Menu principale
Menu

Mostra messaggi

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i messaggi inviati da questo utente. Nota: puoi vedere solo i messaggi inviati nelle aree dove hai l'accesso.

Mostra messaggi Menu

Messaggi - sgiombo

#3451
Citazione di: Loris Bagnara il 01 Giugno 2016, 12:04:24 PMLoris Bagnara ha scritto:

Il problema del libero arbitrio è estremamente complesso.
Io vedo quattro possibilità:
1) l'agire umano è dettato dal caso;
2) l'uomo è condizionato sia nel volere che nell'agire;
3) l'uomo è condizionato nel volere, ma libero nell'agire;
4) l'uomo è libero tanto nel volere quanto nell'agire.
Solo nel caso n. 4 si ha il libero arbitrio e pertanto si può parlare di piena responsabilità etica. Ma tale condizione di piena libertà (se non attuale, almeno potenziale e futura, come obbiettivo dell'evoluzione umana) non la si può dimostrare "naturalisticamente", la si può solo postulare come una necessità per poter parlare appunto di etica (come fece Kant, torno a dire). Un po' come non si può dimostrare naturalisticamente l'esistenza del Sé, ma lo si può solo postulare.

Il caso n. 3 potrebbe corrispondere alla posizione "compatibilista", ma in tal caso non si può parlare di piena responsabilità etica, perché l'uomo in tale ottica può solo liberamente agire secondo i suoi voleri, ma non può "volere i suoi voleri". I suoi voleri e le sue inclinazioni sono la natura dell'individuo, rispetto a cui l'individuo è passivo, è soggetto, e dunque non libero, non autonomo, non pienamente responsabile. Anche la giustizia terrena ammette questo principio quando riconosce che un individuo non può essere punito quando il suo comportamento delittuoso deriva dai condizionamenti della sua natura (ad esempio, disturbi psichici), benché il soggetto possa sempre, in teoria, comportarsi in modo da non assecondare i propri impulsi.

 
Rispondo:

Il caso 4 (se per "l' uomo è libero nell' agire" si intende la totale assenza di costrizioni estrinseche) è evidentissimamente irrealistico (ora e in qualsiasi futuro possibile): si tratterebbe dell' "onnipotenza divina".
E non è che semplicemente postulando -ad libitum- l' impossibile si possa farlo diventare possibile (si ricadrebbe nella condizione dell' "onnipotenza divina").

E comunque, anche nel caso 4, il problema è che se di dà libero arbitrio (=non determinismo intrinseco bensì casualità di comportamento), allora non si può parlare di alcuna "responsabilità etica" poiché il comportamento di cui si tratta non può in alcun modo essere considerato più o meno eticamente buono o malvagio a seconda che sia intrinsecamente determinato dalla maggiore o minore bontà oppure malvagità del suo soggetto agente, bensì solamente casuale, fortuito: è esattamente se come se fosse determinato in base al lancio di una moneta o di dadi.
 
Il caso n. 3 corrispondere pienamente alla posizione "compatibilista", e in tal caso si può benissimo parlare di piena responsabilità etica, perché l'uomo in tale ottica può solo liberamente agire secondo i suoi voleri: se è buono vuole il bene, se malvagio vuole il male: le sua scelte conseguono alle (e dimostrano le) sue qualità morali (e non al caso = indeterminismo intrinseco = libero arbitrio).
E questo è precisamente ciò che si intende per "responsabilità etica".
Ovviamente non può "volere i suoi voleri": si tratta di una impossibilità logica: se avesse voluto (volontà2) i suoi attuali voleri (volontà1), allora la volontà2 se la sarebbe ritrovata senza averla voluta, se non in conseguenza di una ulteriormente precedente volontà3; a meno di cadere in un illogicissimo regresso all' infinito: volontà4, volontà 5 e così via senza mai arrivare a una volontà non subita passivamente.

In fatti la "giustizia terrena", che riconosce che un individuo non può essere punito quando il suo comportamento delittuoso deriva dai condizionamenti della sua natura (ad esempio, disturbi psichici), se fosse conseguente dovrebbe astenersi sempre dal punire chiunque (mai) dal momento che nessuno può essere come è e conseguentemente agire come agisce in conseguenza di una sua libera scelta non dovuta a come fosse (non per sua libera scelta) al momento di compierla.
Ma il fatto è che -a costo di cadere nell' incoerenza- bisogna pur imporre una giustizia, anche se ciascuno di noi inevitabilmente (inevitabilità "logica") si trova ad essere come è e ad agire come agisce non per sua volontà (e questo è fra l' altro un ulteriore motivo per sostenere l' ingiustizia del mettere al mondo figli).

