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Messaggi - 0xdeadbeef

#346
Citazione di: paul11 il 02 Febbraio 2019, 14:32:27 PM

Non ci capiamo Mauro( oxdeadbeaf) .
Nessuno nega che noi diveniamo e che il divenire è la dimensione della dinamica dell'esistenza. Neppure Severino lo nega.
Il problema ,e rispondo indirettamente a Sariputra, è il rapporto fra verità incontrovertibile che non può che essere eterna e il divenire delle dinamiche dei cicli e delle esistenze.
Se il divenire NEGA ,e questa è la scelta occidentale e non orientale, la verità incontrovertibile, storicizza la morale esponendola alle mode culturali.



Ciao Paul
E se (ma sia chiaro che sto chiedendo, non affermando) la "verità incontrovertibile" fosse il divenire?
Vedi, io sono d'accordo con te su molti e dirimenti punti, ma il fondamento è per me una domanda, o per
meglio dire un imperativo ipotetico (appunto: "se Dio non esiste, allora tutto è lecito"), non una
affermazione quale sembra essere per te.
Certamente l'esistenza umana nel divenire è la ricerca di senso e significato, ma se questa ricerca fosse
vana? Se cioè non vi fosse nessun senso o significato? Evidentemente solo una persona non dotata di
sensibilità e profondità di pensiero potrebbe addirittura non sperare che che questa ricerca abbia un senso;
ma una speranza non è una certezza, e tale ricerca potrebbe effettivamente essere vana (non in quanto
"ricerca", ma in quanto non esiste l'oggetto di tale ricerca - cioè non esiste un senso e un significato).
E se la dimensione dell'"eterno" fosse non ciò che speriamo, ma il vuoto cosmico che Levinas chiama "l'y'a"?
Sicuramente non sarebbe un "nulla" dal quale gli essenti provengono per poi ritornare, ma sarebbe al "nulla"
equivalente. Anzi: spaventosamente equivalente...
saluti
#347
Citazione di: paul11 il 01 Febbraio 2019, 23:09:41 PMPerchè, e quì raccolgo l'invito anche di Apeiron, se la morale è ancorata all'uomo non se ne  esce:
ha ragione il cannibael, il tagliatore di teste, ma anche l'anacoreta e il mistico, l'ateo e il credente.
Il fondamento della morale non è l'uomo, anche se nasce dall'uomo


Ciao Paul
Se la morale è ancorata all'uomo se ne esce eccome. Solo che l'uscita non è quella, luminosa, che vorrebbero alcuni
di coloro che sono intervenuti su questo argomento, bensì quella tenebrosa di Nietzsche...
Dicevi di cercare senso e significato, ma hai mai pensato (certamente sì) che il senso e il significato potrebbero
essere la mancanza degli stessi?
Questa volta, Paul, non ti capisco. E non ti capisco pur, come dire, sentendoti vicino...
Per certi versi mi ricordi proprio Severino, il quale dice che la tecnica è il rimedio che i "mortali" hanno
escogitato per far fronte all'angoscia suscitata dal divenire ma che poi non resiste alla tentazione di seguire,
egli stesso, un ragionamento "tecnico"; un ragionamento infine "salvifico" (l'eternità di ogni istante, l'essere
sempre tutti e già salvi dall'annientamento della morte).
Alla medesima maniera tu, con quel: "se la morale è ancorata all'uomo non se ne esce" sembri voler cercare per forza
una via d'uscita; una via d'uscita che, beninteso, non sia quella di Nietzsche...
saluti
#348
Citazione di: viator il 01 Febbraio 2019, 23:05:27 PM
Salve Oxdeadbeef. Non ritengo affatti sinonimi Dio e sacralità. Il primo termine è certamente rigorosamente connesso al secondo, ma il sacro in sè come concetto affonda il proprio significato nei tabù. Il sacro è sempre collegato a doveri o limitazioni di carattere talmente radicato ed imperativo da farne appunto dei tabù.

Che la parte del leone la facciano i temi religiosi, ovvio ma per nulla esaustivo.
Esistono la sacralità della vita, dei giuramenti, dei confini della Patria......tutti aspetti sui quali anche gli atei potrebbero convenire. Saluti.

