Citazione di: Loris Bagnara il 01 Giugno 2016, 12:04:24 PMLoris Bagnara ha scritto:
Il problema del libero arbitrio è estremamente complesso.
Io vedo quattro possibilità:
1) l'agire umano è dettato dal caso;
2) l'uomo è condizionato sia nel volere che nell'agire;
3) l'uomo è condizionato nel volere, ma libero nell'agire;
4) l'uomo è libero tanto nel volere quanto nell'agire.
Solo nel caso n. 4 si ha il libero arbitrio e pertanto si può parlare di piena responsabilità etica. Ma tale condizione di piena libertà (se non attuale, almeno potenziale e futura, come obbiettivo dell'evoluzione umana) non la si può dimostrare "naturalisticamente", la si può solo postulare come una necessità per poter parlare appunto di etica (come fece Kant, torno a dire). Un po' come non si può dimostrare naturalisticamente l'esistenza del Sé, ma lo si può solo postulare.
Il caso n. 3 potrebbe corrispondere alla posizione "compatibilista", ma in tal caso non si può parlare di piena responsabilità etica, perché l'uomo in tale ottica può solo liberamente agire secondo i suoi voleri, ma non può "volere i suoi voleri". I suoi voleri e le sue inclinazioni sono la natura dell'individuo, rispetto a cui l'individuo è passivo, è soggetto, e dunque non libero, non autonomo, non pienamente responsabile. Anche la giustizia terrena ammette questo principio quando riconosce che un individuo non può essere punito quando il suo comportamento delittuoso deriva dai condizionamenti della sua natura (ad esempio, disturbi psichici), benché il soggetto possa sempre, in teoria, comportarsi in modo da non assecondare i propri impulsi.
Rispondo:
Il caso 4 (se per "l' uomo è libero nell' agire" si intende la totale assenza di costrizioni estrinseche) è evidentissimamente irrealistico (ora e in qualsiasi futuro possibile): si tratterebbe dell' "onnipotenza divina".
E non è che semplicemente postulando -ad libitum- l' impossibile si possa farlo diventare possibile (si ricadrebbe nella condizione dell' "onnipotenza divina").
E comunque, anche nel caso 4, il problema è che se di dà libero arbitrio (=non determinismo intrinseco bensì casualità di comportamento), allora non si può parlare di alcuna "responsabilità etica" poiché il comportamento di cui si tratta non può in alcun modo essere considerato più o meno eticamente buono o malvagio a seconda che sia intrinsecamente determinato dalla maggiore o minore bontà oppure malvagità del suo soggetto agente, bensì solamente casuale, fortuito: è esattamente se come se fosse determinato in base al lancio di una moneta o di dadi.
Il caso n. 3 corrispondere pienamente alla posizione "compatibilista", e in tal caso si può benissimo parlare di piena responsabilità etica, perché l'uomo in tale ottica può solo liberamente agire secondo i suoi voleri: se è buono vuole il bene, se malvagio vuole il male: le sua scelte conseguono alle (e dimostrano le) sue qualità morali (e non al caso = indeterminismo intrinseco = libero arbitrio).
E questo è precisamente ciò che si intende per "responsabilità etica".
Ovviamente non può "volere i suoi voleri": si tratta di una impossibilità logica: se avesse voluto (volontà2) i suoi attuali voleri (volontà1), allora la volontà2 se la sarebbe ritrovata senza averla voluta, se non in conseguenza di una ulteriormente precedente volontà3; a meno di cadere in un illogicissimo regresso all' infinito: volontà4, volontà 5 e così via senza mai arrivare a una volontà non subita passivamente.
In fatti la "giustizia terrena", che riconosce che un individuo non può essere punito quando il suo comportamento delittuoso deriva dai condizionamenti della sua natura (ad esempio, disturbi psichici), se fosse conseguente dovrebbe astenersi sempre dal punire chiunque (mai) dal momento che nessuno può essere come è e conseguentemente agire come agisce in conseguenza di una sua libera scelta non dovuta a come fosse (non per sua libera scelta) al momento di compierla.
Ma il fatto è che -a costo di cadere nell' incoerenza- bisogna pur imporre una giustizia, anche se ciascuno di noi inevitabilmente (inevitabilità "logica") si trova ad essere come è e ad agire come agisce non per sua volontà (e questo è fra l' altro un ulteriore motivo per sostenere l' ingiustizia del mettere al mondo figli).