...C' é chi ha la sorte (fortuna) di essere più o meno buono e onesto e chi ha la sorte (sfortuna) di essere più o meno malvagio e disonesto: é inevitabile, a meno che onestà e disonesta, bontà e malvagità non esistessero e il comportamento umano fosse del tutto casuale, aleatorio (= liberoarbitrario).
Nel primo caso si avrebbero le caratteristiche etiche che si hanno per caso, nel secondo non si avrebbero caratteristiche etiche ma si agirebbe a caso (francamente non so che di che "importanza sostanziale" potrebbe essere la differenza, ma tertium non datur). 

 
 

 
Loris Bagnara ha scritto:

 "Le leggi di conservazione delle scienze naturali non sono affatto "magie" e men che meno "incoerenti", (Sgiombo)

Qui c'è stata un'incomprensione. Ovviamente la legge di conservazione non è una magia e non è incoerente. L'incoerenza a cui alludevo è nel fatto che la scienza meccanicista e riduzionista applica tale legge a tutti i fenomeni fisici ma NON al fenomeno della coscienza. Per la scienza riduzionista è perfettamente ammissibile ritenere che la coscienza sia un'illusione che sorge dal nulla e sparisce nel nulla (è questa la magia a cui alludevo); e si sente legittimata a farlo proprio perché descrive la coscienza come un'illusione e non come un fenomeno reale.
 
Rispondo:

A me sembra che attribuire le leggi fisiche a tutti i fenomeni fisici (che sono anch' essi contenuti di coscienza -lo dice la parola stessa: "fenomeno"- anche se non esclusivi, esistendo con uguale "grado di realtà" o "valenza ontologica" anche quelli mentali) ma NON ai fenomeni mentali sia perfettamente coerente: sarebbe casomai incoerente non attribuirla a tutti i fenomeni fisici oppure pretendere di attribuirla a fenomeni che fisici non sono, cioé a quelli mentali.

E che per l' appunto il monismo materialistico, proprio nelle sua varianti riduzionistiche, compia invece proprio l' errore di pretendere di 
attribuire indebitamente le leggi fisiche anche ai fenomeni mentali.
 


 
Loris Bagnara ha scritto:
 
 "Non vedo come l' imposizione non concordata, forzata di un rischio ad altri non possa non essere considerata un' ingiustizia (se così fosse, lo schiavismo e l' imposizione ai figli di matrimoni concordati fra i genitori degli sposi o i loro clan sarebbero giustissimi e sacrosanti!)" (Sgiombo).

Ammettiamo pure che l'imposizione della vita sia un'ingiustizia.
Mi pare allora che il problema si riduca al confronto fra due valori: uno, è il principio di giustizia di cui sopra; l'altro, è il valore che si attribuisce alla vita.
Io sono convinto che nessuna civiltà umana arriverà mai ad attribuire ad un astratto principio di giustizia un valore superiore a quello della vita, che resta il fenomeno più straordinario dell'universo.
E sono convinto, pertanto, che non sarà questo principio etico la causa dell'estinzione della specie umana.

 
Rispondo:

A parte la completa arbitrarietà e soggettività della considerazione della vita come "il fenomeno più straordinario dell'universo" (ma l' autocoscienza è della sola vita umana, almeno per quanto è dato finora di sapere), il male può anche essere "straordinario": pensa ai genocidi che sono stati può volte perpetrati (e non solo, come si pretenderebbe da qualcuno, quello tentato dai Nazisti contro gli Ebrei, che per chi non sia razzista non ha proprio nulla di sostanziale o rilevante che lo differenzi da ciascuno dei numerosi altri genocidi) o ai bombardamenti atomici del 1945 e ai loro effetti; ma non per questo cessa di essere male: da non farsi secondo gli imperativi etici
(lo é anzi a maggior ragione!)
 