Ciao Viator
E da ateo (per mia sfortuna) infatti vi convengo, ma non è questo il punto (come dico anche sopra in risposta
ad Ipazia).
Tu (ed altri) continuate a figurarvi "Dio" come una divinità della tradizione religiosa, ma il mio discorso
ha la pretesa, forse senza esserne degno, di essere filosofico, non teologico.
"Dio" come il Sacro; come l'Assoluto; o come il severiniano "Inflessibile"; concetti che oggi in molti (compreso
tu) hanno trasposto ad elementi umani, come appunto la vita, i giuramenti etc.
Severino, con una efficacissima espressione, dice che l'Inflessibile è stato "ricostituito". E continua acutamente:
"ed è stato ricostituito perchè l'uomo non sopporta l'angoscia suscitata dal divenire".
Se infatti vi fosse una piena consapevolezza dell'accettazione del divenire ogni "sacralità" ne sarebbe inevitabilmente
e definitivamente compromessa. E la vita, i giuramenti, la Patria, da articoli di fede diventerebbero ciò che
probabilmente sono: prodotti della volontà di potenza.
Perchè è con Nietzsche, non con i preti, che bisogna confrontarsi...
saluti
#349
Citazione di: Ipazia il 01 Febbraio 2019, 22:16:31 PM
Io, da umanista marxista, rispondo alla terza domanda di Apeiron: la vita umana. Cosa c'è di più sacro di una vita unica e irripetibile, neppure scalfita dall'illusione di una salvezza eterna?

E ciò vale anche per il teismo fin dal suo nascere: sacrifici eccellenti nella mitologia greca. Di solito un figlio/a di re. Il cristianesimo nasce dal sacrificio del figlio di un dio Padre. Ma pure a Stalingrado si celebró un olocausto di proporzioni mitologiche. Quale di questi episodi è vero sacro e quale è falso?


Ciao Ipazia
A mio modo di vedere continui a confondere il discorso filosofico con quello teologico.
Ovvero, quando ti chiedi di un "vero" sacro e di un "falso" sacro fai lo stesso, speculare, discorso di
un prete cattolico che dice che l'Islam non è vera fede (e viceversa, naturalmente).
Non è evidentemente questo ad essere in discussione.
Ad essere in discussione è invece il concetto di "sacro", che ieri riguardava la divinità tradizionalmente
intesa ed oggi riguarda altre "cose", che ritenute sacre assurgono al medesimo "status" ieri di pertinenza
della divinità.
Ho spesso riportato, nel corso di questa discussione, il termine severiniano di "Inflessibile". Ecco, mi
sembra che esso sia proprio il termine giusto per tentare una (faticosissima) via d'uscita da un dialogo
che in troppi intendono erronenamente come una diatriba teismo - ateismo.
saluti
#350
Citazione di: Ipazia il 01 Febbraio 2019, 20:44:00 PM
Perché entrambi non avete capito che può esserci anche un fondamento di "sacralità" non teistica, su cui fondare un'etica atea vera, non simulata (umanesimo). Questione posta da opportuno rilancio di discussione di Apeiron.

