualmnte stesse "oltre" i fenomeni.
#3309
Citazione di: Phil il 09 Settembre 2016, 16:20:12 PM
 

Citazione di: sgiombo il 09 Settembre 2016, 12:47:57 PM
noto che l'osservazione empirica (superficialmente, acriticamente assunta -anzi: interpretata- sembrebebbe dare sonori ceffoni anche a chi sotenesse che il bastone immerso parzialmente nell' acqua non si piega, che la terra é sferica e non piatta, che il sole é realtivamente fermo e la terra relativamente in movimento intorno ad esso, ecc., ec., ecc.
[corsivo mio]
Infatti la "qualità" dell'interpretazione dell'osservazione-sperimentazione non ha un ruolo affatto marginale. In fondo è la stessa esperienza concreta ad aver dimostrato che il bastone non si piega (basta toccarlo sott'acqua), che la terra è sferica (nave che scompare all'orizzonte e viaggi intorno al globo), che la terra si muove relativamente al cosmo (osservazione astronomica della posizione delle stelle, se non dico una blasfemia...). Quindi in questi casi c'è stata una prima esperienza ingannevole a cui è seguita un'esperienza più critica che ha svelato l'arcano.
Nel caso di Zenone, al contrario, l'esperienza non forniva nessun inganno o stranezza (Achille batte sempre la tartaruga senza intoppi!), ma l'elucubrazione astratta ha invece congetturato un (falso) problema delle distanze parziali, dei tempi intermedi, etc. Se lo scopo era confermare l'essere parmenideo con i suoi attributi, il buon Zenone ha impostato i suoi argomenti paradossali in modo controproducente (costruendo una pseudo-realtà, parodistica e virtuale, in cui si pone il problema della gara fra i due protagonisti e il vincente non è quello "reale"...).

CitazioneNon sto a ripetere che Zenone di fatto errava (su questo siamo d' accordo, ma non é questo il problema).

Insisto invece che fosse del tutto "legittimo" (razionale e in linea di principio utile alla ricerca della conoscenza; per quanto di fatto errato), e non una vana elucubrazione oziosa, il suo criticare il moto osservato empiricamente, anche con argomenti puramente logico-matematici (oltre che eventualmente con argometi empirici): se (come non é di fatto) questi avessero effettivamente dimostrato una contraddizione logica e dunque l' assurdità nella credenza nel mutare del reale, allora questo sarebbe bastato (senza bisogno di ultriori osservazioni empiriche) per confutarla: la coerenza logica non é una condizione sufficiente per la verità in assenza di verifica empirica (logicamente coerente era anche la teoria meccanica cartesiana "dei vortici"), ma ne é comunque una condizione necesaria.
#3310
Citazione di: paul11 il 08 Settembre 2016, 23:11:40 PM
Phil,
il problema è tuo non mio. Tu riconosci la forza della ragione ,ma hai fede nella percezione della realtà:la dicotomia è tua e genera incoerenza.
Se non rispondi a cosa sia la realtà, cosa giustifica la verità nella conoscenza, non potrai trovare risposte se la forma  riesce ad autosostenersi. Se pensi che sia la realtà a darci conoscenza e che il movimento del conoscere si origini dalle cose e passi solo dopo a noi, riterrai l'uomo agente conoscitivo, ma passivo.
Tu pensi che il mondo si offra a noi per essere conosciuto, ma l'uomo può sapere  ancora prima di conoscere perchè i meccanismi sono innati come l'istinto in un animale, deve solo sistematizzarli, formalizzarli correttamente.
Se la forma corretta cammina sulle ali del pensiero, l'immagine nasce prima della realtà fisica.
La relatività era nella mente di Einstein, e non ancora dimostrata  là fuori nel mondo , fra fantasticheria e genialità  è solo la correttezza  della forma che decide che anticipa ciò che le percezioni dei sensi che la realtà può offrire, nasconde.
Un animale esperisce solo deambulando, l'uomo conosce anche nell'immobilità.

CitazioneScusate l' intromissione.

