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Messaggi - sgiombo

#3316
Citazione di: maral il 04 Settembre 2016, 21:16:38 PM
Anche la lotta di classe, caro Sgiombo, è condizionata nei suoi esiti dalle tecnologie che possono usare i lottatori e per questo il loro sviluppo finisce sempre, che lo si voglia o meno, per imporsi come scopo e non come mezzo.
CitazioneBeh, non posso che risponderti come ha risposto recentemente a me a me Acquario69 in un' altra discussione (a parte l' uso dell' "OK", che personalmete aborro):

D' accordo, la pensiamo diversamente.
#3317
Citazione
Dissento da questa divinizzazione della tecnica, che é puro mezzo, non (non necessariamente) scopo, men che meno é soggetto autonomamente attivo di dominio sociale e non é affatto onnipotente.

La tecnica condiziona i rapporti sociali, ma la lotta delle classi sociali li condiziona non meno e inoltre può imporne diverse alternativamente possibili usi (e/o non usi) della tecnica).
#3318
Citazione di: maral il 04 Settembre 2016, 11:10:27 AM
Citazione di: sgiombo il 01 Settembre 2016, 21:22:06 PM
Per definizione si conoscono con certezza le sensazioni fenomeniche (esteriori-materiali ed interiori-mentali), se esse si avvertono (accadono) e (si avvertono le sensazioni interiori o mentali costituenti il fatto che) si predica che accadono (definizione di conoscenza = predicazione conforme alla realtà, ovvero predicazione che accade realmente qualcosa accadendo realmente tale qualcosa, o che non accade realmente qualcosa non accadendo realmente tale qualcosa).

Che cosa significa conoscere? Io penso che conoscere sia semplicemente vivere e che non si possa né vivere né conoscere "per definizioni", le definizioni a volte aiutano, ma sempre ingannano. Noi siamo sempre conformi alla realtà e tutto quello che accade comunque realmente accade, esterno e interno insieme. Esterno e interno sono solo definizioni per una catalogazione comoda ai nostri discorsi.


CitazioneIo penso che per ragionare correttamente (filosoficamente e non solo; ma soprattutto di filosofia) si debbano definire accuratamente e il più possibile senza ambiguità i concetti. Che le definizioni ben disambiguate aiutino sempre (anche se malgrado esse si può pur sempre sbagliare) mentre i concetti ambigui o non ben definiti non aiutano mai e sempre tendono ad indurre in errore (e di fatto comunque troppo spesso inducono in errore).
E che il concetto di "vivere " sia ben diverso da quello di "conoscere": anche vegetali, protozoi, procarioti e virus vivono, ma non credo sia ragionevole ipotizzare che conoscano alcunché (se non in senso meramente metaforico -tutt' altra cosa!- come quando si dice che la selezione naturale consente al genoma di "acquisire """conoscenze""" " dell' ambiente).

Che noi siamo realtà, se esistiamo) è ovvio (una tautologia), ma il nostro pensiero non sempre è conforme alla realtà (per esempio se pensiamo che esistano gli ippogrifi).

Per (cercare nei limiti del possibile di) ragionare correttamente bisogna "catalogare" con precisione e rigore e senza ambiguità i concetti impiegati (per esempio distinguere correttamente fra interiore ed esteriore e non confonderli).


Noi, in quanto umani, sbagliamo (e tutti sbagliamo) non perché i nostri discorsi, i nostri pensieri, immaginazioni e prassi non sono conformi a una esterna realtà in sé, dato che la realtà solo in questi discorsi, pensieri, immagini e prassi si manifesta comunque si presentino, ma perché non riusciamo a intenderli nel loro contesto, non vogliamo vederli in rapporto a quello sfondo specifico, da noi stessi determinato per come ne veniamo determinati (ciascuno o collettivamente), in cui risiede la validità del loro significato.
Tutto ciò che appare in qualche modo realmente accade e accade significando qualcosa in rapporto a qualcos'altro che è un altro significato di immagini che continuamente si presentano esigendo che un senso possa venire trovato. E questo senso in qualche misura è sempre arbitrario e in qualche misura no e distinguerlo in questi termini non è un atto assoluto ed eterno, ma dipende dai contesti (fisici, biologici, cognitivi e sociali) in cui si manifesta.    


Citazione
Noi, in quanto umani, sbagliamo (e tutti sbagliamo) perché i nostri discorsi, i nostri pensieri, immaginazioni e prassi non sono conformi alla realtà fenomenica della nostra esperienza cosciente, l' unica cui possiamo avere accesso sensibile, l' unica che possiamo sentire (la cosa in sé la possiamo ipotizzare, possiamo anche credere che esista, ma solo per un nostro ragionamento -fra l'altro indimostrabile essere vero- e non per accesso sensibile).

Non riesco ad attribuire alcun senso alle parole " contesto, sfondo specifico, da noi stessi determinato per come ne veniamo determinati (ciascuno o collettivamente), in cui risiede la validità del significato dei nostri discorsi, pensieri, immagini e prassi".

Tutto ciò che appare ovviamente accade in quanto apparenza: tautologia!
Ma non necessariamente tutto ciò che appare è dotato di significato: solo i segni lo sono (per esempio parole, segnali stradali, icone del computer, ecc).
Il monte Cervino appare, ma non significa nulla, è e basta (o credi forse che l' abbia fatto intenzionalmente Dio come segno indicante la sua bontà verso noi uomini o altro?).
Inoltre un segno per essere tale deve avere (per lo meno nelle intenzioni di chi lo allestisce) un unico senso: se può essere interpretato in più modi indefinitamente è un pessimo segno non efficace, o un "tentativo si segnare –di essere segno- fallito".






CitazioneLa cosa in sé o noumeno (se c' è) per definizione non è accessibile alla sensazione, che per definizione è (e non può essere che) apparenza, fenomeno.

E' invece accessibile all' intelletto, che la, può pensare, ne può parlare (come di fatto qui si sta facendo), che essa esista realmente o meno)

Qui non stiamo parlando di cose in sé (anche se si può avere la pretesa di farlo), perché ciò che si può concepire e parlare non è mai la cosa in sé semplicemente per il fatto che nulla si può dire dell' "in sé" del quale si può propriamente solo tacere, anche se continuamente di esso si vuole dire qualcosa facendolo apparire.

CitazioneParlando della cosa in sé non la si fa apparire (si apparire solo il suo concetto, esattamente come parlando degli ippogrifi non si fanno apparire gli ippogrifi ma solo il loro concetto); ma di essa si può ben parlare (che esista o meno) come si può ben parlare degli ippogrifi che non esistono: per definizione non la si può sentire ma la si può pensare (sentire il pensiero di essa, che é cosa diversa da essa come il pensiero dell' ippogrifo e diversa cosa dall' ippogrifo, ma anche il pensiero del cavallo -esistente- e diversa cosa dal cavallo).
Più in generale si può sensatamente parlare anche di ciò che potrebbe non esistere (un pianeta simile alla terra intorno alla stella Aldebaran) o certamente non esiste (gli ippogrifi sulla nostra terra).






CitazioneInnanzitutto faccio una domanda a mia volta: in che modo ci sarebbe già presente nella mente l' idea di una bellezza e di una bontà, prima di esperire cose belle e buone? C' é da qualche parte qualcuno (sano di mente) che ricorda di aver da sempre saputo cosa sia la bellezza anche prima di vedere qualcosa di concreto che gli ha fatto l' impressione della bellezza (che gli é parso bello)?

Certo, lo avevo già detto, è impossibile un'idea di bellezza senza che vi siano cose belle, ma è ugualmente impossibile che vi sia alcuno che sappia vedere cose belle senza che non senta prima in sé la bellezza. La bellezza non è, come vorrebbe un certo realismo ingenuo,  un "a posteriori" rispetto all'esperienza delle cose.


CitazioneBeh, scusa ma la prima volta che un bimbo vede una cosa bella (sua madre?), la vede e avverte una componente di quella sensazione che poi imparerà a chiamare "bellezza" senza avere sentito prima in sé la bellezza.
La bellezza non, é come vorrebbe un certo platonismo ingenuissimo un idea a priori ubicata nell' iperuranio; è invece, come vuole l 'empirismo (ingenuo; e a maggior ragione se sofisticato), a posteriori .