Quanto all' autocoscienza come causa di estinzione dell' umanità "eticamente dettata", per me è solo un' ipotesi.
Ritengo più probabile che ben prima di potervi arrivare l' umanità si estinguerà "prematuramente e di sua propria mano" per la distruzione delle condizioni ambientali della sua sopravvivenza, in forma "acuta", in seguito a una guerra nucleare, oppure "cronica", in seguito alla devastazioni inevitabilmente connesse alla produzione-consumo tendenzialmente illimitata inevitabilmente imposta dai rapporti di produzione capitalistici in un ambiente limitato, dotato di risorse e "capacità rigenerative e di ripristino" limitate.
#3452
Citazione di: paul11 il 01 Giugno 2016, 11:39:19 AM
Sgiombo
mi pare che vi siano contraddizioni.
La teologia, Sgiombo per te è razionalismo o irrazionalismo?
La scienza empirca sperimentale con il suo modello epistemoligco  è razionalismo o irrazionalismo?

Avevo espresso infatti che c'è ambiguità sul termine razionalità ed è già insito nella storia culturale così
come è ambiguo il concetto di realismo nella storia del pensiero .
E' accaduto che ciò che prima era razionale e realismo  ad un tratto la scienza che è empirica e quindi il contrario del termine razionale
e reale, una volta giunta al potere culturale della tecnica ,abbia tacciato di irrazionalismo ,grazie anche alla linguistica analitica del Novecento, tutto ciò che fuoriuscisse dalla comprensione epistemologica della scienza moderna.
In altri termini l'empirismo diventa razionalismo e il vecchio razionalismo diventa irrazionalismo.
Quindi capisco Sgiombo il tuo giudizio.
Il mio giudizio invece è che c'è un evidente contraddizione storica nel pensiero occidentale.

baylam
prima dici che la razionalità non è in contrasto con l'istinto  e poi praticamente dici che la relazione è inversamente proporzionale:
francamene non capisco.

CitazionePur disinteressandomi della materia, non avendovi mai prestato attenzione dal momento che la ritengo una pretesa "scienza di qualcosa di inesistente" (ma anche qualora per assurdo -ammesso e non concesso- fosse esistente sarebbe per definizione inaccessibile alla ragione umana, in sostanza inconoscibile), credo che, come vi sono filosofie più o meno razionalistiche e più o meno irrazionalistiche, così vi siano teologie più o meno razionalistiche e più o meno irrazionalistiche (sebbene tutte fondate sul presupposto per me errato che Dio esista e sia possibile oggetto di conoscenza).
 
 
Tralasciando le questioni relative alla cosiddetta "presa del potere culturale da parte della scienza empirica attraverso la tecnica" e della reale portata dell' egemonia filosofica –nella filosofia occidentale in generale nel corso del 900- della filosofia in analitica e della svolta linguistica nel suo ambito, che trovo per lo meno assai discutibili, non ho dubbi che la scienza sia una manifestazione di razionalismo nel senso che non presta fede ad alcuna tesi immotivatamente, acriticamente (si può infatti anche dire: "senza ragioni" ritenute valide e comprovate) ma cercando di sottoporre la sue affermazioni a rigorosi criteri e prove di verità.
Questo ovviamente secondo un certo determinato senso del concetto di "razionalismo", sul quale concordo che può essere inteso in diversi modi, come pure quello di "razionalità" (e tantissimi altri, forse tutti); in altri possibili sensi del concetto, che è necessario chiarire esplicitamente e con la massima precisione possibile per potersi intendere, ovviamente non è razionalistica o non lo è nella stesa misura.
 
 
Senza pretendere di interpretare il pensiero di Baylam, a me pare evidente che attitudini non reciprocamente escludentisi bensì complementari come razionalità e istintualità possano ben trovarsi ad operare (nell' animo umano) anche (non sempre necessariamente) con "intensità" o forza inversamente proporzionale l' una all' altra.
#3453
Tematiche Filosofiche / Re:Che cos'è la verità?
01 Giugno 2016, 11:41:02 AM
Maral ha scritto:

Ma la verità non è necessariamente applicabile solo a dei giudizi (se per giudizio si intende un lavoro di verifica) e solo in questo senso è assoluta. Se Tizio sente di amare Maria e lo sente davvero, non è che ha bisogno di formulare un giudizio su cui valutare se è vero o no che la ama, è vero e se si mettesse a verificare cercando l'oggettività del suo amore significherebbe già che non la ama veramente. Ho tirato in ballo l'amore, ma la stessa cosa vale per il dolore: non ho bisogno di un giudizio che mi dica se il mio dolore è vero o falso, è oggettivo o soggettivo, lo sento, lo vivo, è vero. E così è per la paura, per l'angoscia (che, a differenza della paura, non ha né soggetto né oggetto), per la gioia. L'angoscia e la gioia non sono sentimenti che riguardano un soggetto (a lui relativi), suoi modi di sentire, ma accadimenti che lo trascendono accadendo, sono rivelazione.
Il reale si presenta nella verità del suo accadere e questo accadimento può porre insieme il suo soggetto e il suo oggetto. Fuori da questo puro accadere non c'è né soggetto né oggetto e il giudizio logico verificante è solo un problema del soggetto, della sua soggettività per come è determinata dall'evento.
Quando dico la verità non la dico, poiché l'evento della verità è indicibile, a meno che non sia il mio dire stesso questo evento di verità, prima che venga giudicato su un piano logico. E questo non significa che tutto è vero, è vero solo ciò che si presenta come evento di verità, come il male che sento se mi schiaccio un dito.

Rispondo:


Mi sembra che qui si confondano fatti e credenze, realtà (o meno) e verità (o meno).

L' amore di Tizio per Maria e il dolore sentito da Caio sono fatti (non credenze, predicati, giudizi, conoscenze; lo sarebbero casomai le affermazioni "Tizio ama Maria" o "Caio soffre", dette da Tizio, Caio o chiunque altro).
E come tali possono solo essere reali (o meno, a seconda dei casi), e non veri o falsi.
Veri o falsi possono essere solo credenze, predicati, giudizi, conoscenze.

Anche credenze, predicati, giudizi, conoscenze sono fatti (che dunque in quanto tali possono essere reali o meno); ma fatti del tutto peculiari: gli unici fatti che possono (anche) essere veri o falsi.



#3454
Citazione di: cvc il 01 Giugno 2016, 08:51:44 AM
Si può essere perdenti e felici?



Rispondo:

Si, secondo gli stoici (e altri; me personalmente compreso per quel che può valere saperlo):

La virtù é premio a se stessa.

Concordo inoiltrecon Paul11 che

"Dal punto di vista vista puramente personale ci si può autorealizzare.
Se invece questa autorealizzazione è nel sociale ed è nello scambio economico a sommatoria zero se qualcuno si realizza qualcun altro
si deprime.
Questo mito è creato ad arte affinchè il modello sociale spinga l'individuo alla competizione,quindi a sua volta è un modello culturale che è corrente": pessima ideologia reazionaria, secondo me.
#3455
Loris Bagnara ha scritto:

Paradigma materialista, monismo materialista, concezione meccanicista... Comunque la si chiami, è una concezione secondo cui l'universo, dicevano gli scienziati del XIX secolo, è come il meccanismo di un orologio: totalmente determinato da leggi fisiche.

Rispondo:

No, questo (circa l' universo fisico - materiale; e limitatamente ad esso; il quale non esaurisce la realtà in toto) é semplcemente deteriminismo (non necessariamente legato al materialismo ma compatibile anche per lo meno con un dualismo fisico/mentale).

E per lo meno in una variante per così dire "novecentesca" (ammesso e non concesso da parte mia che il XX e XXI secolo abbiano visto il superamento del determinismo meccanicistico in fisica e nelle altre scienze naturali), "debole" o probabilistica - statistica é una conditio sine qua non della possibilità di conoscenza scientifica (della natura materiale stessa; e anche di valutabilità etica delle scelte, se attribuito, mutatis mutandis, ad agenti liberi da costrizioni ESTRINSECHE).




Loris Bagnara ha scritto:

E se l'universo è come un grande orologio, noi esseri umani non siamo altro che piccoli orologi a cucù, che credono di fare cucù quando pare a loro, mentre invece lo fanno solo quando scocca l'ora. Se vogliamo parlare di etica per gli esseri umani, allora dobbiamo parlare di etica per gli orologi a cucù, per le biciclette, per i computer etc etc. Altrimenti non c'è coerenza.
Se la coscienza è illusoria, lo sono anche i valori morali posti a fondamento di un'etica pure illusoria...

Rispondo:

C' é coerenza eccome!