Anch' io penso che sia la realtà (e non noi arbitrariamente, ad libitum) a darci conoscenza e che il movimento del conoscere si origini dalle cose (o meglio vada alle cose; comunque che la conoscenza non sia aprioristicamente dentro di noi, indipendentemente dalle cose).
Ogni agente conoscitivo é per forza relativamente passivo, nel senso che può conoscere ciò che é o accade indipendentemente dalla sua volontà (non può conoscere, di reale, ciò che gli pacerebbe acadesse ma ciò che indipendentemente -e magari malgrado lui- da lui accade).
Poi se esiste divenire deterministico, allora la conoscenza (scientifica!) può essere anche mezzo per raggiungere attivamente scopi realistici attraverso l' applicazione adeguata di mezzi conosciuti ai dati di fatto reali (assecondando e utilizzando per quanto possibile le leggi del divenire naturale reale e non certo plasmandole o modificandole ad libitum).

L' uomo prima di esperire può solo avere "conoscenze" analitiche a priori, che non dicono nulla su come é o diviene la realtà ma solo su quali proposizioni (arbitrarie; del tutto indipendenti dalla realtà; vere o false che siano) conseguenti sono coerenti con certe proposizioni che ne sono premesse: non é conoscenza della realtà (di come é o diviene la realtà non ci dice nulla) ma solo di come si ragiona correttamente (circa la realtà o mano).

Di innato c' é solo l' istinto alla ricerca della conoscenza e c' é pure la capacità (potenziale) di ragionare sui dati empirici, non certo le conseguenze (filosofiche, scientifiche, ecc.) dell' applicazione di fatto (attuale) di questa capacità ai dati empirci; la quale a posteriori ci dà conscenze circa la realtà (e non solo circa il corretto ragionare).

La relatività non é scientificamente vera perché a priori, nella mente di Einstein era logicamente coerente (questa era solo un' ovvia conditio sine qua non, necessaria ma non affatto sufficiente della sua verità), ma perché verificata dalle osservazioni empiriche.
Anche la teoria della dinamica cartesiama "dei vortici" era logicamente corretta (e se vogiamo geniale; infatti certamente un genio era comunque Cartesio), ma essendo stata empiricamente falsificata é da escludersi sia vera.

#3311
Citazione di: maral il 08 Settembre 2016, 23:12:57 PM
CitazioneBeh, a me personalmente la verità o falsià di ciò che si dice o si pensa interessa tantissimo.
E a chi non interessa la verità? Da sempre ogni essere umano ci corre dietro tentando di stabilirla con miti, parole o ispirazioni che giungono dall'alto, filosofie costruite razionalmente, esperienze e verifiche, teorie scientifiche. Dove sta la verità nelle infinite mappe che l'uomo costruisce per localizzarla? Dipende dalla mappa, ossia dipende dalle corrispondenze che di volta in volta si trovano con quello che vivendo sentiamo ci possa appartenere o meno. La verità è sempre in funzione del linguaggio usato per cercarla, di metafore e tropi linguistici. Vale anche per il Monte Cervino. E' solo questione di mappe, ma sotto le mappe non c'è mai solo una convenzione, ma la realtà che ogni mappa tenta di esprimere e non ci riesce mai fino in fondo, a meno di non volerlo credere per sentirsi tranquilli e al sicuro, come a casa propria o nella propria tana, finché non ci cade addosso (e allora, non sia mai, può accadere di scoprire che tutto quello che si credeva vero era falso e viceversa e che gli ippogrifi non li vedevamo solo perché quando alzavamo lo sguardo al cielo, si camuffavano dietro le nuvole).

CitazioneDi fatto a non pochi esseri umani interessa solo agire acriticamente, eterodiretti da mode, ideologie, ecc.
La verità interssa (soltanto) a chi si pone il problema della verità.

Concordo che la verità (oltre ad essere sempre inevitabilmente limitata; per lo meno per noi soggetti conoscenti umani; ma altri non ne conosco) non dipende soltanto arbitrariamente, soggettivistivisticamente, convenzionalisticamente dalle assunzioni umane aprioristicamente assunte, ma anche dalla realtà quale é indipendentemente dall' evetuale essere pure conosciuta.

Esistono anche "mappe" in sostanza integralmente false (superstizioni, astrologia, chiromanzia, cartomanzia, ecc.; ben sapendo di andare controcorrente, personalmente vi inserirei a pieno titolo anche la -o le- psicoanalisi; dico "in sostanza" perché la perfezione non esiste, nemmeno in negativo).

