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Messaggi - maral

#346
Attualità / Re:Migranti
22 Febbraio 2017, 17:06:40 PM
Citazione di: Fharenight il 20 Febbraio 2017, 21:33:00 PM
Sì, ho capito, e di chi se no? Proprio quelli che hanno bisogno di nuovi schiavi da sfruttare.
Resta il fatto che giovani operai specializzati italiani è sempre più difficile trovarne.
CitazioneMaral dice: " e comunque la popolazione italiana  è in calo (l'immigrazione non compensa i decessi e l'emigrazione) e, quel che è peggio, sta invecchiando progressivamente (in Italia il divario di età media tra immigrati e residenti è tra i più alti d'Europa)."
E ti ho già risposto nel mio precedente post a queste chiacchiere da radica-chic
Purtroppo non sono chiacchiere radical chic, l'invecchiamento della popolazione residente è un dato di fatto e i contributi versati dai lavoratori emigrati regolarizzati contribuiscono a mantenere quel poco welfare che è ancora rimasto in forma pensionistica per gli anziani autoctoni e temo proprio che le chiacchiere siano solo le tue.
CitazioneChiacchiere! Diciamo che poteva essere in parte vero fino a 20 anni fa quando tutti, anche il contadino semianalfabeta pretendeva il figlio laureato e il professionista pretendeva che pure il figlio asino si procurasse la laurea anche a suon di raccomandazioni, ma ultimamente molti giovani preferiscono frequentare corsi di artigianato (che erano pressoché spariti) che iscriversi all'università
.
Evidentemente non sono sufficienti. Tra l'altro se ultimamente è possibile trovare in alcune città una riapertura di piccole botteghe, queste non sono quasi mai gestite da italiani. Sotto casa mia ha riaperto un calzolaio e un sarto: entrambi Cinesi!
CitazioneConosco tantissimi giovani e meno giovani che si dedicano a lavori di assistenza ecc, ma che non riescono a tener testa alla concorrenza degli stranieri (vedasi le badanti dell'est Europa) che vengono pagati di meno ma in compenso hanno a disposizione vitto e alloggio gratis, inoltre ciò che guadagnano in Italia viene inviato nei loro paesi dove si arricchiscono.
Vitto e alloggio gratis da parte di chi?

CitazioneLa frottola la racconti tu. Solo in Gran Bretagna ci sono tanti italiani che vorrebbero tornare in patria ma sono talmente indigenti che non riescono a pagarsi il viaggio di ritorno, non ricordo quale associazione (invece dello Stato)  si occupa di loro allertata dall'ambasciata inglese. Sono verità che vengono mantenute nascoste grazie a quelli che la pensano come te.
Diamine, ha ragione InVerno, qui si profila il business dello scafista di ex migranti italiani che non possono tornare a casa e non aspettano altro! Questa degli Italiani morti di fame che vogliono rientrare fa il paio di quella dei Nigeriani a cui basterebbe un visto turistico e un biglietto aereo per migrare e se invece attraversano il Sahara e il Mediterraneo sui gommoni è perché sono delinquenti matricolati! Da incorniciare!
CitazioneNon sai quello che dici, oppure per tua fortuna ti sta bene  l'immensa ingiustizia di tutto ciò. Le nascite non si incrementano perché si è alimentato negli anni dal dopoguerra l'egoismo, l'individualismo e l'edonismo.
Esattamente gli stessi fattori che hanno portato al boom economico e con il boom economico alla diminuzione delle nascite, ma è giusto così, al mondo siamo già in troppi e un nuovo nato in Occidente pesa sul bilancio ecologico del pianeta parecchio di più.

CitazioneIn effetti di "vera e propria" invasione si tratta,

Non c'è proprio nessuna invasione in atto in questo paese, è una balla verificabile sulla base dei numeri quella dell'invasione, i numeri dell'immigrazione percentualmente sono sempre bassi. Di invasione di profughi semmai potrebbero parlare a ragione i Libanesi o i Turchi. Certamente le politiche adottate dall'Italia sono state fino a qui contraddittorie e carenti (una buffonata enorme quella di consentire agli stranieri di arrivare in Italia solo con un contratto di lavoro o con quote bassissime, poi ovviamente ogni tot di tempo si fa una bella sanatoria, in perfetto stile italico!), ma in ogni caso non è nemmeno una questione di lavoro, in base alla carta dei diritti umani e alla convenzione di Ginevra siamo comunque tenuti a valutare individualmente le richieste di protezione internazionale dei richiedenti asilo e a riconoscerne lo stato di rifugiati se si dimostra che nei loro paesi corrono rischi di gravi danni personali per persecuzioni (di etnia, religione, opinione politica ecc.).
La difesa la si effettua contro chi perseguita, non contro chi è perseguitato e cerca scampo. E l'aver stabilito questo diritto di veder riconosciuto lo stato di profugo ai perseguitati (avendo pagato con il sangue di milioni di morti su suolo europeo questo principio) è l'aspetto culturale di cui l'Occidente può andare più fiero, non certo il contrario.
Di Musulmani ce ne sono di bravissimi come di nefandi, vale lo stesso per i cristiani e gli Europei. I nefandi di casa nostra li conosciamo e li abbiamo conosciuti ed erano pure a dominazione di origine controllata con tante nostalgiche reminiscenze. Se non erro ci fu davvero una grossa strage terroristica alcuni anni fa in un'isola svedese, ma non mi pare fosse stata organizzata da un musulmano...
Poi, lo ripeto, c'è sempre chi spera in un tornaconto soffiando sul fuoco dell'odio etnico e religioso, in questo non differisce molto dai capi del terrorismo islamico: i cialtroni sono simili sotto tutte le latitudini e in qualsiasi Dio, Chiesa, comunità patria o partitica o tradizione proclamino fede per giustificare la loro idiozia.
#347
Citazione di: acquario69 il 20 Febbraio 2017, 12:10:36 PM
Non sono in grado nei dettagli specifici di sapere quali siano le scoperte specifiche della scienza moderna che riscoprono le verità di sempre...penso sicuramente che fanno comunque riferimento alla fisica quantistica che dimostrerebbe che l'universo o il reale sottostante e' un campo di informazioni sottili,che tutto non e' un processo meccanicistico ma olistico e spirituale,che non siamo enti separati,che tutto e' già in tutto,che e' il "vuoto" ad essere l'essenza stessa del "pieno"...le stesse "cose" che in forma e "linguaggio" diverso era già secondo sapienza delle "antiche" (più che antiche sarebbe corretto dire "senza tempo") scienze sacre.

