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Messaggi - sgiombo

#3436
Tematiche Filosofiche / Re:Che cos'è la verità?
09 Giugno 2016, 16:58:36 PM
Citazione di: maral il 09 Giugno 2016, 09:38:32 AM
Citazione di: sgiombo il 08 Giugno 2016, 19:02:24 PM

ma come fai a non cogliere la differenza?
La colgo la differenza, ma, come ho già detto sopra, quella differenza posso coglierla solo quando quel dolore (o più in generale quell'accadere) non è più presente, non c'è più, ossia quando è presente la sua assenza, è presente non come accadere, ma come già accaduto ed è su questa assenza che separo il dolore dalla conoscenza del dolore, mentre nell'evento esse sono simultaneamente insieme e indistinguibili per cui la verità è il modo stesso di apparire della realtà e non il risultato di un giudizio.
Il punto è che tutto il ragionamento che fate sia tu che davintro è situato nell'assenza dell'evento (e non può che esserlo nel momento in cui si intende giudicare la verità di ciò che di esso rimane ed è per questo che il giudizio di verità separa il significato dall'accadimento che, ormai accaduto, lascia quel significato, ma non è quel significato), ma questa non è l'esperienza di verità che si attua nell'evento e dire che questa non è verità, poiché la verità sta solo nei predicati (ossia in ciò che dell'evento si dice quando non c'è più, quando resta presente solo un pallido richiamo su cui è più che lecito avere dubbi) è, a mio avviso del tutto arbitrario, per quanto così consideri un certo senso comune.
CitazioneNo, invece è possibilissimo contemporaneamente:
a)   sentire il dolore;
b)  predicare veracemente (sapere) di sentire il dolore;
c)   sapere che il sentire il dolore è un evento fenomenico di coscienza e il pensare (veracemente) di sentire il dolore è un altro, diverso evento fenomenico di coscienza (differenza colta quando il dolore ancora c' è, eccome se c'è!).
 
Dunque nell' accadere simultaneo dei (primi) due o anche dei tre eventi (tutti: durante la durata del dolore, che non è istantaneo ma prolungato nel tempo, avvengono –anche- le predicazioni, i pensieri di cui al punto "b" e al punto "c") essi sono simultaneamente insieme distinguibilissimi, ragion per cui la verità è una caratteristica (dell' apparire della realtà) del predicato o giudizio che afferma (l' apparire de-) il dolore.
 
 
Io e Davintro (se posso parlare anche a suo nome, per quanto lo intendo) non neghiamo affatto l' evento diciamo così "primario" (per esempio il sentire dolore; evento reale) per il fatto di distinguerlo dall' ulteriore, diverso evento, che vi può coesistere o meno, rappresentato dal (sentire) la predicazione (vera) dell' esistenza del dolore.
 
 
Ma un evento in generale, che non sia la pronuncia o la scrittura o comunque l' allestimento di simboli (per esempio simboli verbali, solitamente articolati in una proposizione o in più proposizioni costituenti un discorso) non ha alcun significato, non significa nulla, semplicemente accade.
Infatti per definizione solo i simboli (o insiemi variamente articolati e connessi di simboli; simboli verbali o di altro genere) e nessun altro genere di evento non simbolico significano qualcosa, hanno significati ("significato" = "ciò che è connotato da un simbolo; "evento non simbolico" = evento che non ha significato alcuno, che non significa alcunché").
 
 
Dire che un evento non simbolico non ha significato e che un evento non predicativo non può essere vero (o meno) ma casomai solo reale (o meno), poiché la verità sta (o meno) solo nei predicati (ossia in ciò che dell'evento si può benissimo dire tanto quando non c'è più tanto quanto c' è ancora eccome!) è ovviamente del tutto arbitrario, come qualsiasi altro significato attribuito a qualsiasi altro insieme di parole convenzionalmente per definizione.
 
 
IL senso comune non c' entra.
#3437
Citazione di: sgiombo il 08 Giugno 2016, 18:36:46 PM

Piccola correzoione al precedente intervento:

Un fenomeno del tutto biologico, come quelli neurofisiologici, non vede nulla: può essere visto (non nell' ambito dell' esperienza cosciente a cui necessariamente corrispondono determinati eventi neurofisiologici bensì di altre, diverse esperienze coscienti), ed è necessario che, almeno potenzialmente siano constati determinati eventi neurofisiologici perché accada un' esperienza cosciente ad essi corrispondente, ma l' unica cosa che "fa" un fenomeno del tutto biologico (gli unici affetti che può determinare) sono effetti fisico-chimici, come contrazioni muscolari o secrezioni ghiandolari (nelle esperienze coscienti di attuali o per lo meno potenziali osservatori ED ANCHE IN QUELLA DELL' OSSERVATO, IL QUALE NON PUO' VEDERE, PER LO MENO DIRETTAMENTE, IL PRPRIO CERVELLO, MA VEDE BENE DIRETTAMENTE I PROPRI MOVIMENTI CORPOREI DALL' ATTIVITA' DEL PROPRIO CERVELLO CAUSATI).
#3438
Tematiche Filosofiche / Re:Che cos'è la verità?
08 Giugno 2016, 19:02:24 PM
Citazione di: maral il 08 Giugno 2016, 10:31:12 AM
Citazione di: sgiombo il 07 Giugno 2016, 07:58:27 AM
Ma infatti in primo luogo non si tratta di giudicare ma di stabilire il significato che diamo alle parole che usiamo, in modo da capirci (e conseguentemente confrontare le rispettive convinzioni e credenze).
Certamente, ma non si tratta a mio avviso di stabilire il significato che diamo alle parole, ma di tradurci le parole nel significato che in esse possiamo sentire diversamente. Certamente che per iniziare a capirsi non si può che partire da un linguaggio comune, ma è solo un punto di partenza da cui occorre scendere per intendere quali assunzioni lo reggano.
Non ti sto chiedendo di dimostrare che i fatti possono essere reali o no, mentre i predicati, predicando di quei fatti, possono essere veri o falsi, ti sto chiedendo di provare a uscire dalla logica che vuole, secondo quanto comunemente si impara, che le cose stiano così per cogliere l'aspetto fenomenologico della questione (aspetto che ci riguarda tutti, perché è così che sentiamo): se mi do una martellata sul dito non ho dubbi che il mio dolore è reale e insieme è vero, non distinguo il fatto (martellata) dal predicato (dolorosa) per giudicare poi se è corretto o no metterli insieme. Ed è per questo che ti chiedo di spiegarmi in base a quale assunzione dici e si dice che  "Veri o falsi possono essere solo credenze, predicati, giudizi, conoscenze", su cosa appoggia questo modo di dire e non può appoggiarsi sul "si" del si dice. E se quella distanza tra fatto e predicato che va istituita per misurarne la congruenza, va proprio sempre istituita, per esprimere un giudizio di verità, oppure la verità (e non solo la realtà) si esprime anche immediatamente nell'esperienza del suo accadere ben prima che da qualsiasi giudizio? In sostanza: la verità può essere data solo da giudizi formalmente ben costruiti su confronti che pretendono di essere esclusivamente oggettivi o dall'evidenza del suo svelarsi (aletheia)?
E nota che quello che ti chiedo qui è un giudizio, ma è un giudizio che sa giudicarsi, ossia sa riconoscere se vi sono dei limiti o no nella sua pretesa di istituire la verità nella sola analisi dei predicati.
CitazioneInvece io se mi do una martellata su un dito non ho dubbi che il mio dolore è reale (=so che il mio dolore è reale; e questa è conoscenza vera); mentre il mio reale dolore, per fortissimo, insopportabile che sia, non è vero, ma semplicemente accade.
 
Non riesco a capire come tu non possa renderti conto della differenza!
 