Se domani venisse scoperto un ippogrifo e la scoperta fosse confermata scientificamente (sconvolgendo non poco non solo la tassonomia, ma anche l' anatomia comparata dei vertebrati) crederi alla sua esistenza (nuove specie animali e vegetali vengono scoperte continuamente).
Ma  ho forissime ragioni per ritenerlo un fatto impossibile, e (almeno per adesso) questo é ciò che conta.
#3312
Citazione di: Phil il 08 Settembre 2016, 21:13:05 PM
Citazione di: sgiombo il 08 Settembre 2016, 19:50:40 PMMa chi stabilirebbe la "proprietà" o meno del nostro domandare, ovvero "quando il domandare resta chiuso nell'autoreferenza formale della sua logica ma non ci apre al mondo o ad un ulteriore sapere" e quando no?
come suggerivo nella domanda citata:

Citazione di: Phil il 08 Settembre 2016, 15:57:47 PMLa consapevolezza che la razionalità non è la realtà, non è l'unico criterio che abbiamo per individuare gli usi impropri del nostro domandare[...]?
questo almeno come prima indicazione; il resto direi che è compito dell'epistemologia.

CitazioneDunque la filosofia (più in particolare l' epistemologia) va aplicata a tutte le domande (le quali sono previamente tutte "lecite") onde stabilire quando il domandare resta chiuso nell'autoreferenza formale della sua logica ma non ci apre al mondo o ad un ulteriore sapere" e quando no.

*******

Citazione di: sgiombo il 08 Settembre 2016, 19:50:40 PMMi pare che i paradossi di Zenone (che ritengo logicamente errati e confutabili, ma questa é un' altra questione) non siano chiusi in una loro logica narcisistica e autoreferenziale, ma riguardino il mondo reale.
Secondo me, sono chiusi nel loro narcisismo proprio perché non guardano (letteralmente) il reale che li circonda: l'osservazione empirica dà un sonante schiaffo a Zenone mostrandogli Achille che surclassa subito la tartaruga, falsificando di fatto l'apparente paradosso, e dimostrando che il problema si pone solo nell'autoreferenza del sofisma zenoniano, ma non nella realtà.
A che giova allora speculare e confabulare su un problema che sembrerebbe essere reale, ma che in realtà è tale solo sulla carta? Ecco il narcisismo filosofico che, a caccia di problemi (come se non ne avesse già abbastanza!), va in "overdose" di speculazione e perde di vista i fatti, oppure li super-interpreta...

Citazione(Prescindendo dal fatto che di fatto gli aforismi di Zenone sono per me logicamente errati, confutabili con relativa faciltà, che é tutt' atra questione) noto che l'osservazione empirica (superficialmente, acriticamente assunta -anzi: interpretata- sembrebebbe dare sonori ceffoni anche a chi sotenesse che il bastone immerso parzialmente nell' acqua non si piega, che la terra é sferica e non piatta, che il sole é realtivamente fermo e la terra relativamente in movimento intorno ad esso, ecc., ec., ecc.
Zenone riteneva di avere dei buoni argomenti (a mio avviso errati e in ultima analisi falsi) nelle teorie del suo maestro Parmenide per credere che il superamento della tartaruga da parte di Achille fosse illusorio allo stesso modo dell' angolatura del bastone nell' acqua, ecc., e dunque bene ha fatto a cercare di sottoporre a critica razionale la realtà del sorpasso del rettile da parte dell' atleta (anche se errando), come apparenza della realtà (e non come sua auorefernziale masturbazione mentale) da smentire oppure confermare sottoponendola a verifica razionale.

******

Citazione di: sgiombo il 08 Settembre 2016, 19:50:40 PM Le domande importanti per me [...] non sono solo quelle poste dalla pratica immediata del vivere "giorno per giorno", dei mezzi per conseguire scopi acriticamente assunti in determinate circostanze, ma anche quelle "teoriche (più o meno) pure" circa quali scopi porsi nella vita in generale [...] o com' é la propria vita e la realtà in cui ci si trova
Su questo non vorrei essere frainteso: mettere in guardia dai falsi problemi filosofici, non riduce tutta la ricerca filosofica alla soluzione di questioni pratiche, anzi... interrogarsi sui problemi ("decostruirli" si diceva) significa fare una filosofia critica rivolta proprio al domandare filosofico stesso, cercando di eliminare i "virus" del pensiero, le perdite di solidità nel ragionamento ed evitando che la ragione si incanti di fronte al suo specchio per contemplare i suoi sterili virtuosismi...