Ciao Ipazia
Mah guarda, pur mettendoci tutta la mia buona volontà non riesco a capire come possa esistere un sacralità
non teistica (visto che i termini "Dio" e "Sacro" sono sinonimi - non lo sono semmai da un punto di vista
teologico, ma credo qui non ci interessi poi tanto).
Alla terza domanda di Apeiron rispondo convintamente: Dio (o il Sacro). E Tu? Cosa rispondi alle altre due?
saluti
#351
Ciao Sgiombo
Tranquillo perchè il malato posso essere benissimo io (il tuo rilievo è acuto e giustificato)...
Però per risponderti devo andare, diciamo, sul difficile. Per adesso ti rimando alle risposte all'amico
Davintro, e in particolare all'ultima, cui lui non ha risposto.
Diciamo che il concetto di un "ideale universale pratico", che lui mi sembra suggerire, dal mio punto
di vista è "praticabile" solo con la teoresi kantiana (così, a naso, mi sembra che lui la intenda invece
alla maniera della Fenomenologia). E nella teoresi kantiana Dio "rientra", come postulato, nella teoresi
dopo che la stessa teoresi ne ha dimostrato l'inconoscibilità.
Diciamo quindi un Dio "pratico" alla stessa maniera dell'ideale universale pratico, che detta in altri
termini (vedi le mie successive risposte a Paul11) significa riproporre la medesima struttura del sacro
anche in ciò che sacro non è.
Perchè il punto che noi (io e l'amico Paul, che la pensiamo in maniera simile) contestiamo, per così
dire, non è che ci sia Dio contro chi dice che non c'è; ma appunto che chi dice che non c'è poi ne ripresenti
la medesima struttura sacrale.
Insomma, per me non si può dire: "Dio non esiste, ma facciamo finta che esista".
Non lo trovo, come dire, "onesto"...
saluti
#352
Tematiche Filosofiche / Re:Il fine giustifica i mezzi?
01 Febbraio 2019, 19:48:34 PM
A parer mio la faccenda è, o può essere, molto più complicata di quel che si sarebbe portati a pensare...
Innanzitutto mi sembra il caso di sottolineare che forse Machiavelli non ragionava secondo la nostra "forma
mentis"...
Il primo, almeno a quanto mi risulta, a notare che nella modernità il mezzo non era poi tanto più distinguibile
dal fine è stato Max Weber. Il quale, nel monumentale: "L'etica protestante e lo spirito del capitalismo", notava
come per i moderni capitalisti i soldi servissero a...fare altri soldi.
Voglio dire, in Machiavelli probabilmente non era presente neppure il più vago sentore di questa moderna
indistinzione. Probabilmente il suo modo di ragionare non era molto diverso da quello di Aristotele, il quale
identifica il fine con la forma, o "ragion d'essere della cosa", cioè con la stessa "sostanza".
E' chiaro insomma che Aristotele, come Machiavelli, hanno del fine un'idea metafisica; che diverge assai dall'idea
pratica con cui noi, oggi, pretenderemmo di giudicare l'assunto machiavelliano.
Con il progressivo oblio della metafisica si è avuto un progressivo oblio della distinzione fra mezzo e scopo.
L'affermazione perentoria di "thedoctor": "il fine non può e non potrà mai giustificare i mezzi" sarebbe stata
inconcepibile e blasfema per un uomo del passato convinto che: "tutto ciò che è per natura esiste per un fine"
(chiarissimo il "finalismo" metafisico che ne è a fondamento).
Dopo Weber, molti sono stati coloro che hanno indagato l'indistinzione fra mezzo e fine (a quel che ho letto
io soprattutto Severino vi dedica molte pagine). Il fine presuppone un "progettare"; un proiettarsi nel
futuro che sempre meno riguarda un uomo moderno che vive sempre più "qui ed ora", in un "eterno presente" con
cui esso nasconde, o cerca di nascondere, il vuoto esistanziale che lo circonda e che lo opprime.
saluti
#353
Ciao Sariputra
La volontà di potenza, per come io ne interpreto il concetto, è la ricerca dell'utile, di ciò che è oggetto di
desiderio (lo dicevo in: "La volontà di potenza da un altro punto di vista").
Essa dunque è (anzi: non "è", ma "temo che sia") il movente originario; il motore immobile che dà il via ad ogni
umano agire.
Da questo punto di vista è insensato parlare di chi ne è il "possessore", visto che persino il suicida o il
masochista fanno ciò che fanno in quanto quello è l'oggetto del loro desiderio; ciò che rappresenta il loro utile.
Ora, affermi: "Una volontà presuppone la capacità di scegliere in vista di fini determinati. Gli esseri senzienti
dispongono di una volontà di potenza che sceglie in vista di fini determinati?".
Io non sarei poi troppo sicuro che sussista ancora una netta distinzione fra mezzo e scopo (volevo giusto rispondere
all'altro post...). Praticamente (e trasportando questo concetto al mio ragionamento), stai con ciò dicendo che un
utile futuro potrebbe non coincidere con un utile immediato?
Ti pregherei dunque di chiarirmi meglio questo punto (e già che ci sei anche quello della scissione fra voler e non
voler essere).
saluti
#354
Citazione di: Menandro il 01 Febbraio 2019, 12:11:43 PM

Dostoevskij insomma sa che anche il Falso può essere sacro e fondare la legge del bene e del male. E che non c'è quindi un legame necessario fra Dio e la legge morale, né fra ciò che è sacro e Dio.