Quando io mi do la martellata sul dito e il mio dolore è realissimo e fortissimo, oltre a me anche tu puoi benissimo affermare la verità che io mi do una martellata sul dito e provo un dolore fortissimo; ma a te al massimo può dispiacere ("moralmente") per compassione o empatia verso di me, ma non provi alcun dolore fisico: la verità ("Sgiombo prova un dolore fisico fortissimo" può essere -propria di una tale affermazione- tanto mia quanto tua), ma il fatto è solo e unicamente mio (e viceversa).
 
Immediatamente nell'esperienza del suo accadere ben prima di qualsiasi giudizio può darsi un fatto (il mio dolore); mentre la conoscenza di esso può darsi solo in (un ulteriore fatto costituito da) un predicato ("ho dolore"): ma come fai a non renderti conto della differenza fra questi due differenti fatti (l' evento "dolore" e la conoscenza dell' evento "dolore")?
 
"Si svelano" (appaiono; sono reali; oppure non appaiono, non sono reali) determinati eventi fenomenici (di coscienza); ben distinguibili da quegli altri peculiari fatti fenomenici di coscienza che sono (eventualmente) i predicati (veri; oppure falsi) dello "svelarsi" (apparire, essere reali) di quei determinati eventi fenomenici (di coscienza) "di cui sopra".
Ancora una volta non posso non chiedermi e chiederti:
 
ma come fai a non cogliere la differenza?
#3439
Citazione di: maral il 07 Giugno 2016, 22:46:21 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 02 Giugno 2016, 14:53:33 PM
Ma c'è un'altra questione irrisolta, ed è irrisolta non solo per la soluzione che proponi tu, ma anche per qualunque altra soluzione che preveda la nascita della coscienza dal nulla. Anche per la tradizionale concezione dell'anima creata da Dio.
Mi riferisco al mistero dell'individuazione. Immaginiamo gli esseri umani che escono dalla catena di montaggio della Natura (o di Dio): uno, due, tre... N... Ecco, arrivati a N, quello sono io. Non uno, o dieci o cento prima, e neanche dopo. Proprio N.
Non c'è nessun rapporto di necessità fra l'ennesimo corpo prodotto dalla natura e il mio io. Potevo nascere prima, o dopo, o in un corpo d'animale, o anche mai, che anzi sarebbe la cosa più "naturale". Eppure ci sono.
Ecco, è questa la domanda a cui io sento (tormentosamente) di dover rispondere. Tutto il resto, interessa ben poco.
Io questa domanda la metterei in un altro modo, non perché io in questo corpo, ma semplicemente perché io. Infatti se io fossi in un altro degli innumerevoli esistenti di questo mondo, semplicemente non sarei io. Dunque la vera domanda è perché invece io ci sono e, per quanto si possa tentare di farsene una ragione, temo che, proprio in quanto ci sono, la risposta non posso vederla. La mia esistenza è il punto da cui mi muovo, non posso mai essere fuori di essa da poterla vedere e se la considero è solo dal punto di vista della mia esistenza dalla quale, per sapere il perché c'è dovrei esserne fuori.

CitazioneL' omeostasi intorno a (non troppo lontano da) determinati valori medi di vari parametri fisici e chimici vitali, allontanandosi eccessivamente dai quali ci si ammala o addirittura si muore, regolata da certi determinati centri nervosi ubicati nel tronco encefalico, di cui parla Damasio identificandola con il sé é sostanzialmente identica in ogni persona umana (e in molti individui di tantissime altre specie animali), mentre il "sè" di ciascuno di noi è molto diverso da quello di ciascun altro: la sua spiegazione manca completamente il bersaglio!
Non mi trovo d'accordo con questa obiezione: perché mai la coscienza dovrebbe essere identica nell'ipotesi di Damasio? E' identica nel meccanismo generale e di base in cui si attua, ma è ben diversa nel contenuto specifico e concreto, dato che diversa è sempre la situazione e la condizione biochimica di quel corpo (afferito come informazione nel tronco encefalico), come sempre diversa è la condizione in cui si trova la corteccia nel contesto biochimico in cui quel corpo la esprime. E' cioè diverso sia il modo di allontanarsi dal punto di equilibrio omeostatico, sia di riflettere questo allontanamento in ogni particolare situazione per tentare diversamente di recuperarlo, mentre è identica solo la necessità di doverlo mantenere. Dire che dovrebbe essere sempre identica è come dire che tutte le fotografie dovrebbero essere identiche giacché in fin dei conti il modo per scattare una foto è sempre quello.

La questione fondamentale che entrambi ponete resta comunque il rapporto mente (intesa come facoltà di pensarsi) - corpo (inteso come funzionalità biologica). E' certamente un problema, ma si può non vederlo come un problema, come fa Searle (con il quale per certi versi mi trovo abbastanza d'accordo) che dice che il problema mente - corpo è come quello della liquidità dell'acqua, ossia lo si risolve pensandolo come un'emergenza dei fenomeni neuronici e in fondo mente e corpo sono lo stesso fenomeno descritto in due modi diversi, dunque non c'è nessuna difficoltà ad ammettere che la coscienza è un fenomeno assolutamente irriducibile e del tutto biologico. Ovviamente a questo punto il filosofo (e forse anche il neurologo) dovrebbe chiedersi perché mai c'è questa duplicità descrittiva e non solo come accade (cosa di cui la scienza si occupa, senza avere ancora comunque del tutto risolto). Ossia dovrebbe chiedersi perché e in base a che cosa un fenomeno del tutto biologico può vedere (immaginare) se stesso, come se fosse in grado di porsi fuori da se stesso, dal suo reale biologico accadere. Da dove salta fuori l'osservatore che osserva la sua biologia a partire da nient'altro che la sua biologia e fermo restando che è la sua biologia (perché se fosse qualcos'altro, tipo anima immateriale, sarebbe sicuramente, sono d'accordo, una faccenda paradossale)?
E' questo mi suona sconvolgente e su questo mi sembra che Searle, vittima forse del suo punto di vista pragmatico, passi troppo tranquillamente oltre, non vedendolo per nulla come un problema.
Comunque lascio parlare il filosofo, che così si esprime sulla coscienza nel suo intervento a TED:
http://www.ted.com/talks/john_searle_our_shared_condition_consciousness
Anche questo intervento è molto interessante (e pure brillante, come sanno sempre essere i pragmatisti).
Citazione
Forse ho capito male Damasio attribuendogli la tesi che la coscienza si identificerebbe con i valori dei parametri fisico-chimici vitali che l' omeostasi organica regolata (anche) dal tronco dell' encefalo tende a preservare (e che sono gli stessi in tutti gli uomini e animali simili vivi); forse intende invece determinati eventi neurofisiologici coinvolgenti tronco dell' encefalo e corteccia dipendentemente dall' oscillare dei valori di tali parametri fisico-chimici nell' intervallo compatibile con la sopravvivenza dell' organismo (eventi neurofisiologici che invece variano fra i diversi individui e nel corso delle esperienze coscienti dei singoli individui).

MI convincono comunque di più quei neurologi che la identificano unicamente con eventi neurofisiologici corticali o al massimo coinvolgenti corteccia e nuclei della base e talamici (che l' imaging neurologico dimostra essere necessariamente correlati con gli eventi di coscienza, mentre i nuclei bulbari regolanti l' omeostasi, la respirazione e l' attività cardiocircolatoria possono funzionare regolarmente anche in stato di incoscienza -coma- se la corteccia non funziona regolarmente; il regolare funzionamento del tronco encefalico è condizione necessaria e sufficiente dell' omeostasi e dunque della vita ma non è condizione sufficiente, contrariamente al regolare funzionamento della corteccia e probabilmente dei nuclei della base e talamici, della coscienza).

