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Messaggi - daniele22

#346
Tematiche Filosofiche / Re: Il linguaggio
14 Maggio 2024, 08:15:24 AM
Parliamo dunque. A me non interessa che uno possa credere che Dio abbia creato l'universo. Mi disturba invece assai che tale Dio ci abbia parlato, per tramite umano, comunicandoci la nostra storia e le sue leggi per noi; e mi disturba perché, a prescindere dal fatto che personalmente a me tale Dio non abbia mai detto nulla, non riterrei giusto il suo dire, anche se per certi aspetti lo sarebbe. ¿Dunque, qual è il problema allora, dato che tale problema è quello che mi fa parlare? Il problema sta innanzitutto nell'avere il problema. Questa faccenda viene spesso trascurata, ma è per certi aspetti fondamentale e la traduco in una precisa domanda: parlo perché voglio o perché devo? Sembrerebbe che io voglia, ma l'intenzione a parlare (agire parlando) può derivare anche da pulsioni non propriamente consapevoli e controllabili; quello che invece sarebbe certo è che dietro a questi due verbi ausiliari si celano almeno due diverse tipologie di intenzione: quella del gioco e quella della necessità.
Detto questo insisto sul tema naturale/artificiale. Se ciò che noi chiamiamo vivente esiste nel nostro pianeta nelle forme che vediamo, tutto ciò dovrebbe esistere in virtù del fatto che la terra, piuttosto che la luna, venere o marte, consente questa possibilità ... insomma, almeno una parte dell'universo ci consente di vivere, a noi e a tutto quello che si fa. Dedurre da questo status in cui ci si trova la possibilità di svincolarci dalle leggi naturali, le quali di fatto ci includono, mi sembra un fantasioso azzardo.
Ho così esposto stringatamente, dato pure che ne ho già parlato abbastanza, quel che penso del valore di una differenza sostanziale tra naturale e artificiale. Ribaltando ora il punto di vista sul tema naturale e artificiale e partendo dall'individuo che vive anziché dall'universo che ci consente di vivere mi riferirò al concetto di "bene comune" proponendo l'esordio di un potenziale dialogo:
Ciao, come va?
Abbastanza bene grazie, e tu?
Beh insomma, non proprio bene, ma si tira avanti.
Deducendo un pur vago concetto di bene da quel banale incontrarsi tra due persone si potrebbe anche vedere il "bene comune", quasi in antitesi con il "bene supremo", come una formula più semplice che evidenzia un tacito e semplice auspicio a volersi (o doversi) affrancare dalla sofferenza, dal dolore. "Bene" inteso quindi come distanza dal male.
Bene, dirò che se io non fossi sofferente di qualcosa (necessità) non mi perderei certo a dialogare di problemi antropo-filosofici. Il nostro linguaggio e i nostri comportamenti sarebbero naturali perché non si sarebbero mai smarcati, nonostante la produzione di artifici come l'intelligenza artificiale, da questo bisogno dell'individuo di schivare tutto ciò che potenzialmente può provocare il suo male, bisogno che si manifesta anche in una forma di dipendenza nei confronti della nostra tecnologia; al punto che sarebbe lecito supporre che le macchine ci modificano allo stesso modo che l'eroina modifica colui che ne resta agganciato quando non sia in grado di permettersi economicamente il suo vizio. Dipendenza tecnologica che però si esplica, almeno nel caso umano, tanto come attrazione quanto come repulsione nei confronti del prodotto tecnologico. Per inciso, tale condizione di "sudditanza" varrebbe pure per tutti i viventi, essendo che per vivere costoro abbisognano di tecniche di vita. In realtà, più che "essenti", i viventi sarebbero "conoscenti". Purtroppo però sembra che questi individui, umani compresi, non riescano a criticare i propri artifici abboccando invece all'immediata utilità di questi senza poter rendersi conto di possibili ritorsioni verso sé stessi o verso le eventuali società in cui vivono. E qualora un bel giorno se ne rendessero conto, l'abitudine radicata sarebbe di difficile gestione, pure se possibile con una buona motivazione e sforzo.
Per questo motivo i nostri discorsi, non intendo solo qui nel forum, almeno nei temi che possano avere rilevanza etica, sarebbero innanzitutto politici, dato che sottinderebbero comunque un'etica e un senso di giustizia che sarebbe a mio vedere in primo luogo confezionato su misura per sé stessi.
Parlare dunque di artificiale non sapendo bene su quale base abbia senso parlarne, significherebbe oggigiorno lasciare etica e giustizia tra le mani di un selvaggio arbitrio da saloon che ci offre quel che si vede, ovvero l'arbitrio dei professionisti, in particolare, di lobbisti, politici, giornalisti, capitalisti e infine dell'elite accademica. E state sicuri che il loro arbitrare include senz'ombra di dubbio un conflitto di interessi, essendo appunto professionisti. Chiaro sarebbe, da un punto di vista personale, cioè dal punto di vista di un "contemplativo", di uno abbastanza disinteressato allo sviluppo tecnologico, scienza medica a parte, chiaro sarebbe appunto che io prendo quello che passa il convento, ma voi che tanto decantate l'intelligenza umana sostenendo pure che di meglio non si può fare, non venite a raccontarmi che tutto quello che mi circonda sia frutto di una ragione che funziona bene, essendo per me solo il frutto di prepotenza linguistica (vedi l'arte di ottenere ragione).
