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Messaggi - sgiombo

#3421
Citazione di: Loris Bagnara il 14 Giugno 2016, 12:07:27 PM

Be' intendevo proprio quello: divenire ordinato, causalità, e quindi la possibilità per l'intelletto umano di descrivere l'universo.
CitazionePerò mi sembrava che all' inizio ponessi un alto problema, quello di una pretesa spiegazione dell' universo in toto e non di sue "parti" (eventi nel suo ambito spiegabili appunto mediante il divenire ordinato o causale che lo caratterizza).

CitazioneMi sembra che i concetti (arbitrariamente definiti) di "negazione", "essere reale" e "non essere reale", "essere pensato (pensabile)", "non essere pensato (pensabile)" "possibile", "impossibile", "necessario" siano premesse (più che) sufficientemente generalissime e necessarie per ragionare di ciò che accade e ciò che non accade (realmente).
Sì, certo, sono generalissimi e irrinunciabili, ma il loro significato non è per nulla scontato, altrimenti non staremmo qui a discuterne. Tu a quelle parole dai un significato; io un altro; e un'altra persona, un altro ancora. E cambiando il significato attribuito alle premesse, cambiano completamente le deduzioni che ne discendono.
Il significato di "essere reale" non è per nulla scontato: si pensi a Parmenide, a Epicuro, ad Aristotele, e poi ai Veda, al buddismo etc
Quel che intendevo, allora, era la necessità di premesse generali e il cui significato fosse il medesimo per tutti. Altrimenti, uno può porre le proprie premesse e tirare le proprie deduzioni, ma non può pretendere che la sua verità così ottenuta sia più razionale o più vera di altre. E' semplicemente la sua.

CitazionePersonalmente sono convinto che l'unico senso che può avere il concetto di "possibilità" sia quello di "pensabilità logicamente corretta, sensata", che sia una caratteristica unicamente del pensiero (circa la realtà), e che invece la realtà sia caratterizzata unicamente dalla necessità (che sia ciò che é o accade e non sia ciò che non é o non accade).
Se si accetta questo, allora non ha senso domandarsi perché si esiste anziché non esistere e perché si é così come si é e perché esiste tutto ciò che esiste e diviene e perché é o diviene così com' é o diviene e non altrimenti.
Semplicemente non può che essere e accadere tutto ciò che esiste ed accade ("per questo" esiste e accade) e null' altro; e altro può solo essere pensato, non realmente accadere (e dunque non ci si può sensatamente chiedere: "perché, potendo -e infatti non può!- realmente esistere/accadere anche altro, realmente esiste/accade proprio ciò che esiste/accade?".


Ok, ora ci siamo capiti. Sul fatto che sia necessario postulare l'infinito, vedo che siamo d'accordo.
Ora, però, ti propongo quest'ulteriore considerazione.
Nulla garantisce che un osservatore abbia la facoltà di osservare la totalità di ciò che esiste. Ci potrebbero essere porzioni dell'esistente che non sono osservabili (e anzi pare che per la fisica sia proprio così). Quando dico "non osservabili" intendo dire "non causalmente legati" alla nostra porzione di esistente.
Chiamiamo allora l'"Esistente" l'insieme di ciò che è osservabile (cioè l'Universo comunemente detto) e di ciò che non è osservabile.
Non possiamo escludere che l'inosservabile esista, adducendo il fatto che non lo posso osservare, perché appunto, per definizione, l'inosservabile non può essere osservato, e pertanto non può essere né provato né escluso.
Dunque, non possiamo razionalmente escludere che l'Esistente sia un insieme maggiore dell'universo.

CitazioneSono d' accordo.
Penso infatti che onde spiegare la corrispondenza poliunivoca intersoggettiva fra le componenti esteriori - materiali (reciprocamente trascendenti) delle diverse esperienze fenomeniche coscienti (indimostrabile ma necessaria come conditio sine qua non se si vuole credere alla conoscenza scientifica) e il divenire biunivocamente corrispondente fra materia (cerebrale) e coscienza (che sono cose ben diverse, reciprocamente trascendenti) sia necessario postulare l' esistenza di una "cosa in sé o noumeno" che fenomenicamente "si manifesta" (non sto a ripetere i dettagli di questa mia teoria filosofica che ho illustrato più volte nel frorum).


Ma allora non possiamo razionalmente escludere nemmeno che l'Esistente sia a sua volta infinito: cioè, un insieme infinito di universi infiniti, ciascuno nel loro tempo e nel loro spazio, ciascuno trascendente rispetto all'altro.
Questo, comincia ad avvicinarsi al TUTTO di cui ho più volte parlato, e che come vedi è una generalizzazione perfettamente razionale della visione che tu stesso hai del nostro universo.

CitazionePerò il noumeno é necessario per spiegare gi aspetti della realtà constatabile (e in parte postulabile arbitrariamente) di cui appena qui sopra.
Altro no.
E da razionalista applico il rasoio di Ockam: "entia non sunt multiplicanda praeter necesitatem" (quelli necessari per le spiegazioni di cui sopra li ammetto, su altri "gratuiti" sospendo il giudizio).

Concludo però segnalando quello che è un grosso problema per la plausibilità di un universo infinito nel tempo e nello spazio (e omogeneo): il paradosso di Olbers, che appunto esclude questa possibilità in quanto incompatibile con l'osservazione.

Citazionelo conosco bene e mi sembra un' obiezione facilmente superabile.

Innanzitutto se usando telescopi sempre più potenti si vedono sempre più stelle e galassie sempre più lontane che non davano alcun segno di sé nel firmamento senza questi mezzi artificiali, nulla vieta che aumentando le potenze dei telescopi all' infinito si continui all' infinito a vederne sempre di più (ergo che siano infinite): si vede che la loro densità media, potenza radiante media e il loro rapporto quantitativo medio con altra materia "opaca" (per esempio comunissima, ordinarissima "polvere cosmica" o comunissimi, ordinarissimi "gas interstellari e intergalattici, senza bisogno di postulare ad hoc la fantomatica "materia oscura" "esotica" delle teorie conformistiche) in grado di trasformare in diversa materia (massiva e/o energetica) la luce che la incontra provenendo verso di noi da regioni più lontane dell' universo é tale che solo in parte finita (tanto maggiormente rilevabile quanto più potenti sono i mezzi tecnici impiegati a coglierla) la radiazione luminosa infinita diretta verso di noi da tutte le direzioni riesce a superare gli ostacoli e a raggiungerci.

Inoltre la "radiazione cosmica di fondo", che secondo le teorie cosmologiche conformistiche sarebbe un residuo del "B.b", per me inspiegabilmente ancora in arrivo verso di noi da tutte le parti e isotropicamente, anziché essere ormai "in viaggio" lontanissimo da noi e da ogni altro corpo massivo (la cui velocità di allontanamento dal "sito del B.b" non può che essere di gran lunga minore di quella delle radiazioni elettromagnetiche (inoltre non vedo come potrebbe arrivarcene dalla parte "periferica" dell' universo verso la quale tutto -noi e a velocità molto maggiore la radiazione di fondo- dovrebbe essere diretta, e non provenirne), (questa radiazione cosmica di fondo) potrebbe benissimo essere ciò che resta, dopo un lunghissimo percorso e conseguente notevole perdita di energia, della luce proveniente da tutti i punti del firmamento: data la distanza percorsa e l' energia persa, la luce simile a quella del sole e delle stelle che secondo Olbers in caso di infinità dell' universo dovrebbe riempire senza discontinuità il firmamento in tutti i punti, in tutte le direzioni potrebbe benissimo esser (-si ridotta a-) -la radiazione di fondo a microonde.
#3422
Tematiche Filosofiche / Re:Che cos'è la verità?
14 Giugno 2016, 17:15:30 PM
CVC:

Il problema penso stia proprio nel campo di applicazione della scienza. I successi del metodo sperimentale soprattutto nel campo della meccanica, della chimica e della fisica in generale hanno dato l'illusione, sulla scorta del positivismo e del sentimento di fiducia nel progresso illuministico e ottocentesco, che gli stessi risultati potessero essere replicati nelle scienze sociali, una volta dette umanistiche. Il problema è tutto qua visto che, parlando di verità, le verità che emergono dalle scoperte scientifiche, che d'altra parte alimentano l'illimitata fiducia nel progresso, sono verità che incontrano forti limitazioni quando vengono applicate nella sfera delle scienze sociali o umane. Questo perché emerge prepotentemente il problema della libertà. La libertà è tanto importante per l'uomo che viene protetta con le leggi. Ma le possibilità di manipolazione che ha raggiunto, ad esempio, la biologia si sono sviluppate ad una velocità tale per cui le leggi non riescono più a stargli dietro. Si è raggiunta la possibilità di attuare la procreazione assistita ma non si riesce a trovare una legge soddisfacente che la regoli. Lo stesso vale per le cellule staminali e altre problematiche che conosci meglio di me. In definitiva si è creato uno scarto per cui le leggi dell'uomo, il nomos, non riesce più a stare dietro alle leggi di natura, la physis. Tanto che oramai, secondo me, la tendenza è quella di ignorare il problema delle leggi in quanto dibattito sulla libertà, perché l'illimitata fiducia nel progresso spera che anche la soluzione di questo problema si possa trovare studiando la physis.
 
Rispondo (Sgiombo):
E' mia convinzione che se le possibilità di manipolazione che ha raggiunto, ad esempio, la biologia [che non sono conoscenza scientifica pura, teorica, bensì "applicazioni pratiche" di essa] si sono sviluppate ad una velocità tale per cui le leggi non riescono più a stargli dietro, con tutto ciò che di negativo vi consegue, è a causa dei rapporti di produzione socialmente dominanti, e non della conoscenza, né filosofica, né scientifica (teorica pura).

Sono convinto che in ultima analisi dipende da esse e dalla loro inveterata inadeguatezza allo sviluppo raggiunto dalle forze produttive lo scarto per cui le leggi dell'uomo, il nomos, non riesce più a stare dietro alle conseguenze pratiche (tecniche ed economiche) della conoscenza delle leggi di natura, della physis attualmente disponibile.
E chi è al potere e gode di smisurati, iniquissimi privilegi tende a impedire la soluzione del problema anche (ma non solo: dispone di tantissime, disparate armi ideologiche, tutte più o meno irrazionalistiche) promuovendo l' ideologia scientistica.