Ma il punto per me fondamentale è che non di identificazione si tratta (gli eventi neurofisiologici pertinenti, quali che siano, non sono gli eventi di coscienza, ma solo sono inevitabilmente presenti (però in altre esperienze coscienti, di "osservatori") perché accadano gli eventi di coscienza (di "osservati"): gli eventi fenomenici della mia coscienza (per esempio: ragionare, amare, vedere una rosa rossa) sono una cosa molto diversa da quegli eventi nel mio cervello che tu o altri diversi da me, nell' ambito della vostra -non della mia- coscienza, dovete poter vedere, rilevare, constatare (potenziali di azione lungo fasci di neuroni, trasmissioni trans-sinaptiche, ecc.), che non possono non accadere se accadono i miei stati coscienti e viceversa: non si danno gli uni senza gli altri, ma gli uni non sono gli altri, gli uni non si identificano con gli altri, e viceversa (al contrario di fulmini e scariche elettriche nell' atmosfera o liquidità dell' acqua e legami fisico-chimici fra le molecole di H2O, tutti accadenti nell' ambito delle medesime esperienze coscienti: le stesse cose -queste ultime- descritte in due modi diversi, l' uno più rozzo e superficiale, l' altro con maggiore discernimento scientifico; e questo è anche affermato con forza da Searle a un certo punto dell' intervento da da te proposto; anche se poi afferma che invece lo stesso evento ha due diversi "livelli di descrizione", uno biologica e l' altro mentale; però attribuendo la cosa all' inadeguatezza od obsolescenza del linguaggio che comunemente usiamo; in questo secondo punto del discorso mi sembra un po' oscuro).
Searle mi sembra, anche nei non pochi libri tradotti in italiano che ne ho letto, decisamente condivisibile "nella pars destruens" nel demolire i miti "scientisti-materialisti" così come quelli "spiritualisti-soprannaturalisti".
 
Un fenomeno del tutto biologico, come quelli neurofisiologici, non vede nulla: può essere visto (non nell' ambito dell' esperienza cosciente a cui necessariamente corrispondono determinati eventi neurofisiologici bensì di altre, diverse esperienze coscienti), ed è necessario che, almeno potenzialmente siano constati determinati eventi neurofisiologici perché accada un' esperienza cosciente ad essi corrispondente, ma l' unica cosa che "fa" un fenomeno del tutto biologico (gli unici affetti che può determinare) sono effetti fisico-chimici, come contrazioni muscolari o secrezioni ghiandolari (nelle esperienze coscienti di attuali o per lo meno potenziali osservatori, e non in quella "dell' osservato" ad essi necessariamente correlata o corrispondente.

Dalla "biologia (e in generale dalla fisica)" può "saltar fuori" unicamente biologia (e in generale fisica)", contenute attualmente o potenzialmente in esperienze fenomeniche coscienti (esse est percipi), e non un' (altra, ulteriore) esperienza fenomenica cosciente, anche se non può darsi (per lo meno potenzialmente) l' una senza che si dia l' altra e viceversa.
#3440
Tematiche Filosofiche / Re:Che cos'è la verità?
07 Giugno 2016, 08:35:37 AM
Citazione di: maral il 06 Giugno 2016, 23:20:54 PM

Ma sentire che si ama una persona e dirlo in verità (a quella persona, al mondo intero, a se stessi), non ha nulla a che vedere con il giudicare oggettivamente se quella persona merita o meno il mio amore, le due cose sono infinitamente lontane e non è che per questo che quel sentire che mi spinge a dire quello che sento (e sento e dico vero) ben prima di giudicarlo non ha nulla a che vedere con la verità. La situazione si svela per quello che è con il suo semplice apparire, nell'esperienza in atto che faccio desituandomi. Vogliamo chiamare questo "realtà", come dice Sgiombo, riservando il termine vero e la sua negazione al solo giudizio? Va bene, ma non ne vedo il motivo (di cui chiedevo ragione a Sgiombo che non può cavarsela dicendomi che comunemente la si intende così, giacché il comunemente non ha nessuna rilevanza e nega l'autenticità più effettiva dell'esperienza). La verità coincide nell'esperienza con la realtà in quanto sento che quella realtà è del tutto vera e quindi oggetto e soggetto in essa non sono più uno di fronte all'altro con il secondo che valuta il primo, ma sono fusi in quello che accade, sono nell'accadere di quello (qui l'amore) che accade.

Citazione


Se così fosse il giornalista che descrive (conoscenza) le imprese dello sportivo (fatti) sarebbe uguale allo sportivo stesso, il poeta che parla di Paolo e Francesca (conoscenza) sarebbe la stessa persona (di Paolo; o magari entrambi? Fatti), lo storico che descrive l' impresa dei Mille (conoscenza) sarebbe la stessa cosa di Garibaldi (fatti), ecc.


Certo che è altra, ma quella verità che dici che deve oggettivamente esistere e a cui occorre adeguarsi, oggettivamente non esiste (senza che questo significhi che esista soggettivamente), ossia non esiste in oggetto proprio come non esiste in soggetto. Cos'è il concetto oggettivo di verità che devo ammettere a priori? Soprattutto quando lo posso definire sempre solo a posteriori, magari istituendo una regola formale? E il punto essenziale che con la mia risposta precedente volevo mettere in luce è che quella regola formale, per quanto oggettiva possa credere che sia, è sempre un soggetto che la stabilisce, ma da quale posizione la stabilisce se non dalla sua soggettiva posizione? Ed è per questo che, ribadisco, non c'è alcuna verità oggettiva: la verità se è tale non è né oggettiva né soggettiva, sta oltre qualsiasi oggetto e qualsiasi soggetto, poiché è essa che pone ogni soggetto e ogni oggetto semplicemente accadendo e accadendo coincide con la realtà, il suo accadere attuale ha già risolto ogni giudizio.
CitazioneRitengo (concordo? Non so se ti ho ben capito) che lo scetticismo non sia suparebile e che non si possa avere certezza della conoscenza, ma solo si può credere vero qualcosa (qualche affermazione) che vero potrebbe benissimo non essere.

Ma per conoscenza o credenza vera si intende (o almeno io intendo, con il "popolo bue"; e se tu ritieni che i filosofi seri dovverbbero dare un altro significato alla parola dovresti spiegarmi il significato stesso "filosofico", oltre che giustificarne l' uso in alternatva a quello corrente) il fatto che si predica qialcosa circa la realtà e che la  realtà sia o divenga, almeno in qualche misura, conformemente alla predicazione stessa (che della conoscenza vera "se ne disponga" o meno; indipendentemente dall' insuperabilità del dubbio scettico).




I sentimenti non si formano a partire dai giudizi, semmai sono i giudizi che possono formarsi a partire dai sentimenti e si formano nella speranza di trattenerli, ossia di trattenerne nella verità di un giudizio il simulacro della verità che accade, la traccia che di essa resta quando è passata e, poiché quel simulacro rimasto è sempre sbiadito, in dubbio, si preoccupa di giudicare se quella pallida traccia rimasta sia vera o falsa.

CitazioneCredo che in un certo senso talora i giudizi "nascano" da sentimenti, nel senso che questi spingono a compiere osservazioni e ragionamenti; ma talaltra i sentimenti nascano da giudizi (per esempio giudico i burocrati euristi e i loro tirapiedi politici dei nemici del popoplo e da questo giudizio nascono in me sentimenti di disprezzo e di odio profondo).
#3441
Tematiche Filosofiche / Re:Che cos'è la verità?
07 Giugno 2016, 07:58:27 AM
Citazione di: maral il 06 Giugno 2016, 22:05:20 PM
Citazione di: sgiombo il 06 Giugno 2016, 08:20:04 AM
Proprio non capisco.
Quanto da me scritto sono semplicemente i significati comunemente attribuiti ai termini "reale" non reale", "vero" e "falso".