Concludendo, torno all'arcaica società sul tema specifico della lingua citando quanto già detto in tema di linguaggio ancora il mese scorso:
"Se si vuole parlare di tecnica delle parole bisognerebbe distinguere le due classi di sostantivi che agiscono nella nostra lingua: quelli che possiedono un referente "là fuori ", la struttura, e quelli la cui referenza si riferisce all'esistenza della prima classe di sostantivi, la sovrastruttura".
Per quanto citato, sosterrei quindi l'idea del naturale superporsi delle conoscenze, tanto per la materia quanto per i sostantivi indotti. Cioè, l'invenzione di un martello o di un bulino, tanto per dire, e la tecnica per farli, avrebbe decretato prima o poi pure l'esistenza di fabbri e/o forgiatori di lame, i quali però non corrispondevano certo con gli inventori di tali arnesi; così come non avrebbero corrisposto, tempo passando, con coloro che tali arnesi avrebbero usati. Questo per dire che l'esistenza del fabbro si fonda sull'esistenza del martello, la quale si fonda sull'esistenza del suo inventore; l'esistenza dell'opera di quest'ultimo si deve ancora al fondarsi da parte dell'inventore sull'esistenza di cose che in modo casuale (casualità da intendersi come possibile realizzazione di un segnale dall'ambiente) gli suggerirono la costruzione di tale artefatto per un fine a lui idoneo
#347
Tematiche Filosofiche / Re: Il linguaggio
09 Maggio 2024, 08:14:06 AM
Il monolite rappresenta un'astrazione metafisica sicuramente poco concreta e di cui non vi sarebbe alcun bisogno per spiegare l'essere umano. Altro espediente metafisico poco concreto sarebbe l'artificiosità umana come prova di una serpeggiante e balorda idea che l'essere umano sia svincolato dalle leggi che la natura ci impone. ¿Ma si può vivere ancora in un mondo fatto a tal guisa? Evidentemente sì.
I nidi di rondine, i formicai, le dighe dei castori, l'uccello che mette le noci sull'asfalto al semaforo e attende che le auto le schiacci passandovi sopra sarebbero evidentemente tutti artifici. La nostra eccedenza nell'artificio quindi deriverebbe a mio vedere da tutte le conoscenze accidentali in cui siamo incappati da quando coltivammo la dedizione alla cultura del fuoco ¿e parliamo di un culto databile a quando? Sicuramente a ben prima della comparsa di homo sapiens, l'uomo che funziona benissimo, ma che ancora non ha imparato come ci si debba comportare con gli altri suoi simili e senza parlare di come tratta le altre forme della natura. Naturalmente, stando a quel che dice, lui ama il quieto vivere, non ama la guerra e sbandiera ad alta voce desiderio di pace e giustizia, ma se fa la guerra è solo perché esistono i cattivi, per Diana! Ci vuole tanto a capirlo? Noi siamo liberi di scegliere e chi si comporta male lo fa solo per sua libera scelta! Aaaah! povera umanità sofferente.
In ogni caso, le evidenze più antiche di scrittura datano più o meno la sua comparsa a seimila anni fa. Ben più datate sarebbero invece le incisioni rupestri, le quali, se non sono proprio da considerarsi canonicamente "scrittura", quantomeno possono giustificare la successiva emersione di almeno una varietà di scrittura, quella ideografica; per le altre è solo una questione di possibilità naturalmente differenti (da intendersi come participio del verbo differire).
Quel che infine rilevo è solo un disinteresse malcelato sul tema in oggetto che si manifesta malcelato nella evidente pochezza di osservazioni, tutte di bassa lega a mio vedere, ma non certo per mancanza di intelligenza
#348
Tematiche Filosofiche / Re: Il linguaggio
08 Maggio 2024, 20:26:38 PM
Citazione di: Ipazia il 03 Maggio 2024, 12:17:02 PMIl linguaggio umano acquista carattere artificiale quando si stabiliscono le convenzioni sui fonemi e, successivamente, grafemi correlati. Probabilmente anche gli animali superiori elaborano fonemi che si trasmettono per via orale, ma in forma legata al decorso naturale del vivere, senza il salto verso artifici che demarcano il confine tra linguaggio naturale e artificiale.

Una volta scoperto il trucco, l'artificiale si evolve motu proprio, passando per la matematica, fino ai linguaggi di programmazione delle macchine.
Secondo me ha senso parlare di artificiale solo tenendo fermo il fatto che non vi sia sostanziale differenza tra naturale e artificiale; intendi con questo che a mio vedere si sarebbe assestata una distorsione (artifici mentali tipici della nostra specie tanto per capirci) in seno a quello che noi usualmente intendiamo come naturale. Se io do quindi un valore di distorsione (distorsione da intendersi cioè come manifestazione possibile nell'ambito del naturale) ad un nostro artificio mentale nel mentre che tu lo vedi come una separazione dal naturale, queste due diverse visioni si concreterebbero in un'altrettanta diversa visione sulla concezione che si abbia del potere e come immediata conseguenza, della giustizia. Queste nostre due diverse visioni comunque (la consapevolezza di cui sono portatrici) convergono nel denunciare entrambe,  seppure con argomenti differenti, il degrado etico/morale della nostra società, e non è poco. Detto questo, e dato che già un paio di volte ti sei richiamata a "2001 odissea nello spazio", ti ricordo, visto pure che in merito al film già espressi un parere negativo sul come fossero andate le cose, ti ricordo appunto che l'illuminazione scimmiesca è giunta dopo lo stupore di fronte al monolite. Se volessimo seguire quindi tale narrazione si dovrebbe meditare sulla sequenza temporale dei fatti.
