Citazione di: cvc il 29 Agosto 2016, 15:29:39 PM
Sgiombo: "Se non si crede nell' esistenza di un' anima soprannaturale, immortale non necessariamente si cade nel relativismo (in fatto di etica, come suppongo intenda):
per me non é affatto vero che "se Dio é morto tutto é lecito"
La coscienza e l' autocoscienza sono fatti reali, che si può magari cercare di ignorare, ma non annulare".
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A me risuona ancora nelle orecchie una frase di Pavlov, secondo cui il concetto di anima per lo scienziato è un fastidio. È un fastidio, presumo, perché lo scienziato non può spiegare l'anima, e nemmeno partire da solide basi cui applicare il suo metodo e giungere a teoremi e dimostrazioni. Per Pavlov la personalità umana è questione di riflessi, riflessi condizionati, associazioni e abitudini. Io sono anche d'accordo con Pavlov sul fatto che l'anima non sia materia scientifica, ma non sul fatto che l'approccio scientifico sia l'unica lente da cui osservare i fenomeni umani. L'anima emerge dall'arte, dalla letteratura, da quella parte dei rapporti umani che è difficile esprimere col linguaggio e filtrare con la logica. Io non credo che tu neghi l'anima, infatti parli di coscienza e autocoscienza. Sono concetti solo più tecnici, ma che si riferiscono allo stesso problema: dare un senso alla vita, al fatto che sto pensando, a quella faccia che vedo allo specchio, alla voce del mio discorso interiore che non mi abbandona mai. Certo, la logica non può dimostrare l'esistenza o meno dell'anima. La logica inizia a funzionare dal punto in cui si dice l'anima esiste o dal punto in cui si dice che non esiste. La logica funziona in entrambe le prospettive. Però qui non si tratta di dare un senso giusto o sbagliato, prerogativa, questa, della logica. Si tratta di dedurre intuitivamente un senso in quanto valore, non misurabile in termini quantitativi, ma in quanto riconosciuto da quella parte di noi che giudica ad un livello più profondo di coscienza. Oppure, per farla breve, l'anima può esistere o non esistere, ma per me la vita è il mondo hanno più senso se faccio come se esistesse. Il punto è se per quelli secondo cui l'anima non esiste la vita abbia un senso oppure no. Non dubito che l'abbia per te e per quelli che come te non si soffermano alla superficie delle cose. Ma una volta che il mondo, come inconscio collettivo, intuisce che può fare a meno di questa presenza fastidiosa dentro di sé, il senso lo trova? Se non lo trova, vive alla giornata. Se lo trova, come nel tuo caso, si ritrova con un senso non facilmente condivisibile con altri, sicuramente non universalmente condivisibile. Perché l'anima ha un suo significato tradizionalmente condiviso, venendo meno questo si cade nel relativismo. Ma il relativismo cos'altro è se non individualismo? E l'individualismo, se da un lato promuove la creatività e ci permette di giungere a conoscenze che migliorano enormemente le nostre vite; d'altra parte ci porta inevitabilmente a rompere con i valori tradizionalmente condivisi. Quello fra individualismo (o relativismo) e perdita dei valori (tradizionalmente condivisi: etica, giustizia, pace, solidarietà, libertà, ecc..) pare un conflitto perenne che non si vede come possa spegnersi. E mi fermo qui, con in mente Eraclito e l'armonia dei contrari.CitazioneLe parole che citi di Pavlov si possono per lo meno anche intendere (anche se forse così non faceva il loro autore), a mio parere correttamente, nel senso che per lo studio scientifico del comportamento animale in generale e umano in particolare (non certo la personalità umana, che è altra cosa) il concetto "soprannaturale" di anima é ovviamente fuorviante (personalmente direi più dannoso che fastidioso).
Ma ciò che è scientificamente studiabile non esaurisce per me la realtà (e dunque la conoscenza scientifica non esaurisce la conoscenza): esiste anche la res cogitans (non riducibile alla res extensa del cervello, non "emergente" da, né "sopravveniente" ad essa, quale che sia il senso che si possa attribuire a questi concetti); la quale non è quantificabile (non misurabile stabilendovi rapporti esprimibili mediante numeri), non é intersoggettiva, e dunque non é conoscibile scientificamente (ma è conoscibile in generale, e in particolare flosoficamente; ovviamente limitatamente, relativamente; mannaggia alla cacofonia dei ripetuti avverbi!).
Dunque mi sembra di concordare con te, per lo meno nella sostanza della questione, e per lo meno nella misura in cui identifichi l' "anima" con la coscienza e l'autocoscienza (entità/eventi non naturali-materiali, non conoscibili scientificamente, ma nemmeno entità/eventi "soprannaturali" interferenti causalmente con enti ed eventi naturali, materiali, almeno secondo me).
Però la logica è diversa cosa dalle scienze naturali (cui pure è indispensabile), ed é indispensabile anche per studiare e conoscere non scientificamente, filosoficamente- la res cogitans (e la realtà in generale).
La vita per me, che non credo in un' "anima" soprannaturale interferente con la natura fisica", non ha un "senso" oggettivo ma può averne solo uno soggettivo, arbitrariamente, soggettivamente cercato ed assunto.
Se non lo si trova, o per lo meno se neanche lo si cerca, allora ci si sofferma alla superficie delle cose, si vive alla giornata.
Ma non credo che senza la credenza in un' anima soprannaturale si cada necessariamente nel relativismo etico e nell' individualismo amorale, almeno nel senso (debole, se vogliamo) che pur non accettando una serie di valori e imperativi "in linea di principio" oggettivamente validi per tutti (ma è difficile pensare che ne possano esistere se non dettati da una divinità; ed impossibile per lo meno di fatto convenire universalmente su una divinità e su determinati suoi comandamenti da tutti condivisibili), si constata "in linea di fatto" l' esistenza nella specie umana (e non solo) di tendenze comportamentali e alla valutazione dei comportamenti (propri ed altrui) che sono universali (universalmente diffusi); e che, pur non essendo dimostrabili razionalmente ma solo irrazionalmente avvertiti (ripeto: di fatto universalmente), sono razionalmente (scientificamente) spiegabili nel loro esistere realmente con la teoria biologica dell' evoluzione delle specie viventi per mutazioni genetiche casuali e selezione naturale (intesa correttamente, non "a la Dawkins").
Mi corre peraltro l' obbligo di affermare che credo nella "scienza umana" (non scienza in senso stretto o "scienza naturale") del materialismo storico, per la quale i valori etici universali sono condizionati nel loro maggiore o minore affermarsi nelle varie epoche storiche e nei vari ambienti sociali, e inoltre accompagnati da "applicazioni relativamente particolari-concrete" che sono mutevoli nel tempo e nello spazio dipendentemente dalla dialettica fra rapporti di produzione e sviluppo delle forze produttive (quest' ultimo da intendersi secondo me in un senso in parte diverso da quello -sostanzialmente quantitativo- di Engels e Marx, analogamente al fatto che nelle scienze naturali la simultaneità è da intendersi dopo Einstein in senso in parte diverso da quello di Galileo e Newton; ma qui ci sarebbe un lungo discorso da fare).
Mi sento comunque in obbligo anche di manifestare una importante "sintonia generale" con quanto affermi, col tuo atteggiamento di fronte alla vita, malgrado gli evidenti (ma forse in un qualche senso importante del termine non "sostanziali") elementi di dissenso teorico.