Citazione...Dopo un bel po' di tutte queste esperienze stabilisce di chiamare "esperienza della bellezza" quel certo carattere comune a tutti i sentimenti di cui sopra, e che potrebbe riproporsi indefinitamente di fronte ad altre donne, ad altre opere d' arte, ad altre musiche, ad altri paesaggi, ecc. (e non di fronte alla visione della giornalista Lucia Annunziata, a un opera di Renzo Piano, a un rap, a una discarica di rifiuti, ecc.).
E come fai a sentire quel certo carattere comune senza che ti sia dato come carattere comune? Tu stai dicendo che la bellezza è un tratto comune (che così si "stabilisce di chiamare", come se il suo significato fosse solo una questione arbitraria di nomi!) che si ripete nelle diverse esperienze di cose in diverso modo belle senza accorgerti della "petitio principii": come si possono sentire diverse modalità di bellezza, senza che vi sia il sentimento di quella stessa bellezza che si vorrebbe spiegare a partire da esse?
Pensare che vi siano prima cose belle senza la bellezza che le rende in modo diverso tali è tanto assurdo quanto pensare che vi sia prima una bellezza ideale astratta senza le cose diversamente e concretamente belle.  
CitazioneSe lo sento, allora "mi é dato come sensazione" (tautologia!).
Ma che c' entra la presunta questione arbitraria di nomi?
I nomi sono ovviamente arbitrari (come tutti i segni; ma esistono anche tantissime cose insignificanti, id est: che non sono segni), ma non puoi attribuire l' arbitrarietà da me ovviamente attribuita ai simboli verbali (i nomi; in particolare al vocabolo "bellezza" ") alle mie considerazioni (in particolare sull' essere a posteriori e non innato del concetto di bellezza!

Ma quale petizione di principio?!?!?!
Che
sentendo diverse modalità di bellezza necessariamente si senta il sentimento di quella stessa bellezza é una banalissima tautologia!

E non si sta parlando della spiegazione della bellezza bensì dell' origine (a posteriori e non innata!) dei concetti in generale, esemplificando con il particolare concetto di "bellezza" (si poteva benissimo farlo con quello di "bruttezza" e con qualsiasi altro): se confondiamo questioni completamente diverse diventa molto difficile, se non impossibile intenderci e dialogare proficuamente.

Pensare che vi siano prima cose belle senza la bellezza che le rende in modo diverso tali é una contraddizione  che non ho mai affermato.
Sostengo invece tutt' altro: che possono esistere cose belle anche senza che nessuno ne conosca l' esistenza e che prima di vedere cose belle (a meno che non ci venga insegnato da qualcuno che più o meno indirettamente l' ha imparato vedendo cose belle) non si conosce il concetto di "bellezza": lo si conosce a posteriori e non a priori!
Ovvero che non vi é prima una conoscenza della bellezza ideale astratta senza l' esperienza delle cose diversamente e concretamente belle (che mi mi sembra invece proprio quanto affermassi tu).  
#3319
Citazione di: davintro il 03 Settembre 2016, 16:29:14 PM
I giudizi esistenziali, per cui giudichiamo una tal cosa oggettivamente esistente o no, non sono i soli giudizi possibili. L'esistenza è solo uno dei tanti predicati potenzialmente attribuibili a un soggetto. Quindi l'universalità, sempre nell'accezione formale, del concetto di ippografo non è toccato dal fatto di sapere l'ippografo non esiste nella realtà. Il fatto che non sia un ente realmente oggettivo ma opera della fantasia soggettiva degli uomini non preclude affatto la possibilità di poter dare giudizi oggettivi su di esso, pena confondere il senso logico dell'idea di oggettività (il valore di verità oggettiva di un giudizio) con quello ontologico (l'essere realmente autonomo di qualcosa rispetto ad una mente soggettiva che lo pensa o lo immagina). L'universalità mi permette di porre il concetto di "ippografo" come modello ideale regolativo sulla base del quale poter emettere su un singolo ippogrifo dei giudizi aventi un'intenzionalità oggettiva. Posso dire che "l'immagine che ho di fronte ritrae un'ippogrifo" e posso giudicare oggettivamente vero tale enunciato, a prescindere dal fatto di sapere che l'immagine rppresenta un essere fantastico e non reale.

CitazioneChe "Quindi l'universalità, sempre nell'accezione formale, del concetto di ippografo non è toccato dal fatto di sapere  che l'ippografo non esiste nella realtà. Il fatto che non sia un ente realmente oggettivo ma opera della fantasia soggettiva degli uomini non preclude affatto la possibilità di poter dare giudizi oggettivi su di esso" concordo; ma allora non è vero che "L'universalità formale del concetto [in generale, necessariamente nel caso di qualsiasi concetto, anche quello di "ippogrifo] permette di dare al giudizio un'intenzionalità oggettiva, un tendere verso il riferimento ad uno stato di cose oggettive" (se non, in certi casi, come quello del concetto di "ippopgrifo", negandolo al concetto stesso).
Mentre il concetto può avere un' intenzionalità oggettiva (per esempio "albero") o meno ( per esempio "ippogrifo"), invece il giudizio può essere oggettivamente vero se nega l' esistenza di un riferimento a uno stato di cose oggettive circa il concetto universale di "ippogrifo" (che ne soddisfi l' intenzionalità), il quale in fatti non esiste, non si dà nella realtà (indipendentemente dal fatto di essere eventualmente anche pensata o meno), ma unicamente nel pensiero circa la realtà; o falso se lo afferma.
Se invece vogliamo attribuire l' intenzionalità ai giudizi, anzichè ai concetti di cui predicano, allora i giudizi su un singolo ippogrifo (al contrario di quelli su un singolo albero esistente; o all' immagine di un ippogrifo che puoi avere davanti, che è ben altra cosa da un ippogrifo, come l' immagine di un albero è ben altra cosa di un albero!) possono avere e hanno un' intenzionalità soddisfatta dal riferimento a qualcosa di meramente pensato (e reale unicamente in quanto tale), un riferimento meramente concettuale e non reale indipendentemente dall' eventuale essere anche pensato o meno (al contrario dei giudizi su un singolo albero realmente esistente).


Va confermata l'idea che l'universalità formale dei concetti permette a questi di comporre un giudizio intenzionato verso una realtà oggettiva, mentre la totale relativizzazione dei concetti condurrebbe anche al totale relativismo e scetticismo nelle nostre conoscenze, conoscenze che altro non sono che un complesso organico e oridnato di giudizi. Conoscere e giudicare. Su questo punto in particolare Kant ha perfettamente ragione: perchè si dia conoscenza scientifica occorre che tale conoscenza sia costiuita da giudizi, sì sintetici, ma a-priori.

CitazioneMa esistono concetti universali e anche particolari; per esempio il concetto del mio gatto Attila (che é "cosa" diversa dalla "cosa" costituita dal mio gatto Attila: la seconda potrebbe benissimo esistere anche senza la prima; e viceversa, come dimostra l'esistenza del concetto particolare di "ippogrifo Pegaso").
Inoltre rimando alle considerazioni esposte appena sopra circa il possibile riferimento dei concetti universali a un mero ente di pensiero (cosa reale unicamente in quanto pensata), oltre che a una cosa reale indipendentemente dall' essere eventualmente anche pensata (ente anche di pensiero) o meno.


Ho sempre dissentito da Kant sulla presunta esistenza di giudizi sintetici a priori (a priori o si stabiliscono arbitrariamente definizioni, che non sono conoscenza, non essendo giudizi, o si deducono giudizi analitici, che non fanno che esplicitare conoscenza di già implicata nelle premesse.


Dire che la conoscenza è come tutti gli altri concetti un derivato a-posteriori dell'esperienza degli oggetti particolari porterebbe a smentire qualunque collegamento tra apparato concettuale della mente soggettiva e natura degli oggetti esperiti che devono essere adeguati a produrre nella nostra mente concetti che li comprendono. Si creerebbe un fossato così largo tra realtà e mente che dovrebbe portare all'annullamento di qualunque discorso razionale, empirista o innatista che sia.

CitazioneCome tutti gli altri concetti é un derivato a-posteriori il concetto di "conoscenza", non il fatto della conoscenza, il quale ultimo è consentito dai rapporti reali di fatto fra mente e mondo (se si ammettono alcune tesi indimostrabili non esiste alcun "fossato" incolmabile fra mente conoscente e mondo conosciuto, anche se il concetto di "conoscenza" si acquisisce a posteriori).