Ma ripeto non sono ne uno scienziato ne un fisico...pero si può cogliere perfettamente e senza alcun dubbio nella citazione riportata da Duc di Agostino d'ippona che dimostra pure come il paradigma sia stato rovesciato e che fondamentalmente si sta riscoprendo proprio questo come base per qualsiasi valutazione scientifica a priori sui massimi livelli e non il contrario come poteva accadere fino a non molto....certo poi il cambiamento di un paradigma necessita di un tempo necessario per vederne i suoi effetti concreti
La scienza sperimentale e le forme di conoscenza mistica o filosofica fanno appello allo stesso saper vivere, ma lo conoscono in forme diverse e corrono rischi specifici diversi di deragliamento, anche se in ogni forma di conoscenza questo rischio c'è e cresce a dismisura quanto più si pensa di avvicinare l'oggetto o il soggetto assoluti intendendolo dire. Qui trovo che davvero sarebbe opportuno ammutolire, sapendo che comunque non si può non ricominciare a porsi (e quindi a ripetersi) la domanda.
La meccanica quantistica per certi aspetti consente una visione olistica (Sono diventati famosi i lavori di F. Capra che evidenziano le somiglianze al pensiero orientale, soprattutto al Taoismo), bisogna comunque dire che la meccanica quantistica considera solo la realtà atomica e subatomica e che ormai tende a essere vista solo sotto l'aspetto modellistico funzionale piuttosto che ontologico-metafisico (la qualcosa sarebbe effettivamente un bel problema dal punto di vista scientifico).
#348
Citazione di: sgiombo il 19 Febbraio 2017, 20:03:12 PM
Non vedo in che senso questa possa essere considerata un' obiezione a quanto da me più sopra affermato: la parola "cavallo" e il concetto che essa significa (come connotazione) non é il cavallo reale, che pure denota; invece la parola "ippogrifo" e il concetto che essa significa (come connotazione) sono tutto quanto é reale (mentalmente, nel pensiero; magari scritto o parlato) dell' ippogrifo, senza alcun denotato reale.
L'obiezione sta nell'obiettare da parte mia che ci sia un cavallo (e non qualcosa di) reale prima che appaia il significato di cavallo (che non è semplicemente quel qualcosa di reale che si vive, ma solo lo evoca) e che questo significato risulti condivisibile (la qualcosa permette poi una denotazione).

CitazioneL' unica cosa che mi sembra di "intravedere nella fitta nebbia", l' unica traduzione che mi sembra di poter fare in italiano di queste parole che mi sembrano, non solo metaforiche, ma decisamente arcane e sibiliine, é che le cose reali sono come sono indipendentemente dai nostri eventuali pensieri su di esse, dalla eventuale nostra conoscenza di esse; e ovviamente se non si conoscono non si può sapere di che cosa si tratti; e che le cose materiali autenticamente percepite (contrariamente ai contenuti percettivi di sogni e allucinazioni) sono intersoggettive (che é quanto da me sostenuto; sempre se -metaforicamente- quanto mi pare di "intravedere" é effettivamente ciò che vuoi "mostrarmi").
Ci stiamo avvicinando: se non si conoscono (se non so del cavallo) nessun cavallo può apparire, mentre se conosco (se so del cavallo) il cavallo appare, ma esso non è la cosa che io vivo quando non so di esso, è come (metafora) una sorta di immagine riflessa ove ciò che riflette facendola apparire è la mente, ma la mente non è uno specchio liscio e ben levigato, conoscendo modifica ciò che conosce.

CitazioneMa per non sfracellarsi la "rappresentazione" che va rispettata è quella di sensazioni reali e non allucuinatorie (od oniriche), nel qual caso ci si sfracella al suolo.
Per non sfracellarsi è necessario tenersi nella posizione giusta nel contesto in cui avviene il cammino della nostra esistenza tenendo conto dei contesti in cui si svolge e dei significati ad essi relativi che ci presentano come delle realtà. In altre parole occorre mantenersi nei pressi del proprio saper vivere pur volendolo conoscere. In altre parole ancora costruire la propria conoscenza (so di sapere) per poterla sempre decostruire (non so di sapere). Nel momento in cui la conoscenza si disconosce e torna al saper vivere si realizza il momento più alto della conoscenza, quello di una conoscenza sapiente.

CitazioneMa la questione della differenza fra cose in sé inaccessibili sensibilmente (ma solo congetturabili) e fenomeni é diversa da quella della differenza fra fenomeni materiali costituiti da sensazioni autentiche, che (ammettendo un minimo di premesse indimostrabili né mostrabili) possono essere considerate intersoggettive, e fenomeni materiali onirici o allucinatori, che invece, esattamente come i fenomeni mentali, non possono essere considerate intersoggettive ma soggettive.
Anche l'esperienza onirica è una forma di conoscenza guidata da fenomeni materiali, non più falsa di per sé da quella di veglia, ma, di solito, meno condivisibile. Semplicemente allora occorre rendersi conto di quando ci si trova in un contesto onirico o in un contesto di veglia per mantenere la coerenza evitando di sfracellarsi.
Questo è quello che intendevo dire dicendo che <<Anche sulle "biciclette immaginarie" occorre saperci andare>> e per saperci andare non basta negarne la realtà. Con i sogni e le allucinazioni ci si può e si può fare davvero molto male.

CitazioneVolendo essere sincero (e senza intenzione offensiva alcuna) non posso non dire che l' ultima frase mi sembra proprio quella di un pazzo (o in alternativa di un "virtuosista del sofisma" che compie "acrobatiche arrampicate sugli specchi dialettiche"); purtroppo se non lo dicessi sarei un ipocrita e un mentitore, cosa che non voglio.
Ti ringrazio per la sincerità, spero di essere riuscito almeno un po' a chiarire tanto da non essere considerato un pazzo matricolato (anche se un po' matto lo sono certamente). :)

CitazioneEntrambi fanno parte della realtà e dunque se la realtà diviene deterministicamente sono determinati da- (-le condizioni de-) -la realtà in cui si vengono a trovare.
Ma ciò mi sembra del tutto irrilevante ai fini della distinzione (o confusione) fra realtà e immaginazione.
A mio avviso, come ho detto, quello che fa la differenza è la pretesa di un contenuto assolutamente reale, che ovviamente rende impossibile fin dal principio ogni discussione in merito.
#349
Attualità / Re:Migranti
20 Febbraio 2017, 14:00:19 PM
Citazione di: Fharenight il 15 Febbraio 2017, 13:30:30 PM
Jacopo, non ci interessa quello che vivono un Africa, sono gli africani che devono organizzarsi e liberarsi dalla tirannia degli sfruttatori occidentali, non c'è un'altra soluzione definitiva per loro.
Mi sa invece che dovremmo proprio cominciare a interessarcene e capirlo anche noi, oltre ad andare a cercare il prodotto di marca e minor prezzo mentre là andiamo a buttare la spazzatura, se no finirà peggio per tutti.
#350
Attualità / Re:Migranti
20 Febbraio 2017, 13:47:39 PM
Citazione di: Fharenight il 15 Febbraio 2017, 13:23:31 PM