**************************

Paul11:
la scienza non è filosfia così come non è arte e nemmeno spiritualità o metafisca , perchè ogni dominio legge la realtà e verità a modo suo.
E adatto che ad un certo punto della storia il vedere è stato più importante del credere, la vista vede una realtà che si scambia per verità e ne fa un metodo accertativo e veritativo. Ma è solo un dominio Noi non siamo solo induzione scientifica, siamo deduzione metafisica e intuizione artistica creativa e meditazione spirituale,


Rispondo (Sgiombo):
Ma per restare nella metafora, non è detto che la vista debba sempre, necessariamente vedere illusioni ottiche (o meglio il pensiero interpretare erroneamente i dati incontrovertibili della vista).
 
E comunque per me è molto meglio sbagliare cercando la verità "con i propri occhi" (soprattutto metaforici) che credere fideisticamente a chichessia (so benissimo che per altri è altrettanto legittimamente preferibile il contrario).
 
E inoltre nel campo del mondo fisico – materiale (biologia compresa) è l' unico strumento valido (la "vista" metaforicamente intesa": ragionamento razionale e verifica empirica), oltre ad essere uno strumento validissimo, mutatis mutandis (innanzitutto tenuto conto della loro non intersoggettività e non misurabilità quantitativa, ergo: non conoscibilità scientifica in senso stretto) e insostituibile anche in tutti gli altri.


Paul11:
E noi come singoli umani siamo molto più di quel solo dominio che da un parte ci allieta con le sue scoperte e invenzioni e dall'altra ci aliena ,dimentico di una verità perduta.


La semiologia pone alla fine l'accento sul significante perchè è l'osservativo interpretativo che decide se il segno simbolo è corrispondente al referente oggetto. Ovvero è l'uomo che decide culturalmente quale dominio gerarchico decide sugli altri.


Rispondo (Sgiombo):
Non vedo un dominio gerarchico (oggettivo) fra i diversi "domini" della conoscenza e delle attività umane.
Anche se l' ideologia dominante (per l' appunto ideologicamente, falsamente) pretenderebbe di istituirlo.
(Mi sembra in accordo con te, se non ti fraintendo).
#3423
Citazione di: Loris Bagnara il 13 Giugno 2016, 23:44:21 PM
Repliche a @Sgiombo:

CitazioneLa causalità non è dimostrabile (Hume!); ma per credere vera la conoscenza scientifica deve essere ritenuta ugualmente vera (letteralmente: per fede)
Mi era parso che criticassi la mia scelta in favore della intelligibilità dell'universo; ma vedo che anche tu fai lo stesso, e giustamente.

CitazioneNon so cosa si possa intendere per "intelligibilità dell' universo".
Comunque iI divenire ordinato (indimostrabile) é necessario per la sua conoscibilità scientifica.


CitazioneLa deduzione logica è fatta di giudizi analitici a priori, dunque è esplicitazione di verità implicite nelle premesse (arbitrariamente assunte come assiomi o stabilite come definizioni); dunque in un certo senso non può che essere "tautologica" (nel senso di non dire nulla in più di quanto già compreso nelle premesse, però esplicitandolo).
Il problema del metodo deduttivo, come riconosci, è che non fa altro che esplicitare le verità contenute nelle premesse.
Ma le premesse le sceglie il pensatore, e a meno che non si tratti di premesse generalissime e irrinunciabili, il rischio con il metodo deduttivo è che il ragionamento finisca semplicemente per confermare il pre-giudizio del pensatore.
Nel caso specifico, non riesco a vedere da quale premessa generalissima e irrinunciabile possa discendere logicamente la verità dell'affermazione "cio che accade non può non accadere".

CitazioneMi sembra che i concetti (arbitrariamente definiti) di "negazione", "essere reale" e "non essere reale", "essere pensato (pensabile)", "non essere pensato (pensabile)" "possibile", "impossibile", "necessario" siano premesse (più che) sufficientemente generalissime e necessarie per ragionare di ciò che accade e ciò che non accade (realmente).


Ma faccio un passo oltre.
Chiarito che anche per te è valido il principio di causalità, ti prego di seguire questo ragionamento.

Una premessa. Suppongo che per te l'universo sia un insieme finito di fenomeni; lo suppongo perché ti sei espresso più volte contro il concetto di infinito. Se non è così, mi correggerai.

Quindi, assumo che per te l'universo sia finito nel tempo e nello spazio, e che pertanto abbia un'origine e una fine: prima dell'universo, non c'era nulla, e dopo l'universo, ci sarà il nulla.

Citazione
Per me (con Kant) non é possibile stabilire se l' universo fisico sia finito o infinito.
Ma in quanto più razionalistica propendo (arbitrariamente) per l' ipotesi infinitistica.

Questa semplice considerazione mostra che l'universo esisterebbe in palese violazione di una delle sue leggi più fondamentali, quella della conservazione dell'energia e della materia. L'universo viola questa legge quando appare, la rispetta quando esiste, e la viola di nuovo quando scompare. A me questo pare insoddisfacente, e quando dico "insoddisfacente" non è per un mero senso estetico, ma perché si tratta di una colossale incongruenza che non si può semplicemente accettare per il semplice fatto che esiste.

CitazioneSu questo sono pefettamente e convintamente d' accordo!
E' in sostanza quanto intendevo affermare dicendo che l' ipotesi infinitistica (nel tempo e nello spazio) é più razionalistica di quella finitistica.

Ma c'è altro da dire.
L'insieme dei fenomeni dell'universo si può allineare in una catena causale che regredisce nel tempo, fino ad un fenomeno primo (ad esempio il Big Bang, secondo la teoria prevalente) che, non avendo altri fenomeni precedenti, risulta necessariamente non-causato.
Anche questa è un'inaccettabile incongruenza: per quale motivo tutti i fenomeni dell'universo dovrebbero avere la loro causa, tranne uno?

CitazioneAnche su questo sono pefettamente e convintamente d' accordo!


E' il problema della causa incausata, del motore immobile di aristotelica memoria; ma nessun fenomeno finito, contingente, può essere ritenuto il motore immobile di un universo. Occorre altro. Conosci bene anche tu quali soluzioni ha proposto la filosofia, nella storia, per risolvere questo problema.

Si potrebbe ammettere una sequenza circolare di cause-effetti, dove la "prima" causa è effetto dell'ultima; ma tu hai detto di rifiutare le sequenze circolari (e anche a me non soddisferebbe l'idea di una singola catena causale finita).
Oppure ci vorrebbe un regresso all'infinito delle cause, ma ti sei espresso contro anche a questa idea.

Quindi, quale sarebbe per te la soluzione?
CitazioneEvidentememnte mi hai frainteso: sono per la durata infinita (oltre che per l' estensione spaziale infinita) dell' universo fisico: c' é sempre stato e sempre ci sarà (ovvero gli eventi costituiscono una catena infinita sia verso il passato che verso il futuro (e in tutte le direzioni dello spazio) di cause - effetti.

Solo che in questo modo non si ha una impossibile spiegazione del tutto infinito (bisognerebbe autocontraddittoriamente inquadrarlo in qualcosa di più ampio in divenire ordinato); si possono solo sensatamente cercare (e magari trovare) nel suo ambito spiegazioni di "parti", singoli eventi o singoli insiemi di eventi.
#3424
Tematiche Filosofiche / Re:Che cos'è la verità?
14 Giugno 2016, 08:21:39 AM
Citazione di: cvc il 13 Giugno 2016, 19:50:13 PM
Che la ricerca della verità si sia concentrata sul metodo e non sull'essere credo non sia solo una mia opinione.  Kahneman e Smith vinsero entrambi il Nobel sostenendo tesi opposte in quanto entrambe le loro metodologie furono giudicate corrette. Che poi lo scienziato possa avere le sue tesi esistenziali, chi lo nega? Ma a chi interessano le tesi esistenziali dello scienziato? Semmai ai filosofi, non certo o comunque molto meno agli altri scienziati. La mia opinione è che le scoperte scientifiche poco o nulla dicono sull'essere, in quanto sono sempre una parte di un tutto che nulla dice sulla sua totalità, nulla dice sulla coincidenza fra universo osservato e senso dell'umanità. Se il senso dell'uomo è quello di poter prendere decisioni sul suo destino, questo senso si è perso poiché si delega ogni decisione alla scienza. Persino quando le sue teorie risultano inconsistenti, come nel caso delle teorie di mercato che dovrebbero valere partendo da dei presupposti: concorrenza perfetta, simmetria informativa, assenza di esternalità. Presupposti che di fatto non si verificano mai o quasi.

La scienza non é la filosofia.

Le teorie scientifiche possono veracemente parlare solo di ciò che é scientificamente indagabile, conoscibile (in quanto intersoggettivo e quantitativamente misurabile), la "res extensa", l' ambito materiale - naturale della realtà (e qui sono assolutamente imbattibili da qualsiasi preteso "sapere alternativo").
Non possono parlare di (ovvero: non possono che dire castronerie se prenedono di farlo) ciò che non é intersoggettivo e quantitativamente misurabile, la "res cogitans", il mondo mentale, sentimentale, etico, estetico, ecc.; oppure anche la realtà in quanto considerata nella sua generalità e non limitatamente alla res extensa (ontologia, metafisica: vedi le sciocchezze ripetutamente propalate da fior di scienziati su "multiverso", "principio antropico", ecc.).

Quanto poi alla economia (borghese-capitalistica) si tratta solo di pessima ideologia reazionaria, pressocché l' esatto conrario della scienza (chiunque non abbia chili di fette di salame sugli occhi può quotidianamente constatare che "bocconiani e affini", oltre ad essere miserabili nemici del popolo al servizio delle vampiresche -insaziabili di sangue umano- e criminalissime caste usuraie dominanti sono anche del tutto sprovveduti scientificamente, "non ne imbroccano mai una che é una, nemmeno per isbaglio"; un esempio per tutti: la megera Fornero).
Se il dominio delle classi sfruttatrici e parassitarie si fondasse, anziché sulla forza bruta e su un sofisticatissimo e potentissimo e monopolistico -assoltamente antidemocratico- sistema di disinformazione e inganno di masa, sulla loro perspicacia e la loro pretesa "scienza" sarebbe già miseramente crollato da un bel pezzo! .
#3425
Citazione di: Loris Bagnara il 13 Giugno 2016, 09:46:49 AM
@Sgiombo:
CitazioneNon ha senso qualificare come più o meno "normali" le interpretazioni (filosofiche) della meccanica quantistica.
Il significato di "normale" era, ovviamente, quello di "opinione più diffusa". Io credo che il consensus abbia la sua importanza, quando non vi sono elementi per stabilire con sicurezza quale interpretazione sia la più valida. Non mi pare sia corretto, come fai tu, prendere una delle interpretazioni più originali e personali, come quella di Bohm, e di questa neppure tutto, perché di essa prendi (a tuo arbitrario) ciò che tu giudichi razionalista e scarti ciò che giudichi irrazionalista. Eppure il tardo Bohm è lo stesso pensatore di prima, e ciò che il tardo Bohm afferma non è che il compimento delle prime intuizioni colte in precedenza.