Il fatto che veri o falsi possono essere solo credenze, predicati, giudizi, conoscenze, ovvero la loro peculiarità di poter essere veri o falsi (oltre che, come tutti gli altri fatti, reali o meno) sono veri in base ai significati che comunemnete si attribuiscono a questi temini, a come di definiscono questi concetti, a ciò che si intende per essi, la loro connotazione.
Cioé é vero che questo di fatto comunemente si intende con questi concetti (e non con quello di "fatto in generale"); se tu attribuisci ad essi per qualche tuo motivo significati diversi, tali per cui ad esempio un sentimento di amore (e non: la dichiarazione di un sentimento di amore), oltre a poter essere reale o meno, a poter accadere o meno, può anche essere vero o meno, allora é necessario che ci traduciamo reciprocamente i differenti linguaggi che usiamo.
Scusa Sgiombo. ma quello che di fatto comunemente si intende è proprio quello che di fatto è filosoficamente doveroso analizzare e criticare chiedendosi perché comunemente lo si intende. Qual è il fondamento di questo comunemente. Se non ci si pone questa domanda, se dopo aver detto che comunemente la si intende così non si va a vedere cosa ci sta sotto allora non si sta facendo filosofia, ma chiacchiere (interessanti finché si vuole, e magari pure con un certo gusto filosofico, ma solo chiacchiere). Non è una questione di linguaggi diversi, ma di intenti. Per questo ti ho fatto le domande di cui sopra, per capire cosa ci sta sotto (e per vedere se si riesce a vederlo insieme). Il comunemente non giustifica nulla, anzi.

Ma infatti in primo luogo non si tratta di giudicare ma di stabilire il significato che diamo alle parole che usiamo, in modo da capirci (e conseguentemente confrontare le rispettive convinzioni e credenze).

Non puoi chiedermi di dimostrare perché i fatti (in generale) possono essere reali o meno e (soltanto quei molto peciìuliari fatti che sono) i predicati possono (inoltre) essere veri o falsi: é una domanda senza senso, trattandosi dei significati dei termini usati (i quali sono quel che sono perché, onde intendersi, li si stabilisce arbitrariamente per definizione.
#3442
Citazione di: Loris Bagnara il 06 Giugno 2016, 11:21:54 AM
Sono sostanzialmente d'accordo con le osservazioni contenute nell'ultimo intervento di Sgiombo.
L'unica cosa che mi differenzia, e sulla quale abbiamo già discusso "accanitamente" altrove (per cui non vale la pena tornarci sopra qui) è il Sé. Io ritengo che non si possano dare esperienze coscienti senza il Sé: io intendo il Sé come il substrato della coscienza su cui si proiettano le esperienze coscienti. Per usare un'immagine, il Sé è come un foglio bianco su cui si "scrivono" parole, simboli, disegni etc che sono appunto le esperienze coscienti. Senza quel foglio bianco, non ci sarebbe il supporto per il verificarsi delle esperienze coscienti.

CitazioneCredo anch' io che concordiamo almeno su gran parte della "pars destruens" (destruens dell' "ideologia corrente", come la potremmo considerare, del materialismo della stragrande maggioranza dei neurologi e cultori di scienze cognitive, nonché di non pochi filosofi della mente).
Per precisare meglio le mie convinzioni devo dire che anch' io ritengo reale il "sè", soggetto delle sensazioni fenomeniche coscienti (sia esteriori o materiali che interiori o mentali; ed insieme anche oggetto di quelle mentali), nonché gli oggetti di esse (diversi dal "sé" nel caso di quelle materiali), entrambi in quanto "cose in sé" o "noumeno".
Solo ci tengo a precisare che la loro esistenza reale la si può credere immotivatamente, per fede e non dimostrare né tantomeno mostrare.


Colgo l' occasione per fare un' altra precisazione.
Nel precedente intervento scrivevo:

Infatti le interazioni da Damasio descritte fra tronco encefalico e corteccia (e fra essi e recettori sensoriali ed effettori muscolari), le "mappe" di cui parla sono tutt' altra cosa dall' esperienza cosciente (che pure non può accadere se non "in maniera determinatamente correlata ad esse", ma senza identificarvisi).
Non può accadere il fatto che uno sia innamorato di una certa persona o che pensi alla dimostrazione di un teorema di geometria (nell' ambito della sua propria esperienza cosciente di potenziale o attuale, per lo più indirettamente, "osservato") senza che accadano certi determinati eventi neurologici (ben diversi in ciascuno dei due casi considerati) e solo quelli nel "suo" cervello (nell' ambito di altre esperienze coscienti diverse dalla sua, di "osservatori" almeno potenziali ed eventualmente attuali, per lo più indirettamente per il tramite dell' imaging neurologico funzionale di cui Damasio ha fornito qualche esemplificazione); ma si tratta di eventi ben diversi: l' amore o un ragionamento matematico (o filosofico) nell' ambito della coscienza di un innamorato o di un ragionatore sono certe "cose"; le attivazioni di determinate vie nervose percorse da potenziali d' azione e i determinati insiemi di trasmissioni trans-sinaptiche che vi corrispondono necessariamente nei cervelli (dell' innamorato e del ragionatore; esperiti nell' ambito di altre coscienze, di "osservatori") sono tutt' altre, diversissime "cose", che all' amore e al ragionamento rispettivamente non assomigliano manco per niente!
Quelle suggestive immagini di fRM mostrate da Damasio erano tutt' altra cosa da ciò che sentiva e/o pensava il soggetto scansionato: forse amore? Forse ricordi del suo passato? Forse un calcolo matematico o un altro ragionamento? Forse la soddisfazione per una recente vittoria del suo sportivo preferito? Forse una preoccupazione per il suo lavoro? Forse ecc.?)!

Ad affermazioni come questa qualcuno ha obiettato che mente e cervello sarebbero la stessa cosa conosciuta "rozzamente" (secondo il "senso comune") e "con raffinatezza scientifica" rispettivamente, nello stesso senso nel quale sono la stessa cosa fulmini e scariche elettriche.

In realtà l' obiezione non é pertinente.

Infatti:

a) nell' ambito della realtà fisica - materiale non può darsi scarica elettrica nell' atmosfera senza che si dia (essendo la stessa cosa) un fulmine (o un lampo), mentre nell' ambito della realtà fisica si dà cervello senza mente (che dalla realtà fisica "esula", non ne fa parte per la chiusura causale del mondo fisico): la scienza fisica sarebbe falsa se ogni fulmine non coincidesse, non si identificasse con una scarica elettrica, mentre sarebbe perfettamente vera se -per assurdo- qualcuno di noi fosse una sorta di zombi privo di coscienza, cioé se ci fossero cervelli senza che ci siano esperienze coscienti ad essi correlate;

b) mentre fulmini e scariche elettriche nell' atmosfera, essendo "la stessa cosa", accadono come oggetti di sensazione nell' ambito delle medesime esperienze fenomeniche coscienti (tutte le volte che chiunque vede un fulmine, egli vede una scarica elettrica nell' atmosfera), 
invece cervelli ed esperienze fenomeniche coscienti, essendo "cose diverse", avvengono nell' ambito di esperienze fenomeniche coscienti diverse: il mio cervello nell' ambito della tua esperienza cosciente, le mie sensazioni al mio cervello puntualmente ed univocamente corrispondenti (n.b.: e non identiche), come dimostrato dalle neuroscienze, nell' ambito della mia esperienza cosciente.