Ciao Menandro (e benvenuto)
Una riflessione, la tua, molto interessante...
Per come la vedo io non c'è un legame necessario fra Dio e la legge morale, o il sacro, essenzialmente perchè il
sacro o la legge morale, diciamo, esistono realmente e senza che tale esistenza reale abbia una attinenza necessaria
("necessaria", si bai bene) con l'esistenza reale di Dio.
In altre parole, l'attinenza è semmai con la "possibilità" dell'esistenza reale di Dio (proprio nel capitolo del
Grande Inquisitore - o più ancora esplicitamente nella teoria morale di Kant - è infatti sottolineata una moralità
che proprio nel dubbio circa l'esistenza di Dio trova il motivo peculiare della propria esistenza).
saluti
#355
Citazione di: paul11 il 01 Febbraio 2019, 10:42:43 AM
L'ordine in divenire può essere solo relativo ed è questo che studia il materialismo storico di Marx, eludendo altri tipi di domande.
L'ordine di Von Hayek è nello stesso fondamento, natura, materia e organizzazione umana in termini di utilità .
Se si sposano queste tesi e le si battezzano come vere ,attenzione che il vero vincitore è Nietzsche.
Lui non si chiede da dove viene e dove andrà, incentra tutto sull'arco dell'esistenza, come dire il senso della vita è già nell'esistenza,nasce e muore nell'esistenza.

Ciao Paul
Come noto Aristotele immette nel principio di identità parmenideo l'elemento del tempo...
"La cosa che è e che non può non essere" di Parmenide diventa allora: "la cosa che è e che non può non essere nel
medesimo rispetto" (ciò vuol naturalmente dire che Aristotele vi immette il divenire).
Nel tempo, il divenire "assorbe" il principio di identità; un processo che culmina a parer mio nel celebre: "nell'
eterno fluire delle cose di nulla potremmo dire che è" (Nietzsche).
La verità incontrovertibile, dunque, è il divenire? Il senso e il significato sono forse parole vuote e, appunto,
prive di senso e significato (e la stessa parola lo è)?
Lo stesso "nominare", infatti, nel senso proprio di "parlare", non è forse esso stesso un tentativo di "ordinare" ciò che,
nel kaos, non può essere ordinato?
Mi chiedo spesso non se possa esservi filosofia dopo Nietzsche, ma addirittura se possa esservi "umanità" e "vita"...
La risposta che mi dò è la medesima di Kant e di Heidegger: solo un (improbabile) Dio può salvarci.
saluti
#356
Citazione di: paul11 il 31 Gennaio 2019, 13:48:35 PMSeverino comunque dice cose importanti e a mio parere sono verità che la nostra cultura già in epoca greca classica, aveva smarrito.
Lì è avvenuta  la scelta, se così si può dire, di ritenere la verità dentro il divenire e non nell'eterno
Quindi l'inflessibile, la verità incontrovertible ed eterna, si flette nel divenire sposando la tesi che storicamente apparirà molto più chiara nella modernità, che ciò che si manifesta è la verità .

Gli scienziati fisici come costruiscono una legge fisica? Se non vi fosse un ordine e una regola a monte ,come potremmo mai descrivere un mondo che ogni giorno cambierebbe regole e ordini e quindi l'intero sistema universale?