CitazioneD' accordo.
E dunque quali siano (o meno) i "falsi problemi filosofici" non si può stabilire acriticamente a priori (come di fatto fanno, me lo si lasci stigmatizzare, molti scienziati, anche validi nel loro "limitato orticello teorico" -absit iniuria verbis- e non pochi filosofi positivisti, scientisti, ecc.); lo si può fare soltanto sottoponendoli a critca razionale, dunque filosofando a proposito di essi: i falsi problemi filosofici possono essere riconosciuti essere tali solo analizzandoli filosoficamente, a posteriori.
#3313
Citazione di: Phil il 08 Settembre 2016, 15:57:47 PM

La consapevolezza che la razionalità non è la realtà, non è l'unico criterio che abbiamo per individuare gli usi impropri del nostro domandare, ovvero quando il domandare resta chiuso nell'autoreferenza formale della sua logica ma non ci apre al mondo o ad un ulteriore sapere?

Per fare un esempio (a cui già mi sono riferito in precedenza): il problema zenoniano della competizione fra Achille e la tartaruga non è un forse un problema "serio" solo per la logica e per la matematica (ma non lo è affatto per l'esperienza)? Ciò non indica forse che quel problema era mal posto perchè risultava paradossale solo nella chiusura della sua logica narcisistica, ma perdeva di vista il mondo?


CitazioneMa chi stabilirebbe la "proprietà" o meno del nostro domandare, ovvero "quando il domandare resta chiuso nell'autoreferenza formale della sua logica ma non ci apre al mondo o ad un ulteriore sapere" e quando no?

Mi pare che i paradossi di Zenone (che ritengo logicamente errati e confutabili, ma questa é un' altra questione) non siano 
chiusi in una loro logica narcisistica e autoreferenziale, ma riguardino il mondo reale.

Cercano di dimostrare (a mio parere erroneamente, e dunque vanamente) che la realtà é fissa e immutabile malgrado l' apparenza del cambiamento (di confermare le tesi sulla realtà del suo maestro Parmenide).

Quello di Zenone era per me un problema ben posto (anzi: ottimamente posto), ma mal risolto (erroneamente).

Le domande importanti per me (chiaramente si tratta di una preferenza del tutto soggettiva e arbitraria che può benissimo non essere condivisa; denomino "filosofi" coloro che le condividono) non sono solo quelle poste dalla pratica immediata del vivere "giorno per giorno", dei mezzi per conseguire scopi acriticamente assunti in determinate circostanze, ma anche quelle "teoriche (più o meno) pure" circa quali scopi porsi nella vita in generale (magari per trovare come risposta che non se ne possono razionalmente dimostrare ma solo se ne possono irrazionalmente avvertire dentro di sé") o com' é la propria vita e la realtà in cui ci si trova anche indipendentemente da qualsiasi eventuale conseguenza pratica che possa o meno derivare da eventuali risposte, per pura e semplice curiosità o desiderio di conoscenza, amore di sapere (letteralmente "filosofia").


#3314
Citazione di: maral il 06 Settembre 2016, 23:01:58 PM
 Le definizioni (e le astrazioni a cui conducono) sono estremamente utili e sono utili per manipolare  i significati delle cose di comune accordo pensando di manipolare le cose stesse. Le definizioni si possono insegnare, ma non l'universale in quanto tale (che non è semplicemente una percezione di qualcosa di esterno, noi non percepiamo nulla di esterno), esso è già presente in ogni esperienza, ed è presente come assolutamente indefinibile e assolutamente indicibile.

CitazioneNoi non percepiamo nulla di esterno alla nostra esperienza fenomenica cosciente, non percepiamo cose in sé (il numeno; se é reale, come personalmente credo, non sento né dimostro).
Mi pare che di ciò che non é assolutamete definibile né dicibile non possa dirsi alcunché, quindi credo che gli aspetti universali astratti delle esperienze fenomeniche di cui parliamo sensatamente, non siano indefinibili né indicibili (infatti nei vocabolari delle varie lingue esistono le definizioni di tutti quelli di essi che si impiegano di fatto).