#3443
Tematiche Filosofiche / Re:Che cos'è la verità?
06 Giugno 2016, 08:36:02 AM
Citazione di: maral il 05 Giugno 2016, 23:32:19 PM
Citazione di: davintro il 01 Giugno 2016, 22:14:46 PM
Fintanto che mi limito ad avvertire un dolore, questo dolore non è tematizzato, non è oggetto di una presa di posizione per la quale posso dire cose vere o false.
E' il suo diretto presentarsi che lo rivela vero, e indiscutibilmente vero. In questo caso la verità non è il risultato di un giudizio ponderato e oggettivo, ma di un puro accadere. Ammesso che sia mai esistito un giudizio puramente oggettivo che riguarda il vissuto (i giudizi oggettivi possono venire dati solo su preposizioni formali, come i teoremi matematici) e non piuttosto sempre condizionati dalla posizione soggettiva da cui si giudica. Anche la scienza riduce il concetto di oggettività a quello della costruzione di una soggettività condivisa, secondo un metodo applicabile in determinati campi e in altri no.
Citazionema nel momento in cui sto amando o temendo non sto affermando alcuna verità o falsità.
Come no, sto affermando la verità assoluta del mio amore, poiché semplicemente lo sento è vero e reale insieme.
CitazioneLa verità va considerata all'interno del piano logico e cognitivo dei giudizi, va distinto dal piano estetico dei sentimenti, è appannaggio della scienza (comprendente anche la filosofia), non dell'arte, quantomeno non in modo esplicito e diretto
E perché mai? Non sarebbe piuttosto meglio pensare che la verità, pur essendo una sola, ha diversi modi di presentarsi e a volte, anziché di un giudizio preceduto da analisi logica, ha bisogno di un'esperienza (che a volte può non avere né soggetto né oggetto, come l'angoscia, o la gioia senza motivo) o anche di un'interpretazione?

I giudizi su proposizioni formali, come i teoremi matematici, sono giudizi analitici a priori, non giudizi circa la realtà (oggettiva) o meno, ma sui termini delle definizioni e degli assiomi (possono essere logicamente corretti o meno).
Quelli sui fatti empiricamente constatabili sono sintetici a posteriori; e questi ultimi possono essere in accordo con la realtà dei fatti (oggettivi, o meglio, secondo me, intersoggettivi) o meno.

Possono dunque darsi verità -o falsità- logiche (analitiche a priori) o empiriche (sintetiche a posteriori), ma non fatti (in generale; fatti diversi dai giudizi)  veri o falsi, bensì soltanto reali o meno (secondo il significato che comunemente si attribuisce a queste parole, che altrimenti necessitiamo, onde comunicare, di tradurci i nostri rispettivi, fra loro differenti linguaggi).
#3444
Tematiche Filosofiche / Re:Che cos'è la verità?
06 Giugno 2016, 08:20:04 AM
Citazione di: maral il 05 Giugno 2016, 23:06:22 PM
Citazione di: sgiombo il 01 Giugno 2016, 11:41:02 AM
Veri o falsi possono essere solo credenze, predicati, giudizi, conoscenze.
E questo secondo te è vero o falso? In base a cosa?

CitazioneAnche credenze, predicati, giudizi, conoscenze sono fatti (che dunque in quanto tali possono essere reali o meno); ma fatti del tutto peculiari: gli unici fatti che possono (anche) essere veri o falsi.
E perché? In base a cosa fai questa distinzione tra fatti?

Proprio non capisco.
Quanto da me scritto sono semplicemente i significati comunemente attribuiti ai termini "reale" non reale", "vero" e "falso".

Il fatto che veri o falsi possono essere solo credenze, predicati, giudizi, conoscenze, ovvero la loro peculiarità di poter essere veri o falsi (oltre che, come tutti gli altri fatti, reali o meno) sono veri in base ai significati che comunemnete si attribuiscono a questi temini, a come di definiscono questi concetti, a ciò che si intende per essi, la loro connotazione.
Cioé é vero che questo di fatto comunemente si intende con questi concetti (e non con quello di "fatto in generale"); se tu attribuisci ad essi per qualche tuo motivo significati diversi, tali per cui ad esempio un sentimento di amore (e non: la dichiarazione di un sentimento di amore), oltre a poter essere reale o meno, a poter accadere o meno, può anche essere vero o meno, allora é necessario che ci traduciamo reciprocamente i differenti linguaggi che usiamo.
#3445
CitazioneContrariamente a quanto sostiene Damasio (che fra l' altro secondo me confonde coscienza ed autocoscienza) il sé non è "dentro" la mente; invece dentro la mente ci sono (ovvero la mente è costituita da sensazioni interiori di) sentimenti, "stati d' animo, ricordi, pensieri, predicati, credenze, desideri, speranze, paure, ecc.
Tutte queste cose non sono il "sé" (me, nel caso della mia propria coscienza), ma invece esperienze mentali che possono essere considerate (non dimostrate) essere proprie del sé, essere esperite dal sè.

Il sé (l' io, nel caso della esperienza cosciente mia propria) come soggetto delle sensazioni "interiori" o mentali (e anche di quelle materiali o "esteriori") può essere (se c'è, come credo; ma non può essere dimostrato a partire dalle esperienze coscienti; né men che meno mostrato al loro "interno") un 'entità ulteriore non fenomenica (non costituita da sensazioni, mentali o materiali) e reale anche allorché sensazioni non accadono, non vi sono (nel sonno senza sogno non esiste la "mia propria" esperienza cosciente, ma se io esisto come suo soggetto, allora bisogna che continui ad esistere anche nel sonno senza sogni, perché altrimenti non esisterebbe l' esperienza cosciente "mia propria" in quanto un "unicum", per quanto "spezzettato" dal sonno senza sogni, bensì esisterebbero tante distinte, separate e incomunicanti, reciprocamente trascendenti esperienze coscienti quanti sono gli intervalli ininterrotti fra un sonno senza sogni e l' altro: se il "sé" fosse, come sostiene Damasio, contenuto nell' esperienza cosciente, allora ve ne sarebbero tanti reciprocamente separati e distinti -"sé Tizio", "sé Caio", sé Sempronio", ecc.- quanti sono tali intervalli coscienti.
 
L' omeostasi intorno a (non troppo lontano da) determinati valori medi di vari parametri fisici e chimici vitali, allontanandosi eccessivamente dai quali ci si ammala o addirittura si muore, regolata da certi determinati centri nervosi ubicati nel tronco encefalico, di cui parla Damasio identificandola con il sé é sostanzialmente identica in ogni persona umana (e in molti individui di tantissime altre specie animali), mentre il "sè" di ciascuno di noi è molto diverso da quello di ciascun altro: la sua spiegazione manca completamente il bersaglio!
 
Per la "chiusura causale del mondo fisico" la corteccia cerebrale (o il sistema tronco-corteccia considerato da Damasio), che è un oggetto fisico, è in interazione causale unicamente con il resto del mondo fisico e non esercita né subisce effetti in relazione alla (da o sulla) nostra mente (la quale corrisponde nel divenire suo proprio -mentale- al suo -cerebrale- funzionamento): è condizionata unicamente dagli eventi del mondo in cui viviamo tramite gli impulsi nervosi che le arrivano dagli organi di senso (e in parte da quelli che le derivano da essa stessa o da altre parti del cervello precedentemente "condizionati" dall' esperienza esterna: ricordi, abitudini, tendenze comportamentali, "vizi", "virtù", ecc.) e condiziona unicamente il nostro comportamento tramite gli impulsi nervosi che invia ai muscoli somatici (e in qualche caso alle ghiandole): non produce in alcun modo la nostra coscienza, ma solo movimenti muscolari (e secrezioni ghiandolari).
 
La neurologia può solo studiare il funzionamento del cervello e le correlazioni fra esso e l' esperienza cosciente: è molto, è interessante ed è importante per le ragioni illustrate da Damasio, ma non è la spiegazione della natura "ontologica" del nesso esistente fra mente cosciente e cervello; questo è un problema non scientifico (neurologico) bensì filosofico, "eccedente la scienze naturali", letteralmente "metafisico".
 