Infatti biciclette e orologi a cucù, contrariamente all' uomo (e agli animali) non prendono autronomamente iniziative, ma sono manovrati dagli uomini (e se in modo intrinsecamente determinato dal loro modo di essere E NON LIBEROARBITRARIO = CASUALE, come personalmente credo, allora si tratta di iniziative autonome moralmente valutabili, caratterizzate da rilevanza etica: più o meno buone o malvage a seconda che siano intrinsecamente determinate dalla maggiore o minore bontà oppure malvagità dei loro autori, e non dal libero arbitrio = caso).

La coscienza (secondo me) non é affatto illusoria!
L' ho ribadito innumerevoli volte nel forum:

NON SONO MONISTA MATERIALISTA !!!.




Loris Bagnara ha scritto:

Del resto non sono io a dire che è necessario postulare il libero arbitrio affinché si possa parlare di etica: lo ha già detto Kant, ad esempio, nella Critica della ragion pratica. Ma non è certo l'unico. Piuttosto, io non conosco filosofi che ritengano ammissibile parlare di etica senza riconoscere, almeno in parte, il libero arbitrio.
E se anche volessimo attenuare la rigida concezione meccanicista, ed introdurre un'aliquota di indeterminazione nei fenomeni fisici, non cambierebbe granché: otterremmo solo il risultato di far dipendere le azioni umane, anziché da cause materiali, dal caso. Ancora, non avrebbe senso parlare di etica.

Rispondo:

Non seguo acriticamente l' autorità di Kant né di chichessia (nemmeno quella del grandissimo David Hume! Che non ne sarebbe affatto contento). L' autrità non é argomento valido in filosofia (e in secienza), se non come mero "stimolo euristico" ad esercitare autonomamente il proprio senso critico.
Ma ti informo che esiste un importante filone di pensiero detto "compatibilista" che ritiene per l' appunto perfettamente compatibili determinismo ed etica; ed esistono filosofi (antichi, moderni e contemporanei) che ritengono, per me a ragione, il determinismo una conditio sine qua non dell' etica.
Quella che pressocché tutti i filosofi ritengono necessaria per la valutabilità etica dell' agire umano é la libertà DA CONDIZIONAMENTI ESTRINSECI (se un' altro con la forza mi costringe a non soccorrere un terzo che ne ha bisogno non sono io responsabile dell' omissione di soccorso bensì chi mi ci costringe, ovviamente!), non necesariamente (non affatto tutti) DA DETERMINISMI INTRINSECI!

A far dipendere le azioni umane (interamente) dal caso (e non solo parzialmente come nel caso di un determinismo "debole") é per l' appunto la tesi del libero arbitrio: proprio ad essa si può e deve applicare la considerazione che fa dipendere le azioni umane dal caso (e dunque le rende eticamente irrilevanti).




Loris Bagnara ha scritto:

Cos'è il Grande Nulla? Nella concezione meccanicista l'io-sono è un'illusione, che sorge dal Nulla e ritorna nel Nulla.
Ecco, proprio questo è il Grande Nulla; quel mago che tira fuori dal cappello, vuoto, dei conigli bianchi, che poi saremmo noi.
Lo so che sembra assurdo, tanto più che è la stessa scienza materialista a sbandierare la scoperta che "nulla si crea dal nulla"; e invece, questa magia, la scienza la riserva proprio al solo fenomeno dell'autocoscienza... Non pare un po' incoerente?

Rispondo:

Infatti sembra propio assurdo (e fìino a prova contraria lo é).

Ma si può benissimo essere meccannicisti circa la natura materiale (proprio cervello compreso) e credere (per fede, indimostrabilmente!) nell' esistenza di un soggetto della (propria) esperienza cosciente direttamente esperita, l' "io".

Le leggi di conservazione delle scienze naturali non sono afatto "magie" e men che meno "incoerenti", bensì, espressioni dell' (indimostrabile: Hume!) ordine e relarìtiva costanza del divenire naturale - materiale (che della sua conoscibilità scientifica, oltre che della valutabilità etica delle scelte di agenti coscienti liberi da condizionamenti ESTRINSECI, é un' indispensabile, necessaria conditio sine qua non).