CitazioneLa verità non si stabilisce convenzionalmente per consenso e tantomeno "democraticamente a maggioranza".
 
E' perfettamente corretto e legittimo seguire qualsiasi interpretazione dei fatti che con i fatti sia compatibile.
 
Una stessa persona può nel corso della sua vita compiere scelte pratiche e aderire a teorie diversissime e contrarissime.
E' mia convinzione che il secondo sia il caso (fra gli altri) di David Bohm (mi scuso per il precedente ripetuto lapsus: non Boehm!).
Ripeto che di lui seguo -a mio legittimissimo arbitrio- le teorie razionalistiche (e anticonformistiche) degli anni '40 – '50 sulla meccanica quantistica ma per niente affatto quella che ho tutto il diritto di ritenere la deriva irrazionalistica successiva (che non mi sembra affatto il compimento di quelle).


E cos'ha a che fare l'Universo, mente e materia descritto da Bohm, con il tuo universo? Piuttosto, la concezione di Bohm è ad un passo dalla coscienza universale, dal TUTTO di cui parlo io, non certo vicino alle rei extensa/cogitans più noumeno di cui parli tu.

CitazioneInfattiUniverso, mente e materia  del "tardo Bohm" (per me) irrazionalista (al contrario delle teorie quantistiche degli anni '40 – '50) non ha nulla a che fare con le mie convinzioni razionalistiche.
Quanto alla tua affermazione "ciò che accade non può non accadere = deve accadere = è necessario", non è logica, come tu dici, ma tautologica, una pura banalità, se non la agganci alla realtà fisica:"cio che accade deve accadere" - "perché deve accadere?" - "perché accade" - "ma perché accade" - "perché deve accadere" - ...Invece, se la agganci alla realtà fisica, t'invito a riflettere, tale affermazione è valida solo in un'ottica di assoluto e rigido determinismo. Solo in questo caso è lecito qualificare il "possibile" come "pensabile", cioè come dici tu. Ma in un'ottica "probabilistica", non posso non considerare tutte le possibilità come altrettanto reali, se voglio essere coerente; altrimenti di che probabilità si parla? Si tratterebbe solo di un puro artificio matematico.


CitazioneLa deduzione logica è fatta di giudizi analitici a priori, dunque è esplicitazione di verità implicite nelle premesse (arbitrariamente assunte come assiomi o stabilite come definizioni); dunque in un certo senso non può che essere "tautologica" (nel senso di non dire nulla in più di quanto già compreso nelle premesse, però esplicitandolo).
 
Determinismo (di cui peraltro non ho affatto paura né tantomeno orrore o schifo!) significa che, date determinate condizioni iniziali particolari concrete e delle leggi generali astratte universali e costanti del divenire, non è possibile che (=non si può pensare correttamente che) un' unica evoluzione nel tempo (tutte le altre ipotizzabili risultando contraddittorie rispetto alle premesse costituite dalle condizioni iniziali e le leggi del divenire: questo significa che sono "impossibili". Mentre in caso di indeterminismo ne sarebbero possibili del tutto analogamente -id est: pensabili non contraddittoriamente rispetto alle premesse- più di una).

Ma ciò che realmente accade è necessario comunque, e lo sarebbe anche se fossero realmente pensabili correttamente (ma non realmente possibili) più future evoluzioni nel tempo reciprocamente alternative: "possibilità" = "(mera) pensabilità (logicamente corretta, sensata)".

E poiché la m.q. è essenzialmente probabilistica (nell'opinione della stragrande maggioranze dei fisici), è assolutamente in contrasto con la tua affermazione di cui sopra, non vedo come le si possa conciliare.

A questo proposito, non mi è a ancora chiara la tua posizione riguardo alla causalità, perché spesso oscilli fra il metterla in dubbio (citando Hume) e il sostenerla (citando Bohm).
CitazioneLa stragrande maggioranza dei fisici (ma negli ultimi tempi si fanno sempre più frequenti autorevoli interventi di ricercatori che vanno per la maggiore, fra gli altri l' ottimo Bricmont, quello del geniale "imposture intellettuali", che ripropongono l' interpretazione "alternativa" sulla scia di Plank, Einstein, Schroedinger e de Broglie e Bohm; il "primo Bohm") dovrebbe convincermi con argomenti (e non "a maggioranza" o per la loro pretesa "autorevolezza") della correttezza e della esclusiva compatibilità con i dati scientificamente confermati dell' interpretazione conformistica "di Copenhagen" e della scorrettezza e falsificazione empirica delle teorizzazioni del "primo Bohm".
 
La causalità non è dimostrabile (Hume!); ma per credere vera la conoscenza scientifica deve essere ritenuta ugualmente vera (letteralmente: per fede), essendone una conditio sine qua non; ed è compatibilissima con la meccanica quantistica (Bohm, 1952)
#3426
Tematiche Filosofiche / Re:Che cos'è la verità?
13 Giugno 2016, 10:45:40 AM
Citazione di: maral il 12 Giugno 2016, 22:51:04 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Giugno 2016, 15:57:35 PM
Ovviamente ogni accadimento c'è [tempo presente] solo nel presente finché c'è; ma se si prolunga nel tempo (se ha una durata, fatto possibilissimo), allora c' era [tempo passato] anche prima e ci sarà [tempo futuro] anche poi.
E ogni dolore se dura delle ore è sempre presente finché c'è, quindi ha una durata di alcune ore (se invece fosse costantemente presente, allora avrebbe una durata infinita, cioè sarebbe eterno).
E di nuovo, il dolore ha una durata nel momento in cui lo descrivi come un soggetto vede un oggetto, non nel momento in cui accade. Nella durata c'è un soggetto e un oggetto e per questo il soggetto concepisce il durare dell'oggetto, rispetto al diverso durare di se stesso (diversità di durata che non esiste nel momento in cui il dolore direttamente appare).
CitazioneIl rapporto fra la durata del fatto "dolore"  e del fatto "descrizione, conoscenza del dolore", essendo un rapporto necessita per avere senso di entrambi i termini fra i quali si stabilisce, ed entrambi devono essere finiti (compresa la durata del fatto "dolore", che non può dunque essere istantanea ovvero infinitamente piccola).

CitazioneSe è vero, come è vero, che (in generale, "di regola", le definizioni dei concetti significati dalle parole sono sempre in qualche misura inadeguate e quindi sempre suscettibili di ridefinizione (secondo me possibile, non sempre e comunque necessaria, altrimenti si cadrebbe inevitabilmente in una Babele tale da impedire qualunque comunicazione), tuttavia ogni ridefinizione è comunque stabilita arbitrariamente, per convenzione: bisogna cercare di mettersi d' accordo (e cercare di stabilire se le lingue preesistono ai significati o viceversa mi sembra un po' come cercare di stabilire se sia nato prima l' uovo o la gallina).
Non ho detto che è sempre necessario, è necessario quando si intende esaminare filosoficamente la questione, non ci si può arrestare davanti alla definizione, ma occorre metterla in discussione per capirne il senso che ha portato al significato che essa fa vedere nascondendone altri per far vedere solo quello. La definizione non è né un dato di natura, né un dato arbitrariamente convenuto, ma un aspetto particolare messo in luce del significare delle cose. Mettere in discussione le definizioni non significa cadere in una babele dove non ci si capisce più, ma al contrario esplorare la realtà delle cose per coglierne la verità che la dispiega. Si è in cammino e ogni passo consiste nel ribaltare ogni definizione per vedere cosa nasconde e cosa svela.
Poi se invece di voler esplorare le definizioni vogliamo fare logica matematica va bene, ma mi sa che non ne saremmo per nulla in grado (almeno non io: non ne possiedo il rigoroso linguaggio formale specialistico che necessita)
Citazione
Ovviamente ogni definizione é sempre discutibile e modificabile; ma non per questo non é arbitraria, convenzionale (e modificabile arbitrariamente per convenzione): non ha nulla di "oggettivo".
Ogni definizione semplicemente "ha" un significato, appunto quello stabilito arbitrariamente e attribuito al concetto del quale é definizione.


CitazioneIl "non piovere adesso" è un significato (di un predicato, un pensiero) che esprime esattamente (= veracemente), il (fatto) reale e positivo (del) non piovere adesso (nota l' assenza delle virgolette), è l'accadere di un predicato negativo (= una negazione nel predicare, nel pensare): per lo meno in linea di principio le stesse cose si possono dire, pensare, predicare tanto in forma positiva, quanto in forma negativa (mentre le "cose", gli enti ed eventi reali possono realmente o accadere oppure non accadere: fra il dire o pensare in forma positiva o negativa sussiste una differenza puramente formale, mentre fra l' accadere e il non accadere realmente sussiste una ben diversa differenza reale, ontologica).
E "Nulla accade" è un significato (di un predicato, un pensiero) che esprime esattamente (ma falsamente) questo evento che nulla accade (nota l' assenza delle virgolette) nel suo significato (del predicato! E non della realtà!) evidente (in lingua italiana); e che è falso ma non contraddittorio (sarebbe contraddittorio casomai "nulla accade e contemporaneamente accade qualcosa").
Il "non piovere adesso" è la verità del non piovere adesso, la verità dell'evento che sta nel suo significato, ossia nel suo stesso accadere. Accade che adesso non piove, accade che nulla accade, e queste cose accadono come evidenti significati. Se dico che "accade che non piove", mentre accade che piove dico il falso non perché mi riferisco in modo errato a ciò che realmente accade, ma perché mi riferisco in modo giusto a ciò che realmente accade nascondendolo, ove ciò che realmente accade è che accade che adesso piove, ma non voglio che  si sappia. La falsità sta nel voler mantenere nascosto lo svelarsi di ciò che effettivamente accade (il referente di Phil) come significato inscindibile da esso. Ciò che si dice non è mai disgiunto da ciò che accade, nemmeno nella predicazione e la contraddizione non c'è in ultima analisi né nella realtà né nel dire, poiché se ci fosse nel dire, quel dire la contraddizione sarebbe non dire nulla.
CitazioneNon posso che rassegnarmi a constatare che non riesci a cogliere la differenza fra fatti e pensieri, realtà e verità (o meno), eventi non simbolici (=senza significato) e simboli .