 Ma davvero credete di darla a bere con la storia che avremmo bisogno di tanti immigrati?
I dati sono di Confindustria e comunque la popolazione italiana  è in calo (l'immigrazione non compensa i decessi e l'emigrazione) e, quel che è peggio, sta invecchiando progressivamente (in Italia il divario di età media tra immigrati e residenti è tra i più alti d'Europa).
Più che il lavoro a molti italiani manca la disponibilità a fare ancora certi lavori. Proprio ieri sentivo che l'industria trova sempre maggiore difficoltà a reperire giovani elettricisti, nonostante questo la scuola Radio Elettra sta chiudendo i suoi corsi di formazione per mancanza di iscritti. Lo stesso si può dire in molti altri settori dell'artigianato, dell''assistenza alla persona, nell'edilizia e dell'agricoltura, dove ormai gli immigrati sono la maggioranza.
Il ritorno in patria degli italiani all'estero è un'altra immensa frottola. Lo stato italiano già riconosce il recupero della nazionalità fino alla seconda generazione delle famiglie italiane emigrate, il problema è che a fronte di quelli partiti da inizio secolo ne sono tornati meno di un terzo. Semplicemente non è vero che all'estero fanno la fame, è vero per la stragrande maggioranza l'esatto contrario. Incrementare le nascite costa, soprattutto se i nativi, dati i modelli di vita che il contesto sociale determina, non hanno proprio alcuna voglia di incrementarle, costa molto di più che accogliere chi già è prolifico, è evidente e credo sia anche un bene, dato che l'aumento di popolazione e il peso che esercita in termini di consumi, a livello mondiale è un fattore sempre più inquietante. 
Non si tratta di farci invadere, ma di trovare il modo di convivere integrandosi reciprocamente assumendo politiche razionalmente coerenti di medio lungo termine (cosa che in Italia sembra impossibile, molto megli slogan e twit), perché comunque non c'è alternativa, lasciando perdere le grida isteriche dei pagliacci e dei cialtroni alla Trump (uno che tra l'altro ha costruito la sua fortuna edilizia proprio sugli immigrati e che adesso delira inventandosi di attentati mai accaduti in Svezia a opera di musulmani emigrati, spara fandonie nato!).
Tra gli immigrati che ho conosciuto, che lavorano dove lavoro io, ho sempre trovato persone oneste, capaci, spesso più affidabili e diligenti dei nostrani e con un buon grado di istruzione (l'ultimo che ho conosciuto è un pakistano, che nel suo paese esercitava la professione di avvocato, è dovuto partire a causa della situazione sociale e politica e ora qui fa appunto l'elettricista ed è tra i più capaci).
I governi autoritari e demagogici che si sono ispirati alla tutela della razza e del bel folklore paesano in Europa li abbiamo già conosciuti in passato, gli esiti sono stati catastrofici a livello continentale e mondiale e se la cosa si ripeterà a opera di nuovi pagliacci fanfaroni che riesumano i penosi cadaveri che li hanno preceduti (come sta cominciando ad accadere), temo che la cosa non potrà oggi che andare ancora peggio.

#351
La domanda è: che cosa significa essere maschio e femmina in una società sempre più tecnicamente impostata e dove la diversa funzione procreativa che fino a oggi è risultata determinante per definire separandole la sessualità maschile e femminile potrà, grazie alle biotecnologie, ridursi a una questione cellulare e comunque sempre più gestibile dal neutro tecnologico? E' evidente che sottraendo dalla sfera del significato della sessualità l'aspetto procreativo questa resta legata solo al godimento e le differenze di genere ai fini del godimento sessuale diventano del tutto irrilevanti e restano solo i gusti personali autoreferenti. Questo comporta un suicidio sociale? Non so, certo comporta una profonda crisi sociale e di identità, vengono a mancare i vecchi riferimenti e questo lo si vede già. Se ne sorgeranno dei nuovi (che non potranno certo essere i precedenti anche se ne abbiamo tanta nostalgia, dato che il contesto è mutato e sta mutando sempre più rapidamente) la crisi potrà essere superata e gli esseri umani potranno continuare a esistere, magari cambiando radicalmente il senso delle parole sessualità, individualità, società, maschile e femminile.
Certamente al momento attuale, sia il posizionamento richiesto alla donna di assumere, per vedersi riconosciuta, ruoli maschili di produzione e per contro il progressivo annullamento di significato funzionale del maschio sono elementi che suscitano una profonda inquietudine, ma è illusorio pensare di tornare alla donna di un secolo fa, a Santa Caterina o al pater familias delle famiglie contadine.   
#352
Citazione di: Angelo Cannata il 19 Febbraio 2017, 12:21:09 PM
Citazione di: maral il 19 Febbraio 2017, 11:38:04 AMParadossalmente è proprio la scienza e non la vecchia metafisica che si avvicina di più alla pretesa di oggettività assoluta
Trovo corretto che tu dica "si avvicina di più": se si avvicina vuol dire che non ottiene oggettività assoluta, ma vi tende.

Avevo detto questa cosa in un mio post precedente:

Citazione di: Angelo Cannata il 15 Febbraio 2017, 11:31:15 AMUna caratteristica della scienza, legata al principio di falsificabilità, consiste proprio nel non dare mai nulla per definitivamente certo. In questo senso la scienza è nichilista, nella scienza non esistono verità definitive, ma tutto rimane aperto alla smentita, al dubbio, a ulteriori ricerche. Secondo la mentalità dei metafisici, ciò dovrebbe rendere la scienza qualcosa di inaffidabile, perennemente insicuro, senza alcun valore, e invece accade proprio l'opposto: la scienza oggi è quanto di più serio e di affidabile possiamo produrre proprio perché essa si presenta nuda, esposta al dubbio.
Il metafisico invece, proprio a causa di queste sue paure del dubbio, va a cadere nell'esatto opposto: pensa di pervenire ad affermazioni indubitabili, infalsificabili, ma proprio a causa di ciò le sue affermazioni sono del tutto inconsistenti, perennemente esposte ai sospetti del relativismo.
L'oggettività assoluta della conoscenza non è ottenibile da nessuno, il desiderio di ottenerla, di arrivare all'ultima parola che coincide con il puro fatto che precede ogni parola è però di tutti e la scienza (come in passato la metafisica) intende definire come si fa indipendentemente da ogni soggetto, per cui anche il dubitare per essere lecito va compreso in questa metodologia che elimina ogni soggettività. Il puro fatto è, dal punto di vista della conoscenza, il niente che accade e che diventa qualcosa solo in virtù del poterlo conoscere e rappresentare insieme come un dato di fatto che è per tutti lo stesso. La differenza è che mentre la metafisica intendeva fissare il suo conoscere in un apriori originario che scopre irrecuperabile, la scienza lo vede a posteriori e quindi sempre recuperabile in un cammino progressivo in grado di mantenersi su un percorso di assoluta oggettività tecnica funzionale.
#353
Citazione di: sgiombo il 18 Febbraio 2017, 09:58:46 AM
Che le parole con cui tentiamo di rendere conto delle cose non sono mai le cose mi sembra perfettamente ovvio (altrimenti non proporremmo che giudizi analitici a priori).
Ma ciò non toglie che (per lo meno in linea di principio; e potendo sempre dubitarne, che è ben altro che avere la certezza del contrario!) delle parole con le quali predichiamo qualcosa della realtà possa darsi denotazione reale e che le connotazioni delle parole con cui predichiamo circa la realtà possano essere almeno in parte "fedeli" e non "traditrici" nel caratterizzare le denotazioni reali cui si riferiscono
Sto tentando di dire che le parole non sono le cose non perché i significanti sono diversi dai significati, ma perché proprio il significato di ciò che diciamo è sempre in qualche misura diverso dalla cosa che esso dice. Nel significato attraverso il quale veniamo a conoscere la cosa, la cosa è evocata e non ricalcata per come è. Il linguaggio prima di tutto chiama la cosa a farsi presente in una rappresentazione, non si limita mai a ricopiarla.
La nostra mente non copia montagne reali, ma nel momento in cui prende coscienza di qualcosa che accade secondo certe modalità che non dipendono da essa, rappresenta quello che accade nei termini di una montagna. Questo, lo ripeto ancora, non significa assolutamente che essa sia libera di rappresentare le cose come vuole, non posono tuo malgrado, apparirti donne bellissime invece di montagne, perché la tua mente fa parte della rappresentazione, è guidata dai suoi giochi, non è libera di scegliere cosa far apparire e cosa no, non è né il registra né l'autore della rappresentazione in scena, è solo un attore che fa parte della rappresentazione in scena come tutti gli altri elementi di cui non può sapere cosa siano fuori scena. E il fatto che altri condividano questa rappresentazione rinforza il potere evocativo che connota qualcosa che sta accadendo per tutti coloro che ne partecipano.

CitazioneIl punto per me è di non sfracellarmi, oltre che di sapere come è la realtà e non come ci si può immaginare eventualmente che sia, sia pure eventualmente condividendo anche questa immaginazione con altri (non "il vedere dei significati arbitrari" ma invece il sapere -se possibile- ciò che è reale; perché fra l' altro se vedo allucinatoriamente una passerella dove c' è un baratro reale non è che pretendendo di andarci sopra si sfracellano solo quelli che vedono veracemente  il baratro mentre io sono sano e salvo: no, invece mi ci sfracello realmente anch' io alla faccia della mia visione allucinatoria della passerella! E, almeno per ora, non ho alcuna intenzione di suicidarmi).
Per tutti il problema è non sfracellarsi che si risolve nel rispettare la rappresentazione in cui ci troviamo insieme rappresentati. Questo gioco coerente con la rappresentazione è l'unico tipo di realtà a cui abbiamo accesso, non quella delle cose come stanno in sé e per sé. Ci aiuta il fatto che tutti noi sappiamo vivere, proprio perché viviamo, come sa vivere un lombrico o una pianta, la difficoltà rispetto ai lombrichi e alle piante, è che nel nostro caso il saper vivere vuole sapere di vivere, vuole chiedersene la ragione e se la rappresenta continuamente e dalla rappresentazione che si fa chiama continuamente quel saper vivere per toranare semplicemente a vivere.  




CitazioneAllora parliamo di una bicicletta immaginaria.
In questo caso se dal contesto in cui vivi ti si presentasse una bicilcetta immaginaria spererei proprio che non cercheresti di usarla per andare al lavoro (ma che impiegheresti invece un' eventuale bicicletta reale); e questo anche se condividesse il contesto della bicicletta immaginaria pure il tuo datore di lavoro: non ci arriveresti lo stesso col pericolo di essere licenziato; a meno che il tuo datore di lavoro (che, per inciso ben presto fallirebbe e dunque resteresti comunque disoccupato) avesse pure l' allucinazione di vedere il tuo cartellino timbrato.
Ma chi stabilisce che la bicicletta è immaginaria se "l'allucinazione" della bicicletta è condivisa? Arriverei eccome a dove devo arrivare, perché anche il "dove devo arrivare" fa parte dell'allucinazione condivisa. E se non ci arrivo perché magari da quella bicicletta sono caduto, non perché essa non esiste. Anche sulle "biciclette immaginarie" occorre saperci andare, anzi è proprio su quelle che è necessario imparare ad andare.