.
Posso anche essere d'accordo che, nell'ambito ristretto di una lingua ed escludendo il significato di un termine si possa parlare di convenzioni tra fonema e grafema (corrispondenza tra parlato e scritto), ma, scrutando l'arcaico, nell'immanenza del "qui e ora" non vi sarebbe alcuna necessità di una convenzione sul significato, o meglio, sul senso di un significante. Per come la penso, coerentemente con quanto già detto, il senso di un significante (sia esso suono o gesto visibile), e questo valga per un essere umano quanto per una scimmia o altri, si coglierebbe al volo (verrebbe accettato) proprio per la presenza di una indiscussa significatività di un dato evento in un dato gruppo (inconsapevole coscienza di gruppo). Se c'è convenzione si tratterebbe quindi, più che di convenzione, di un semplice atto implicato dal sapere che anche il tuo simile comprende la stessa cosa che tu comprendi. Ma questa situazione è ben distante da altra in cui intervenga una esplicita convenzione tra significante e significato, a mio vedere difficilmente sostenibile.
Per come la penso quindi, la via da seguire per dare una narrazione più credibile (rispetto ad altre) della formazione del nostro linguaggio sarebbe quella in cui si percorre la legge stabilita naturalmente in cui ogni conoscenza si superpone in modo naturale ad altra conoscenza inglobandola, legge che dovrebbe dare conto di come si sia giunti a sapere (conoscere) di disporre di una lingua, e che dovrebbe dare conto pure della naturale distorsione di cui ho parlato nella prima parte dell'intervento sulla concezione del potere con annessa la giustizia. Infine, il punto critico di cui parli, "una volta scoperto il trucco", il quale darebbe il via all'artificiale, corrisponderebbe per me a quando conoscemmo che esisteva l'azione del parlare, sempre in modo naturale. La distorsione accadde successivamente, e non penso sia stata l'idea di Dio a provocarla, certo la consolidò
#349
Citazione di: coscientropia il 06 Maggio 2024, 22:50:55 PMla neuroscienza non ha già dimostrato che il libero arbitrio non esiste?
Ma va? Io ero rimasto a una trentina d'anni fa dove la negazione del libero arbitrio era ancora una plausibile ipotesi di lavoro. Se fosse come tu dici tanto meglio. Ciao 
#350
Citazione di: iano il 06 Maggio 2024, 19:33:21 PMMa, se il libero arbitrio non esiste, cosa distingue la materia dagli esseri viventi?
Gli esseri viventi risponderebbero comunque deterministicamente a cause presenti e a cause passate registrate in memoria, il che renderebbe di fatto impossibile dimostrare un comportamento deterministico, che si può quindi solo  assumere, ma non desumere.
La stessa sensazione di libertà sarebbe da considerare una causa che interviene a determinare la scelta?
Parliamo di determinismo in quanto lo deduciamo dai fatti, tuttavia in un mondo ancora del tutto determinismo non è scontato che il determinismo lo si possa desumere.
Lo si può desumere solo se le cause sono prevalentemente locali, come effettivamente avviene nel nostro mondo.
il libero arbitrio non lo si può desumere dai fatti in quanto le sue cause non sono esclusivamente locali, ma fra tutte le sue possibili cause c'è n'è una che fà eccezione, perchè sempre determinabile e sempre presente, ed è la sensazione di libero arbitrio.
La sensazione di libero arbitrio sarebbe cioè una causa che fa eccezione rispetto a tutte quelle possibili, che possono essere presenti e/o determinabili oppure no.
Le leggi della fisica sono prevalentemente locali, dove per locale non mi limito ad intendere, come da tradizione, che le forze si trasmettono per contatto, ma che si trasmettano anche per non contatto, ma entro uno spazio comunque limitato.
In tal senso allargato la forza di gravità agisce localmente in quanto possiamo trascurare l'influenza di corpi distanti.
Ciò perchè essa è proporzionale all'inverso del quadrato della distanza.
Se fosse invece proporzionale alla distanza, e se tutte le leggi della fisica fossero di tal fatta, non riusciremmo a desumere il determinismo, e difficilmente riusciremmo a conoscere le leggi della fisica.
Similmente in un mondo completamente deterministico non potremo mai conoscere le leggi cui sottostanno gli esseri viventi.
La sensazione di libero arbitrio potrebbe giustificarsi in tale mondo solo come la costante cognizione di tale ignoranza.
Ma questa consapevolezza di ignoranza in che modo interverrebbe come causa?
Infatti che questa cognizione vi sia o non vi sia non si riesce immaginare che differenza possa fare.
In un mondo perfettamente e completamente deterministico come si può giustificare una non causa, che però è presente immancabilmente e senza eccezioni a caratterizzare una sua parte, quella che contiene gli esseri viventi?


 
Risposta alla prima domanda: direi in nulla per quello che riguarda il fatto che il comportamento di materia ed esseri viventi sia assoggettato a varie cause, anche interne, cosa abbastanza banale del resto. Questa presa d'atto, quella di essere determinati, sarebbe non dimostrabile, ma a onor del vero, linguisticamente, vi sarebbe sicuramente una contraddizione nel dar per buono il concetto di libero arbitrio. Come già dissi si può far finta che le parole valgano poco, ¿ma allora perché diamo tanta importanza alla correttezza nell'uso dei termini?