In una singola esperienza particolare non é presente nulla di universale; solo da una serie di più esperienze particolari possono essere astratte caratteistcihe universalmente in esse presenti.


Ma attenzione, non vi è alcun significato universale che non si riveli proprio nelle particolari esperienze e infatti non ho mai detto che debba esservi prima una conoscenza ideale, men che meno di concetti, ma che il significato viene sempre con il segno significante e viceversa, ogni percezione con il senso che la sottende e viceversa.

CitazioneChe non possa esservi prima delle sperienze particolari concrete alcuna conoscenza ideale, men che meno di concetti, sono perfettamete d' accordo; e anche che il significato viene o sta sempre con il segno significante e viceversa.
Non invece che ogni percezione con il senso che la sottende e viceversa: ribadisco che vi sono percezioni (o insiemi di percezioni) che sono segni significanti e dunque dotate di sinificato, ma anche altre percezioni (o insiemi di percezioni) che non sono segni significanti e dunque non sono dotate di sinificato.


La cosa è sempre con la parola che la manifesta, pur essendo il mondo delle cose e delle parole indipendenti e diversi, sono due mondi legati, sempre connessi, l'uno permette l'altro senza che nessuno preceda l'altro. Noi viviamo sempre e comunque la realtà del mondo fenomenico e lo viviamo sempre soggettivamente: il linguaggio (non solo vocale) non è originariamente uno strumento inventato arbitrariamente da qualcuno per comunicare con gli altri che convengono con lui sugli stessi termini (anche se a posteriori può sembrare tale), nessuno può inventare linguaggi se non per usi molto particolari, ma è un puro strumento di espressione dell'esistenza stessa, è l'umano modo di esistere nella dimensione umana: noi parliamo come gli uccelli volano e i pesci nuotano, nessun uccello e nessun pesce ha mai convenuto con gli altri uccelli o pesci quali movimenti fare per volare o parlare, esattamente come nessun umano ha mai convenuto (se non in linguaggi formali, artificiali e dunque a posteriori) quale significato o significati dovesse indicare un segno o tanti segni anziché un altro o degli altri e in ogni caso, come gli uccelli nell'aria e i pesci nell'acqua, noi siamo sempre nel mondo del linguaggio, sia che si parli del monte Cervino che dell'ippogrifo e ciò che importa è solo il senso contestuale (e non la verità/falsità assoluta) dell'uno o dell'altro.

CitazioneAnche su questo non sono d' accordo.
Il monte Cervino c' era centinaia di migliaia di anni prima che ci fosse alcun uomo che lo vedesse, ci penasasse e ne parlasse.
E d' atra parte vi sono cose artificialmente realizzate dall' uomo (esempio banale: un' automobile) delle quali prima esistono il pensiero (i concetti), i disegni e relativi progetti, le parole con le quali vengono descritti e volendo -e in certi casi di fatto lo si  vuole ed accade- perfino il nome che le viene assegnato), e dopo le cose stesse.
E vi sono perfino "cose" pensate, dette e scritte (e magari dipinte o scolpite), esistenti (realmente) solo in quanto tali (pensiero, concetti, figure) senza che mai esistano realmente in quanto "cose reali" (senza che mai esistano cose reali da essi denotate), come gli ippogrifi e gli altri oggetti di fantasia della letteratura e delle arti figurative.
Dunque é evidente che "il mondo delle parole" e "il modo delle cose" sono sì indipendenti e diversi, ma che non sono affatto necessariamente e universalmente,  sempre e comunque connessi, che gli oggetti appartenenti all'uno possono accadere del tutto indipendentemente da quelli aparteneti all' altro, senza che l' uno abbia bisogno di alcun "permesso da parte dell' altro", potendo benissimo precederlo, succedergli, o anche essere reale senza che mai lo sia l' altro.


Sono (anticonformisticamente) convinto che il linguaggio sia un' "invenzione" umana e non una dote naturale di cui la nostra specie sia geneticamente dotata, bensì una delle prime e certamente la fondamentale, rivoluzionaria manifestazione della cultura o "storia umana", decisiva nel salto di qualità costituito dall' inizio di quest' ultima nel nostro pianeta rispetto alla "storia naturale" fino ad allora unicamente in atto (ma é una mia convnzione in larga misura intuitiva, non certo "saldamente dimostrabile" e inltre la questione sarebbe troppo complessa per affrontarla qui).