CitazioneColui che dice "io conosco con certezza come stanno le cose nella realtà" è un presuntuoso che si sbaglia (che dice il falso), ma non è affatto necessariamente matto.
Matto è invece necessariamente chi immagina da sveglio o sogna un ippogrifo e dice all' altro. "c' è realmente un ippogrifo, dal momento che lo sogno o lo immagino e fra sogni e realtà non c' è alcuna differenza: sono entrambi del tutto parimenti reali" (che mi sembra quanto da te sempre affermato; mentre sono io che invece affermo che se sogno o immagino un ippogrifo dico all' altro "sto sognando o immaginando un ippogrifo, il quale dunque, contrariamente a tantissimi cavalli, non è reale").
Dicono esattamente la stessa cosa, poiché entrambi pensano di poter definire la realtà, mentre è la realtà che li definisce e pertanto non può essere da loro definita, anche se lo si tenta sempre.
#354
Citazione di: Angelo Cannata il 18 Febbraio 2017, 01:21:59 AM
Dunque, in metafisica "oggettivo" ha un valore teorico. Teorico in questo senso non significa senza applicazione sulla pratica; significa piuttosto che non risente dei limiti della pratica, ma si applica ad essa ad occhi chiusi, senza alcun bisogno di controlli o verifiche. Teorico in questo senso significa illimitato.
Innanzitutto si può notare che comunque soggetto e oggetto sono termini metafisici e che propriamente le scienze (salvo quando vogliono definirsi metafisicamente) non si occupano di soggetto e oggetto, ma semmai di organismi e ambienti, in un quadro di trascendentalismo empirico in cui l'osservatore (il soggetto osservante) resta nascosto, come se non ci fosse (il quadro ha senso scientifico se e solo se il soggetto autore non vi si manifesta e il lavoro scientifico consiste appunto nel costruire quadri senza autori, poiché solo questi riflettono la realtà per come realmente è. E' vero che da un punto di vista scientifico ogni quadro può sempre essere rimesso in discussione dall'osservatore, ma solo se l'osservatore si mantiene del tutto fuori dal quadro stesso così da assicurarne la tenuta oggettiva della visione che, per avere valore, deve essere da lui soggetto, del tutto indipendente. Questo è il motivo per cui la scienza fissa una sintassi e un metodo molto precisi per i suoi linguaggi, per quello che si può dire scientificamente (e quindi realmente) e quello che non si può (e quindi da rigettare in un mondo privo di qualsiasi effettiva rilevanza o consistenza: ad esempio l'arte, l'etica e tutto quello che scienza non è). Tutti possono avanzare le ipotesi in cui soggettivamente credono, ma quelle che scientificamente meritano di essere prese in considerazione sono solo quelle che possono essere tradotte in una sintassi scientifica molto precisa che è condizione a priori riguardo la realtà stessa delle cose e la regola cogente di questa sintassi è appunto che il soggetto (individuale, culturale o storico che sia) resti del tutto estraneo al discorso che si fa.
Paradossalmente è proprio la scienza e non la vecchia metafisica che si avvicina di più alla pretesa di oggettività assoluta, la metafisica per millenni ci ha solo provato fallendo a ripetizione, la scienza sperimentale non si dice infatti ciò che è vero a priori, ma come vanno considerate e dette le cose per rivelarsi a posteriori reali come sono nella loro pura oggettualità intrinseca. Nel mondo si sono fatte guerre e persecuzioni in nomi di verità metafisiche, proprio perché in esse le pretese dei soggetti erano vive e fortissime, nessuna guerra invece è mai stata fatta per sostenere che l'acqua bolle a 100°, proprio perché è oggettivo, perché vale per tutti i soggetti date determinate condizioni oggettivamente definibili. E' del tutto anonimo che l'acqua bolla a 100° e ogni soggetto da quell'osservazione è a priori escluso, è un dato di fatto per il quale l'acqua non è più quello che sappiamo essere vivendo, ma è realmente e solo quella cosa che bolle a 100°, è ridotta al suo essere perfettamente oggettivo che potrà certo venire rimesso in discussione, ma solo da considerazioni ancora perfettamente oggettive, per come il metodo le definisce tali, escludendo cioè i soggetti che le fanno.
#355
Trovo ben appropriato il riferimento di acquario al Tao. Il Tao è la vita che vive e quindi sa vivere, ma non sa di vivere, non conosce, ma continuamente genera e rigenera in sé stessa la conoscenza, è il saper vivere che vuole sapere di vivere. Nel "sapervivere" (tutto attaccato, non è un errore) non c'è né soggetto né oggetto, c'è la pura prassi della vita, è quando tra il sapere e il vivere si determina uno stacco, uno spazio di discontinuità vuoto che sorge la domanda che chiede dell'oggetto e del soggetto; di che cosa si sa? chi sa? Dunque chi sa di cosa?
Quel vuoto chiede costantemente di essere riempito a mezzo di qualcosa che mantenga il legame tra il vivere che sa e la conoscenza che vuole sapere di questo vivere che sa. Lo strumento è il legame che è chiamato a riempire questo vuoto attraversato dal desiderio e il corpo vivente è il primo strumento che risponde al desiderio, il corpo che si è e il corpo che si ha e quindi che si può usare per vivere. Nel corpo animato comincia a emergere la prima forma di conoscenza che comincia a poter sapere di sapere e, con il sapere di sapere, un linguaggio con cui il corpo può dire del suo saper vivere. Il linguaggio è in quel corpo stesso che viene conoscendosi. Ma questo corpo non è originariamente il mio corpo, perché è il corpo vivente dell'altro che risponde al desiderio e questo rispondere mi dà un corpo. E' la parola dell'altro che rispondendo mi dà la parola affinché nel corpo e nella parola il vivere possa ritrovarsi presente a se stesso.
Nell'istante in cui questo essere presenti a se stessi accade la vita che conosce si ricongiunge alla vita che sa da cui si era allontanata per conoscerla e in questo istante di grazia il sapere di sapere (conoscere) diventa un non sapere più di sapere (disconoscimento), semplicemente solo si vive, senza soggetto e senza oggetto, in una sorta di conoscenza sapiente che  è solo in un istante, poi ancora tutto si ripete e di quell'istante resta solo un'impronta che segna il cammino della vita.
Il soggetto non è che una forma di questo circolo che si apre e si chiude per riaprirsi, ogni volta circoscrivendo uno spazio vuoto entro il quale trova posto il mondo ove oggetto e soggetto sono ai poli opposti separati e contrapposti, punti terminali di una relazione che separandoli li chiama a riunirsi e riunendoli li cancella entrambi.
Tutto questo non va preso alla lettera, se ne perderebbe completamente il senso, ma non è nemmeno una metafora, è un tentativo di mappa, fallace come tutte le mappe che per funzionare non possono essere prese né alla lettera, né come metafore. E' un tentativo di rappresentazione.