Certamente il concetto di casa è ricavato dall'esperienza di singole case reali, e il concetto di albero dall'esperienza di singoli alberi reali, perchè alberi e case sono realtà adeguate e corripondenti ai concetti di "casa" e "albero". Ma il concetto di "universalità" o "totalità" ? Da dove deriverebbe? A partire da quale esperienza a-posteriori di oggetti potrebbe essere ricavata l'idea di universalità? Perchè il principio di corrispondenza per cui il concetto di "albero" e "casa" sono ricavati da realtà che corrispondono al significato del concetto, cioè alberi e case, non varrebbe più per l'universalità che invece andrebbe ricava dall'esperienza di una realtà che universale non è, perchè contingente, mutevole e delimitata dallo spazio-tempo da cui ricaviamo a-posteriori l'esperienza? Non è piuttosto più coerente pensare che l'apprensione dell'universale  sia qualcosa dipendente dall'esperienza di qualcosa di realmente universale, adeguato a produrre quel concetto, un "qualcosa" operante al di là della contingenza spaziotemporale e con cui dunque la nostra mente è da sempre in contatto, a prescindere che raggiunga un livello di autocoscienza tale da rendersi conto di questo essere in contatto?

CitazioneDirei che certamente il concetto di casa è ricavato dall'esperienza di singole case reali, e il concetto di albero dall'esperienza di singoli alberi reali, perchè i concetti di "casa" e "albero" sono adeguati e corrispondenti alla realtà di alberi e case.

(A meno che non lo si acquisisca "di già confezionato" per insegnamento da altri, come per lo più di fatto accade) il concetto di "universalità"(e analogo discorso vale per "totalità") si acquisisce a posteriori per astrazione per così dire "al quadrato" (e dunque "a posteriori al quadrato" o "ulteriormente a posteriori"), cioè astraendo (ulteriormente) una caratteristica generale (per l' appunto quella dell' universalità) che è comune a vari concetti universali astratti dei quali necessariamente, come conditio sine qua non, si è fatta precedentemente esperienza (che si è a loro volta precedentemente acquisiti per astrazione e pensati), come quelli di "cavallo", "gatto", "sentimento", ecc., ecc., ecc. (che sono relativamente meno universali-astratti, ovvero relativamente più particolari-concreti di quello che da essi si astrae di "universalità"); astrazione che naturalmente non si esaurisce nella mera distinzione di ciò che è comune a tutti gli oggetti "finora" esperiti in passato "rientranti nei" concetti considerati,  (di "cavallo", "gatto", "sentimento", ecc., ecc., ecc.), ma lo "proietta induttivamente" anche ad eventuali -potenziali- altri oggetti considerabili in futuro in numero indefinito, illimitato, attraverso un' ulteriore elaborazione teorica stabilendo per definizione il concetto di "universalità".
Ciò che vale per i concetti di alberi e case vale esattamente allo stesso modo per l'universalità che infatti si ricava esattamente allo stesso modo dalle esperienze di realtà (concettuali, in questo caso) che così tanto universali non sono (sono relativamente meno universali), relativamente più particolari e delimitati dallo spazio-tempo, le quali sono nell' esperienza (mentale, in questo caso).

Un "qualcosa" operante al di là della contingenza spaziotemporale e con cui dunque la nostra mente è da sempre in contatto, a prescindere che raggiunga un livello di autocoscienza tale da rendersi conto di questo essere in contatto mi sembra una frase senza senso: come può (in che senso?) la nostra mente essere (da sempre) in contatto con qualcosa senza raggiungere un livello di auto(?)coscienza tale da rendersi conto di questo essere in contatto? Tutto ciò che fa la nostra mente cosciente è (l' unico genere di !"contatto" che può avere con altre "cose" consiste nel) "rendersi conto" (avere consapevolezza fenomenica, sentire interiormente o "avvertire" qualcosa), e non altro.
#3320
Citazione di: davintro il 02 Settembre 2016, 02:53:27 AM
L'universalità formale del concetto "albero" permette di dare al giudizio un'intenzionalità oggettiva, un tendere verso il riferirimento ad uno stato di cose oggettive, che non ha nulla a che fare con il fatto che potrei sbagliarmi, qui ciò che conta è l'intenzione. Se il concetto "albero" non fosse universale non potrei porlo come criterio regolativo per un giudizio che intende essere oggettivo, perchè altrimenti il criterio potrebbe essere smentito da altri criteri she sfuggono al recinto semantico del concetto "albero", che in quanto non più universale, sarebbe limitato da tale recinto e non ponibile più come criterio assoluto (ripeto, assoluto come intenzionalità, nel momento in cui lo utilizzo, non "assoluto" nel senso che IN UN MOMENTO SUCCESSIVO non potrei modificarlo), andrebbe persa, non la reale oggettività del sapere scientifico, ma qualunque carattere tetico dei nostri giudizi, qualunque spinta intenzionale che li porti a rivolgersi alla rappresentazione dell'oggettività del reale, perchè ogni concetto non potrebbe essere considerato di volta in volta come universalmente valido a livello formale

CitazioneE l'universalità formale del concetto "ippogrifo" come può permettere di dare al giudizio un' intenzionalità oggettiva, un tendere verso il riferirimento ad uno stato di cose oggettive?
Anche il concetto di "Ippogrifo" é formalmente universale (non meno di quello di "albero"), ma dove starebbe la sua ogettività, il riferirimento ad uno stato di cose oggettive cui tenderebbe?



in generale lo "sviluppo" non è mai una creazione dal nulla, ma il potenziamento, l'approfondimento di  qualcosa che già c'è, un certo nucleo preesistente. Dunque affermare che l'astrazione sarebbe il risultato di uno sviluppo non esclude di per sè che tale sviluppo non sia un processo che interessa degli elementi originariamente o innatamente presenti nella nostra mente. Inoltre in base a ciò che ho scritto non avrei alcun bisogno di negare che l'astrazione si realizzi non innatamente ma a partire dall'esperienza percettiva a-posteriori di oggetti particolari! Ciò che sostengo come innata (ma forse preferirei parlare di "originarietà" o "trascendentalità") non è l'astrazione nel complesso della sua struttura ma l'apprensione della nozione di "universalità", che sostengo sia elemento necessario ma non sufficiente dell'astrazione. Questa ha bisogno di una molteplicità di percezioni sensibili e di un riferimento universalistico che dia ai concetti che forma una valenza che li permetta di applicarli a oggetti in qualunque condizione empirica. Sintesi di forma e contenuto e se il contenuto non è innato non ha senso affermare l'innatezza del processo in generale!

CitazioneForse cominciamo un po' ad intenderci.
Ma l'apprensione della nozione di "universalità" come elemento necessario ma non sufficiente dell'astrazione in che senso può dirsi "innata"?
La nozione di "universalità" (a meno che, come di fatto solitamente avviene, non ci venga insegnata da altri che a loro volta l' hanno direttamente acquisita a posteriori oppure anch' essi indirettamente essendo stata anche a loro insegnata) si acquisisce a posteriori, in seguito ad esperienze, non la si sa (conosce) appena nati, prima di fare esperienze (allorché se ne ha solo la potenziale capacità di acquisirla).


#3321
Citazione di: acquario69 il 02 Settembre 2016, 10:14:35 AM

Citazionesgiombo
Questo presunto "sapere" tra virgolette (metaforico!) è solo un comportarsi (fra l' altro a posteriori: dopo che vede la madre il neonato si sente calmo e rassicurato, dopo che si è accorto che la madre lo guarda sorride, l' attuazione di una mera tendenza comportamentale congenita, indotta da percezioni empiriche, e per niente "conoscenza a priori reale", effettiva (la metafora non va mai presa alla lettera e confusa con una pretesa realtà letterale di ciò che esprime).


ok la pensiamo in maniera molto diversa.

