Citazione di: donquixote il 11 Luglio 2016, 13:27:29 PM
Il pentimento, a mio avviso, è sempre indice di ipocrisia, anche quando è sincero o perlomeno al reo appare tale. Se ognuno agisce secondo giustizia (ovvero secondo ciò che l'attore considera tale) non ha alcuna ragione di pentirsi, anche se per la legge commette un reato. Un conto è il pentimento, che è personale, altro è l'espiazione della pena, che è un fatto sociale. Si può (e si deve, se si è "uomini") accettare e scontare la pena che la società ti infligge, ma non per questo si deve ammettere che si è sbagliato e fare atto di contrizione e sottomissione. Se ognuno è responsabile delle proprie azioni deve essere responsabile anche delle conseguenze a cui eventualmente portano, e solo le persone irresponsabili (e anche un po' vili) si comportano con leggerezza quando agiscono e poi si "pentono" con altrettanta leggerezza in modo tale da attenuare le conseguenze delle loro azioni. Socrate aveva commesso dei reati, secondo la legge di Atene: ma si è forse pentito? Ha però accettato serenamente le conseguenze delle sue azioni. Per Gesù Cristo è accaduto lo stesso. Si può pentire solo chi commette delle azioni sbagliate sapendo che sono sbagliate ("sbagliate" non significa necessariamente "contro la legge") sperando di farla franca, ma allora anche il suo pentimento sarà falso e strumentale. Altra cosa è dire: "ho fatto questa cosa e ora non la rifarei perchè ho capito che è sbagliata", perchè in questo caso non ci sarebbe pentimento ma eventualmente "ravvedimento", ovvero acquisizione a posteriori di una ulteriore conoscenza che eviterebbe la commissione di un atto simile. Solo coloro che non vogliono o non sono in grado di sopportare le conseguenze delle proprie azioni (i vili, appunto, come Raskolnikov) possono pentirsi delle medesime e magari augurarsi di "tornare indietro" per poter rimediare.CitazioneConcordo che si da il caso dell' obiezione di coscienza e dunque che la rettitudine morale può imporre di contravvenire una legge ingiusta, pagandone le conseguenze (ma eventualmente anche "facendola franca se possibile": non credo sia eticamente doveroso accettare pene ingiuste da leggi ingiuste).
E anche Socrate forse ha accettato l' ingiusta condanna a morte non tanto per un feticistico e acritico attaccamento alla legge ad ogni costo ma piuttosto perché di fatto riteneva che sottrandovisi avrebbe inficiato gli insegnamenti impartiti ai concittadini (ma potrei sbagliarmi: non sono certo un buon esegeta di Platone e degli insegnamenti socratici).
Non trovo invece differenze fra "pentimento" e "ravvedimento" (per come ne parli tu).
Secondo me tutti si può sbagliare e anche compiere azioni malvagie (nessuno é perfetto!), e dirsi "ho fatto questa cosa e ora non la rifarei perchè ho capito che è sbagliata" (lo sapevo anche prima ma non ho avuto la forza d' animo di resistere alla tentazione, cosa che vorrei non aver fatto), cercare di rimediarvi se e per quanto possibile e infliggersi meritate e "proporzionate" punizioni consente di "riabilitarsi moralmente" innanzitutto di fronte a se stessi, e poi di fronte agli altri.
PS: il carcere è il posto peggiore per rieducare un reo e reinserirlo nella società. Un vecchio e conosciutissimo proverbio recita: chi va con lo zoppo impara a zoppicare, quindi se si mette una persona in mezzo a tanti delinquenti come ci si può aspettare che rinsavisca? O si trova la maniera di inserirlo fra persone "buone" che con il loro esempio lo condurranno su di una "buona" strada o altrimenti meglio ripristinare il vecchio "esilio" oppure per i casi irrimediabili la pena di morte rimane la soluzione migliore: la società, il suo ordine e i suoi equilibri dovrebbero essere molto più importanti di un singolo componente della medesima perchè una società che salvaguarda i delinquenti incalliti (anche a spese e contro la volontà di chi si comporta correttamente) non è una società civile ma una società corrotta.CitazionePerò la giustizia può sbagliare; e comminando la pena di morte si metterebbe nelle condizioni, per me inaccettabili, di potere sbagliare gravissimamente (di compiere un' efferato delitto) senza possibilità di rimedio.
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@ DucinAltum!
Concordo sul disaccordo: le tue sono convinzioni cristiane, le mie sono convinzioni non religiose (evito la parola "laico" perché può essere fraintesa).