Per rispondere in modo semplice e diretto alla domanda di acquario direi che quando non sono presente a me stesso semplicemente vivo, senza sapere di farlo e questo è quello che normalmente accade a ogni essere vivente, ma in questo banale accadere a volte può accadere, per un essere vivente capace i conoscere, quindi di separare il sapere dal vivere, un momento di grazia, che lascia un'impronta, un segno che resta sul suo cammino.
#356
Citazione di: Angelo Cannata il 17 Febbraio 2017, 23:13:34 PM
La scienza non ha come scopo l'eliminazione della soggettività, proprio perché essa non è una filosofia metafisica. Essa si serve di metafisiche da intendere come teorie tutte da verificare, ma, una volta che una teoria venga verificata dall'esperienza, non per questo essa si trasforma in una certezza metafisica in senso filosofico. La scienza è essa stessa soggettività, essa è tutta soggettiva dall'inizio alla fine, da quando immagina che il sangue sia blu fino a quando, dopo una serie di esperimenti, conclude che esso è rosso. Essa non stabilisce "come va da parte di tutti valutato il fenomeno": essa dice soltanto: "abbiamo fatto degli esperimenti e sono venuti fuori questi risultati". Ma i risultati non stabiliscono niente, poiché essi possono e devono essere a loro volta criticati, affinché si progredisca. I risultati propongono soltanto delle convenienze ("conviene trattare il sangue come se fosse rosso"), non dicono "d'ora in poi guai a chi si azzarda a ipotizzare che il sangue sia blu"; chi volesse perseverare nell'ipotizzare che il sangue sia blu è benvenuto, poiché la scienza non cerca altro che cercare, cercare e ancora cercare, criticare, sperimentare e mettere in discussione i risultati degli esperimenti. Non vedo quindi come si possa dire, in questo caso in riferimento alla scienza, che dalla metafisica non si esce.
Ma assolutamente no, la scienza mira a stabilire cosa oggettivamente funziona e si basa su criteri rigorosamente oggettivi per stabilirlo, il soggetto deve rimanere fuori dalla porta del laboratorio. Certo che poi i risultati saranno sempre criticabili in linea di principio (in realtà non è proprio così, stai sicuro che se vai da uno scienziato e gli proponi l'ipotesi del sangue blu quello per prima cosa chiama uno psichiatra), ma lo saranno sulla base di un'oggettività quanto mai rigorosa e proceduralizzata in cui il soggetto con le sue istanze individuali resta del tutto estraneo. Ho fatto per vent'anni il ricercatore e so bene cosa gli si chiede, non certo la sua soggettività, quella va proprio proceduralmente esclusa!  
Citazione di: maral il 17 Febbraio 2017, 22:23:37 PM
Ciò è vero nella prima fase del relativismo: ho detto infatti che il relativista non è altro che un metafisico che decide di tener conto del soggetto. Una volta che però il soggetto venga fatto entrare nella metafisica, esso sconvolge tutto e quindi anche la cognizione di se stesso. Relativismo significa infatti messa in questione anzitutto del significato del verbo essere, cosicché non ha più alcun senso chiedersi se qualcosa esista oppure no; poi significa anche messa in questione del significato di ogni parola, cosicché non è più possibile distinguere il soggetto dall'oggetto. In questo senso, nel momento in cui il relativista critica la metafisica di aver trascurato il soggetto, lo fa servendosi del concetto di soggetto adoperato dalla metafisica, concetto che egli conosce bene, essendo stato lui stesso in precedenza un metafisico.
Restiamo comunque nell'ambito di un mettere tutto in discussione, la qual cosa va benissimo, ma non vi è dubbio a mio avviso che la totalità discutibile (su cui sono d'accordo) risuona, proprio in quanto totalità, di una grande metafisica. Mettere in discussione il verbo essere non basta per eliminare la metafisica, si può fare una metafisica anche basandola su un divenire assoluto, "tutto è divenire" è di nuovo una proposizione metafisica con enormi pretese di indiscutibilità (non parliamo poi di un nichilistico "tutto è nulla"). L'unico modo di cavarsela per far fuori la metafisica è allora mantenersi nei limiti di giudizi parziali riconoscendone la necessaria e imprescindibile debolezza (Vattimo docet) e abbandonarsi a ermeneutiche infinite.

Citazione di: maral il 17 Febbraio 2017, 22:23:37 PM
Credo che, prima di chiederci dove siamo quando non siamo presenti a noi stessi, dovremmo chiederci il significato di "presente a te stesso", significato che mi sembra tutt'altro che chiaro e tutt'altro che chiarificabile: infatti non esiste alcun modo con cui io possa far provare ad altri quello che io provo quando ritengo di essere "presente a me stesso". Inoltre, ogni concetto al riguardo è senza dubbio condizionato dalla nostra cultura, le nostre categorie, le esperienze vissute, la lingua, il tempo. Già in me stesso l'esperienza di "presenza a me stesso" non è sempre la stessa esperienza, poiché io sono in divenire, insieme alla mia coscienza e tutto quanto mi costituisce.
Presente a me stesso lo intendo essere coscienti di se stessi, non esserci (che sempre siamo), ma sapere di esserci che è enormemente diverso. Ora, quello che noto in me (ma mi pare anche in quasi tutti coloro che incontro e conosco) è che questo sapere di esserci accade assai raramente e molto limitatamente e il sospetto è che se il soggetto è propriamente colui che sa di esserci (in altre parole che conosce), esso accada raramente. Questo implica che il soggetto, come l'oggetto che ne è controparte, non possono essere assunti come punto stabile per la critica di alcunché. Soggetto e oggetto sono insieme fusi nel vivere, nel saper vivere che non sa di vivere, ma solo vive, inconsapevolmete.
#357
Tematiche Filosofiche / Re:La giustizia e il caso
17 Febbraio 2017, 23:44:11 PM
Citazione di: davintro il 13 Febbraio 2017, 23:09:55 PM
non direi che la pena "sostituisce" la vendetta, perché sono due atti rivolti a fini tra loro nettamente diversi. La vendetta desidera mantenere un equilibrio tra il male che si fa e il male che si subisce, in una sorta di visione "religiosa" delle cose, per cui bisogna preservare una sorta di armonia universale che sarebbe turbata dai reati. La pena, in senso razionale e liberale, è un "male necessario", uno strumento finalizzato a infliggere un male minimo necessario ad impedire ragionevolmente a qualcuno che si è manifestato come socialmente pericoloso, di riprodurlo nuovamente.