CitazioneDirei come al solito ...ma va bene così: il mondo é bello perché é vario!
Ti saluto con simpatia.
#3322
Citazione di: acquario69 il 02 Settembre 2016, 02:35:09 AM
CitazioneInnanzitutto faccio una domanda a mia volta: in che modo ci sarebbe già presente nella mente l' idea di una bellezza e di una bontà, prima di esperire cose belle e buone? C' é da qualche parte qualcuno (sano di mente) che ricorda di aver da sempre saputo cosa sia la bellezza anche prima di vedere qualcosa di concreto che gli ha fatto l' impressione della bellezza (che gli é parso bello)?.......

...Solo dopo che ha fatto un bel po' di esperienze simili a quelle sopra citate ("a posteriori", e non affatto prima di farle) sa cosa è "la bellezza", solo allora (e non affatto in maniera "innata") ha la conoscenza dell' idea di bellezza.

secondo me un esempio che dimostrerebbe che il buono e il bello e' "preesistente" e percio gia innato in noi,lo si può riscontrare guardando il comportamento di tutti i neonati,sopratutto nei confronti della madre che lo ha generato...si può notare da come il piccolo si sente calmo e rassicurato rimanendoci a contatto,oppure nei momenti in cui la madre lo guarda e come questo provochi la reazione immediata di un suo sorriso.

quindi penso che il bambino " sa' " già istintivamente cosa sia il buono e il bello e a mio avviso fa anche riflettere sul fatto che entrambi non possono essere disgiunti.


CitazioneQuesto presunto "sapere" tra virgolette (metaforico!) è solo un comportarsi (fra l' altro a posteriori: dopo che vede la madre il neonato si sente calmo e rassicurato, dopo che si è accorto che la madre lo guarda sorride, l' attuazione di una mera tendenza comportamentale congenita, indotta da percezioni empiriche, e per niente "conoscenza a priori reale", effettiva (la metafora non va mai presa alla lettera e confusa con una pretesa realtà letterale di ciò che esprime). 

#3323
Citazione di: davintro il 02 Settembre 2016, 01:18:25 AM
Rispondo a Sgiombo

La potenzialità o predisposizione è ciò che non è ancora o non è più attuale, mentre le cause che producono un effetto come l'astrazione devono essere tutte attuali, cioè reali. Attuale deve essere la percezione sensibile che apprende il contenuto dell'oggetto individuale, attuale deve essere l'avvertimento della nozione di universalità per la quale ciò che si astrae dal particolare vale per tutti gli individui possibili. Cosa farebbe passare la potenzialità della nostra mente soggettiva all'attualità per la quale concretamente interviene nel processo di astrazione?

CitazioneLe ripetute esperienze di enti o eventi particolari concreti accomunate dalle caratteristiche che per l' appunto il pensiero distingue dalle altre individuali o comunque relativamente meno universali e astrae.
Senza che esista prima dell' astrazione stessa nessuna 
avvertibile  nozione di universalità, che si acquisisce a posteriori, per l' appunto in seguito all' astrazione.


Io posso essere fisicamente predisposto per svolgere con buon profitto una certa attività sportiva ma questo ancora non è sufficiente a determinare il fatto che io svolga realmente bene quello sport (magari per pigrizia mi alleno poco oppure per disinteresse non inizio nemmeno a praticarlo). Così l'apprensione dell'idea di universale necessaria almeno formalmente per ogni concetto per essere attuale nell'astrazione deve essere un'intuzione attuale e non solo una "predisposizione".

CitazioneEsattamente come mettendomi a correre e allenandomi (in seguito a concrete esperienze che mi inducono a farlo) traduco in atto quelle che altrimenti rimarrebbero solo le mie mere potenzialità atletiche (mera potenzialità di correre velocemente, e non capacità attualmente reale, già innata in quanto tale, di correre velocemente), così pensando, stabilendo, definendo un concetto universale astratto (in seguito a concrete esperienze di casi particolari che lo esemplificano le quali mi inducono a farlo) traduco in atto quelle che altrimenti rimarrebbero solo le mie mere potenzialità gnoseologiche, teoriche (mera capacità di conoscere idee universali e non conoscenza attualmente reale, già innata in quanto tale, di idee universali).


Se un evento (l'astrazione) per realizzarsi ha bisogno del concorso del reale accadere causale di due fattori (la percezione sensibile del contenuto e l'intuizione dell'universalità che permette al concetto di comprendere tutti gli individui a prescindere dalla contingenza spaziotemporale nella quale posso farne esperienza), e uno dei due interviene attualmente e l'altro resta allo stato potenziale (di fatto un non-essere più o un non-essere ancora), l'evento non si realizza, fermo restando che, ovviamente la predispozione è fondamentale e necessaria.


Citazione
L' astrazione per realizzarsi ha bisogno del concorso del reale accadere causale delle percezioni sensibili (tante) del suo "contenuto" e della capacità (in assenza di tali percezioni sensibili meramente potenziale) di astrarre e di definire il concetto astratto: non c' è alcuna "intuizione" (sensazione? Conoscenza?) "dell'universalità" prima di questo processo mentale!


è vero che il concetto di "universalità" porta in sè come implicita una relazione (oppositiva) con il concetto di "particolarità", ma questo non ha nulla a che fare con il problema della genesi della presenza dell'idea di universalità nella nostra mente. Un conto è una relazione sul piano logico-concettuale un altro una relazione di tipo reale-psicologico. Il fatto che concettualmente l'idea di universalità comprenda il fatto di essere opposta al concetto di particolarità non vuol dire che quest'ultimo sia la causa del formarsi reale del primo  nella nostra mente. Altrimenti, sarebbe come dire che essendo il concetto di "madre" in necessaria relazione logica con quello di "figlio" ci sarebbe una dipendenza genetica reale della donna madre con il figlio (e viceversa), mentre dal punto di vista della causalità esistenziale la dipendenza è unilaterale. La madre è causa dell'esistenza del figlio e non viceversa a prescindere dal fatto che prima di generare il figlio non poteva definirsi madre.

CitazioneNon ho mai sostenuto quanto qui giustamente neghi.


Occorre evitare la confusione tipica di un certo empirismo tra "sostanza" e "relazione". Il problema della genesi psicologica della realtà sostanziale dell'idea di universalità ( so che è un pò imbarazzante parlare di "realtà a proposito di un'idea, ma spero di riuscire a far capire che parlando di "realtà" considero la realtà psicologica della presenza dell'idea alla mente) dalle relazioni conseguenti alla sua natura. Tra l'altro se vale l'idea per cui la relazione determina una dipendenza il passaggio potrebbe essere tranquillamente percorso in senso inverso e determinare non la dipendenza dell'universale dal particolare, ma del particolare dall'universale e questo confermerebbe il carattere di anteriorità del concetto di quest'ultima


CitazioneIn che senso "occorre evitare la confusione tipica di un certo empirismo tra 'sostanza" e "relazione' "?
Il periodo che segue queste parole mi é incomprensibile (non trovo un verbo della proposizione principale).

Comunque non ho mai sostenuto che esistano fra i significati dei concetti (in particolare fra i significati dei concetti particolari e di quelli universali; mi scuso per il gioco di parole) soltanto, unicamente, "universalmente" relazioni di dipendenza causale.
Casomai esistono necessariamente relazioni di interdipendenza (reciprocità, complementarità) logica e semantica. 
Relazioni causali esistono necessariamente solo nel processo (reale) di "confezionamento" di concetti universali da concetti particolari (singolari o comunque relativamente meno universali).

#3324
Citazione@ Maral

Secondo me la necessità di una pretesa e impossibile (e malgrado ciò antropocida, anche solo in quanto pretesa) crescita illimitata di produzioni e consumi non è imposta dallo sviluppo tecnologico (e men che meno scientifico: questi ne sono condizioni necessarie ma non sufficienti), bensì dai rapporti di produzione capitalistici che oggettivamente, inevitabilmente tendono ad imporre la concorrenza fra singole unità produttive (imprese) nella ricerca del massimo profitto possibile a breve termine temporale e a qualsiasi costo (sociale, individuale, etico, naturale, ambientale ecc.).


Non c'é nulla di "soprannaturale" od "oggettivamente intrinseco alla natura della tecnologia" che imponga ineluttabilmente, alla stregua per l' appunto di un Dio onnipotente o di una forza della natura, l' uso forsennato e rovinoso che di fatto si fa delle macchine moderne, ma solo i vigenti ("storici", e non "inelutabilmente naturali", come lo è la morte, per intendersi, o men che meno soprannaturali) rapporti sociali.