Risposta alla seconda domanda: i martiri in nome di un ideale ne sarebbero un indizio ben concreto, ma pure gli assassini in nome di un ideale. Come già dissi in passato se si è colti da una sensazione, qualora se ne volesse dare una spiegazione in termini razionali condivisibili, bisognerebbe sforzarsi ad individuare correttamente pure le cause che danno origine a quella sensazione; e questo, mi sembra, sarebbe ciò che fa la scienza. Se ci si attesta nel limbo della sensazione si resta nell'ambito della fede e in teoria si dovrebbe agire conseguentemente; in pratica mi sembra che a volte si soprassieda, e meno male che è così ... in fondo non siamo scemi del tutto, sembra che ci sia qualcosa che ci salva.
Risposta alla quarta domanda (terza saltata): beh, una causa o esiste o non esiste. La nostra ignoranza della quale parli come non-causa forse potrebbe essere vista come una preoccupazione psichica (causa) della quale non tutti sono partecipi in egual misura, come quella del sapere di dover morire del resto
#351
Tematiche Filosofiche / Re: Il linguaggio
07 Maggio 2024, 11:21:12 AM
Citazione di: iano il 07 Maggio 2024, 09:58:52 AMSi fa in modo diverso quello che si è sempre fatto, come dicevo nei miei precedenti post, perchè la coscienza e il conseguente linguaggio non portano con se necessariamente un valore.
Se poi vogliamo trattenere ad ogni costo un briciolo di ingiustificato ottimismo, l'inganno è quantomeno un modo non cruento di prevaricare. Inoltre può essere usato anche in chiave difensiva, facendo credere di essere più deboli di quel che si è, per generare l'effetto sorpresa.
Ma, comunque stiano le cose non bisognerebbe mai esimersi dallo sforzo di identificarsi con l'altro, perchè considerarsi alterità può essere autoconsolatorio, ma ci porta fuori strada.
Infine se qualcuno avesse dubbi sulla natura umana, compresa la propria, consiglio il seguente esperimento a scopo conoscitivo.
Quando vi trovate in un contesto nuovo fingetevi un debole. Scoprirete allora quanto siano feroci predatori anche i soggetti più impensabili.
Scoprirete anche rare eccezioni a questa regola, e dietro queste eccezioni scoprirete interessanti storie che sono state capaci di generarle, non essendo eccezioni di natura.
Peccato che quelle storie non siano in se desiderabili, come guerre o storie di resistenza partigiana.
Non c'è un altro modo meno sfigato di innescare queste eccezioni? :)



Non capisco proprio il senso del tuo post che nulla c'entra col filo della discussione e che tra l'altro si rivolgeva a Jacopus. In ogni caso, a proposito di monologo che si presenta sotto le mentite spoglie del dialogo penso di avere già dato adeguata risposta ad un analogo tuo intervento, al quale non hai più controbattuto; quello contrassegnato dal mio post numero 477 del 22 marzo scorso sul tema "credete nel libero arbitrio". Lì infatti parlavi negli stessi termini di "sensazione" e del fare che non necessita della conoscenza, o comprensione, o coscienza. Se vuoi puoi rileggerlo con calma e continuare ancora a far girare il tuo disco rotto, ma per certo non ti risponderò più.
Comunque, in merito al tuo intervento contrassegnato 112, a meno che col termine coscienza tu intenda qualcosa che ha a che fare con la morale, che poco c'entrerebbe, quella che dici sarebbe una balordaggine bella e buona. Ciò che si fa prima ancora di sapere contribuirebbe alla conoscenza solo perché si appoggia ad una conoscenza anteriore.
Da ultimo, ingannare le persone richiama il concetto che si ha di giustizia e l'inganno non mi sembra proprio un modo incruento di porsi, anzi, potrebbe avere conseguenze drammatiche ... Ah, scordavo, a suo tempo avevi detto che non ti interessi di politica e si vede dato che giudichi Andreotti un maestro dell'inganno a fin di bene. Saluti
#352
Tematiche Filosofiche / Re: Il linguaggio
07 Maggio 2024, 09:01:43 AM
Citazione di: Jacopus il 02 Maggio 2024, 22:53:04 PMQuello che scrivi Daniele mi sembra particolarmente importante. È la nostra capacità riflessiva su noi e sul mondo a renderci differenti (parzialmente) dalle altre specie " ad alto funzionamento" (neologismo). Non escludo che lo stesso linguaggio, giunto a certi livelli di raffinatezza, astrattezza e simbolizzazione possa essere il volano (o uno dei volani) per incrementare quella autiriflessività tipicamente umana.