CitazioneIl fatto del dolore (di qualsiasi dolore, come di qualsiasi gioia; e non il significato della parola "dolore") viene ben prima di qualsiasi definizione stipulata per convenzione; ma con le parole possiamo benissimo parlare anche di enti ed eventi inesistenti, irreali (come per esempio minotauri, chimere, imprese di Ercole ecc.), attribuendo alle (stipulando per le) parole anche significati che non denotano alcunché di venuto prima, né che mai verrà (presumibilmente) dopo di esse.
Non si parla mai di enti non esistenti, ma di enti il cui significato si vuole tenere nascosto. magari con un riferimento letterale. I minotauri, le chimere e via dicendo non sono enti non essenti (e dunque contraddizioni), ma esistono (accadono) proprio per quello che propriamente significano.

CitazioneBeh quando parlo dell' ippogrifo parlo di un ente non esistente e non intendo affatto tenere nascosto alcunché (in particolare il fatto che non esste).

I minotauri, le chimere e via dicendo non esistono; esistono soli i concetti di "minotauro", "chimera", ecc. (per "essente" non so cosa si intenda).

Non c'è un mondo che si dice o si pensa in contrapposizione a un mondo reale che si può direttamente sentire e in cui il primo gode di illimitati gradi di libertà rispetto al secondo. Il mondo semantico è espressione diretta del mondo sentito accadere e il mondo sentito è espressione di quello che si pensa e hanno esattamente la stessa necessità che risiede nel loro manifestarsi come un unico mondo avente il significato di unico mondo.
CitazioneSe così fsse saremmo degli dei onniscienti e infallibili!

CitazioneChe un dolore (che è un fatto! E infatti si può discutere della sua realtà o meno, non della sua verità) è presente mentre è presente è una tautologia.
Non è il predicato di un'esperienza: è quell' esperienza (sempre in lingua italiana, come in qualsiasi altra lingua).
Ma il fatto è nient'altro che una tautologia che si è compiuta nel suo significare. E proprio per questo non se ne può discutere (almeno finché non appare che forse non si era compiuta, che era rimasto nascosto il suo compimento e, a quel punto, il fatto non è più un fatto e lo si può rimettere in discussione).
CitazioneRibadisco la mia rassegnazione a constatare che non cogli la differenza fra fatti e pensieri, realtà e verità (o meno), eventi non simbolici (=senza significato) e simboli .
#3427
Citazione di: Loris Bagnara il 12 Giugno 2016, 22:16:16 PM
@Sgiombo:
CitazioneSgiombo:
Non confondiamo comunque le interpretazioni filosofiche irrazionalistiche, prevalenti fra gli scienziati, della meccanica quantistica con la scienza.
Esiste per lo meno una rispettabilissima e seria interpretazione (non da "ciarlatani new age" o da "dilettanti allo sbaraglio") della meccanica quantistica "a variabili nascoste" deterministica e realistica, oggettivistica circa gli enti ed eventi fisici, quella di David Boehm.
[...]
Hawking (ancor più di altri scienziati quando tentano di fare della filosofia) non è nuovo a farneticazioni irrazionalistiche, ciò che ne racconti non mi stupisce affatto.
LORIS BAGNARA:
Mi limito a replicare a questo, e tralascio tutto il resto, perché su questo proprio non se ne può fare a meno.
Quel che ho detto sul collasso della funzione d'onda è la più normale fra le interpretazioni date della meccanica quantistica: l'interpretazione di Copenaghen.
Invece, proprio l'interpretazione di David Bohm è una di quelle più originali ed "esotiche", e meno diffuse fra gli scienziati. Fra l'altro, David Bohm ha avuto un intenso rapporto intellettuale con Jiddu Krishnamurti, un grandissmo maestro spirituale e, in gioventù, teosofo. La teoria di Bohm nasce anche dalla sua conoscenza della visione orientale, e se la studi bene vedrai che difficilmente può portare, come si dice, "acqua al tuo mulino", ma molto più probabilmente al mio.
Quanto al qualificare "irrazionalista" Hawking, direi che la farneticazione, più che sua, è tua.
In ogni caso le interpretazioni della meccanica quantistica sono tante, nessuno sa quale sia quella giusta, ma ti assicuro che nessuna delle interpretazioni che conosco avalla la tua affermazione che

Citazione[...] ciò che accade non può non accadere = deve accadere = è necessario, mentre "possibile" può soltanto significare "pensabile (correttamente, non autocontraddittoriamente, sensatamente)". (Sgiombo)
Citazione

RISPOSTA DI SGIOMBO:

Non ha senso qualificare come più o meno "normali" le interpretazioni (filosofiche) della meccanica quantistica.
Tutte sono lecite (più o meno fondate a seconda dei casi; questo é discutibile) ma quella di David Bohm é secondo me l' unica conseguentemente razionalistica.
So bene (avendone letto tutto ciò che ne ho trovato tradotto in italiano) che David Boehm a un certo punto ha subito un' involuzione irrazionalistica (per me inspiegabile; ma non assurda: può capitare "nelle migliori famiglie" come si suol dire); ma non vedo come questo possa portare acqua al tuo mulino: la sua interpretazione razionalistica della m. q. degli anni '40 -'50 (ben prima che aderisse a teosofia e filosofie orientali, dalle quali non credo proprio che nasca manco per nulla) non ne viene minimamente scalfita nel suo oggettivismo e determinismo, né nella sua perfetta "rispettabilità" filosofica e scientifica.

Prendo atto delle nostre profondamente diverse e direi contrarie valutazioni di Stephen Hawking.

Mi sembrava di avere chiaramente e inequivocabilmente precisato che la mia tesi che ciò che accade non può non accadere = deve accadere = è necessario, mentre "possibile" può soltanto significare "pensabile (correttamente, non autocontraddittoriamente, sensatamente) non deriva affatto dalla mia interpretazione della m. q. (che comunque non contraddice affatto, con la quale é perfettamente compatibile) bensì é puramente logica.
#3428
Rispondo a Loris Bagnara

Cerchiamo di non fermarci all' (esteticamente) soddisfacente o meno ma di avvicinarsi, se appena possibile al vero o falso.
 
***
 
"Solo ciò che accade è reale, solo ciò che è reale accade" è una banale tautologia.
Ma non è ciò che sostengo io.
Io sostengo che tutto ciò che accade non può non accadere = deve accadere = è necessario, mentre "possibile" può soltanto significare "pensabile (correttamente, non autocontraddittoriamente, sensatamente)".
E questo non empiricamente "a posteriori" ma logicamente "a priori".

Non confondiamo comunque le interpretazioni filosofiche irrazionalistiche, prevalenti fra gli scienziati, della meccanica quantistica con la scienza.
Esiste per lo meno una rispettabilissima e seria interpretazione (non da "ciarlatani new age" o da "dilettanti allo sbaraglio") della meccanica quantistica "a variabili nascoste" deterministica e realistica, oggettivistica circa gli enti ed eventi fisici, quella di David Boehm.

Se immaginiamo di essere alla guida di un'auto, e a un bivio ci si propone la scelta se svoltare a destra o a sinistra, se svoltare a destra è lo scenario (universo) A, svoltare a sinistra è lo scenario (universo) B e se in effetti poi svoltiamo a destra e quindi si verifica lo scenario (universo) A, allora è bensì pensabile ma non possibile che accada lo scenario (universo) B, affermazione, quest' ultima, contraddittoria -e dunque incompatibile- con l' altra che abbiamo assunto che si si verifica lo scenario (universo) A.
 
Hawking (ancor più di altri scienziati quando tentano di fare della filosofia) non è nuovo a farneticazioni irrazionalistiche, ciò che ne racconti non mi stupisce affatto.
 
***
 
Ogni totalità è per definizione (ovviamente arbitraria; e come tale non necessita di alcuna spiegazione) qualcosa oltre cui non esiste altro (tutt' altro che "qualcosa di esistente all'interno di un insieme più ampio").
Ergo: oltre a una totalità (che sia finita oppure infinita non fa alcuna differenza!) per definizione non può esistere altro, Ergo: non può esistere (fra l' altro anche) nulla che la possa spiegare, giustificare, che ne possa dare ragione (spiegazioni, giustificazioni, ragioni possono darsi unicamente "all' interno" di una totalità, di sue parti).
 
***
 
Dal fatto che uno si ritenga o meno soddisfatto della assenza (o presenza; veramente reale) dell' intelligibilità del mondo che ci circonda non ne consegue che ve ne sia (o rispettivamente non ve ne sia) una (posso anche essere insoddisfatto di non essere un grande tombeur de femmes, ma se non lo sono mi devo per forza accontentare di quel poco che riesco ad ottenere in materia).
L' intelligibilità o meno del mondo, la "causalità in senso fisico o in senso ontologico" (qualsiasi cosa siano), proprio come il saperci fare o meno con le donne, non è che si possa "scegliere" che sia reale (o meno) ad libitum, solo perché ci piacerebbe che lo fosse.

 
***                                                                                                                                         

Una "Teoria del Tutto, da cui appunto tutto possa discendere come necessità" è uno pseudoconcetto autocontraddittorio: "tutto" non può discendere da alcunché, non esistendo altro da cui possa discendere
 
***
 
"Una circolarità di cause, in cui l'ultima è effetto della prima" non spiega proprio nulla.
 