Solo per questi Il prodotto tecnologico, costruito dalle macchine, in generale non serve oggi a soddisfare il bisogno, ma al contrario deve produrre continuamente nuovi bisogni insieme a illudere della promessa di soddisfare ogni desiderio.
Non è possibile esaminare in poche righe le complesse ragioni della sconfitta del "socialismo reale"; mi limito pertanto a dire che per me quello del consumismo impostosi nell' occidente capitalistico è solo uno dei fattori determinanti, accanto ad altri per me anche più fondamentali (nel senso che fra l' altro sono a fondamento del consumismo stesso).


I mezzi tecnici che (anche, fra l' altro) ci facilitano la vita non sono dominabili dalla maggior parte degli utenti nel senso che questi non ne conoscono a fondo, dettagliatamente i meccanismi e non li saprebbero aggiustare; ma lo sono sempre nel senso che è possibile non impiegarne, disfarsene ("nucleare civile nel nostro e in altri paesi!): noi siamo per lo meno potenzialmente altrettanto autonomi dai mezzi tecnici che i nostri antenati nelle epoche passate; e nella misura in cui questa potenzialità non si attua ciò è dovuto non alle tecniche stesse ma ai rapporti sociali dominanti (come d' altra parte già accadeva anche nelle epoche passate).


La tecnologia, che è prodotta dall'uomo, produce l'umano, ossia non produce solo cose e strumenti, ma (tendenzialmente) anche rapporti sociali, ma non lo fa alla maniera di un Dio onnipotente o di un' ineluttabile forza della natura, bensì in un rapporto dialettico di reciproca influenza con i soggetti umani (rapporti sociali, lotte di classe, sovrastrutture politiche, giuridiche, culturali, ecc.).


Gli uomini sono tutt' ora proprietari o meno di mezzi di produzione eccedenti la propria forza lavoro e capacità di riprodursi.
E questo dato permanente a mio parere, e non le particolarità tecniche delle produzioni di ieri e di oggi, è decisivo (in ultima istanza, attraverso molteplici complesse mediazioni) nel condizionare gli orientamenti umani sociali e in parte (in concorso con altri fattori), in qualche misura anche individuali.


I mezzi tecnici di produzione cambiano il nostro modo di esistere e quindi noi stessi (rapporti economici e di potere compresi), ma a loro volta gli uomini cambiano i mezzi tecnici di produzione e –talora per tramite di questi ultimi cambiamenti, talaltra direttamente- i rapporti economici e di potere.
#3325
Tematiche Filosofiche / Re:Perché fare filosofia?
01 Settembre 2016, 21:33:12 PM
Citazione di: maral il 31 Agosto 2016, 21:43:19 PM

Il senso principale della filosofia è riflettere sul significato delle domande che non hanno risposta, nella misura in cui, nonostante non abbiano risposta, non si riesce a fare a meno di porsele.
Per questo, a chi cerca risposte, la filosofia appare come un girare a vuoto. Chi vuole delle risposte è meglio si dedichi ad altre discipline o si affidi alla fede.

CitazioneBella definizione (anche se per me alquanto, paradossale, felicemente provocatoria)!

E' tua o di chi?
#3326
Citazione di: maral il 01 Settembre 2016, 20:05:24 PM
non per niente l'empirismo filosofico coerentemente condotto non può che giungere a negare l'assoluto di se stesso, ritrovandosi così al punto di partenza nella questione sulla conoscenza (che cosa davvero si conosce?).
CitazionePer definizione si conoscono con certezza le sensazioni fenomeniche (esteriori-materiali ed interiori-mentali), se esse si avvertono (accadono) e (si avvertono le sensazioni interiori o mentali costituenti il fatto che) si predica che accadono (definizione di conoscenza = predicazione conforme alla realtà, ovvero predicazione che accade realmente qualcosa accadendo realmente tale qualcosa, o che non accade realmente qualcosa non accadendo realmente tale qualcosa).

Qualunque altra possibile conoscenza, circa un' eventuale ulteriore realtà in sé (ulteriore rispetto alla realtà fenomenica delle sensazioni; compresi un eventuale soggetto ed eventuali oggetti delle sensazioni fenomeniche stesse, reali anche allorché queste non accadono), circa eventuali altre esperienze fenomeniche coscienti (oltre la "propria" immediatamente avvertita), circa l' eventuale divenire (intersoggettivo, nell' ambito delle diverse -se esistenti- esperienze fenomeniche coscienti e) ordinato secondo modalità universali e costanti della realtà fenomenica materiale (e dunque circa la conoscenza scientifica), ecc., ecc. non è certa ma dubitabile (o credibile arbitrariamente, indimostrabilmente né per constatazione empirica, letteralmente "per fede").

La cosa in sé è inaccessibile non solo all'intelletto umano, ma pure alla sensazione che la trasforma in un'immagine (visiva, uditiva, tattile...), la cosa in sé è solo la relazione (sempre diversa e contingente) con chi la osserva e che talvolta più o meno si ripete, quindi non è mai in sé, né si può dire (pensare, sentire) cosa di per se stessa sia e delle cose che non si può dire è saggio tacere.
CitazioneLa cosa in sé o noumeno (se c' è) per definizione non è accessibile alla sensazione, che per definizione è (e non può essere che) apparenza, fenomeno.

E' invece accessibile all' intelletto, che la, può pensare, ne può parlare (come di fatto qui si sta facendo), che essa esista realmente o meno)


A chi ritiene che la realtà sia data dall'esperienza dei particolari sensibili da cui l'intelletto astrae  concetti generali di portata metafisica ideale (il bello dalle cose belle, il buono dalle cose buone, il due dall'una cosa e un'altra cosa) verrebbe da chiedere ma in che modo si può sentire che quelle cose nella loro diversità sono tutte belle o buone se non è già presente l'idea (o solo il sentimento) di una bellezza e di una bontà, in che modo si può concepire che uno e uno sia due, se già non c'è da qualche parte l'idea di una dualità? I giudizi sintetici a priori non sono forse questo? Come si possono mai negare affermando che tutti i giudizi sintetici non possono altro che essere a posteriori se non a mezzo di un giudizio sintetico che è ancora a priori?

CitazioneInnanzitutto faccio una domanda a mia volta: in che modo ci sarebbe già presente nella mente l' idea di una bellezza e di una bontà, prima di esperire cose belle e buone? C' é da qualche parte qualcuno (sano di mente) che ricorda di aver da sempre saputo cosa sia la bellezza anche prima di vedere qualcosa di concreto che gli ha fatto l' impressione della bellezza (che gli é parso bello)?


Secondariamente rispondo: senza con tutta evidenza avere una preesistente conoscenza dell' idea di bellezza (che nessuno ha prima di vedere cose belle) uno vede per esempio Liz Taylor (com' era cinquanta - sessant' anni fa) e avverte, un certo sentimento; poi vede la cupola di Santa Maria del Fiore del Brunelleschi e prova un certo altro sentimento che ha, un aspetto comune a quello di cui sopra (e altri aspetti diversi); poi sente il canone in re maggiore di Pachelbel, e prova un certo altro sentimento ancora che ha un aspetto comune a quelli di cui sopra (e altri aspetti diversi); poi vede il Cervino o il golfo di Napoli o il paesaggio intorno a Rio de Janeiro, e prova un certo altro sentimento ancora che ha un aspetto comune a quelli di cui sopra (e altri aspetti diversi), e così via...

Dopo un bel po' di tutte queste esperienze stabilisce di chiamare "esperienza della bellezza" quel certo carattere comune a tutti i sentimenti di cui sopra, e che potrebbe riproporsi indefinitamente di fronte ad altre donne, ad altre opere d' arte, ad altre musiche, ad altri paesaggi, ecc. (e non di fronte alla visione della giornalista Lucia Annunziata, a un opera di Renzo Piano, a un rap, a una discarica di rifiuti, ecc.).

Solo dopo che ha fatto un bel po' di esperienze simili a quelle sopra citate ("a posteriori", e non affatto prima di farle) sa cosa è "la bellezza", solo allora (e non affatto in maniera "innata") ha la conoscenza dell' idea di bellezza.