Solo i linguaggi tecnici artificiali vengono formalmente ed esplicitamente, "artificiosamente", arbitrariamente stabiliti e "sanciti"; e tuttavia, anche se in maniera più spontanea e "naif", meno formalmente e rigorosamente definita, tutti i linguaggi (anche "naturali") nascono in realtà per la decisione convenzionale dei parlanti di attribuire arbitrariamente determinati significati a determinati vocaboli (e non istintivamente, come il volo degli uccelli e il nuoto dei pesci).

Beh, a me personalmente la verità o falsià di ciò che si dice o si pensa interessa tantissimo.




 
#3315
Citazione di: davintro il 05 Settembre 2016, 20:09:53 PM
Rispondo a Sgiombo

Proprio il fatto che  anche circa un ente non reale e immaginario si possono dare giudizi oggettivi fà sì che qualunque concetto sia formalmente ponibile come "universale". Effettivamente l'espressione "intenzionalità oggettiva" per come l'ho usata, riferita a un concetto rischia di essere fuorviante. Intenzionalità oggettiva non vuol dire presumere che un concetto non sia solo un prodotto della mente ma un esistenza reale (se così fosse certamente il concetto di ippogrifo non sarebbe un concetto oggettivo), vuol dire che il concetto che pongo come elemento di un giudizio lo utilizzo attribuendogli un senso valido per ogni situazione in particolare nel quale l'oggetto può entrare a far parte di uno specifico stato di cose, e che senza tale attribuzione non sarebbe possibile alcun guidizio rivolto a predicare stati di cose oggettivi. Se io giudico che "l'immagine che ho di fronte rappresenta un ippogrifo" questa giudizio è intenzionalmente rivolto a rappresentare uno stato di cose oggettivo e può farlo perchè il concetto di "ippogrifo" ha per me un senso che vale per tutti gli ippogrifi possibili, altrimenti non sarebbe utilizzabile come criterio a-priori per dire che ciò che ho di fronte è un ippogrifo, ho bisogno cioè del concetto generale per giudicare il caso singolo, in questo senso parlavo di "intenzionalità oggettiva" del concetto e sostenevo la corrispondenza tra l'intenzionalità oggettiva del concetto (resa possibile dalla forma universale del concetto) e l'intenzionalità oggettiva del giudizio. La non-oggettività dell'ippogrifo intesa come non-esistenza reale non ha nulla a che fare con l'oggettività che consideravo io in questo contesto, spero di avere charito l'equivoco

CitazioneOvviamente circa un ente non reale ma immaginario (esattamente come circa un ente reale) si possono dare giudizi veri (se se ne predica l' inesistenza reale) o falsi (se se ne predica l' esistenza reale); non capisco in che senso potrebbero essere giudizi "oggettivi" o meno ("soggettivi"? Può oggettivamente accadere che si diano tali giudizi o meno e si può soggettivamente pensare che si diano o meno, ma non vedo l' interesse di queste ovvie considerazioni per la nostra discussione).

Che significa che un qualunque concetto (anche non universale o -come dici tu più sotto- "individuale"), per il fatto che -ovviamente- se ne possa predicare sarebbe formalmente ponibile come "universale"?
Intendi forse "concetto predicabile" come sinonimo di "concetto ponibile come universale"? Ma che senso avrebbe mai questo stabilimento arbitrario, per definizione di un' inutile, ridondante sinonimia?
E d' altra parte per il fatto che se ne possa predicare, il concetto del "mio gatto Attila", che ha una denotazione (e una connotazione) particolare non muta la sua natura particolare in quella universale di "gatto" che invece denota (e connota) caratteristiche universalmente presentate da un numero indefinito di animali.

Inoltre che ogni concetto debba avere un certo senso o connotazione stabilmente accettato dai parlanti e valido "per ogni situazione in particolare nella quale l'oggetto può entrare a far parte di uno specifico stato di cose, e che senza tale attribuzione" di una connotazione "non sarebbe possibile alcun giudizio rivolto a predicare stati di cose (oggettivamente reale o anche soggettivamente immaginario) mi sembra una cosa ovvia: un concetto per predicarlo sensatamente deve aver un certo senso; ma non vedo come tutto ciò possa inserirsi nella discussione su innatezza a priori o acquisizione a posteriori dei concetti, in particolare di quelli universali, e più in particolare ancora (toh, che bel gioco di parole!) del concetto di "universale".