...C' é chi ha la sorte (fortuna) di essere più o meno buono e onesto e chi ha la sorte (sfortuna) di essere più o meno malvagio e disonesto: é inevitabile, a meno che onestà e disonesta, bontà e malvagità non esistessero e il comportamento umano fosse del tutto casuale, aleatorio (= liberoarbitrario).
Nel primo caso si avrebbero le caratteristiche etiche che si hanno per caso, nel secondo non si avrebbero caratteristiche etiche ma si agirebbe a caso (francamente non so che di che "importanza sostanziale" potrebbe essere la differenza, ma tertium non datur).
Loris Bagnara ha scritto:
"Le leggi di conservazione delle scienze naturali non sono affatto "magie" e men che meno "incoerenti", (Sgiombo)
Qui c'è stata un'incomprensione. Ovviamente la legge di conservazione non è una magia e non è incoerente. L'incoerenza a cui alludevo è nel fatto che la scienza meccanicista e riduzionista applica tale legge a tutti i fenomeni fisici ma NON al fenomeno della coscienza. Per la scienza riduzionista è perfettamente ammissibile ritenere che la coscienza sia un'illusione che sorge dal nulla e sparisce nel nulla (è questa la magia a cui alludevo); e si sente legittimata a farlo proprio perché descrive la coscienza come un'illusione e non come un fenomeno reale.
Rispondo:
A me sembra che attribuire le leggi fisiche a tutti i fenomeni fisici (che sono anch' essi contenuti di coscienza -lo dice la parola stessa: "fenomeno"- anche se non esclusivi, esistendo con uguale "grado di realtà" o "valenza ontologica" anche quelli mentali) ma NON ai fenomeni mentali sia perfettamente coerente: sarebbe casomai incoerente non attribuirla a tutti i fenomeni fisici oppure pretendere di attribuirla a fenomeni che fisici non sono, cioé a quelli mentali.
E che per l' appunto il monismo materialistico, proprio nelle sua varianti riduzionistiche, compia invece proprio l' errore di pretendere di attribuire indebitamente le leggi fisiche anche ai fenomeni mentali.
Loris Bagnara ha scritto:
"Non vedo come l' imposizione non concordata, forzata di un rischio ad altri non possa non essere considerata un' ingiustizia (se così fosse, lo schiavismo e l' imposizione ai figli di matrimoni concordati fra i genitori degli sposi o i loro clan sarebbero giustissimi e sacrosanti!)" (Sgiombo).
Ammettiamo pure che l'imposizione della vita sia un'ingiustizia.
Mi pare allora che il problema si riduca al confronto fra due valori: uno, è il principio di giustizia di cui sopra; l'altro, è il valore che si attribuisce alla vita.
Io sono convinto che nessuna civiltà umana arriverà mai ad attribuire ad un astratto principio di giustizia un valore superiore a quello della vita, che resta il fenomeno più straordinario dell'universo.
E sono convinto, pertanto, che non sarà questo principio etico la causa dell'estinzione della specie umana.
Rispondo:
A parte la completa arbitrarietà e soggettività della considerazione della vita come "il fenomeno più straordinario dell'universo" (ma l' autocoscienza è della sola vita umana, almeno per quanto è dato finora di sapere), il male può anche essere "straordinario": pensa ai genocidi che sono stati può volte perpetrati (e non solo, come si pretenderebbe da qualcuno, quello tentato dai Nazisti contro gli Ebrei, che per chi non sia razzista non ha proprio nulla di sostanziale o rilevante che lo differenzi da ciascuno dei numerosi altri genocidi) o ai bombardamenti atomici del 1945 e ai loro effetti; ma non per questo cessa di essere male: da non farsi secondo gli imperativi etici
(lo é anzi a maggior ragione!)
Quanto all' autocoscienza come causa di estinzione dell' umanità "eticamente dettata", per me è solo un' ipotesi.
Ritengo più probabile che ben prima di potervi arrivare l' umanità si estinguerà "prematuramente e di sua propria mano" per la distruzione delle condizioni ambientali della sua sopravvivenza, in forma "acuta", in seguito a una guerra nucleare, oppure "cronica", in seguito alla devastazioni inevitabilmente connesse alla produzione-consumo tendenzialmente illimitata inevitabilmente imposta dai rapporti di produzione capitalistici in un ambiente limitato, dotato di risorse e "capacità rigenerative e di ripristino" limitate.