Non credo, o almeno non è così che la pena funziona, come bene dice Nietzsche in "Genealogia della morale" (si veda il thread di Garbino in proposito), la pena funziona ben poco come deterrente, per lo più funziona per acquisire esperienza e farsi più furbi onde evitarla la volta successiva.
La pena sostituisce la vendetta in quanto sia la pena che la vendetta (che in sé non ha nulla di "religioso" né rappresenta una primitiva "estetica della simmetria") rappresentano la compensazione per un danno subito, solo che mentre nel primo caso chi ha subito il danno si aspetta che la compensazione sia pagata (dal reo o da altri per il reo, come nelle ordalie tra clan) direttamente a lui o al suo clan, nel caso della pena si intromette il corpo sociale che decreta che a fronte di una certa pena comminata al reo, chi ha subito il danno debba rinunciare alla vendetta e questo, sul piano sociale, evita che la violenza si propaghi all'infinito andando a disintegrare la società stessa. Quindi la pena ha, secondo giustizia e convenienza sociale, reso evitabile la vendetta diretta con tutta la sua carica sociale distruttiva.
Se tu mi dici: la pena deve riguardare solo l'intenzionalità e non gli effetti casuali che questa intenzionalità produce, fai un discorso morale (molto intriso di una visione etica cristiana) che ha ben poco a che vedere con il ruolo sociale che hanno sempre la legge e il diritto. E' per questo che solo un folle potrebbe pensare che uno che è passato con il semaforo rosso debba, anche se non ci sono state conseguenze, scontare anni di carcere come chi, con il medesimo atto, ha provocato una strage, o al contrario che a chi ha provocato una strage passando con il semaforo rosso sia solo inflitta una contravvenzione di qualche centinaio di euro. E' chiaro che, nella seconda evenienza, chi è rimasto vittima, sia pure per caso di tale atto, se non è deceduto, appena si rimette si sentirà in dovere di andare a cercare con una mazza chi lo ha investito. Non avverti l'assurdità della pretesa di punire solo l'intenzionalità e non la conseguenza? Certo,  nelle conseguenze c'è di mezzo il caso, ma il caso si paga, si paga eccome e sempre per giustizia! Non l'ha forse pagato chi è rimasto vittima dell'incidente, mentre per caso attraversava proprio in quell'istante?
#358
Citazione di: sgiombo il 16 Febbraio 2017, 18:35:40 PM
Dire che una cosa è come è in sé e per sé, indipendentemente dal fatto di essere inoltre detta esserlo è in linea teorica di principio possibilissimo e sensatissimo.
Non vi è nulla di contraddittorio (ergo: è un' ipotesi sensatissima, del tutto tranquillamente proponibile come tale -ipotesi- sia che sia inoltre di fatto vera, sia che sia inoltre di fatto falsa) nel dire che una certa cosa è in un certo modo e sarebbe tale e quale anche se non fosse detta esserlo: semplicemente si intendende con questa affermazione che fra quella che sarebbe la realtà nel caso tale cosa, oltre ad essere reale, sia inoltre detta esserlo e quella che sarebbe la realtà nel caso che tale cosa non sia inoltre detta essere reale l' unica e sola differenza (reale; aggettivo pleonastico) starebbe nel fatto del dirla o meno, fatto che in un caso realmente accadrebbe, nell' altro realmente non accadrebbe: in nient' altro la realtà sarebbe diversa fra i due casi ipotetici considerati.

E nell' atto del dirla essere come é non ci vedo alcun "tradimento" di niente e nessuno.
No, perché il dirla significa prendere coscienza di quella cosa ed è proprio il prenderne coscienza che la tradisce. Essa è quello che è, non vi è dubbio, e noi la viviamo sapendo le cose, ma solo finché non le conosciamo e conoscendole creiamo un mondo che significa, il mondo del linguaggio ove le parole con cui tentiamo di rendere conto delle cose non sono mai le cose. E' esattamente come dici tu quando dici che una "montagna" c'è anche quando ci passo vicino senza vederla, solo che quello vicino a cui passo non è la "montagna", la montagna la costruisce la mia mente nel suo significato nel momento in cui la conosco, non è la montagna reale che non posso assolutamente conoscere in sé, è la montagna significato per me (che per alcuni aspetti di significato altri soggetti condividono e per altri no)
Perché in italiano "essere reali" come lo sono i cavalli significa proprio poter essere toccato, visto, misurato realmente, mentre "essere qualcosa di immaginario" come lo sono gli ippogrifi significa potere al massimo essere [/size]toccato, visto, misurato solo in sogno, nella fantasia o in un' allucinazione


CitazioneDunque secondo te se uno ha un' allucinazione o un sogno ciò che percepisce è altrettanto reale di ciò che vedrebbe realmente in condizioni veglia e di sanità psichica, senza effetti di farmaci psicotropi.
Ma purtroppo è di fatto accaduto che persone che avevano assunto farmaci allucinogeni avessero visioni (allucinatorie) di passerelle che univano la loro stanza al centesimo piano di un grattacielo a quella del grattacielo di fronte e abbiano pensato bene di camminarci sopra.
Beh, purtroppo per loro, non c è stata "soggettività condivisa che non è per nulla arbitraria", né " risultato di un contesto che determina il senso di verità o falsità" che tenesse e si sono tragicamente sfracellati al suolo.


Perché la condividevano con altri la loro "realtà"? Il punto è questo, noi vediamo dei significati, sentiamo cosa vedono gli altri. Io vedo una passerella, tu vedi un baratro ... andiamoci cauti su quello che c'è e cerchiamo di capire come funzionano le cose nel contesto che ce le fa significare.
Comunque, come tutti gli esseri viventi, in generale sappiamo vivere finché viviamo, il problema è che vivendo come esseri umani vogliamo sapere di vivere. E quel "di vivere" fa una differenza enorme dal semplice "vivere".



CitazioneComunque, poiché credi che "chi vede ippogrifi non vede l'irreale più di chi vede cavalli, semplicemente è fuori dal contesto di senso soggettivamente condiviso nel mondo" ti sconsiglio di recarti al lavoro in groppa a un  ippogrifo, per quanto tu ritenga tali equini alati "non più irreali dei cavalli", se ci tieni ad arrivarci ed evitare il rischio di essere licenziato.


Lo farei volentieri 1) se dal contesto in cui vivo mi si presentassero degli ippogrifi e io fossi capace di cavalcarli (avrei, credo dei problemi anche se mi si presentasse un cavallo comunque), 2) se questo contesto fosse condiviso dal mio datore di lavoro, cosa che al momento, purtroppo, non accade (e se chi non vede ippogrifi è il tuo datore di lavoro è buona regola assecondarlo, il suo contesto è di sicuro più determinante). :)