***
 
Mentre un "tutto" può essere benissimo finito e non infinito, un infinito non può che essere "tutto", ma ciò non toglie che anche una regressione all' infinito non spiega proprio nulla-
  
"Causalità" e "fissità senza tempo" sono concetti reciprocamente contraddittori, incompatibili l' uno con l' altro.
#3429
Tematiche Filosofiche / Re:Che cos'è la verità?
12 Giugno 2016, 15:57:35 PM
Citazione di: maral il 11 Giugno 2016, 19:56:18 PM
Citazione di: sgiombo il 11 Giugno 2016, 16:07:45 PM
sapere qualcosa (per esempio di sentire il dolore) non è (come invece è in lingua italiana) descriverlo a mezzo di predicati che ne affermano l' accadere conformemente alla realtà;[/font]
Non farne una questione linguistica, Sgiombo, non sto parlando in nessun marallese oscuro: sapere una cosa non implica né in lingua italiana, né in qualsiasi altra lingua saperla descrivere a mezzo dei predicati di quella lingua o di una qualsiasi altra. I predicati servono all'osservatore per inquadrare quell'esperienza (di cui so senza saperla descrivere e la so subito vera poiché accade) in una descrizione che la estromette, ossia la colloca in oggetto. E l'esperienza è vera nel suo immediato significare, si presenta subito come un significato, di qualsiasi esperienza si tratti.
Il dolore che c'è mentre lo descrivo in oggetto non è (e non può essere in nessuna lingua) il dolore che veramente si sente significare mentre accade ed è questo che pone il problema della verità che si riferisce alla mimesi della descrizione, non certo al dolore che sento.

CitazioneA questo punto non insisto a farti notare le differenze fra essere ed essere saputo (in maniera sofisticata ovvero "linguisticamente", oppure in maniera immediatamente intuitiva ovvero "non verbale" che sia), fra reale e vero, né fra essere (in generale) e significare (essere significante): lascio il cimento ad altri volonterosi.

Citazioneche non c'è alcuna durata nel dolore [magari! Sarebbe una pacchia!, N.d.R.] ma solo nella descrizione del dolore, poiché esso (il dolore), quando c'è, è solo presente, anche nel caso in cui -per esempio- il mal di testa o di schiena duri ore e ore;
Il dolore c'è nel momento in cui lo sento, e questo momento è proprio il suo presente accadere, come ogni accadimento c'è solo nel presente finché c'è. E' la descrizione che ha bisogno di un tempo e nella descrizione quel dolore sentito è messo fuori da me che lo sento (in quello spazio in cui mi aspetto che qualcuno possa accoglierlo nel suo significare per assumerlo e prendersene cura). Il dolore di cui posso dire che che dura delle ore è sempre presente finché c'è, quindi non ha alcuna durata, proprio in quanto è costantemente presente: è adesso (o più semplicemente "è" al presente del verbo essere della lingua italiana). E' la descrizione del dolore che necessita di tradurlo in riferimento a una durata e questa traduzione è possibile solo se quel dolore mi si presenta come in qualche misura già estromesso da me in modo che lo possa descrivere. (non so se noti, ma sto parlando in lingua italiana stretta, giacché non è la lingua che con le sue definizioni convenute crea i significati, ma l'esatto contrario, per quanto queste definizioni siano sempre in qualche misura inadeguate e quindi sempre suscettibili di necessaria ridefinizione per tentare continuamente di dare conto dei significati a ogni lingua pre esistenti, anche se da ogni lingua mutati)  

CitazioneOvviamente ogni accadimento c'è [tempo presente] solo nel presente finché c'è; ma se si prolunga nel tempo (se ha una durata, fatto possibilissimo), allora c' era [tempo passato] anche prima e ci sarà [tempo futuro] anche poi.
E ogni dolore se dura delle ore è sempre presente finché c'è, quindi ha una durata di alcune ore (se invece fosse costantemente presente, allora avrebbe una durata infinita, cioè sarebbe eterno).

Se è vero, come è vero, che (in generale, "di regola", le definizioni dei concetti significati dalle parole sono sempre in qualche misura inadeguate e quindi sempre suscettibili di ridefinizione (secondo me possibile, non sempre e comunque necessaria, altrimenti si cadrebbe inevitabilmente in una Babele tale da impedire qualunque comunicazione), tuttavia ogni ridefinizione è comunque stabilita arbitrariamente, per convenzione: bisogna cercare di mettersi d' accordo (e cercare di stabilire se le lingue preesistono ai significati o viceversa mi sembra un po' come cercare di stabilire se sia nato prima l' uovo o la gallina).

Citazioneche (ulteriori autocontraddizioni) vi possano essere eventi [/font][/size][/color]il cui significato è proprio quello di essere paradossalmente degli eventi privi di significato e che  Anche il nulla (quando nulla accade) significa [che cosa? A chi?, N.d.R];
Il "non piovere adesso" è un significato che esprime esattamente l'accadere reale, vero e positivo del "non piovere adesso", è l'accadere di una negazione.
"Nulla accade" esprime esattamente questo evento "nulla accade" nel suo significato evidente (in lingua italiana) e "nulla" (nulla è) ha significato per quanto contraddittorio: esprime l'accadere del non accadere, l'accadere della contraddizione di questo accadere (dato che anche la contraddizione del nulla accade positivamente e accade significando esattamente ciò che significa per chiunque la senta, in qualsiasi lingua la senta espressa).
I significati non si stipulano, non c'è né mai stato un luogo dove si stipulano significati, ciò che si stipulano possono essere (a livello di linguaggi formali) delle definizioni, ossia dei segni che per convenzione più o meno evocano un accadere già significante (finché lo evocano, cosa che non dipende per nulla da ciò che è scritto nei vocabolari) per renderli descrivibili, ma il loro significare non sta nella definizione ed è di questo significare che si va in cerca facendo filosofia, magari anche interrogandosi sul senso delle definizioni con cui sono stati via via espressi, ma non prendendo le definizioni come base originaria dei significati.
Il significato del dolore (di qualsiasi dolore, come di qualsiasi gioia) viene ben prima di qualsiasi definizione stipulata per convenzione ed è per questo che ne possiamo parlare tentando di riflettere su come le definizioni traducono questo significato (cosa davvero mettono in luce e cosa nascondono della verità che accade)

CitazioneIl "non piovere adesso" è un significato (di un predicato, un pensiero) che esprime esattamente (= veracemente), il (fatto) reale e positivo (del) non piovere adesso (nota l' assenza delle virgolette), è l'accadere di un predicato negativo (= una negazione nel predicare, nel pensare): per lo meno in linea di principio le stesse cose si possono dire, pensare, predicare tanto in forma positiva, quanto in forma negativa (mentre le "cose", gli enti ed eventi reali possono realmente o accadere oppure non accadere: fra il dire o pensare in forma positiva o negativa sussiste una differenza puramente formale, mentre fra l' accadere e il non accadere realmente sussiste una ben diversa differenza reale, ontologica).
E "Nulla accade" è un significato (di un predicato, un pensiero) che esprime esattamente (ma falsamente) questo evento che nulla accade (nota l' assenza delle virgolette) nel suo significato (del predicato! E non della realtà!) evidente (in lingua italiana); e che è falso ma non contraddittorio (sarebbe contraddittorio casomai "nulla accade e contemporaneamente accade qualcosa").

Ciò che non dipende per nulla da ciò che è scritto nei vocabolari è l' accadere reale dei fatti (l' esistere reale delle cose) o meno, e non i significati delle parole.
Il fatto del dolore (di qualsiasi dolore, come di qualsiasi gioia; e non il significato della parola "dolore") viene ben prima di qualsiasi definizione stipulata per convenzione; ma con le parole possiamo benissimo parlare anche di enti ed eventi inesistenti, irreali (come per esempio minotauri, chimere, imprese di Ercole ecc.), attribuendo alle (stipulando per le) parole anche significati che non denotano alcunché di venuto prima, né che mai verrà (presumibilmente) dopo di esse.

CitazioneChi non ha sviluppato una propria autocoscienza (animali non umani) può sentire dolore, ma non può sapere di se stesso (ignora se stesso per definizione) che sente dolore (può immediatamente sentire il dolore e forse, nel caso di animali dal cervello abbastanza sviluppato, sapere -pensare non linguisticamente, "attenzionare in positivo"- che "c' é dolore"; ma non in se stesso, che per definizione ignora).
Ed è esattamente la stessa cosa che accade nell'essere umano (come in qualsiasi essere senziente) nel momento in cui sente davvero il dolore: non c'è né soggetto e quindi nemmeno oggetto, c'è il dolore (o anche la gioia di cui si potrebbe ugualmente parlare per tirarsi su in questa discussione) che diventa oggetto del sentire di un soggetto solo quando si sposta fuori di me, ossia quando ormai è solo un fatto (participio passato del verbo fare in italiano, ossia un accaduto, participio passato del verbo accadere, sempre in italiano).

CitazioneUn conto sono soggetto e oggetti del sentire, altra cosa sono soggetto e oggetti del (sentire di) pensare o predicare o anche sapere di sentire; anche se soggetto di sentire e soggetto di (sentire di) sapere possono (ma non devono necessariamente) coincidere: si può pensare, predicare, sapere di se stessi (e anche contemporaneamente a ciò che accade o si sente di se stessi e di cui si pensa e si sa!) ma anche di altro (almeno il linea ipotetica, o comunque per definizione).

CitazioneSe fosse vero che [/size]Non c'è alcuna durata nel dolore, poiché [omissis] la durata c'è (e non può non esserci) solo nella sua descrizione, è la descrizione (resa possibile dalla separazione nell'evento di un soggetto da un oggetto) che determina il tempo e pure lo spazio in cui sono collocati e quindi descrivibili gli eventi, non viceversa, allora sarebbe proprio una pacchia; uno che per mesi o anni soffrisse di terribili dolori per tutto il corpo potrebbe benissimo descriverli -e dunque determinare la durata e l' estensione- come esistenti anziché per mesi o anni per qualche millesimo di secondo e localizzati anziché a tutto il corpo all' estremità del dito mignolo di un piede. (Sgiombo)

Nessuna pacchia purtroppo, perché quel dolore è sempre presente nel suo accadere, è al presente, proprio adesso, mentre sta accadendo e quindi non è un fatto, un accaduto oggettivabile e di cui si può discutere della verità, ma qualcosa che sta accadendo e di cui pertanto la verità è assoluta, poiché accade. Non è il predicato di un'esperienza: è adesso quell'esperienza (sempre in lingua italiana, come in qualsiasi altra lingua). (MARAL)
Citazione
Risposta di Sgiombo:
Che un dolore (che è un fatto! E infatti si può discutere della sua realtà o meno, non della sua verità) è presente mentre è presente è una tautologia.
Non è il predicato di un'esperienza: è quell' esperienza (sempre in lingua italiana, come in qualsiasi altra lingua).