#3327
Citazione di: davintro il 01 Settembre 2016, 02:17:23 AM


mmmhhh non mi convince l'idea di riportare l'idea di universalità al rilevamento di un'assenza, della negazione del concetto ad essa opposto, così come la bruttezza potrebbe essere ricavata dalla negazione di "bellezza" e l' "infinito" dalla negazione di "finito". Questo perchè il concetto di universalità si fa presente alla mente non solo come oggetto di un sapere che riflette su esso, ma anche, come scritto prima, nella stessa forma di qualunque concetto, anche il concetto della cosa più banale. In qualunque concetto, in quanto tale, si annida l'idea di universalità, perchè ogni concetto vale per tutti gli individui possibili in ogni tempo e luogo della specie indicata nel concetto. Quindi non è possibile che il concetto di "universalità" sia la derivazione secondaria della negazione del concetto di finitezza o particolarità. Perchè già nel formare il concetto di "finitezza" o "particolarità" è già implicito il riferirsi della nostra mente all'universalità, la "finitezza" vale per TUTTI i finiti, la "particolarità" vale per TUTTI gli oggetti particolari. L'apprensione dell'idea di "universalità" o "totalità" è una struttura trascendentale e innata della nostra mente, non può essere la derivazione di alcun concetto, perchè ogni concettualizzazione la presuppone. Del resto credo che l'accezione formale di universalità sia quella comune alla maggior parte dell'umanità, i non-filosofi, che senza bisogno di mettersi a riflettere sull'universalità comunque utilizzano nella loro quotidianità, nei loro pensieri, nel loro linguaggio, concetti e categorie a cui attribuiscono un significato universale, mentre l'accezione materiale, per la quale l'universalità diviene non solo forma ma oggetto di una specifica riflessione e attenzione è riservata prevalentemente ai filosofi, o comunque a chi pensa filosoficamente, direi un'elite... Ciò non toglie che l'individuazione del sapere che permette all'uomo di accedere alla conoscenza dell'universalità, come il sapere che sta alla base di ogni gnoseologia, come la critica kantiana, sia un problema filosoficamente fondamentale
Citazione"Omnis determinatio est negatio" (Spinoza): Ogni concetto si definisce inevitabilmente in relazione ad altri concetti: non potremmo avere nozione di "bene" senza avere necessariamente anche nozione di "male", non di "belleza" senza quella di "bruttezza", di "universale" senza "particolare", ecc.

Esistono anche concetti particolri, oltre che generali, per esempio il concetto del mio particolare concreto gatto Attila oltre al concetto universale di "gatto".

Il concetto di "universalità" non può definirsi se non in relazione (di negazione) con quello di "particolarità" (per comprendere il significato di "universale" dobbiamo necessariamente comprendere anche quello di "partcolare").
E di fatto si acquisisce (a meno che non ce lo insegnino in quanto già acquisito da altri prima di noi) per astrazione e ulteriore elaborazione teorica in seguito all' esperienza (necessaria!) di più definizioni di "relativamente particolari" concetti generali, concetti "relativamente meno generali" (per esmpio di "gato", di "animale", di "pianta", eccetera: é ciò che questi concetti hanno in comune e potenzialmente altri concetti "relativamente particolari" in modo analogo" potranno avere in comune, ed é distinto (distinguibile) da altre caratteristiche non comuni, singolari-particolari o comunque relativamente meno comuni.

Ciò che ogni concettualizzazione presuppone non é la conoscenza innata del particolare concetto in questione, nè del concetto di "universale" (che si acquisiscono a posteriori, con l' esperienza; oppure ci vengono insegnati), bensì la mera capacità (potenzialità) innata di astrarre e definire concetti.

Ovviamente non c' é bisogno di essere filosofi per poter pensare astrattamente, per utilizzare nella propria quotidianità, nei propri pensieri, nel proprio linguaggio, concetti e categorie a cui si attribuisce un significato universale: basta essere uomini sani di mente!
#3328
Citazione di: davintro il 01 Settembre 2016, 02:17:23 AM
Rispondo a Sgiombo

La "potenzialità" fintanto che resta tale, non produce alcun effetto sulla realtà e quindi non può essere considerata come una spiegazione sufficiente per un fenomeno. Dire che la nostra mente è predisposta potenzialmente a dare un significato universalistico ai concetti sposta il problema ma non lo risolve: potremmo chiederci, perchè la mente è predisposta in questo modo e non in un altro. La potenzialità di qualcosa è sempre la conseguenza di una causalità attuale che rende la cosa potenziale per qualcosa e non per altro. Deve esserci dunque un'attualità nella mente che rende possibile a questa l'apprensione dell'idea di universalità. E da cosa deriverebbe questa attualità? Dall'astrazione a-posteriori degli oggetti individuali? Ma se questa non è autosufficiente per realizzarsi (come tu stesso mi sembra in qualche modo abbia riconosciuto) ma necessita di un fattore ulteriore come il modo d'essere soggettivo di una mente predisposta allora cadiamo in un impasse argomentativo, un circolo vizioso in cui ciò che si cerca di giustificare, l'astrazione, diviene anche ciò che renderebbe ragione di ciò che la renderebbe possibile. Ecco perchè trovo per ora più convincente ammettere due distinti tipi di intuizioni. un'intuizione sensibile, adeguata a cogliere l'oggetto individuale in un'esperienza spazio-temporalmente  delimitata, e un'intuizione intellettuale innata, assolutamente non meno concreta e attuale della prima, con cui apprendiamo la nozione di universalità, totalità che poi usiamo anche (ma non solo) come forma dei concetti a cui l'intuizione sensibile dà un contenuto. E dalla collaborazione tra queste due diverse modalità di apprensione nasce la la concettualizzazione del mondo sensibile.

Non ho ben capito il concetto di "universalità relative". In cosa consisterebbero? A prima vista mi sembrerebbe un'ossimoro... relativizzare vuol dire per me sempre particolarizzare, dunque perdere di vista l'universalità in quanto tale. Ecco perchè la nozione di universalità non può essere un' "astrazione ultima", per il semplice motivo che un'astrazione in quanto tale non potrà mai essere "ultima", la realtà a cui si rivolge è il contingente, ciò che in qualunque momento può offrire nuovi oggetti all'osservazione costringendo l'astrazione a non poter mai essere definitiva e ultima
CitazioneDissento completamente.

La potenzialità ha la caratteristica (per definzione) di non rimanete necessariamente tale, ma invece di attuarsi (se se ne danno le condizioni), e dunque di tradursi in accadimento reale in grado di "produrre effetti sulla realtà".

Dire che la nostra mente è "predisposta" (é in grado) potenzialmente a (di) stabilire concetti universali per astrazione da sensazioni particolari concrete e ulteriori considerazioni teriche (definizioni di nozioni) non sposta affatto il problema ma lo risolve: questa é a spiegazione del perché e come si definiscono concetti astratti a partire da osservazioni particolari concrete (non ce li si trova in mente di già belli e fatti a priori come conoscenze innate: pretesa spiegazione sbagliatissima!).

Potremmo chiederci perchè la mente è predisposta in questo modo e non in un altro oppure non chiedercelo, ma il fatto che sia predisposta a (in grado di) fare queste operazioni teoriche) non cambia, resta un dato di fatto; fra l' altro se esiste una corrisondenza necessaria fra operazioni coscienti ed eventi neurofisiologici cerebali (cosa dimostrata dalla neurofisiologia),  allora per lo meno questi ultimi (gli eventi neurofisiologici cerebali) sono spiegati egregiamente dalla teoria scientifica dell' evoluzione biologica.

L' astrazione a posteriori dalle esperienze particolari concrete, pur non essendo sufficiente in assenza di un' ulteriore elaborazione mentale, onde "confezionare" concetti universali astratti, é comunque necessaria (é una conditio sine qua non): nessuno conosce a priori, prima di compiere molteplici esperienze sensibili particolari concrete, alcun concetto astratto (men che meno quello "astrattissimo" di "universalità"): li si elabora solo a posteriori alla condizione necessaria di averne avuto sensazioni di occorrenze particolari concrete (oppure li si apprende, sempre a posteriori, da altri; magari tramite un semplice vocabolario).