Il matto è colui che dice "io conosco con certezza come stanno le cose nella realtà", non matto è invece chi sa di sognare anche quando si pensa desto e con gli occhi bene aperti e può dire all'altro "vedi, sto sognando, tu invece cosa sogni?"
#359
Citazione di: Angelo Cannata il 16 Febbraio 2017, 05:04:15 AM
Citazione di: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 23:42:15 PMPer la questione dell'off topic: beh da quando abbiamo iniziato a discutere del relativismo ho come l'impressione di essere andati off topic
Il relativismo non dovrebbe essere off topic: ho avviato il discorso evidenziando che il discorso di Ceravolo, come lui stesso ha accennato all'inizio, è una metafisica. Il relativismo è una critica della metafisica.
Si penso ci sia stato uno spostamento del tema da un piano ontologico a uno etico, ma probabilmente anche la questione del nulla , come ogni questione metafisica o logica, nasconde alla sua radice una ragione etica. Il motivo etico è stato enunciato molto chiaramente da Cannata che l'ha inteso nel senso di una destabilizzazione critica di qualsiasi principio metafisico a priori, in ragione di un dialogo sempre aperto. Questa necessità etica per Cannata, significa riconoscere il soggetto, o meglio direi, i soggetti al plurale (soggetti che si parlano, soggetti che si ascoltano, criticano e replicano). La pluralità soggettiva è fondamentale per incrinare l'Uno granitico che ogni metafisica vuole imporre a tutti come saldissimo fondamento universale a fronte del quale, per sentirsi ognuno (ogni soggetto) felice, occorre ubbidire con fede (è interessante questo riflesso di felicità soggettiva che viene a riverberare, almeno per quanto riguarda il Cristianesimo, dal principio trascendente, come indicato da Duc, meriterebbe una riflessione accurata). In nome del soggetto e si potrebbe dire di una metafisica che si allarghi alla pluralità soggettiva, Cannata rigetta altri tipi di inclusioni nella metafisica, come la dialeteia o la storicità (da me intesa in senso di prassi), mentre trova piuttosto nella scienza un'etica migliore, infatti anche se anche la scienza vuole eliminare la soggettività dal giudizio, lo fa solo a posteriori (quindi con maggiore umiltà), secondo verifica procedurale oggettiva che stabilisce oggettivamente come va da parte di tutti valutato il fenomeno per trasformare ipotesi soggettive in teorie oggettive. In realtà anche qui a ben vedere c'è un'assunzione a priori oggettiva che riguarda proprio il presupposto di realtà che fonda il metodo, ma resta ben nascosta e tanto vale.
Quello che noto è che, comunque la si metta, dalla metafisica non si esce, non ne esce nemmeno la soggettualità di Cannata che piuttosto la allarga (forse il pensiero orientale e in particolare buddista riesce a farne a meno, ma, da occidentale ne dubito), anche se sono perfettamente d'accordo che l'ammissione di una pluralità soggettiva è di base per evitare proprio quel nichilismo che la pretesa totalizzante, assoluta e unitaria delle impostazioni metafisiche (che sono sempre al plurale, con grande dispetto di chi punta all'assoluto fondamento monolitico) vorrebbe esorcizzare, mentre in realtà non fa altro che evocare, come l'altra faccia della sua stessa moneta.
Il dubbio e la critica sono quindi essenziali per introdurre a piccole dosi proprio quel nulla (attraverso gli altri che in qualche misura sono sempre il nulla relativo di noi stessi) che inteso in senso assoluto è morte assoluta, è l'assoluta contraddizione che tanto ci angoscia. Ma penso anche che se la critica è irrinunciabile, va messa in crisi anche la soggettualità e qui mi pare che si possa partire proprio dalla domanda (passata inosservata) di Acquario:  "Dove sei quando non sei presente a te stesso?" , perché il soggetto non è sempre presente, anzi, lo è raramente, perché il dubbio qui è che anche il soggetto, così fondamentale, in fondo non sia che un effetto di contesto, una sorta di ippogrifo, o una costruzione "immaginifica" di prassi culturali, il soggetto è solo una categoria del pensiero che si immagina mentre fa. Ma certamente a ragionare di questo si produrrebbe un altro spostamento dal tema e forse Acquario non intendeva la questione nel senso di una critica al soggetto, gli propongo quindi di aprire una nuova riflessione specifica, se vuole.

PS è la terza volta che, volendo intervenire in questa riflessione, il messaggio mi svanisce nel nulla (assoluto?). Spero che stavolta il forum funzioni, altrimenti dovrò accettare il decreto del destino ineluttabile: il nulla assoluto esiste, è quello che inghiotte i miei messaggi.  :)
#360
Citazione di: sgiombo il 14 Febbraio 2017, 08:53:19 AM
Spero proprio che dopo la risoluzione dei problemi tecnici mi spiegherai più comprensibilmente le tue affermazioni.
Per esempio che "conoscendo non si consce ciò che é (reale?) poiché ciò che è viene sempre tradito nell'atto stesso del conoscerlo dicendolo: che significa "tradire"?
Che il dire qualcosa é diverso dall' essere reale qualcosa é quanto da sempre sostengo vigorosamente anch' io.
Ma ciò non toglie che ciò che è reale possa in linea di principio essere detto (che possa essere la denotazione di un concetto di cui si predica che é/accade realmente).

No non può, se per essere reale si intende la cosa come è in sé e per sé. La cosa per come è in sé è tradita nell'atto stesso in cui la si definisce dicendola.

CitazioneInoltre (per farmi capire) mi dovresti tradurre in italiano l' affermazione che[/size] L'essere "reali" dei cavalli contrapposto all'essere "irreale" degli ippogrifi, non consiste nel fatto che qualcosa come un cavallo lo possiamo toccare, vedere, misurare, mentre qualcosa come un ippogrifo no, al massimo sognare, ma che mentre qualcosa che significa "cavallo" ha un posto nella rappresentazione che ci si dà nel mondo, qualcosa come un ippogrifo no, ove la rappresentazione che si dà del mondo non è una rappresentazione assoluta. ma partecipa del nostro esserci noi stessi rappresentati come soggetti che vedono cavalli e non ippogrifi.

Perché in italiano "essere reali" come lo sono i cavalli significa proprio poter essere toccato, visto, misurato realmente, mentre "essere qualcosa di immaginario" come lo sono gli ippogrifi significa potere al massimo essere toccato, visto, misurato solo in sogno, nella fantasia o in un' allucinazione.
Il problema è che noi non tocchiamo, né vediamo semplicemente cavalli, ma qualcosa che per noi assume mentalmente tale significato e i significati non si toccano con le dita né si vedono con gli occhi, anche se qualcosa deve essere esperita per avere significato. Questo per me è fondamentale, poiché implica che l'allucinazione non è qualcosa di irreale in senso oggettivo, ma è irreale in rapporto a una soggettività condivisa che non è per nulla arbitraria, ma è il risultato di un contesto che determina il senso di verità o falsità su cui convengono necessariamente e con limitate possibilità di scarto i soggetti che vivono e operano in quel contesto. In definitiva chi vede ippogrifi non vede l'irreale più di chi vede cavalli, semplicemente è fuori dal contesto di senso soggettivamente condiviso nel mondo in cui vive. Ed è questo che ha delle enormi conseguenze sulla sua vita, non certo la questione di cosa sia in sé reale o no (che nessuno vede).