[/font][/size][/color]
#3430
Citazione di: maral il 11 Giugno 2016, 22:48:43 PM
Citazione di: sgiombo il 11 Giugno 2016, 11:08:27 AM
Secondo me non si tratta della stessa cosa detta con parole diverse ma di due diverse cose, reciprocamente altre, anche se non può esistere/accedere l' una se non esiste/accade l' altra e viceversa (sono reciprocamente conditiones sine qua non l' una adell' altra).
Ma questo pensarle come 2 cose distinte ripropone quel dualismo cartesiano che Damasio vuole superare in quanto irrisolvibile nella concezione unitaria della realtà (che è una). Se sono due cose diverse non è sufficiente dire che sono diverse ma si implicano, occorre dire in quali termini si implicano, dove e come vengono a implicarsi e in questo, la scienza, come la filosofia trova irrisolvibili difficoltà. Il mito (cristiano) risolve la cosa rappresentandole in una sorta di rapporto tra contenitore e contenuto, ma questa rappresentazione mostra tutta la sua debolezza quando si va a cercare scientificamente il contenuto che non si mostra, poiché tutto ciò che si mostra nel soggetto oggettivamente preso è sempre e solo il contenitore, un contenitore che si può dunque ritenere senza altro contenuto che se stesso, ovvero i propri oggettivi processi neurofisiologici.
Quando però dici che sono in un certo senso la stessa cosa viste da due prospettive diverse, ripristini quell'unità, ponendo il "certo senso" in una soggettività diversa che comunque partecipa di un'unità che va oltre le nostre prospettive di osservazione (un "noumeno" trascendentale non altrimenti definibile che corrisponde all'unità sovrastante che determina la molteplicità esperita).
Però non capisco a questo punto la differenza che poni con il rapporto tra la liquidità dell'acqua come comunemente descrivibile sulla base della percezione e la sua rappresentazione in termini fisico chimici. Qui ritieni che l'unità sarebbe garantita dalla natura fisica dell'acqua, quella che c'è sempre anche in assenza di qualsiasi osservatore, ma quella quale? Il problema è che, esattamente come per la coscienza, anche l'acqua è sempre una descrizione data dall'osservatore, sia che la descriva nei termini in cui la percezione ne dà conto, sia che la descriva nei termini in cui la chimica ne dà conto, ossia nei termini in cui colloca la sua prospettiva il noumeno "acqua". Questo non significa assolutamente che l'acqua è solo ciò che vede l'osservatore, ma che, al pari della coscienza, i modi in cui si manifesta (come appare) dipendono dalla prospettiva in cui si colloca l'osservatore e quindi dai linguaggi che a queste prospettive risultano appropriati per darne conto, l'uno che considera primario l'aspetto sensibile diretto e soggettivo, l'altro che considera primario ciò che la strumentazione e il metodo scientifico consentono a tutti oggettivamente di vedere nel momento in cui li si è imparati a usare. Il primo è diretto e immediato, l'altro è indiretto e mediato. La stessa tecnica di imaging che Damasio presenta è questa mediazione, ne più né meno che se usassi uno spettrofotometro per riconoscere la presenza di molecole di acqua.
 
Citazione
Il dualismo cartesiano (facile e comodo bersaglio polemico di tutti i monisti, soprattutto dei materialisti; con particolare enfasi da parte di Damasio) è un monismo "interazionista" che presuppone un interazione causale fra mondo fisico e coscienza (e in particolare nel suo ambito pensiero, mente), la quale è palesemente insostenibile per la chiusura causale del mondo fisico (non c' è ghiandola pineale che tenga).
Ma il dualismo che sostengo da parte mia è un dualismo "parallelista": materia e coscienza (e in particolare nel suo ambito pensiero, mente) divengono in maniera "correlata", biunivocamente corrispondente "su piani ontologici reciprocamente distinti, incomunicanti, trascendenti" (quando, con Searle, voglio alzare il mio braccio in realtà non è il mio pensiero cosciente costituito dalla "volontà di alzarlo" la causa del movimento, bensì i corrispondenti eventi neurofisiologici accadenti nell' ambito della mia corteccia cerebrale).
 
Lo sbaglio (ironicamente si potrebbe dire "l' errore"...) di Damasio come di tutti gli altri neurologi (e anche di non pochi filosofi della mente) è appunto quello di cercare la coscienza (e in particolare la mente, il pensiero) nel cervello (come suoi "contenuti"): nel cervello ci sono solo neuroni, assoni, sinapsi, ecc. a loro volta costituiti da molecole, atomi, particelle/onde subatomiche, campi di forza, ecc. (tutt' altro genere di cose della coscienza ad essi correlata, della coscienza del "titolare del cervello considerato": per esempio visioni di arcobaleni, sentimenti, ragionamenti).
Come ci ha insegnato George Berkeley, è invece il cervello (i cervelli) ad essere "contenuto" nella coscienza: sono convinto che fin che non ci si rende conto di ciò, fin che non si compie questa "rivoluzione copernicana" il problema dei rapporti mente-cervello o pensiero-materia non può essere efficacemente affrontato.
 
Quando dico che coscienza e cervello sono in un certo senso la stessa cosa dico che sono (possono essere considerate, e per poter avere una soddisfacente comprensione dei termini osservati del reale devono esserlo) diverse manifestazioni fenomeniche ("intrinseca" ed "estrinseca" rispettivamente) degli stessi enti ed eventi "in sé", dello stesso noumeno. Intendo dunque solo metaforicamente la loro "identità", letteralmente (in realtà) come necessaria corrispondenza biunivoca fra eventi (entrambi fenomenici, di coscienza: anche i processi neurofisiologici nell' ambito della materia cerebrale) differenti, reciprocamente altri in esperienze fenomeniche differenti, reciprocamente altre (in quanto manifestazioni fenomeniche diverse, sia pure degli stessi, medesimi, unici enti/eventi in sé).
 
Ciò che è denotato dall' espressione "una massa d' acqua (allo stato liquido)" è la stessa, medesima, identica cosa (materiale, intersoggettiva, rilevabile nell' ambito materiale – naturale delle esperienze fenomeniche coscienti) che è denotata dall' espressione "un insieme di molecole di H2O in determinati rapporti e interazioni fra loro".
Invece ciò che è denotato dall' espressione "il cervello di Sgiombo attualmente (nel quale sono in corso determinati eventi neurofisiologici: roba molliccia roseo-grigiastra costituita da neuroni a loro volta costituiti da particelle/onde e campi di forza)" è tutt' altra "cosa" da ciò che è denotato dall' espressione "l' attuale esperienza fenomenica cosciente di Sgiombo (pensieri filosofici in atto circa i rapporti mente-cervello, visione del computer, audizione dei ticchettii delle sue dita sui tasti della tastiera, ecc.)"; anche se la seconda ben diversa "cosa" è necessariamente con la prima biunivocamente correlata, divenendo entrambe "parallelamente su piani ontologici diversi e reciprocamente trascendenti", in quanto differenti manifestazioni fenomeniche dei medesimi eventi nell' ambito della realtà in sé o noumeno.
Solo in questo senso possono essere considerate "la stessa cosa osservata da punti di vista diversi" ("intrinseco" nel caso dell' esperienza fenomenica di Sgiombo: soggetto di percezione coincidente con oggetto di percezione; "estrinseco" nel caso del cervello di Sgiombo nell' ambito -almeno potenzialmente- dell' esperienza cosciente di "osservatori" di Sgiombo": soggetto di percezione diverso, altro dall' oggetto di percezione; ma in teoria anche nella stessa esperienza cosciente di Sgiombo, però solo indirettamente, cioè in qualità di eventi causati del cervello di Sgiombo: non sarebbe impossibile in linea di principio per me osservare la fRM del mio cervello o anche l' immagine del mio cervello riflessa in uno specchio; comunque non direttamente il mio cervello).
 
Poiché esse est percipi, non può esserci acqua (ovvero molecole di H2O) se non nell' ambito delle coscienze di osservatori.
L'acqua è sempre una descrizione della medesima "cosa" data dall'osservatore, sia che la descriva nei termini in cui la percezione ne dà immediatamente conto, sia che la descriva nei termini in cui la chimica ne dà conto più "sofisticatamente", mediatamente (sono lo stesso insieme di eventi fenomenici in entrambi i casi diversamente descritti, come il "fratello del padre" e "lo zio": connotazioni diverse del medesimo denotato).
Invece il mio cervello è un' altra, ben diversa "cosa" che la mia coscienza (diversi eventi entrambi fenomenici nell' ambito di diverse esperienze fenomeniche, per quanto corrispondenti al, in quanto "manifestazioni sensibili del", medesimo insieme di eventi in sé: diversi denotati fenomenici, per quanto correlati alle stesse cose in sé).
#3431
Citazione di: Loris Bagnara il 11 Giugno 2016, 14:21:15 PM
CitazioneLoris Bagnara:
Il TUTTO lo si postula come necessità logica e ontologica, come condizione affinché esista un senso; ma non vi è nessuna pretesa di cogliere analiticamente e razionalmente questo senso. E' sufficiente sapere che esiste, e fa già una bella differenza dal sapere che non esiste un senso. E ciò che è finito, limitato, un senso non ce l'ha, non è autosufficiente. Questo la filosofia l'ha già stabilito da qualche migliaio di anni.
CitazioneSgiombo:
Per me è vero proprio il contrario: in un tutto in divenire ordinato una parte (un evento particolare, singolare) può avere un senso (= il suo accadere si spiega per dei motivi, costituiti dalle condizioni "iniziali" precedenti-circostanti la parte considerata -ovvero il singolo evento- e dalle leggi generali astratte, universali e costanti del divenire); mentre il tutto per definizione non è incluso in qualcosa di più ampio di cui possa costituire una parte analogamente dotata di senso (= il cui accadere si spiega per dei motivi).

CitazioneLoris Bagnara:
Immagina il sacchetto con i 90 numeri della tombola, e un persona che estrae i numeri ad uno ad uno. Quei numeri sono individui autocoscienti. Tu, supponiamo, sei il numero 3. Ad un certo punto esce proprio il 3, e la tua coscienza "apre gli occhi": si manifesta. Nel sacchetto, era solo una possibilità; ora, è una manifestazione.
Immagina ora che il sacchetto sia vuoto: dentro non c'è neanche un numero. Però arriva un mago, prende il sacchetto, ci mette la mano dentro, la tira fuori, e cos'ha in mano? Il numero 3.
E nemmeno esisteva come possibilità!
A me, questo secondo caso, prova un fortissimo disagio intellettuale. Ti prego di coglierlo (non dico di accettarlo) perché non saprei spiegarlo con altre parole.
CitazioneSgiombo:
La vita è bella perché è diversa: a me il fatto che come Sgiombo dotato di una sua esperienza cosciente ho cominciato ad esistere (prima non c' ero) e finirò di esistere (dopo non ci sarò) non da proprio nessun disagio intellettuale (per cui mi è anche difficile immaginarmi il tuo; che peraltro non dubito esistere e che non mi permetto di giudicare: non pretendo certo di essere migliore di te, anche se sono contento di me stesso come lo sarai certamente anche tu).