Grazie per l'importanza attribuita al mio dire, ma questa dipende dalle conclusioni che si traggono. Se lo scimpanzé riesce ad ingannare un suo simile vien da dire che è già autoriflessivo abbastanza. Lo mettiamo in galera o ci complimentiamo con lui? In galera non sarò certo io a metterlo. Insisto quindi nel sostenere che quel che presumibilmente noi avremmo di diverso da altri scimmioni, si darebbe solo nel sapere fin da giovani che un giorno dovremo morire e nel conoscere che facciamo uso di una lingua, e "L'arte di ottenere ragione" di Schopenhauer, seppur datato, costituirebbe senz'altro un buon manuale per l'uso che della lingua si voglia fare. Si tratterebbe infine, per quel che ci riguarda e fatta parte l'episteme in uso, di un incremento dei modi dell'inganno. Mi spiace per te che la pensi diversamente, o almeno così mi sembra ... in ogni caso, funzionare bene non è sinonimo di saper comportarsi bene
#353
Visti pure gli esiti delle nostre discussioni e per quanto detto da iano riterrei velleitario dire o poter dimostrare che siamo in possesso della descrizione vera e completa della realtà. A beneficio dei sostenitori del libero arbitrio concedo che, per futili motivi, a volte capita di non avere chiara nozione del motivo per cui si metta in atto una determinata scelta. Detto questo, assecondando logica e ragione avrebbe senso parlare di libertà di scelta quando una libertà si concede, proprio come accade quando qualcuno ti dice "puoi scegliere tra questo, quello o quell'altro"; nulla di più, considerando inoltre che la scelta, all'interno della concessione, sarebbe comunque condizionata. Per estensione quindi, una libertà verrebbe concessa da qualcosa che in qualche misura possiede autorità su di noi. Non penso però che tale processo possa trasferirsi spensieratamente ad un'autoconcessione, ovvero "io sono libero di scegliere". Un sintomo di tale forzatura sarebbe già evidente nell'espressione "libero arbitrio". Infatti, a meno di stravolgerne il significato, si noti che l'aggettivo "libero" associato al verbo arbitrare, scegliere, decidere, ineluttabilmente casca in contraddizione nella realtà dell'agire, essendo che a rigore di logica la scelta sarebbe condizionata dal motivo che ci fa scartare una cosa o un'azione a favore di quella che di fatto viene eletta. Si può certamente far spallucce di questa speculazione logico razionale, ma allora cadremmo certamente nei campi della fede, del dogma, e non della ragione.
Athena aveva detto: "Mi chiedo da un po' se il libero arbitrio sia sempre e comunque esercitabile anche in condizioni-limite ed estreme". La mia opinione, anche per esperienze personali che non racconterò (autogiudizio: nulla di raccapricciante o inaccettabile comunque), mi suggerisce che nel "qui e ora" anche il comandante Schettino o il "Lord Jim" di memoria conradiana forse si aspettavano da sé stessi che avrebbero "scelto liberamente" un'azione più onorevole di quella che di fatto misero in atto. Sempre con riferimento alle parole di Athena sui condizionamenti vi propongo questi tre minuti con Gramellini e Cacciari:
In tema di libera scelta quindi, ciò su cui il professor Cacciari tace, forse perché non avrebbe avuto molto senso farlo all'interno della trasmissione, ma vai a sapere, sarebbe che anche i cosiddetti "condizionatori" sarebbero condizionati, piaccia o no; l'unica differenza, non di poco conto, sarebbe che costoro gestiscono il potere.
Mi chiedo dunque a cosa servirebbe tale fede nel libero arbitrio, giacché di fede si tratterebbe. Senza dubbio, a prescindere dalle intenzioni, essa genera di fatto una classe di giusti, gli obbedienti alle regole (non parlo ovviamente solo di quelle scritte), a discapito degli ingiusti, i disobbedienti alle regole; nel porsi così si dimentica comunque che la civiltà evolve attraverso il mutamento delle regole, ma chissà come e chissà perché la regola madre non vuole mutare. Ovvio dico io, sarebbe quella che tiene in piedi tutto il nostro castello di forzature della ragione. Ora, se questo aspetto, giusti e ingiusti, viene superato dai vari tribunali ecclesiastici (assoluzione in confessionale compresa) lasciando semmai streghe, eretici ed altri contravventori alla disamina del braccio secolare della giustizia, la civiltà "laica" si serve ancora di questo illecito stratagemma che ancora di fatto tiene in piedi il mito dell'intelligenza (se volete posso spiegare il nesso), il quale pretenderebbe quasi un primato dell'intelligenza su questioni di ordine etico/morale. Tale escamotage però, come ventilato un paio di mesetti orsono sempre in questo topic, contribuirebbe all'emersione di una "malattia mentale" dovuta al conflitto interiore non razionalizzato che si paleserebbe stigmatizzando l'assolutismo pensando erroneamente di essere relativisti. A mio giudizio però, direi che buona parte, non tutti intendo e lo sottolineo, di questi assolutisti inconsapevoli lo sarebbero solo nel pensiero e non nel proprio comportamento quotidiano con amici e/o nemici, e da questa contraddizione appunto la potenziale emersione di una malattia (non sono uno psicologo comunque).
Rispondendo infine al quesito posto da Koba II, il libero arbitrio corrisponderebbe per me a un dogma mentre il determinismo non dovrebbe descriversi come semplice "meccanicismo" associato a una predittività che di fatto non mi risulterebbe formulabile se non con una legge di natura probabilistica; una probabilità dovuta ad un certo grado di ignoranza delle cause che di volta in volta possono concorrere alle scelte di un individuo, per le quali sarebbe inoltre incalcolabile la forza in virtù della variabilità di potenza con cui queste possono agire nell'individuo di minuto in minuto o di giorno in giorno ... infine, a giustificare quanto detto, sarebbe facilmente riscontrabile da ciascuno di noi che lungo la nostra quotidianità individuale non daremmo sempre risposte uguali per un medesimo evento che imponga una scelta
#354
Tematiche Filosofiche / Re: Il linguaggio
02 Maggio 2024, 08:10:49 AM
Citazione di: Il_Dubbio il 01 Maggio 2024, 10:11:56 AMil termine linguaggio, come democraticamente abbiamo discusso qua, non è sinonimo di comunicazione. Quindi non basta che due enti comunichino tra loro per parlare di linguaggio. Certamente c'è il tentativo di comunicare qualcosa, ma non basta. Per parlare di linguaggio avremmo bisogno di un soggetto che consapevolmente stia utilizzando un mezzo di comunicazione. Potrebbe anche essere un segnale di fumo, oppure un fischio o qualsiasi cosa che produca un segnale codificabile da un altro ente destinatario della comunicazione.