Infatti le interazioni da Damasio descritte fra tronco encefalico e corteccia (e fra essi e recettori sensoriali ed effettori muscolari), le "mappe" di cui parla sono tutt' altra cosa dall' esperienza cosciente (che pure non può accadere se non "in maniera determinatamente correlata ad esse", ma senza identificarvisi in alcun modo o in alcun senso).
Non può accadere il fatto che uno sia innamorato di una certa persona o che pensi alla dimostrazione di un teorema di geometria (nell' ambito della sua propria esperienza cosciente di potenziale o attuale, per lo più indirettamente, "osservato") senza che accadano certi determinati eventi neurologici (ben diversi in ciascuno dei due casi considerati) e solo quelli nel "suo" cervello (nell' ambito di altre esperienze coscienti diverse dalla sua, di "osservatori" almeno potenziali ed eventualmente attuali, per lo più indirettamente per il tramite dell' imaging neurologico funzionale di cui Damasio ha fornito qualche esemplificazione); ma si tratta di eventi ben diversi: l' amore o un ragionamento matematico (o filosofico) nell' ambito della coscienza di un innamorato o di un ragionatore sono certe "cose"; le attivazioni di determinate vie nervose percorse da potenziali d' azione e i determinati insiemi di trasmissioni trans-sinaptiche che vi corrispondono necessariamente nei cervelli (dell' innamorato e del ragionatore; esperiti nell' ambito di altre coscienze, di "osservatori") sono tutt' altre, diversissime "cose", che all' amore e al ragionamento rispettivamente non assomigliano manco per niente!
Quelle suggestive immagini di fRM mostrate da Damasio erano tutt' altra cosa da ciò che sentiva e/o pensava il soggetto scansionato: forse amore? Forse ricordi del suo passato? Forse un calcolo matematico o un altro ragionamento? Forse la soddisfazione per una recente vittoria del suo sportivo preferito? Forse una preoccupazione per il suo lavoro? Forse ecc.?)!
#3446
Citazione di: Loris Bagnara il 04 Giugno 2016, 14:39:24 PM
Citazione di: sgiombo il 04 Giugno 2016, 10:32:37 AM
Non potrebbe essere che, superata una certa velocità limite, allorché la contrazione relativistica "si manifesta", diviene concretamente efficace, contraendosi la lunghezza del treno questo si spezza e dunque il meccanismo che lo fa muovere si inceppa e suoi frammenti si fermano (tornando a giustapporsi reciprocamente ma senza ripristinare l' integrità funzionale del treno -come se tagliassimo a pezzi un animale vivo e poi li riaccostassimo gli uni agli altri- che dunque non ripartirebbe (sia chiaro: senza per questo dare la ben che minima conferma a preteso "olismo"!).
Per la verità bisognerebbe a questo proposito stabilire (e la mia ignoranza me lo impedisce) come vada intesa la contrazione relativistica: se come riavvicinamento nello spazio "vuoto" dei suoi "contenuti materiali" (e in questo caso credo che varrebbe questo ragionamento di cui sopra); oppure se come proporzionale rimpicciolimento (ma rispetto a che cosa?) del "tutto materiale" (spazio "vuoto" e suoi "contenuti materiali"); e in questo caso non varrebbe questo ragionamento di cui sopra, ma bisognerebbe piuttosto pensare a una "velocità soglia" del treno raggiunta la quale si manifesterebbe una "soglia di contrazione apprezzabile" tale che la "causalità fisica", gli "effetti fisici delle leggi di natura" tendenti a determinare l' ulteriore rimpicciolimento del treno si troverebbe ad essere contrastata dalla rigidità dei binari, e allora o questa impedirebbe l' ulteriore accelerazione, oppure i binari verrebbereo spezzati in vari punti determinando la fermata del treno-

Ma il moto del treno solo approssimativamente (in realtà erroneamente) potrebbe essere considerato inerziale (rettilineo uniforme); in realtà sarebbe accelerato (come sentirebbero, confortevolmente, anche i passeggeri, che riacquisterebbero uno "pseudopeso terrestre" per accelerazione centripeta; ovviamente disponendosi con la testa verso il sole e i piedi in senso opposto), e dunque il caso dovrebbe rientrare (come? In che termini?) nella relatività generale e non in quella speciale.

Considerazione epistemologica a mio parere veramente importante.
Credo comunque che il paradosso posto in eidenza da questo interessante esperimento mentale sia tale da mettere in dubbio la teoria della relatività: o lo si risolve, oppure bisogna necessariamente concludere che, malgrado le conferme empiriche finora ottenute, la teoria della relatività é almeno in qualche misura falsa (o forse sarebbe più corretto dire assurda?) e necessita di essere profondamente corretta o magari interamente sostituita da un' altra (di regola le teorie scientifiche falsificate qualche conferma empirica nel corso della loro "vita" più o meno breve la ottengono; é il caso per esempio della teoria tolemaica, che ha consentito l' esatta previsione di molte eclissi e la costruzione di calendari efficacissimi per le attività produttive umane, soprattutto agricole e di navigazione; ma basta un' osservazione "pertinente" e diligentemente confermata a falsificarle).
Grazie per il contributo a questa discussione, che languiva...
Lo scopo infatti, come dici, è quello di mettere in luce alcune problematiche nella teoria della relatività, che se irrisolte lascerebbero seri dubbi sulla sua validità generale.
Un altro effetto paradossale che potremo discutere è l'effetto Sagnac, che avviene sempre in un moto circolare.

Tornando al nostro caso, in effetti la contrazione relativistica agisce sullo spazio-tempo, e dunque l'accorciamento riguarda tanto il "pieno" quanto il "vuoto", quindi ci troveremmo nella seconda delle eventualità da te citate; anche se si fa fatica a capire quale dovrebbe essere la velocità "soglia" oltre la quale si manifesterebbero effetti apprezzabili. Comunque siamo giustamente, come dici, nell'ambito della relatività generale, anche se non mi risulta che da ciò derivino soluzioni al paradosso.

A complicare le cose resta poi sempre il problema del rovesciamento dei punti di vista: per l'osservatore a terra, è il treno a restringersi, mentre per l'osservatore sul treno, sono i binari a restringersi... In altri termini, ciascuno dovrebbe osservare il rovescio di ciò che vede l'altro. Impossibile, chiaramente.

L'unica soluzione è che in qualche modo non accada nulla, cioè che insorga un effetto esattamente uguale e contrario all'accorciamento, tale da lasciare il treno così com'è... ma non so da dove possa sorgere tale effetto.
CitazioneEffettivamente il moto é relativo (indipendentemente dalla teoria della relatività; ed altrettanto relativa é la grandezza) e dunque dire che il corpo A si muove a velocità sufficientemente prossime a quella della luce rispetto al corpo B (e al resto dell' universo) equivale esattamente, perfettamente a dire a dire che il corpo B (e il resto dell' universo) si muove (in senso contrario) rispetto al corpo A.

E allora come potrebbe "ciascuno di essi accorciarsi rispetto all' altro"? Che senso potrebbero avere queste parole?

Si potrebbe  dire che il "sistema minore" in moto relativamente al "sistema maggiore" (comprendente il resto dell' universo) si rimpicciolisce rispetto a quest' ultimo (= quest' ultimo si ingrandisce rispetto al sistema minore: queste due frasi significano esattamente la stessa identica cosa non essendoci "terzi" sistemi di riferimento né per il loro moto né per la loro grandezza)?

Ma senza accelerazioni, non avendosi applicazioni di forze, (nel caso delle condizioni inerziali, di cui tratta la relatività speciale) non si può stabilire né se il sistema A sia fermo o non invece in moto rettilineo uniforme rispetto al resto dell' universo, né se lo sia il sistema B.

Ma invero per il terzo principio di Newton (che si potrebbe denominare "principio di relatività dell' accelerazione"; e contro il principio di Mach!), poiché ogni azione su di un sistema cui fosse applicata una forza é inevitabilmente accompagnata da un' azione  uguale e contraria (le rispettive accelerazioni essendo inversamente proporzionali alle  masse dei rispettivi sistemi nei quali accadrebbero, fra i quali fosse applicata la forza), perfino nel caso di moto accelerato non sarebbe possibile stabilire quale dei due sistemi fra i quali agisse la forza sarebbe d considerare in quiete (fermo) rispetto al "resto dell' universo".
Anzi, nessuno dei due potrebbe esserlo, in quanto entrambi sarebbero accelerati: nemmeno quello più grande che per il secondo principio subirebbe l' accelerazione minore (per grande che esso fosse e dunque per piccola -ma comunque =/= zero- che fosse la sua accelerazione).