Ciao Paul
Più che la verità "dentro" il divenire io direi la verità "come" divenire...
E se la verità è il divenire, naturalmente qualsiasi "indiveniente" è destinato ad essere "flesso". Ma proprio
per effetto della "tecnica", cioè proprio per effetto di quel qualcosa che ha edifificato, nel divenire, gli indivenienti,
adesso si cerca un nuovo indiveniente che prenda il posto dell'indiveniente-divenuto (cioè, come Dio, morto...).
Questo perchè (non saprei se Severino lo afferma proprio ne: "La struttura originaria" o in un altro dei primi scritti) la
"tecnica" è essenzialmente il rimedio che l'uomo escogita per far fronte al tremendo senso di angoscia suscitato dal
divenire.
Ma è chiaro che, se la scelta originaria è stata per il divenire, ogni riedificazione tecnica dell'indiveniente è
destinata allo scacco. E dunque: la tecnica è forse, per così dire, arrivata ad imboccare un binario morto?
Forse a questa domanda non è estranea la riflessione secondo cui, e già M.Weber lo intuiva, il mezzo ha preso il posto dello
scopo (per Severino la volontà di potenza che ha come suo scopo l'incremento indefinito di se stessa), ma non divaghiamo
oltre il lecito...
Ora, quale ordine può esservi nel divenire? Non saprei rispondere; forse non è assurdo pensare ad un ordine indiveniente NEL
divenire (cosa che Severino esclude categoricamente), ma avrei onestamente bisogno di rifletterci...
Mi sembra però di poter dire che un ordine, quindi un "kosmos", non possa essere, esso, diveniente (e il punto è ovviamente
dirimente).
Dunque, in ogni caso, l'ordine non può che essere inteso come indiveniente, come eterno (pena il non poter essere "ordine").
Nello stesso tempo mi chiedo però se anche quello "istituito" dalla volontà di potenza non possa essere definito "ordine"...
saluti
#357
Citazione di: Iamthedoctor il 30 Gennaio 2019, 20:08:05 PM
Intervengo quasi con timore reverenziale. Mi sono appena iscritto, credo di non essere all'altezza di chi scrive qui dentro, ma ci sono arrivato ( in questo forum) dopo aver cercato discussioni serie in merito al libero arbitrio ( nel quale credo)( credo molto meno nelle certezze scientifiche tese a demolirlo) e quindi provo comunque a scrivere la mia.
(non ho ancora letto bene tutti gli interventi precedenti, mi riprometto di farlo).
Ho una mia convinzione: che l'uomo, di per sé, sia incapace di buone azioni, di altruismo, di generosità. L'uomo, di per sé, è meschino, egoista e crudele.

Ciao Doctor
Per prima cosa direi che non ti devi preoccupare affatto di non essere all'altezza o cose simili (tempo fa su questa
cosa ci ho fatto un post, e se vuoi te lo ritrovo - "la filosofia come condivisione", in "percorsi ed esperienze")
Io non credo che esista un uomo "di per sé". Con "di per sé" io credo si indichi necessariamente quella che è la
"natura", e io credo che nell'uomo natura e "cultura" si intreccino così ingarbugliatamente che risulta impossibile
distinguerle.
C'è una frase di Heidegger che ho sempre trovato come uno dei punti più alti cui è giunta la filosofia. Essa dice:
"l'esserci" dell'uomo - cioè il suo essere, il suo "trovarsi" nel mondo - progetta il suo essere - cioè la sua più
intima essenza - in possibilità".
Con ciò Heidegger vuol dirci che ciò che più di ogni altra cosa caratterizza l'uomo è la "possibilità", la "progettualità"
(ad esempio di essere buono o cattivo). Ed è evidente la differenza con la "necessità", propria invece degli animali.
saluti
#358
Citazione di: paul11 il 30 Gennaio 2019, 23:04:13 PMUn dispositivo culturale è mantenere una forma originaria, svuotarla di contenuti antichi e ipocritamente inserirvi un'altra.


Ciao Paul
Al riguardo volevo chiederti un parere su quel concetto di Severino: la "ricostituzione dell'Inflessibile", cui accenno in
interventi precedenti e che qui, per comodità, richiamo.
Dunque l'Inflessibile, come sinonimo credo del "sacro", o di una verità che si suppone "incontrovertibile".
Severino afferma che l'Inflessibile è stato "flesso", e che tale flessione è irrevocabile (cioè che "Dio è definitivamente
morto"). Senonchè, e a dispetto di ciò, l'Inflessibile tende sempre a ricostituirsi (troppo grande è, dice Severino,
l'angoscia suscitata dal divenire delle cose), ma tale ricostituzione, essendo l'Inflessibile flesso definitivamente,
è sempre venata dal elementi esistenziali e psicopatologici (Severino fa gl esempii di una barra d'acciaio flessa e poi
raddrizzata, le cui fibre ferrose sono però definitivamente compromesse. E di un bambino la cui innocenza, una volta
perduta, lo è per sempre).
Due parole, infine, sul concetto di "ordine"...
Sì, va bene, ma sai meglio di me che fondamentale è definire con maggior precisione questo "ordine".
L'"ordine" è, per così dire, calato dall'alto come nella tradizionale visione della filosofia continentale?
Oppure è, alla maniera anglosassone, un "ordine" che "viene dal basso", cioè un ordine che troverà nell'aggettivo
"spontaneo" (come in Von Hayek) la propria più pertinente ed attuale declinazione?
saluti
#359
Citazione di: Sariputra il 30 Gennaio 2019, 14:05:39 PM
Mi sembra quasi che il problema stia nel non rendersi consapevoli che il 'bene' non è un oggetto della coscienza, qualcosa che la coscienza osserva, che se ne sta lì davanti ad essa.