Loris Bagnara ha scritto:

I genitori sarebbero responsabili dell'imposizione della vita a soggetti che non l'hanno scelta; se capitasse poi che questi soggetti fossero infelici, allora si potrebbe dire che i genitori sono indirettamente responsabili dell'infelicità dei loro figli. Questo intendevo.
Ma se si considerasse tale imposizione un'ingiustizia, se dunque si giudicasse che generare figli è un'ingiustizia che sarebbe meglio non compiere, quale sarebbe il risultato? La civiltà umana che decidesse di attenersi coerentemente a questo codice etico semplicemente sparirebbe, perché naturalmente non c'è alcun modo di chiedere al "concepturus" se vuol divenire "nasciturus".
Se questa è la conseguenza, non mi porrei nemmeno la domanda se tale codice etico sia giusto o meno: semplicemente, mi parrebbe più sensato non applicarlo, a meno che non ci si voglia abbandonare ad una sorta di romantico o decadente cupio dissolvi...

Rispondo:

Non vedo come l' imposizione non concordata, forzata di un rischio ad altri non possa non essere consderata un' ingiustizia (se così fosse, lo schiavismo e l' imposizione ai figli di matrimoni concordati fra i genitori degli sposi o i loro clan sarebbero giustissimi e sacrosanti!).

Se leggi il titolo stesso che ho dato a questa discussione puoi ben comprendere che l' estinzione della specie umana é proprio ciò che credo l' autocoscienza tenda a determinare (in tempi "biologici", ovviamente).

Non si tratta di alcun "romantico o decadente cupio dissolvi..." ma del tentativo di valutare criticamete ed eticamente la riproduzione umana (cioé di una specie animale dotata di autocoscienza; l' unica finora di fatto nota).
Se vogliamo, di "guardare coraggiosamente in faccia" la realtà.
#3456
Citazione di: paul11 il 01 Giugno 2016, 00:34:54 AM

la razionalità umana ha convinto l'uomo che sia possible esercitarla sopra le leggi di natura.
La razionalità è vista dalla cultura umana occidentale come una potenza divina sopra la natura, o una potenza nella conoscenza tecnica per manipolare la vita e poter vincere o almeno rimandare la morte.
In questo intendo dire che la razionalità è contro la natura. perchè a monte manca un fondamento.l'accettazione della fragilità umana, perchè la ragione non riesce a farsene una ragione del perchè morire.E adatto che la morte è l'ultimo evento della vita,ecco che anche la vita è per forza coinvolta nell'esorcizzazione della  morte.
La contraddizione umana è la consapevolezza di essere natura dentro le sue regole e ragione che è possiblità di comprenderla e sorpassarla. E' come se la mente volesse mutare il corpo fisico,non lo accetta. Perchè tanta potenza nella razionalità e così altrettanto pochezza nella fragilità della natura umana?
Può esistere un' etica della vita e universale  se accetta la condizione umana nella natura.La razionalità se supera il limite della natura , si avrà un altro essere, ma che non sarà più umano. Vincerà la paure ataviche, ma sarà privo di sentimento.Sarà altro.


Rispondo:

Ma questa di cui parli, che avrebbe convinto l'uomo che sarebbe "possible esercitarla sopra le leggi di natura" (violando le leggi di natura -SIC!-), che sia possibile possedere una "potenza divina sopra la natura" e "vincere la morte" (la quale non é affatto il contrario di "vita", bensì di "nascita", entrambe esendo parte integrante e ineliminabile della "vita": non ci potrebbe essere vita senza morte proprio come non ci potrrebbe essere morte senza vita!) NON E' AFATTO RAZIONALITA'. ANZI E' PROPRIO IRRAZIONALISMO DELLA PIU' BELL' ACQUA !!!
#3457
Loris Bagnara ha scritto:

Faccio alcune considerazioni in ordine sparso, nell'ottica del paradigma materialistico.

1) Se si assume valido il paradigma materialistico, non è possibile parlare di responsabilità etica nell'agire umano: il libero arbitrio non esiste, l'agire umano è totalmente determinato dai condizionamenti interni ed esterni (anzi, solo esterni, poiché la dimensione interiore è solo un'illusione); e pertanto un uomo non è responsabile di ciò che fa, più di quanto lo sia una bicicletta per la strada che si trova a percorrere. Di conseguenza, anche il mettere al mondo dei discendenti non può essere né una colpa né un merito: semplicemente avviene, senza valore né significato.