In questo modo non si cade in alcun impasse argomentativo o circolo vizioso in cui ciò che si cerca di giustificare, l'astrazione, diviene anche ciò che renderebbe ragione di ciò che la renderebbe possibile: l' astrazione giustifica l' acquisizione di concetti universali astratti (contrariamente a una presunta -irreale- conoscenza di essi a priori), anche se deve essere integrata (non affatto circolarmente!) dall' elaborazione autonoma (a posteriori) d ulteriori nozioni (come quella per la quale essi non sono semplicemente "ciò che di comune c' era solo in molteplici oggetti percepiti nel passato" ma anche -induttivamente- "ci potrà essere in un indefinito numero di ulteriori oggetti nel futuro").

Senza ottemperare alla conditio sine qua non di avere avuto moleplici esperienze particolari concrete non può aversi nessun "intuizione intellettuale innata" (men che meno "assolutamente non meno concreta e attuale" di essi) di concetti universali astratti: si tratta semplicemente del fatto di essere dotati di un' attitudine comportamentale, una "dote o capacità operativa", per l' appunto una mera potenzialità che non si attua se non a posteriori, alla condizione necessaria (anche se non sufficiente) di aver vissuto molteplici esperienze particolari concrete (a cui applicare le nostre capacità -o potenzialità- teoriche).

Il concetto di "universalità relative" é molto semplice: il concetto di "felino" é relativamente meno universale e astratto di quello di "mammifero"; questo lo é meno di quello di "vertebrato"; questo lo é meno di quello di "appartenete al regno animale"; questo lo é meno di quello di "metazoo"; questo lo é meno di quello di "vivente", ecc. (ciascuno é universale, ma relativamente meno universale del successivo).

Si possono fare sempre nuove osservazioni contingenti, ma proprio per il fatto che un concetto universale non si limita alla mera astrazione da osservazioni particolari concrete passate ma le "proietta induttivamente nel futuro (potenziale)", per così dire, da concetti come "totalità" o "essere" non é possibile per definizione astrarre concetti relativamente (ultriormente) più universali che li comprendano come particolari, per quante nuove osservazioni contingenti si facciano.


#3329
Citazione di: paul11 il 29 Agosto 2016, 21:37:58 PM
Sgiombo,
un oggetto ontologico è proprio dell'essere e degli enti, è quindi metafisico il dominio .
e il sistema relazionale è molto importante affinchè il processo sia razionale.
i numeri, le singole lettere dell'alfabeto, poco ci direbbero se vivessero ognuna per sè.
ma le relazioni fra i numeri, l'operazionalità costruisce il segmento dei numeri naturali, reali, razionali, ecc.
Così avviene con le lettere singole che formano le parole, le proposizioni.

questo sono oggetti metafisci creati dalla ragione, non esistono in natura, ma l'intellegibilità analogica della mente/natura fa sì che linguisticamente la ragione rappresenti nei segni quella natura, dal simbolo artistico, logico, matematico, proposizionale o predicativo, ecc.

Questo siamo noi quando diciamo che l'uomo è natura e cultura, così spieghiamo osservando il fenomeno naturale, ma la ragione proprio perchè sintetizza le forme logiche in analogia alla natura può andare oltre il processo delle sintesi razionali naturali, ma di questo ho fin troppo scritto recentemente.

I paradigmi logici, come identità, non contraddizione e terzo escluso, nascono prima intuitivamente e poi costituiti formalmente nella logica, ma proprio per dirimere l'irrazionale e il razionale.
personalmente però non mi fermo alla logica formale in quanto costruisce un sistema chiuso  e autoreferenziale, la dialettica logica "sfonda" i domini.


Eppure immaginiamo che sia un bravo matematico il giocatore del superenalotto, La scelta è a monte, se quanto spende ha una riuscita di un ritorno finanziario e quindi se il gioco sia equilibrato fra lo spendere e il guadagnare a sua volta rapportato alla probabilità di vincere. Il rapporto è fra desiderio e il razionale.
A me interessa come teoria comportamentale irrazionale delle persone, ci sono frotte di persone che ci campano e molto bene , i primi sono gli imbonitori sono i marketing , il gatto e la volpe che portano Pinocchio al campo dei Miracoli.
Se si capisse bene il motivo per cui è semplice cadere nell'irrazionale, forse avremmo capito l'altra metà della Luna.
Citazione

E' per me del tutto ovvio che il pensiero non é per nulla assoluto ma é invece essenzialmente relazioni fra concetti.



Il concetto dell' esistente "cavallo Nando" (che se viene di fatto pensato accade realmente, é ontologico, appartiene al dominio dell' ontologia) ha un senso o connotazione gnoseologica (che appartiene al dominio della gnoseologia); ed inoltre ha anche una denotazione o referente reale, ontologico (che apparttiene al dominio dell' ontologia).

Invece il concetto dell' inesistente "ippogrifo Pegaso" (che se viene di fatto pensato acade realmente é ontologico, appartiene al dominio dell' ontologia) ha solamente un senso o connotazione gnoseologica (che appartiene al dominio della gnoseologia: può essere conosciuto; veracemete, autenticamete se predicato non esistere, cioè se gli é negata anche una denotazione o riferimento reale, falsamente se predicato esistere, cioè se gli é affermata, attribuita anche una denotazione  o riferimento reale), ma non ha inoltre anche una denotazione o referente reale, ontologico (che appartiene al dominio dell' ontologia).

La "cosa" (per esempio l' esistente cavalllo Nando) ha natura ontologicia (e inoltre il "suo" -eventuale, se realmente pensato- concetto ha natura gnoseologica; anche ontologica ma solo in quanto concetto, oggetto di pensiero, se viene realmente pensato).
Invece "il pensiero della cosa" (per esempio il concetto dell' inesistente ippogrifo Pegaso) ha natura gnoseologica, e non necessariamente "é accompagnata" dalla "cosa" realmente esistente e dotata di natura ontologica (in questo caso esemplificato, quello dell' ippogrifo, di fatto non ne é accompagnata); ha natura ontologica solo in quanto concetto, oggetto di pensiero, se viene realmente pensato.

Questa é per me la differenza fra il dominio dell' ontologia (delle "cose reali in quanto cose", che siano eventualmete anche pensate o meno, cioé che siano reali anche in quanto pensate, oggetti di pensiero se realmente pensate o meno) e quello della gnoseologia (delle "cose reali unicamente in quanto oggetti di pensiero", in quanto pensate, in quanto concetti, se realmente pensate).
E oso sperare che anche tu sia d' accordo.



 Il motivo per cui è semplice cadere nell'irrazionale é ben compreso e spiegato (scientificamente) secondo me dall' evoluzione biologica, che ha selezionato nell' uomo potenziali comportamenti (attitudini) di antica origine filogenetica (e quasi universalmente diffusi fra gli animali) rapidi e "scarsamente critici", alquanto indiscriminati, "standardizzati (o "di default", per dirla con un linguaggio a la page) atti a sfuggire in tempo a pericoli di rapida insorgenza (anche al costo di rischiare di fuggire inutilmente), accanto ad altri potenzali comportamenti (attitudini) filogeneticamente più recenti più lenti e più "critici", alquanto discriminati, specificamente condizionati dalle diverse circosanze, che consentono alla sola nostra specie una programmazione della vita a lungo termine (essendo anche connessi all' autocoscienza).
O per lo meno questa (scientifica) é una spiegazione che personalmente trovo più che soddisfaciente (poiché l' essere più o meno soddisfatti é in ultima analisi un sentimento soggettivo non mi stupirebbe che tu invece non lo fossi).