Mi sembra ovvio ma non vedo in che senso rilevante che il concetto di "ippogrifo" abbia per te (e per tutti i parlanti la lingua italiana) un senso che vale per tutti gli ippogrifi (immaginari) possibili, altrimenti non sarebbe utilizzabile come criterio stabilito a posteriori (dopo aver visto svariati cavalli ed uccelli, e non prima di tali molteplici esperienze sensibili) per dire che ciò che hai di fronte è l' immagine di un ippogrifo (ben altra cosa che un ippogrifo!), che hai bisogno cioè del concetto generale per giudicare il caso singolo come appartenente a una classe di oggetti (e del concetto particolare di Ippogrifo Pegaso per giudicare, per esempio, che l' immagine che hai davanti rappresenta il particolare ippogrifo –immaginario- Pegaso).


Essendo l'universalità il carattere formale e non contenutistico del concetto, ogni concetto è universale a prescindere dall'estensione semantica del contenuto, dell'oggetto a cui il concetto si riferisce, e quindi non ci sono difficoltà a pensare a concetti formalmente universali riferiti a singoli individui e non solo a specie. Come il concetto di "gatto" si riferisce ad OGNI possibile gatto, il concetto del singolo gatto Attila, vale per tutti le differenti situazioni di cui di Attila posso fare esperienza, Attila resta Attila, sia quando dorme, quando è sveglio, quando è fuori casa, quando è in casa, quando è giovane, quando invecchierà... In questo caso il concetto del singolo gatto Attila consisterà nella sua identità individuale, vale per tutti i modi per i quali posso fare la sua esperienza, quindi la sua forma è universale come la forma del concetto "gatto", cambia solo l'estensione semantica del contenuto, non più una specie ma un singolo individuo. La molteplicità da cui si astrae non è per forza una molteplicità quantitativa, può essere una molteplicità di aspetti e situazioni riferibili a un ente numericamente unico. Ecco perchè "concetto" e "specie" sono cose diverse. Il concetto è una struttura mentale che può riferirsi sia a enti collettivi che individuali, la specie è data dal complesso di qualità comuni ad oggetti potenzialmente reali, tutto questo rientra nella fondamentale distinzione tra logica formale che comprende l'utilizzo di concetti, e l'ontologia "materiale" che si occupa di qualità concrete degli oggetti.

Citazione
Continuo a non capire in che senso l' l'universalità sarebbe "il carattere formale e non contenutistico" del concetto, in che senso ogni concetto sarebbe universale a prescindere dall'estensione semantica del contenuto, dell'oggetto –reale o immaginario, particolare o universale- a cui il concetto si riferisce: "universalità formale come sinonimo di "concettualità" o di "predicabilità"?
E perché mai?

L' ovvia affermazione che << "il concetto del singolo gatto Attila, vale per tutti le differenti situazioni di cui di Attila posso fare esperienza, Attila resta Attila, sia quando dorme, quando è sveglio, quando è fuori casa, quando è in casa, quando è giovane, quando invecchierà... In questo caso il concetto del singolo gatto Attila consisterà nella sua identità individuale, vale per tutti i modi per i quali posso fare la sua esperienza, quindi la sua forma è universale come la forma del concetto "gatto">> mi sembra un sofisma per cercare vanamente di negare che quello del "mio gatto Attila" è un concetto particolare (che ovviamente ha estensione comprendente tutta la vita dell' individuo particolare che denota, istante per istante: il che non ne fa certo una classe di diversi individui accomunati da una caratteristica astratta ad essi universalmente comune); mentre invece il concetto di "gatto" si riferisce ad ogni possibile gatto, a un indefinito numero di gatti passati, presenti e futuri, a una caratteristica (possibile oggetto di astrazione) universalmente posseduta da un insieme indefinitamente numeroso e di animali e non solo dal particolare gatto Attila.
Mi sembra che tu denomini (indebitamente; o per lo meno alquanto, originalmente e "tendenziosamente") come "universale" il fatto ovvio che il senso o denotazione di un concetto sia necessariamente "costante" (una volta che lo si è stabilito convenzionalmente; e fino ad eventuali, non auspicabili, mutamenti convenzionalmente stabiliti) e non "variabile ad libitum".