#3432
Tematiche Filosofiche / Re:Che cos'è la verità?
11 Giugno 2016, 16:07:45 PM
Citazione di: maral il 11 Giugno 2016, 13:52:23 PM
Citazione di: sgiombo il 09 Giugno 2016, 16:58:36 PM
No, invece è possibilissimo contemporaneamente:
sentire il dolore;
predicare veracemente (sapere) di sentire il dolore;
sapere che il sentire il dolore è un evento fenomenico di coscienza e il pensare (veracemente) di sentire il dolore è un altro, diverso evento fenomenico di coscienza (differenza colta quando il dolore ancora c' è, eccome se c'è!)
Sapere di sentire il dolore non è descriverlo a mezzo di predicati che ne presuppone l'oggettivazione e quindi l'uscita di quel dolore dal soggetto che lo sente e lo tiene di fronte a sé. Sapere di sentire il dolore è sì immediato e coincide con il sentirlo, ma non si attua in nessun discorso descrittivo.
Il dolore che ancora c'è mentre con il linguaggio posso descriverlo in realtà non c'è più (non è più autenticamente presente come dolore), quello che c'è è ciò che di esso è rimasto e che lo evoca, una traccia. E questa rievocazione può risuscitare certamente dolore a posteriori, ma è un dolore che nasce dalla rievocazione, dunque è evento diverso, non è ciò di cui si ritiene di predicare descrivendo.
Citazione
Se continui a pretendere che:

sapere qualcosa (per esempio di sentire il dolore) non è (come invece è in lingua italiana) descriverlo a mezzo di predicati che ne affermano l' accadere conformemente alla realtà;

non si può (o meno) sapere di avere un' esperienza (per esempio quella di sentire il dolore) mentre la si sente (oltre ovviamente al sentirla);

sapere qualcosa (per esempio di sentire il dolore) immediatamente coincide (come invece non è in lingua italiana: in lingua italiana è altra cosa!) con la realtà del qualcosa (nell' esempio la realtà del sentire il dolore) anziché essere (come invece è in lingua italiana) descriverlo e affermarlo essere reale mediante un discorso vero (= conforme alla realtà);

che (al contrario della logica: autocontraddittoriamente) Il dolore che ancora c'è (= è ancora autenticamente presente come dolore) mentre con il linguaggio puoi descriverlo in realtà non c'è più (non è più autenticamente presente come dolore); ovvero come mi pare di capire, confondi il ricordo del dolore passato con la sensazione di dolore attualmente presente allorché puoi benissimo dire (o anche gridare o, o anche piangere = dire gridando, dire piangendo: "sento dolore");

che non c'è alcuna durata nel dolore [magari! Sarebbe una pacchia!, N.d.R.] ma solo nella descrizione del dolore, poiché esso (il dolore), quando c'è, è solo presente, anche nel caso in cui -per esempio- il mal di testa o di schiena duri ore e ore;

che autocontraddittorimente un evento in generale, che non sia la pronuncia o la scrittura o comunque l' allestimento di simboli (per esempio simboli verbali, solitamente articolati in una proposizione o in più proposizioni costituenti un discorso) anziché non avere alcun significato, non significare nulla, semplicemente accadere, allo stesso tempo in questo accadere accada sempre e solo come significato, è il significato che accade, ove significare vuol dire precisamente "fare segno", accade come un segno, il suo accadere è presente come segno che comprende insieme soggetto e oggetto (a loro volta segni);

che (ulteriori autocontraddizioni) vi possano essere eventi
il cui significato è proprio quello di essere paradossalmente degli eventi privi di significato e che  Anche il nulla (quando nulla accade) significa [che cosa? A chi?, N.d.R];

Che Non c'è alcun evento privo di significato (nemmeno quel non evento assoluto che è il nulla) e non c'è alcun significato che sia attribuito arbitrariamente per definizione (come invece è in lingua italiana), poiché ogni definizione nasce dal significato [preesistente alla definizione stessa, cioè alla stipulazione del significato, N.d.R] che la stabilisce e non è mai la definizione che dà i significati, ma solo l'evento che già si presenta come significato,

allora non mi è possibile dialogare con te (conosco l' italiano e un po' l' inglese, ma per nulla il maralese, e so ragionare unicamente secondo la logica dell' identità/non contraddizione e della coerenza).
Nel momento in cui si sente il dolore la coscienza si realizza nell'atto stesso in cui soggetto e oggetto sono la stessa cosa, se così non fosse dovremmo negare che chi non ha sviluppato una propria soggettività cosciente senta alcun dolore. E' l'osservatore che guarda questo accadere dall'esterno (cioè si pone all'esterno di questo accadere) che separa il soggetto dall'oggetto dell'esperienza per poter descrivere l'esperienza (come esperienza di un soggetto, di un io) e controllarla nell'oggetto.
Non c'è alcuna durata nel dolore, poiché esso, quando c'è, è solo presente, la durata c'è (e non può non esserci) solo nella sua descrizione, è la descrizione (resa possibile dalla separazione nell'evento di un soggetto da un oggetto) che determina il tempo e pure lo spazio in cui sono collocati e quindi descrivibili gli eventi, non viceversa ed è su questa descrizione che si attua la distinzione (a opera dell'osservatore) tra vero e falso, non sull'accadere presente del dolore.  

CitazioneChi non ha sviluppato una propria autocoscienza (animali non umani) può sentire dolore ma non può sapere di se stesso (ignora se stesso per definizione) che sente dolore (può immediatamente sentire il dolore e forse, nel caso di animali dal cervello abbastanza sviluppato, sapere -pensare non linguisticamente, "attenzionare in positivo"- che "c' é dolore"; ma non in se stesso, che per definizione ignora).

Le tue parole circa la distinzione fra soggetto e oggetto di sensazione e di (sensazione interiore) di pensiero (eventualmente vero = conoscenza), che nel caso di sensazioni interiori (di se stessi) o di conoscenze circa se stessi di fatto viene meno (soggetto ed oggetto identificandosi) riguardano altro, non sono attinenti la questione della differenza fra fatti (in generale) e (fatti peculiari costituiti da) conoscenze dei fatti.

Se fosse vero che Non c'è alcuna durata nel dolore, poiché [omissis] la durata c'è (e non può non esserci) solo nella sua descrizione, è la descrizione (resa possibile dalla separazione nell'evento di un soggetto da un oggetto) che determina il tempo e pure lo spazio in cui sono collocati e quindi descrivibili gli eventi, non viceversa, allora sarebbe proprio una pacchia; uno che per mesi o anni soffrisse di terribili dolori per tutto il corpo potrebbe benissimo descriverli -e dunque determinare la durata e l' estensione- come esistenti anziché per mesi o anni per qualche millesimo di secondo e localizzati anziché a tutto il corpo all' estremità del dito mignolo di un piede.


#3433
Maral ha scritto:

Searle passa oltre al problema, in sostanza ci dice che non c'è alcun perché, solo funziona così e solo questo ha rilevanza (come si dice che l'acqua appare liquida pur non essendoci nulla che restituisca il senso della sua liquidità in una descrizione molecolare dell'acqua): gli eventi della coscienza (e in particolare dell'autocoscienza) e l'attività neurofisiologica sono la stessa cosa vista e descritta con linguaggi diversi, dice Searle. Ma , ad esempio, perché esistono questi due linguaggi diversi che dicono la stessa cosa, in cosa consiste questa stessa cosa e soprattutto il fatto che anche il linguaggio scientifico è frutto di una rappresentazione della coscienza (e dunque perché questa particolare rappresentazione dovrebbe avere di per sé sempre un fondamento maggiore), pare non lo tenga minimamente in considerazione.  
Il punto è che noi possiamo vedere sempre e solo il risultato finale dell'evento coscienza e ci spieghiamo questo evento sempre e solo in ragione del risultato finale che esso produce, ponendo uno di questi risultati finali come causa determinante per l'evento stesso.
Come vedi in questo discorso mi pare di essere perfettamente d'accordo con te.


RISPONDO:

Secondo me non si tratta della stessa cosa detta con parole diverse ma di due diverse cose, reciprocamente altre, anche se non può esistere/accedere l' una se non esiste/accade l' altra e viceversa (sono reciprocamente conditiones sine qua non l' una adell' altra).

Liquidità dell' acqua alle temperature e pressioni atmosferiche correnti (alle nostre latitudini) e disposizione e certe determinate interazioni (e non altre) delle molecole dell' acqua sono la stessa cosa detta in modi diversi.
Ma il mio cervello funzionante in un certo determinato modo (certi determinari perocessi neurofisiologici nel mio cervello) come possono accadere nell' ambito della tua esperienza fenomenica cosciente (e non nella mia) sono altre, diverse cose che la mia (e non la tua) esperienza fenomenica cosciente, che pure ad essi necessariamente coesiste ed é correlata biunivocamente, anche se non può esistere/accedere l' una se non esistono/accadono anche gli altri e viceversa (sono reciprocamente conditiones sine qua non l' una degli altri).
Nel mondo fisico (fenomenico) non potrebbe esistere acqua liquida senza che esistano le molecole di H2O in deternìminati rapporti: se non c' é l' una non c' é l' altra e il mondo fisico é diverso nei due casi (di esistenza o non esistenza delle molecole di H2O in determinate condizioni: nel primo caso comprende l' acqua, nel secondo no).
Ma invece il mondo fisico (fenomenico), come può ad esempio essere esperito da te (compreso il mio cervello), potrebbe benissimo continuare ad essere esattamente lo stesso, senza alcuna diferenza (nel mondo fisico stesso) anche se la mia esperienza cosciente, che del mondo fisico non fa parte (al contrario, ne può casomai far parte il mondo fisico), non esistesse, anche se io fossi uno zombi del tutto privo di coscienza.

Quindi, alcontrario della liquidità dell' acqua e dei rapporti e interazioni fra le sue molecole, non si tratta delle "stesse cose dette con parole diverse", bensì di "cose diverse"; casomai in un certo senso delle "stesse cose viste da prospettive diverse".