E anche se si volesse fare una verifica empirica, affinché si potesse stabilire sensatamente quale dei due sistemi si rimpicciolisse rispetto all' altro occorrerebbe un terzo sistema, "neutro" e assunto arbitrariamente come di grandezza costante, come riferimento: quello che mutasse estensione rispetto a quest' ultimo sarebbe assunto come effettivamente cambiato. Ma quale potrebbe essere questo "terzo sistema"? Il resto dell' universo = l' universo - (A + B)?

Tornando al principio di Mach, credo che non valga l' asserzione di quest' ultimo secondo la quale nel caso del moto rotatorio di un secchio pieno d' acqua sarebbe possibile discernere se è il secchio stesso a muoversi (girare), qualora l' acqua tendesse a salire lungo la sua parete per la forza centrifuga, o tutto il resto dell' universo a muoversi (a ruotare in senso opposto), qualora la superficie dell' acqua restasse orizzontale.
Mach dimentica che, perché ci sia rotazione (quindi accelerazione angolare), deve agire una forza, e che questa forza agisce in senso opposto fra due sistemi: il secchio e la terra (nella quale si trova il secchio, magari su di un tavolo, in un edificio ancorato appunto al pianeta). Se sul secchio l' accelerazione è immediatamente, palesemente sensibile, e quindi lo è anche la sua immediata conseguenza sulla disposizione dell' acqua che contiene, tuttavia anche la terra, per quanto impercettibilmente a causa della sua massa enormemente maggiore, subisce un' accelerazione in senso opposto: (contro Mach) non è quindi possibile,  a considerare le cose con il dovuto rigore, stabilire se è il secchio a girare, con l' acqua che risale lungo le sue pareti, oppure se è la terra a girare in senso opposto, per quanto con effetti inerziali difficilmente percettibili in quanto nel suo caso la stessa intensità della forza che fra i due sistemi agisce in senso opposto si applica ad (va divisa per) una massa enormemente maggiore.
Se l' acqua risale lungo le pareti del secchio, allora necessariamente anche sulla terra si verificheranno effetti inerziali: per quanto impercettibilmente, le fronde degli alberi saranno spostate per inerzia, così come l' aria dell' atmosfera e l' acqua dei mari (sempre per distanze difficilmente percettibili -ma reali!- a causa della esiguità dell' accelerazione esercitata dalla medesima forza ma su di una massa enormemente maggiore); per non parlare dell' eventuale tavolo sul quale fosse posto il secchio!. Nessuno potrebbe pertanto in alcun modo stabilire se è il secchio che gira rispetto alla terra oppure se è la terra che gira rispetto al secchio: la loro accelerazione angolare è quindi del tutto, irriducibilmente relativa (ciascuno dei due sistemi -resto della terra da una parte e secchio dall' altra- accelera relativamente all' altro)!


Citazione

Devo correggermi su quanto affermato alla fine del precedente intervento.
Questo non é propriamente un "esperimento mentale puro", dal momento che esistono probabilmente impedimenti fisici alla realizzazione delle ferrovia e del treno di cui parla, e dunque é esagerata la mia pretesa che se non fosse risolto il paradosso la teoria della relatività dovrebbe essere profondamente corretta o abbandonata: la soluzione  del pradosso potrebbe probabilmente benissimo stare semplicemente nella dimostrazione dell' irrealizzabilità di simili marchingegni.
#3447
Non potrebbe essere che, superata una certa velocità limite, allorché la contrazione relativistica "si manifesta", diviene concretamente efficace, contraendosi la lunghezza del treno questo si spezza e dunque il meccanismo che lo fa muovere si inceppa e suoi frammenti si fermano (tornando a giustapporsi reciprocamente ma senza ripristinare l' integrità funzionale del treno -come se tagliassimo a pezzi un animale vivo e poi li riaccostassimo gli uni agli altri- che dunque non ripartirebbe (sia chiaro: senza per questo dare la ben che minima conferma a preteso "olismo"!).
Per la verità bisognerebbe a questo proposito stabilire (e la mia ignoranza me lo impedisce) come vada intesa la contrazione relativistica: se come riavvicinamento nello spazio "vuoto" dei suoi "contenuti materiali" (e in questo caso credo che varrebbe questo ragionamento di cui sopra); oppure se come proporzionale rimpicciolimento (ma rispetto a che cosa?) del "tutto materiale" (spazio "vuoto" e suoi "contenuti materiali"); e in questo caso non varrebbe questo ragionamento di cui sopra, ma bisognerebbe piuttosto pensare a una "velocità soglia" del treno raggiunta la quale si manifesterebbe una "soglia di contrazione apprezzabile" tale che la "causalità fisica", gli "effetti fisici delle leggi di natura" tendenti a determinare l' ulteriore rimpicciolimento del treno si troverebbe ad essere contrastata dalla rigidità dei binari, e allora o questa impedirebbe l' ulteriore accelerazione, oppure i binari verrebbereo spezzati in vari punti determinando la fermata del treno- 


Ma il moto del treno solo approssimativamente (in realtà erroneamente) potrebbe essere considerato inerziale (rettilineo uniforme); in realtà sarebbe accelerato (come sentirebbero, confortevolmente, anche i passeggeri, che riacquisterebbero uno "pseudopeso terrestre" per accelerazione centripeta; ovviamente disponendosi con la testa verso il sole e i piedi in senso opposto), e dunque il caso dovrebbe rientrare (come? In che termini?) nella relatività generale e non in quella speciale.


Considerazione epistemologica a mio parere veramente importante. 
Credo comunque che il paradosso posto in eidenza da questo interessante esperimento mentale sia tale da mettere in dubbio la teoria della relatività: o lo si risolve, oppure bisogna necessariamente concludere che, malgrado le conferme empiriche finora ottenute, la teoria della relatività é almeno in qualche misura falsa (o forse sarebbe più corretto dire assurda?) e necessita di essere profondamente corretta o magari interamente sostituita da un' altra (di regola le teorie scientifiche falsificate qualche conferma empirica nel corso della loro "vita" più o meno breve la ottengono; é il caso per esempio della teoria tolemaica, che ha consentito l' esatta previsione di molte eclissi e la costruzione di calendari efficacissimi per le attività produttive umane, soprattutto agricole e di navigazione; ma basta un' osservazione "pertinente" e diligentemente confermata a falsificarle).
#3448
Citazione di: baylham il 03 Giugno 2016, 10:03:51 AM
CitazioneL'unica radice comune che hanno istinto e razionalità ,se ancora non si fosse capito, è l'uomo che storicamente reinterpreta
se stesso e il mondo ridefinendo e ridefinendosi. (Paul11)


Preciso il mio precedente commento che è stato frainteso.

La razionalità coopera con l'istinto, l'istinto spinge in una direzione, la razionalità lo guida.
Il problema è che ci sono istinti diversi e contrastanti tra di loro, la relazione inversa, il trade off, è tra gli istinti. Banalmente di fronte ad un'incognita c'è l'istinto della paura ma anche della curiosità, il bisogno di mangiare contrasta con quello di riposare, l'altruismo con l'egoismo, ecc.. La razionalità non può risolvere questo conflitto interiore tra gli istinti, sono in contraddizione tra di loro, quindi la razionalità cerca un compromesso, una soluzione. (Baylham)

CitazioneConcordo (con entrambi).