In altri termini il linguaggio è un mezzo in mano ad una mente che consapevolmente lo utilizza per comunicare attraverso dei segnali piu o meno complessi.
Tendo a pensare che il linguaggio corrisponda ad una accentuazione del comportamento.
Non ho mai espresso una sinonimia tra linguaggio e comunicazione e sono comunque d'accordo su quello che dici dopo. Per chiarire meglio il mio precedente intervento volevo dire che se si riscontra che uno scimpanzé (non dico necessariamente tutti gli scimpanzé) sia in grado di ingannare per propri scopi un suo simile e se ho parlato di "simulazione" di un messaggio intenderei quindi che la simulazione sarebbe un indizio concreto del fatto che un individuo possa essere consapevole dell'uso che sta facendo del suo messaggio comunicativo, vero o ingannevole che sia; ovvero che un individuo sia consapevole di voler comunicare qualcosa. Senza tale contrasto, dal punto di vista dello studente umano, sarebbe difficile stabilire se un animale sia consapevole di quello che "dice". In sintesi penso infine che la differenza che vi è tra la complessità di linguaggio che pertiene agli scimpanzé e agli umani consista del fatto che loro sarebbero consapevoli dei messaggi che mandano, mentre noi, oltre a questa consapevolezza saremmo pure consapevoli che questi messaggi sono inscritti in un linguaggio; noi cioè sappiamo, conosciamo, di usare una lingua e loro no. Questo, come dici, ci permetterebbe ad esempio di trasformare il nostro sistema alfabetico di 26 caratteri in un sistema binario come l'alfabeto Morse




#355
Citazione di: coscientropia il 30 Aprile 2024, 18:25:57 PMCiao, sono circa una ottomiliardesima parte del nostro Ente: Coscienza. In pratica penso di essere una goccia di pioggia come tante altre, non ho una particolare qualità che mi cotraddistingua, come tutte subisco la gravità del nostro tempo, guardo le mie compagne di viaggio intorno a me, sono circondata da gocce che ridono altre che si disperano, altre ancora cercano di frenare la caduta, molte seguono il vento che tira, alcune mi guardano con occhi vuoti come cristalli di ghiaccio in cui mi rifletto ma non mi riconosco.
Guardo in basso, molte acquisiscono esperienza di contatto con tetti di ardesia, alcune fortunate baciano occhi di cerbiatto ma nessuna sembra rimanere parte di ciò che tocca, tutte scivoliamo via verso il mare.
Mi presento: sono un ricercatore dell'origine della consapevolezza del Sé e ludicamente provengo da quella gabbia di matti di Typee che la legge Basaglia del 1978 ha infine raggiunto chiudendola per sempre.
Magari tra di voi è giunto qualche migrante di suddetta provenienza, visto che avete anche un angolo dei racconti.
Leggendovi, ritrovo le stesse problematiche che ho lasciato in altri siti di approfondimento, ogni mondo è paese e a quanto pare ognuno di noi, volente o nolente, fa parte di qualche "Comunità di Recupero del Tempo Perduto".
Se vi divertirete a interagire con me vi illustrerò passo passo i motivi della ricerca battezzata Coscientropia, il cui significato è legato all'entropia dell'informazione, non al secondo principio della termodinamica, se per caso qualcuno che mi legge se lo stesse chiedendo.
Un abbraccio
Ciao, piacere di conoscerti. Molto bella l'immagine della pioggia che condivido senz'altro. Io invece sono uno che ha ricercato chi fossi. Per curiosità sulla gabbia di matti, e perdona una mia motivata indiscrezione ¿saresti uno scampato ai manicomi? Ti chiedo questo perché penso di avere vissuto, o anche di vivere ad oggi, quello stato mentale che contraddistingue i cosiddetti matti comportamentalmente sani. Mi fa piacere che tu sia un fisico, peccato che io non abbia molta competenza in materia. Tanto comunque per interagire senza arte né parte ti chiedo? Vorresti dire che, essendo l'ottomiliardesima parte di un ente, corrisponderei a quella specifica quantità di frantumazione dell'informazione contenuta nell'ente e che questa non giungerà comunque a zero, così come del resto non giungerebbe a zero la sottoinformazione di cui noi saremmo comunque portatori?