In che senso?

Nel senso che esse possono essere (e senza poterlo dimostrale lo credo, in quanto mi sembra l' unica spiegazione sensata dei fatti osservabili) diverse manifestazioni fenomeniche coscienti (nell' ambito di diverse esperienze fenomeniche) delle stesse entità/eventualità in sé (di un unico, del medesimo ente/evento o insieme di enti/eventi nell' ambito del noumeno): gli stessi determinati eventi "in sé" in quanto si manifestano fenomenicamente nella mia esperienza cosciente si manifestano come ("sono") certe mie determinate sensazioni (interiori o mentali ed esteriori o materiali), proprio e solo quelle, mentre in quanto si manifestano nell' esperienza fenomenica cosciente di altri soggetti di sensazioni (per esempio nella tua) si manifestano come ("sono") certe loro (per esempio tue) determinate sensazioni (esteriori o meteriali), proprio e solo quelle, di determinati eventi neurofisiologici nell' ambito del mio cervello, proprio e solo di quelli.
Senza gli uni fenomeni ("miei") non si danno gli altri ("altrui", ad esempio "tuoi"), ma ciononostante non sono gli stessi enti/eventi bensì enti/eventi diversi, reciprocamente altri (come il polo positivo e il polo negativo di un magnete non possono darsi se non entrambi insieme e non l' uno senza l' altro, ma non per questo sono la medesima cosa, bensì invece sono due diverse, reciprocamente altre cose).
#3434
Citazione
OBIEZIONI RADICALI A LORIS BAGNARA (su una questione che forse meriterebbe una discussione a parte)

Analizziamo le domande che poni:

Perché io esisto ed esisto in questo modo?
Perché esiste qualcosa anziché niente? E posto che qualcosa esiste, perchè si manifesta in questo modo (universo) anziché in un altro modo?


Si può considerare il problema del perché qualcosa (per esempio io o l' universo intero) accade realmente solo se si presuppone che sia possibile e non necessario (solo ciò che é possibile abbisogna di un "motivo" per passare, per "trasformarsi" o "tradursi" da "possibile" a "reale"; invece ciò che é necessariorio non abbisogna di nient' altro -che sè e la prorpia necessità- per esssere reale).
Ma che significa "possibile"?
Non sono d' accordo che "Sarebbe come dire che il nostro universo è l'unico universo possibile. Ma è ovvio che questo non è l'unico universo possibile: oltre agli infiniti universi diversi che potremmo pensare, ci sarebbero ancora tutti quelli che nemmeno riusciamo a immaginare".
Tutti questi universi "ci sono", esistono unicamente nei nostri pensieri, nella nostra immaginazione.
Poiché per definizione (di "negazione", di "essere", "non essere", "accadere" e "non accadere") ciò che é reale (o accade realmente) non può non essere reale (o non accadere realmente) e ciò che non é reale non può non essere reale (o non accadere realmente), il contrario essendo autocontraddttorio, insensato, nulla é possibile (essere o accadere realmente o non essere o non accadere realmente), ma tutto é necessario (essere o accadere realmente o non essere o non accadere realmente:
tutto é necessario in quanto é reale o in quanto non é reale.
"Possibile" può significare unicamente "pensabile correttamente, coerentemente, non autocontraddittoriamente, sensatamente".
"Questo" universo, poiché é reale, non può non essere reale (per il significato di "negazione", "realtà", "irrealtà); e qualsiasi altro universo immaginabile che non sia reale non può essere reale (quanto a quelli inimmaginabili, anche ammesso che le parole che ne parlano o meglio pretendono di parlarne significhino qualcosa, non credo valga la pena prenderli in considerazione).
Al massimo si può correttamente, sensatamente pensare all' ipotesi teorica, al "dato di pensiero" (o di immaginazione) della non realtà di questo universo di fatto reale  e/o della realtà di altri da esso diversi di fatto non reali: questo é l' unico significato sensato, logicamente corretto del concetto, della nozione di "possibilità".
E dunque non si pone il problema del perché di noi stessi e dell' universo intero dal momento che tutto ciò, giacché accade, non può che accadere, non richede alcuna motivazione per farlo passare da "possibile" a "reale".
Si pone casomai il problema della -mera- pensabilità dell' essere reale di ciò che non é reale e del non essere reale di cò che lo é.
Ma questa spiegazione sta semplicemente nel concetto di "pensare" (o "essere pensato", "essere pensabile"), il quale non si identifica necessariamente con quello di "accadere realmente" (o "accadente realmente") ma si estende a, si può applicare anche a (include anche) il "non accadere realmente" (o "non accadente realmente"): questo semplicemente é ciò che di fatto si intende con tali ternmini, per tali concetti.

D' altra parte (in un altro senso di spiegazione) una spiegazione di un ente o evento può darsi solo relativamente, nell' ambito di un insieme di enti o eventi, se questo insieme é ordinato secondo regole (universali e costanti) del' essere o del divenire; ed é costituiita per l' apunto dall' applicazione delle regole universali e costanti a una "condizione particolare data" ("condizione iniziale"; iniziale in senso logico, non ontologico o cronologico).
Ma ogni insieme "totale" di enti o eventi che si consideri, in qualto tale non può essere spiegato, dal momento che oltre ad esso per definizione non può darsi alcunché che lo possa spiegare.
In altre parole un "perché" si può sensatamente cercare (ed eventualmente trovare) di uno o più enti od eventi particolari in un insieme ordinato, ma non dell' insieme "totalità", per quanto ordinato possa essere. Per esempio si può spiegare con le leggi della gravità -che ne é il "perché"- la rivoluzione dei pianeti intorno alle stelle; ma non si possono spiegare -non ha senso chiedersene il "perché- le leggi della gravità. E infatti il grande Newton in proposito affermò "Hypoheses non fingo [in sede scientifica, fisica, cioé nel campo in cui si manifestò pienamente il suo genio; mentre ne cercò vanamente ed erroneamete in sede metafisica, teologica, perfino alchemica e astrologica, campi nei quali mi permetto di affermare non si dimostrò affatto altrettanto geniale]".

Inoltre mi sembra che le risposte che in concreto dai a queste domande siano fondate su un presupposto infondato e infondabile (indimostrabile logicamente, né mostrabile empiricamente), quello di un determinismo o causalismo per lo meno "debole": come genialmente rilevato da David Hume, nulla dimostra che le regolarità finora rilevate negli eventi non siano semplicemente apparenti, mere coincidenze fortuite, che i mutamenti della realtà non siano in verità casuali (e che questo non possa anche palesemente manifestarsi alla prossima osservazione empirica del reale: sempre alla "prossima", quante che siano state le precedenti che suggeriscano una invero apparente, fortuita regolarità causale dei mutamenti della realtà stessa).

Parli inoltre di "principio unico, cioè quel principio che, rendendo innanzitutto conto di se stesso, è capace di rendere conto di tutte le leggi e caratteristiche dell'universo osservato", ma logicamente di ogni evento o sequenza di eventi si può trovare una spiegazione (una dimostrazione logica), e ontologicamente ogni concatenazione causale di eventi (indimostrabile) può essere fondata:
o su una circolarità (B spiega logicamente o causa ontologicamente A; C spiega o causa B; A spiega o causa C);
oppure su un regresso all' infinito.
Qualsiasi spiegazione logica o causazione ontologica "iniziale" (di quel che le consegue logicamente o le segue ontologicamente nel tempo) sarebbe per definizione a sua volta inspiegata o incausata, e dunque non sarebbe la risposta adeguata alla domanda della spiegazione logica o della causazione ontologica: rappresenterebbe semplicemente un inutile, assolutamente irrilevate spostamento e non una effettiva soluzione del problema posto (quello della speigazione logica o della causabione ontologica del fatto che io esisto ed esisto in questo modo e che esiste qualcosa anziché niente: se la pretesa spiegazione a sua volta non é spiegata tanto vale farne a meno e lasciare direttamente, immediatamente inspiegata l' esistenza).
La soluzione del problema da te proposta, "L'universo osservabile è solo l'infinitesima parte di un TUTTO infinito. Perché solo l'infinito può includere tutte le cause, e dunque anche le cause di tutto. Viceversa, ciò che è finito è necessariamente contingente, incompleto incapace di rendere conto della propria esistenza" mi sembra identificarsi con quella del regresso all' infinito: l' infinito può effettivamente includere tutte le cause (e le spiegazioni e dimostrazioni logiche).
Ma regredendo all' infinito non si raggiunge mai alcun "fondamento causale" di quanto si postula essere causato (ovvero, sul piano logico, alcuna dimostrazione di quanto si pretenderebbe dedotto, dimostrato, spiegato ma invece é un ultima analisi arbitrariamente postulato).

Ultima obiezione (non é per un insensato "accanimento polemico"; è che i problemi che poni sono realmenrte stimolanti e assai degni di essere affrontati; fra l' atro me li sono posti da sempre anch' io).
 Non sono d' accordo che sia "impossibile rendere conto della mia apparizione dal nulla, come soggetto autocosciente", che "la coscienza NON sorga dal nulla, ma sia irriducibile, increata, eterna, e che assuma infinite manifestazioni soggettive": non vi é nulla di contraddittorio, ovvero assurdo, nell' ipotesi che io e chiunque altro come soggetto autocosciente non sia esistente per sempre, che inizi ad esistere (appaia dal nulla), e anche che finisca completamente, definitivamente di esistere (ritorni nel nulla); e dunque é correttamente pensabilissima come ipotesi alternativa e altrettanto plausibile a quella dell' eternità della coscienza e dell' autocoscienza.
E d' altra parte non vi é alcuna evidenza empirica in tal senso: i ricordi dell' esperienza di ciascuno risalgono fino alla prima infanzia e non vanno oltre a ritroso nel tempo.




#3435
Tematiche Filosofiche / Re:L'altruismo
10 Giugno 2016, 07:29:10 AM
Citazione di: paul11 il 10 Giugno 2016, 01:18:07 AM
CitazioneE' perdente l'altruista perchè sopporta fino al masochismo ....fino a quando si ribella

CitazioneE non c' é gesto più altruistico che ribellarsi contro la prepotenza e l' ingiustizia!

"Cerca sempre si sentire ogni torto contro chiunque come se fosse perpetrato contro te stesso: Questa é la più bella qualità di un rivoluzionario!" (Ernesto "Che" Guevara in una lettera al figlio)