Preciserei che la razionalità (e non l' istintualità):
a) consente per lo meno di "soppesare" o "ponderare" gli istinti (non di misurarli o propriamente "pesarli": res cogitans! Posso valutare che comportarmi onestamente sia da me sentito come più desiderabile che arricchirmi disonestamente, ma non "di quanto": non "quante volte -tre, sette, il cinquanta% in più?- sia più desiderabile), cioé di cercare alquanto vagamente (in modo ben diverso e più incerto che le misurazioni operabili nell' ambito della "res extensa": il Monte Bianco é alto, sia pure approssimativamente, 4810 volte il campione del "metro" conservato al museo dei pesi e misure di Parigi alle temperature ordinariamente e mediamente presenti in Europa), di valutare la "forza" o "intensità" dei diversi istinti ed insiemi di istinti intrinsecamente compatibili (realizzabili) e reciprocamente incompatibili (realizzabili alternativamente gli uni agli altri);
b) di cercare di stabilire (non infallibilmente, é ovvio!) quali istinti e insiemi di istinti complessivamente sono realizzabili (quali scopi o insiemi di scopi sono conseguibili) nelle varie circostanze e quali no; ed a quali condizioni, mediante quali mezzi.

Si può sempre sbagliare nelle valutazioni razionali della conseguibilità, e dei mezzi atti ad ottenerla, dei vari scopi e insiemi di scopi (soddisfattibilità dei vari istinti e insiemi di istinti), per la misurabilità della res extensa.
Ma molto più difficile, molto più soggetta ad errore é la  valutazione della maggiore o minor forza o intensità degli istinti e insiemi di istinti (o desiderabilità degli scopi) eventualmente conseguibili, per la non misurabilità in senso proprio ma soltanto "ponderabilità" della res cogitans.
#3449
Citazione di: Loris Bagnara il 02 Giugno 2016, 14:39:32 PM
@Sgiombo:
CitazioneIl caso 4 (se per "l' uomo è libero nell' agire" si intende la totale assenza di costrizioni estrinseche) è evidentissimamente irrealistico (ora e in qualsiasi futuro possibile): si tratterebbe dell' "onnipotenza divina".
E non è che semplicemente postulando -ad libitum- l' impossibile si possa farlo diventare possibile (si ricadrebbe nella condizione dell' "onnipotenza divina").

E comunque, anche nel caso 4, il problema è che se di dà libero arbitrio (=non determinismo intrinseco bensì casualità di comportamento), [...]
Se nel mio elenco ho distinto il caso dal libero arbitrio c'era un motivo, non puoi ora appiattire il libero arbitrio riconducendolo al caso.
Il vero libero arbitrio non è il caso, ma è esattamente quel che hai detto: divino.
E' la manifestazione della scintilla divina che è nell'uomo.
Il percorso evolutivo dell'uomo (parlo nell'ottica della reincarnazione) porta proprio a liberarsi sempre più dai condizionamenti e a sviluppare, fino a manifestarla completamente, la libertà che è in lui. che è in ogni individuo. Ciò, ovviamente, in tempi enormemente lunghi.

Ma questa è la mia visione. "Mia" si fa per dire: diciamo quella che ho abbracciato dopo aver capito che, fra le tante visioni, questa è l'unica capace di dare un senso all'esistenza dell'uomo e dell'universo.
Citazione
Ma fra caso e ordine del divenire tertium non datur: o ciò che accade accade a casaccio, caoticamente, e ciò può implicare come suo caso particolare anche il libero arbitrio, oppure accade ordinatamente, deterministicamente (per lo meno in senso "debole" o "probabilistico–statistico": caso, imprevedibilità, incalcolabilità dei singoli eventi e ordine, prevedibilità, calcolabilità delle proporzioni fra i singoli eventi reciprocamente alternativi in insiemi sufficientemente numerosi di essi), e ciò è incompatibile con il libero arbitrio (in tutte e ciascuna le singola scelte nel caso del determinismo "forte", nelle proporzioni fra le singole scelte, cioé nel comportamento complessivo, in generale, nel caso del determinismo "debole", che lo ammette unicamente nella singola scelta: uno può compiere una singola scelta buona o cattiva a seconda che sia più o meno fortunato in quella determinata circostanza -irrilevanza etica, conseguenza e dimostrazione di circostanze fortuite- ma il complesso di tutte le sue scelte è determinato dal suo essere più o meno buono oppure malvagio: rilevanza etica, conseguenza e dimostrazione di qualità morali).
#3450
Citazione di: paul11 il 02 Giugno 2016, 13:56:09 PM
Ma proprio perchè il termine razionale ha acquisto una connotazione di verità costruita sulla forma del modello culturale scientifico sperimentale attraverso il ragionamento induttivo, si è scostato e separata nettamente tutto ciò che non lo comprende defininendolo nel suo contrario: irrazionale.
Questo utilizzo del termine razionale, che giudico improprio soprattutto nell' uso corrente, ha avuto nella contemporaneità alienato definitavamente l'uomo separando la parte induttiva da quella deduttiva, ma soprattutto separando psiche, emozioni, sentimenti, spirito dal materiale, dove quest'ultimo è il solo dimostrabile e oggetto di verificabilità e quindi veritiero.
Il fenomeno fisico è più importante del fenomeno uomo. Il primo dimostrabile il secondo carico di ambiguità nella sua indefinibile e sfuggente soggetività.

Ecco perchè ritengo che istinti e razionalità, oggi, dimostrino l'alienazione fra natura e cultura.
E adatto che è l'uomo che incarna in sè l'idea di mondo nel suo procedimento epistemologico, vale adire nel focus in cui la ragione si finalizza, se tralascia la sua stessa natura che ha prodotto quello stesso ragionamento, il  ragionamento entra in contraddizione costruendo e contribuendo alla sua stessa alienazione.
La contraddizione della natura è l'alienazione umana.
Citazione 
Quanto il razionalismo sia oggi "dominante" in Occidente e nel mondo in generale è molto discutibile (anche per il diverso modo nel quale i concetti di "razionalismo" e "razionalità" possono essere declinati).
 
Personalmente sono sempre stato anticonformista (sono istintivamente un Bastian contrario, anche se cerco di dominare razionalmente questa mia fondamentale tendenza comportamentale: ho sempre preferito il Verga al Manzoni, il "socialismo reale" -muro di Berlino compreso- alla pseudodemocrazia capitalistica, perfino i Rolling Stones ai Beatles, il provolone al parmigiano-reggiano, Max Biaggi a Valentino Rossi; e se fossi nato qualche anno prima credo proprio che avrei preferito Gino Bartali a Fausto Coppi).
Ritengo che il mondo in cui vivo debba essere profondamente cambiato, rivoluzionato.
Ma nel mondo in cui vivo trovo piuttosto dominante l' irrazionalismo che il razionalismo.
Credo che lo stesso scientismo:
a)   sia una forma di irrazionalismo;
b)  che non sia la peggiore né più diffusa oggi in Occidente e nel mondo (peggiori e più diffuse sono, secondo me, superstizioni, astrologie, "olismi", "spiritualità", "ermetismi", "esoterismi", religioni -per quanto alcune di queste ultime, soprattutto l' islamica, lo siano relativamente meno e siano comunque più degne di rispetto delle altre forme di irrazionalismo qui accennate- e così via).

Credo inoltre e soprattutto che razionalità e istintualità siano atteggiamenti non affatto reciprocamente escludentisi bensì complementari, e che il non rendersene conto (il pretendere di metterle in reciproca opposizione-esclusione) sia una manifestazione comunque di irrazionalismo, tanto da parte di chi (forse gli scientisti) vedono positivamente la prima e negativamente la seconda, quanto da parte di chi ("spiritualisti" e c.) vedono negativamente la prima e positivamente la seconda.
La razionalità è (dovrebbe essere quanto più possibile) per me la bussola per orientarsi nel campo del sapere (del "come", dei mezzi), l' istintualità quella per orientarsi nel campo del fare (del "perché", degli scopi).
E almeno in questa convinzione generale (non nell' applicarla criticamente allo "stato di cose presente") mi sembra che concordiamo (se non ti fraintendo).