Detto questo e dato il titolo del tema, non essendo di fatto delle gocce d'acqua, penso che una teoria sia utile quando possa fornirci una nuova luce sul nostro modello comportamentale che, visto l'andazzo, non mi sembra godere di grande salute. Un saluto
#356
Tematiche Filosofiche / Re: Il linguaggio
01 Maggio 2024, 09:29:47 AM
Sempre su sollecitazione da parte di Dubbio:
Noi intendiamo "linguaggio" la lingua umana, ma questo nulla toglie al fatto che altre specie comunichino tra loro. Penso che un cane di fronte a un altro cane che inizia a ringhiare realizzi senz'altro un segnale ¿ma il ringhiare di un cane potrebbe essere simulato? Non ne sono certo, ma mi verrebbe da dire di no. Cosa che non si potrebbe dire per uno scimpanzé. Allora direi che il linguaggio dello scimpanzé è prossimo alla lingua umana. ¿Ma lo scimpanzé che riesce a simulare un segnale si rende conto che la sua simulazione corrisponde a un parlare? Sarebbe cioè consapevole di usare una lingua? Non ne sono certo, ma mi verrebbe ancora da dire di no
#357
Tematiche Filosofiche / Re: A Caccia...ri trita
29 Aprile 2024, 09:19:34 AM
Autocitazione:
"Qui si entra nei terreni del solipsismo andando innanzitutto a rilevare che Heidegger sulla scia di Hegel si è inventato "l'esserci" tirando fuori di fatto dall'indagine sul reale "l'essere dell'individuo" e qui compie l'errore, il quale si manifesta eclatante tanto in questo forum, quanto nelle piazzole degli autogrill in autostrada dove, oltre a Re-Enzi, c'è chi ancora appronta (intendi riesce ad approntare impunemente) tavoli di gioco clandestini per il gioco delle tre carte. E non parliamo di altri luoghi, non ce n'è proprio bisogno. Mica sono scemo!! ......[omissis]............ Mi son reso conto che la personalità, in combutta con l'io che ne modula l'onestà o la disonestà governa il mondo intero. E io dovrei tenere fuori dalla disamina del mondo in cui vivo il problema di come e quanto il conoscitore possa influenzare i campi di indagine del conosciuto? In tutta sincerità mi sembrerebbe una cosa da fuori di testa. L'ho già detto, il metodo scientifico funziona, ma ci è dato di sapere chi c'è dietro i selezionatori delle ricerche che sono da farsi o non farsi?"
Non posso pertanto che essere d'accordo col pensiero di Cacciari riportato in questa breve intervista. E ancor più sono d'accordo, ricordando quando introdussi il concetto di "dogmatismo negativo" poi corretto in "dogmatismo invisibile", quando il professore dice: "Se viene meno questo atteggiamento radicalmente antidogmatico è chiaro che viene meno l'anima stessa della nostra filosofia, viene meno la capacità di criticare l'ordine scientifico dei saperi, ma anche quello politico in cui si vive".
Non mi è noto se nel suo testo venga dipinto in qualche modo ciò che sarebbe inquantificabile, ma quando in biblioteca troverò il suo libro svincolato dal prestito penso che gli darò senz'altro un'occhiata
#358
Tematiche Filosofiche / Re: Il linguaggio
29 Aprile 2024, 08:14:24 AM
Dato che Dubbio mi chiese cosa intendessi col termine "significante":
Significante: In linguistica, l'immagine acustica o visiva, ossia l'elemento formale, la "faccia esterna" del segno (quella interna è il significato).
Dopodiché sempre Dubbio mi chiese se potessi spiegare meglio questa seguente mia affermazione:
"Tutto ciò che accade nel mondo può considerarsi potenzialmente linguaggio per un eventuale osservatore. Il manifestarsi del dialogo apparterrebbe quindi alla sfera delle possibilità che il monologo del mondo offre agli eventuali osservatori interessati. Cioè, al fine di inquadrare l'emersione di ipotetici dialoghi intraspecie (errore corretto: avevo scritto interspecie) molto inciderebbe quanto sia pregnante l'attenzione che un ente appartenente a quella determinata specie dedica ai gesti dei propri simili."
Detto diversamente e togliendo dal discorso reazioni chimiche o esplosioni di stelle, tutti sanno a grandi spanne cosa sia una lingua. Molto schematicamente, a mio giudizio vi sarebbero dei passaggi fondamentali per cui una lingua possa costituirsi. Premesso che un segnale non esiste di per se stesso come segnale, ma in virtù del fatto che un individuo lo ritenga tale, perché possa realizzarsi una lingua il primo passo consisterebbe, da parte di una popolazione di individui, nel riconoscerlo come tale (il segnale). Il secondo passaggio consisterebbe del fatto che gli individui si accorgano che gli appartenenti al gruppo producono uno specifico comportamento in relazione al segnale. Il terzo e definitivo passaggio è che ciascun individuo si accorga di sé stesso, ovvero che quando lui produce quel comportamento specifico in concomitanza del segnale gli altri reagiscono a tale emissione allo stesso modo. In questo sistema si produrrebbe quindi un segnale intraspecifico e codificato connesso al segnale proveniente dal mondo esterno al gruppo; si verrà cioè a creare un coacervo di razionalità collettiva, ovvero condivisa.
Tutto ciò corrisponde infine alla mia visione di come un qualsiasi linguaggio possa strutturarsi. Tale visione ovviamente si oppone a quella che considera la lingua come frutto di convenzioni tra significante e significato a cura degli individui appartenenti a quella specie, visione a mio giudizio fantasiosa. Degno di nota sarebbe che il portatore del segnale si attesta certamente come immagine di un segnale, ma si affermerebbe nella vita del gruppo esclusivamente per la significatività dell'azione di cui sarebbe portatore. Per noi umani il fuoco fu galeotto
#359
Citazione di: Athena il 24 Aprile 2024, 12:32:59 PMBuongiorno a tutti e piacere di conoscervi. Avrei voluto aprire un nuovo topic sul libero arbitrio ma ho notato che c'è già. Purtroppo non ho ancora avuto modo e tempo di leggere con calma gli interventi, lo farò quanto prima.