Nemmeno riesco a cogliere l' attinenza con la discussione dell' altra ovvia affermazione che "concetto" (in particolare i concetti universali di specie) e "specie" reale (indipendentemente dall' essere eventualmente anche oggetto di pensiero, senso o connotazione di concetto predicato, o meno) sono cose ben diverse.
E d' altra parte se "la specie è data dal complesso di qualità comuni ad oggetti potenzialmente reali" (le quali possono essere presenti in più oggetti concreti appartenenti all' "ontologia" materiale"), allora si tratta puramente e semplicemente di un sinonimo di "concetto astratto o universale", (il quale può avere denotazioni o referenti reali, presentati da più concreti oggetti reali); per esempio il complesso di caratteristiche comuni ad oggetti potenzialmente reali costituito dall' "essere pesanti" non é che il concetto astratto universale di "presantezza".


Pensare a un contatto cosciente della nostra mente con un "qualcosa" di universale di cui si potrebbe non rendersi conto non è qualcosa di assurdo, il "rendersi conto" di un processo mentale cosciente è un fatto accidentale e ulteriore rispetto al processo mentale cosciente stesso. Ogni atto della coscienza è specificato dall'oggetto a cui si rivolge. Dunque l'atto della coscienza con cui ci rivolgiamo alla nozione di universalità non è lo stesso atto di coscienza con cui penso al primo atto, quest'ultimo è un rivolgersi ulteriore. Del resto molti processi mentali hanno continuato nel tempo a porsi in atto senza che la coscienza riflettente (scientifica) se ne accorgesse. L'attività della coscienza che interviene nell'attività onirica a camuffare ngli elementi libidinosi in quanto sconvenienti socialmente era pressochè sconosciuta prima degli studi di Freud sull'inconscio e sull'interpretazione dei sogni (lasciamo perdere per ora il termine "inconscio", a mio modestissimo avviso fuorviante mentre sarebbe più corretto parlare di "coscienza potenziale", andremmo troppo fuori tema), eppure è sempre stata attuale prima che ce ne rendessimo conto. Inoltre, chi sostiene l'astrattività a-posteriori del concetto di universalità dovrebbe, in base a tale argomento,  sostenendo che ogni processo mentale cosciente non potrebbe essere se non anche auto-cosciente e oggetto di una consapevolezza, negare tale processo all'interno della mente degli innatisti dato che questi non se ne renderebbero conto!

CitazioneNon prendo in considerazione Freud e la psicoanalisi dei quali ho una pessima opinione come di penose, irrazionali superstizioni antiscientifiche.
Per "mente" intendo quella parte di eventi fenomenici coscienti che non è intersoggettiva e misurabile attraverso rapporti numerici (la cartesiana "res cogitans").
Per definizione non può non essere cosciente.
D' altra parte di ciò che non è cosciente (se realmente qualcosa di non cosciente accade) credo ben poco possa dirsi.
L' astrazione a posteriori dei concetti è comunque un processo cosciente; e lo sarebbe anche l' appercezione a priori di essi, ammessa e non concessa.
Qualsiasi processo mentale (per come lo intendo io: da non confondersi con i processi cerebrali che per me sono tutt' altra cosa!) è per definizione cosciente, è il "rendersi conto di qualcosa, che ci si renda anche conto di rendersene conto (cioè che si sia anche autocoscienti, oltre che coscienti) o meno: un "fatto accidentale e ulteriore rispetto al processo mentale cosciente" è casomai la coscienza di tale processo mentale cosciente, cioè l' autocoscienza.
Non vedo pertanto come la tesi dell' innatezza a priori del conetto di "universalità" possa essere corroborata da queste considerazioni per me senza senso (autocontraddittorie, per come intendo io la coscienza)  su pretesi "eventi mentali non fenomenicamente coscienti".

Sostengo l'astrattività a-posteriori del concetto di universalità, in pieno disaccordo dagli innatisti, guardandomi bene dall' affermare che "ogni processo mentale cosciente non potrebbe essere se non anche auto-cosciente e oggetto di una autoconsapevolezza", tesi che mi pare con l'astrattività a-posteriori del concetto di universalità non abbia nulla a che vedere.