#3330
Citazione di: davintro il 29 Agosto 2016, 18:21:45 PM


Quando mi riferivo all'empirismo che avrebbe condizionato pesantemente la critica kantiana avevo in mente il paradigma della mente "tabula rasa" che può essere riempita solo da informazioni provenienti dal contatto corporeo con il mondo esterno. Essendo il mondo esterno costituito da oggetti fisici che entrano in contatto fisico con il nostro corpo mi sembra che, inteso così, l'empirismo scada necessariamente nel materialismo. Non avevo in mente la posizione di Berkeley, che riconducendo l' "essere" alla percezione di fatto toglie al reale qualunque fisicità trascendente e dunque di fatto giunge a una sorta di immaterialismo estremo con evidenti venature teologiche, nel quale Dio viene chiamato in causa come necessarrio soggetto percepiente sostiene l'essere delle cose anche quando queste smettessero di essere percepite dagli uomini. Tutto l'opposto del materialismo direi! (ne avevamo già parlato)

Dissento dall'idea che la presenza alla nostra mente dell'idea di totalità sia il prodotto dell'astrazione. Al contrario ritengo sia l'opposto, sia l'astrazione che presuppone per la sua possibilità di porsi in atto l'apprensione originaria e innata dell'idea di universalità. Provo a spiegarmi meglio. Se per astrazione intendiamo un processo mentale per cui si osserva una serie limitata di oggetti individuali (preferisco qui non parlare di "concretezza) finchè non si scorgono degli elementi comuni che poi vengono sintetizzati in un concetto generale (il concetto di cavallo, di casa...) mi sembra che tutto ciò determini il CONTENUTO di tali concetti. Il concetto di cavallo, di casa è riempito da delle caratteristiche osservate nell'esperienza dei singoli cavalli e delle singole case, dunque l'astrazione è per l'uomo una condizione necessaria della concettualizzazione. Non ne è però condizione sufficiente, perchè non può determinare la FORMA, il modo d'essere in cui rendo questi concetti significanti, il carattere di universalità. Il concetto di "casa" non  è solo l'insieme delle caratteristiche sensibili che ho appreso osservando nel tempo singole case, ma ha un riferimento all'universalità che fà sì che il concetto di casa abbia per me un significato che vale per tutte le case, comprese, questo è il punto fondamentale, quelle che non ho ancora mai concretamente percepito e che però rientrano nel concetto di "casa" allo stesso modo di quelle da me realmente percepite. Ora, come potrebbe l'astrazione produrre un concetto universale di "casa" comprendente nel suo significato anche case finora mai percepite se essa è un'operazione limitata dall'esperienza spazio-temporale di alcune case da cui astrae? Dove troverebbe l'astrazione l'esperienza di tutte le case, comprese quelle su cui non ha ancora applicato la sua opera e che pure rientrano a pieno titolo nel concetto? Dove coglie il carattere universale del concetto se il materiale a cui si applica è solo empiricamente delimitato? Un'astrazione che operasse senza ammettere come indipendente da essa la nozione di universalità dovrebbe limitarsi a rilevare mnemonicamente somiglianze e associazioni tra alcune qualità negli oggetti percepiti, ma non potrebbe mai arrivare a creare concetti universali, valenti anche per oggetti particolari non ancora percepiti, perchè l'universalità, per definizione, è un concetto che si contrappone a "particolare" o "empirico" ed è assurdo che sia proprio l'esperienza dei particolari a farmela riconoscere, a offrirla come materiale per l'astrazione, quest'ultima è limitata dalla contingenza dagli oggetti verso cui si rivolge (è vero che ogni nuova esperienza del particolare modifica il CONTENUTO dei concetti, la determinazione qualitativa con cui riempio il mio concetto di "casa" può mutare in base a nuove esperienze di singole case, ma la FORMA del concetto, il suo riferimento universalistico resta costante, in ogni momento il concetto di casa che provvisoriamente ho lo intenziono come valente per tutte le case possibili). L'astrazione più che con la conoscenza in senso stretto ha a che fare con la convenzionalità e arbitrarietà del linguaggio. i concetti che riempio con l'astrazione divengono definizioni, unità linguistiche necessarie per comunicare, e le definizioni, il linguaggio mutano storicamente e geograficamente, ma proprio questa mutevolezza sta a significare la sua insufficienza nel giustificare il riferimento mentale all'idea di "universalità", l'idea che indica semanticamente qualcosa di eterno e immutabile

Citazione
Concordo che Il concetto di "casa" [ovviamente inteso qui come esempio di qualsiasi concetto astratto] non è solo l'insieme delle caratteristiche sensibili che sono state apprese osservando nel tempo singole case, ma ha un "riferimento all'universalità (anche potenziale)" che fà sì che il concetto di casa abbia un significato che vale per tutte le case, comprese, questo è il punto fondamentale, quelle che non sono ancora state mai di fatto concretamente percepite e che però rientrano nel concetto di "casa" allo stesso modo di quelle realmente percepite.
E' una nozione (percepita interiormente, mentalmente allorché la si pensa, cosa sempre in linea di principio potenzialmente realizzabile una volta che si sia definito il concetto; e a ben vedere "potenzialmente" anche prima, anche di quei concetti astratti che mai saranno di fatto, "attualmente" definiti).
E tuttavia, secondo le mie convinzioni, è una nozione che necessariamente, inevitabilmente di fatto nasce (anche: non limitandosi ad essa, ma "applicandovi considerazioni teoriche ulteriori") dalla distinzione (dalla "considerazione separata", per così dire) "a posteriori" di ciò che è comune da ciò che è singolare (o comunque "non così tanto comune"; anche solo meno generalmente astratto, e che potrà dar luogo ad altri concetti relativamente meno generali) nell' ambito di più esperienze sensibili particolari concrete effettivamente avvertite (anche interiori o mentali: concetto di "sentimento" dai singoli concreti, particolari sentimenti -di letizia, paura, soddisfazione, amore, odio, ecc.- di fatto provati).
Le considerazioni teoriche ulteriori che è necessario applicare all' astrazione sono però per me mere "potenzialità comportamentali creativamente applicabili a posteriori dal pensiero alle percezioni": niente di innato in quanto nozione, cioè niente di "già saputo prima delle esperienze sensibili", ma qualcosa di innato solo in quanto mera potenzialità, tendenza comportamentale (conseguente l' evoluzione biologica): si può paragonare, per restare nella metafora degli empiristi, alle "caratteristiche fisiche della tabula rasa" (come il fatto che sia più o meno liscia, dura, scalfibile con uno scalpello oppure solo ricopribile da un certo tipo di vernice o da un certo tipo di inchiostro e non da altri tipi, o che sia più o meno grande e di una forma piuttosto che di un' altra) "preesistenti alla scrittura su di essa", e tali da potervi scrivere solo in certi modi e non in altri, entro certi limiti (quantitativi e qualitativi), da potervi imporre certe "iscrizioni" e non altre, ecc.; oppure –sempre nella metafora- potrebbero essere paragonate a scalpelli, inchiostri, ecc. usati per scrivere sulla tavola; o forse piuttosto alla "creatività dello scrivente".
(Mi rendo perfettamente conto e devo tranquillamente ammettere che l' abuso delle virgolette è un indice della complessità della questione e anche della difficoltà di trattarla da parte mia; ma altro modo di farlo correttamente da questo "empiristico" non vedo).
Dunque l' astrazione "a posteriori" dall' esperienza (dalle sensazioni particolari concrete) non è sufficiente ma comunque necessaria (una conditio sine qua non) della formulazione di concetti e nozioni generali astratte.
E perfino la nozione di "universalità" stessa (come ogni altro concetto astratto) nasce anch' essa "a posteriori" da queste operazioni di astrazione ed ulteriori considerazioni teoriche (che non sono propriamente "nozioni innate a priori" -nessuno "le sa" o "le conosce" prima di fare esperienza del mondo, se stesso compreso- ma solo potenzialità o tendenze comportamentali del pensiero): astrazione dalle varie "universalità relative" o "relativamente concrete": ciò che è comune al concetto di "casa" a quello di "animale", a quelli di "montagna", di "mare", a quello di "sentimento", ecc. e non ai concetti particolari concreti di certe singole case, certi singoli animali, ecc.); processi di astrazione ed ulteriori considerazioni teoriche che possono procedere fino alle astrazioni "ultime" o "non ulteriormente sottoponibili ad astrazione", come i concetti di "tutto", di "essere" o di "realtà".
Concordo che "L'astrazione più che con la conoscenza in senso stretto ha a che fare con la convenzionalità e arbitrarietà del linguaggio. i concetti che riempio con l'astrazione divengono definizioni, unità linguistiche necessarie per comunicare, e le definizioni, il linguaggio mutano storicamente e geograficamente"; e che questa mutevolezza sta a significare la sua insufficienza [della sola astrazione, senza ulteriori considerazioni od operazioni teoriche] nel giustificare il riferimento mentale all'idea di "universalità", l'idea che indica semanticamente qualcosa di eterno e immutabile [in quanto arbitrariamente stabilito per definizione].
 
(Ti ringrazio sentitamente per avermi costretto a rielaborare, emendare, completare, cercare di affinare le mie convinzioni empiristiche!).