Ciao Sariputra
I tuoi interventi su questo post sono, semplicemente, deliziosi...
Essi sono un esempio di critica letteraria di prima grandezza (e non sto esagerando), ma da un punto di vista filosofico
e teologico presentano a parer mio alcuni problemi di non facile soluzione.
Il "Bene" come un qualcosa di oggettivo; un qualcosa che la coscienza "osserva"; oppure come un qualcosa di soggettivo;
un qualcosa che la coscienza "è"?
C'è molto di vero in quel che scrivi a proposito di un "Bene" oggettivo (che la coscienza osserva) che finisce con l'essere
un feticcio, un "totem". Ma il Bene soggettivo non è a mio avviso meno immune alle derive...
L'idea di un Bene oggettivo mostra certamente il fianco a questa primaria critica: chi ha detto cos'è Bene e cos'è Male?
E chiaramente, a meno di non credere al rovo ardente che dà le Tavole della Legge a Mosè, bisogna ammettere che chi ha detto
cos'è Bene e cos'è Male è stato un uomo...
Però l'idea di un Bene soggettivo non "risolve" nessun problema; perchè delega al soggetto di dire ciò che è Bene e ciò che è
Male.
E la "coscienza", cos'è? La intendiamo forse come "spirito"? E con essa intendiamo forse l'uomo come "parte"; come "creatura";
come "figlio" e, in definitiva, "come Dio"? E non è forse un'idea come questa, cioè un'idea che di fatto "identifica" l'uomo
a Dio a costituire quel "modernismo religioso" che, oltre a ridurre Dio all'uomo (con non completo torto di chi vi vede un
ateismo), va contro quella tradizione di cui proprio Dostoevskij si faceva portavoce?
Per come io lo vedo e lo interpreto, la grandezza di Dostoevskij (in modo del tutto simile a quella di Kant) risiede nell'aver
posto degli interrogativi che rimangono "aperti"; degli interrogativi ai quali non può e non potrà mai esservi risposta certa.
E che proprio per questo non possono che rimandare ad una "risposta" necessariamente personale e relativa...
saluti
#360
Citazione di: Apeiron il 29 Gennaio 2019, 14:44:57 PM
Non a caso le sue opere sono molto belle proprio perché, secondo me, mettono in luce proprio questo. Alcuni personaggi mettono in discussione i giudizi di valore etico più 'ovvi', quelli quasi nessuno metterebbe in discussione. Tuttavia, Dostoevskij (D.), secondo me, si tormentava (anche) proprio per questa possibilità che i giudizi etici più 'scontati' possono essere messi in discussione. Quindi, D. cerca di risolvere il problema cercando di dare una base solida al carattere 'deontologico' dell'etica. L'etica richiede di fare il 'bene' e di non fare il 'male'. E, quindi, necessiterebbe, tra l'altro, anche della 'certezza' di cosa è 'bene' e di cosa è 'male'. Invece, l'osservazione scientifica ci può dare al massimo ipotesi. Quello che vuole dire D., secondo me, in sostanza non è che i non-credenti non possono essere virtuosi, bensì che, ad esempio, l'osservazione empirica non riesce a dare quelle basi solide che sembrano servire all'etica. Se non erro questo è quanto voleva affermare @0xdeadbeef (il quale potrà contraddire il sottoscritto se vuole e lo ritiene opportuno...).


Ciao Apeiron
Assolutamente no. Anzi, spieghi molto bene quel che intendevo dire.
saluti