Mi chiedo da un po' se il libero arbitrio sia sempre e comunque esercitabile anche in condizioni-limite ad estreme. Mi riferisco al nascere, ad esempio, in un contesto che mina profondamente l'integrità, il senso di identità, l'autonomia decisionale, il pensiero critico e la volontà. Per esser più specifica, un luogo dove la propria mente è bombardata costantemente da informazioni incoerenti provenienti da più persone che producono, come effetto fisiologico di difesa, un suo congelamento. Se per strutturare la realtà bisogna affidarsi a propri schemi interni di riferimento quando questi vengono indeboliti e/o distorti, con assiduità, si viene a determinare una radicale e totale impotenza. Il nostro sistema di credenze ci permette di interpretare le informazioni, prendere decisioni e agire secondo ciò in cui crediamo. La privazione alla base (dalla nascita) della capacità di pensare, parlare ed agire secondo la propria volontà toglierebbe qualsiasi margine di manovra ed eliminerebbe del tutto il libero arbitrio. Voi che ne pensate? Dove non c'è possibilità di azione non potrebbe neanche esserci reazione quindi, in questo caso, non si può parlare di scelta soggettiva, di variabili individuali ma di posizione di incastro.

Se ci sei ancora, benvenuta nel forum. Penso che il libero arbitrio sia una nostra fantasia, ma non ne sono certo. Sarebbe un falso problema a mio vedere, ma se uno ci crede troppo, ad avere facoltà di libera scelta intendo, si trasformerebbe in un problema. Comunque sono d'accordo sul modo in cui poni la questione. Un saluto
#360
Tematiche Filosofiche / Re: Il linguaggio
24 Aprile 2024, 11:46:12 AM
Citazione di: Il_Dubbio il 22 Aprile 2024, 17:43:22 PMNon è facile correggersi, ma non è nemmeno difficile accorgersi di non essere stati chiari. A me, anche nel periodo scolastico, lo dicevano anche gli insegnanti. Oggi cerco di starci piu attento.
Poi scrivere tanto aiuta, soprattutto se c'è qualcuno che lo legge e magari ti risponde.
Per quanto riguarda l'opinione che uno può avere e il motivo per cui si tenta di conservarlo e di difenderlo, dipende dal grado di conoscenza che si ritiene avere su quel tipo di opinione. Per questo il dialogo è uno sforzo verso la conoscenza dell'altro. Si metteno a confronto non solo due (o piu) tesi ma anche due (o piu) ragionamenti diversi sullo stesso argomento che sicuramente hanno punti in comune ma da qualche parte divergono. Tutto sta a capire dove e in che modo, per quale conoscenza o mancanza di conoscenza, siano diventate due tesi completamente differenti.

Ad esempio se io parlo di linguaggio a cosa mi sto riferendo? Se il termine fosse piu specifico, cioè ad esempio si riferisse a quello scritto o verbale tra due esseri umani, allora dovrei essere specifico.
Mentre piu in generale il concetto di linguaggio (ed è a quello che mi riferivo) può essere ben piu profondo e quasi del tipo "immanente" ovvero è già nella natura stessa delle cose. Nulla potrebbe funzionare se non ci fosse un linguaggio tra le cose o all'interno stesso delle cose. Senza che questo faccia pensare a niente altro, cioè non voglio assolutamente dire che all'interno della natura esista qualcosa che assomigli ad un linguaggio umano. Il linguaggio umano è invece solo una conseguenza, specifica per quel tipo di essere vivente, di un processo o evoluzione fra vari tipi di linguaggi. 
 
Per quello che dici nella prima parte avrei un'obiezione da porre. In linea teorica il motivo per cambiare o no opinione in un confronto dialogico dipenderebbe dalla conoscenza che si possiede in merito a un dato argomento, sempre escludendo comunque i fatti per cui sia quasi impossibile determinare una data verità. Però mi sembra che in pratica intervengano altri fattori già esposti nei precedenti post su questo tema.
Nella seconda parte rilevo invece che nel tuo primo intervento in questo topic hai espresso questo pensiero:
"Il linguaggio è il trasferimento di un segnale nello spazio e nel tempo.
Il segnale può essere piu o meno complesso."
Lì per lì quando lo lessi mi ha detto poco, ma a fronte di quanto hai esposto ora ti propongo quello che già dissi e che potrebbe se ho ben inteso ricalcare in modo più articolato il tuo sintetico pensiero:
"Tutto ciò che accade nel mondo può considerarsi potenzialmente linguaggio per un eventuale osservatore. Il manifestarsi del dialogo apparterrebbe quindi alla sfera delle possibilità che il monologo del mondo offre agli eventuali osservatori interessati. Cioè, al fine di inquadrare l'emersione di ipotetici dialoghi interspecie molto inciderebbe quanto sia pregnante l'attenzione che un ente appartenente a quella determinata specie dedica ai gesti dei propri simili."
Ed è per questo modo di intendere il linguaggio come movimento del mondo che penso che lo sviluppo dei vocaboli della lingua non avvenga per convenzione tra significante e significato, ma per accettare (cogliere) "al volo" il significante che, a prescindere dall'intenzione di un gesto linguistico a segnalare qualcosa verrebbe comunque realizzato dall'osservatore come segnale, sonoro o visivo che sia, in virtù della vicinanza spazio-temporale tra questo e un evento importante la cui realtà sarebbe già presente alla sua mente. Il fenomeno emergerebbe e si assesterebbe infine come condivisione pubblica (linguistica appunto) di qualcosa che a livello individuale si conosce già