Rispondo:

Ma di che cavolo (mi scuso per l' eufemismo) di "paradigma materialistico" parli?!?!?!?!

Per il monismo materialistico (ergo: non per me) il pensiero cosciente é illusorio o si identifica con la materia (cerebrale), ma ciò non implica affatto necessariamente che la "macchina umana" non si comporti più o meno moralmente bene (oppure male).

Inoltre il materialismo non é necessariamente deterministico (ma se lo é, allora l' agire umano é per il materialismo determinato da condizionamenti intrinseci; esplicantisi nell' ambito della neurofisiologia).

Ma comunque il determinismo (monistico materialistico o meno) é compatibilissimo, anzi a mio parere necessario (é una conditio sine qua non!) perché possa darsi valenza etica (o valutabilità etica) dei comportamenti, che altrimenti non sarebbero conseguenza (sul piano ontologico; e dimostrazione sul piano gnoseologico) delle qualità morali più o meno buone dei loro autori ma solo del caso (e dunque casomai della maggiore o minore fortuna dei loro autori): sarebbe come se ogni azione umana fosse decisa dal lancio di una moneta o di una coppia di dadi.




Loris Bagnara ha scritto:

2) Non sono i genitori a stabilire l'individuo che viene al mondo. I genitori al massimo possono decidere di mettere al mondo un essere umano, ossia un corpo, ma non sono loro a decidere qual è l'individuo che "entrerà" nel corpo che essi hanno deciso di generare. Anche se i miei genitori decisero, a suo tempo, di generare il loro primogenito, non c'è nulla che leghi necessariamente la loro decisione alla mia presenza qui, in questo corpo. Io potrei ancora essere nel Nulla, qualche altra individualità potrebbe trovarsi nel corpo che ora io sento di occupare. Perché dunque i genitori dovrebbero essere responsabili dell'eventuale infelicità dei loro figli, se il vero responsabile della nostra presenza in questo mondo è in Grande Nulla da cui inesplicabilmente siamo tratti?

Rispondo:

"Grande nulla" a parte (espressione con la quale non capisco che cosa si possa intendere), in questa discussione (nella quale sto subendo un rekord di fraintendimenti difficilmente eguagliabile!) non affermo affatto che i genitori sono responsabili del' infelicità (eventuale! E per fortuna nella stragrande maggioranza dei casi inesistente come bilancio complessivo delle loro vite) dei figli, ma invece dell' imposizione ad essi (ingiusta in quanto non concordata; e non concordata in quanto non concordabile: impossibilità addirittura logica! E dunque da loro non liberamente accettata) DEL RISCHIO dell' infelicità.

Ragazzi, ma come fate a persistere così pervicacemente, immancabilmente nel fraintendere questa mia affermazione nei modi più fantasiosamente infondati?!?!?!?!
Chi genera figli (specialmente se in gran numero) certamente di fatto fa esistere molta più felicità che infelicità (SU QUESTO SONO PERFETTAMENTE D' ACCORDO!!!).
Ma commette un' ingiustizia imponendo forzatamente ad altri IL RISCHIO dell' infelicità (e per quanta felicità facesse esistere per tantissimi figli questa non basterebbe di certo a compensare l' infelictà che facesse toccare di fatto a uno solo di essi: il fatto di beneficiare 1000 pesrone non mi autorizza di certo a fare del male a una sola altra persona! Non giustificerebbe di certo il male che arrecassi alla milleunesima! O si dice "milleprima"?).

Noto peraltro che i (potenziali) genitori non possono nemmeno decidere se metteranno al mondo nessuno, oppure uno o due o anche più figli, con ciascun loro rapporto sessuale (salvo il caso usino anticoncezionali affidabili; oppure siano provatamente sterili).




Loris Bagnara ha scritto:

3) Se mi guardo intorno, vedo più gente che apprezza la vita, rispetto a gente che non l'apprezza. Vedo più voglia di esistere, che voglia di morire o di non essere mai esistiti. Dare un nuovo essere umano l'opportunità di vivere, può anche essere un'imposizione (nel senso che non è stata scelta dal soggetto), ma un'imposizione più gradita che sgradita. Perché dunque precludersela?

Rispondo:

Vedo anch' io quel che vedi tu.

Ma basta la possibilità dell' infelicità (per quanto poco probabile) per rendere ingiusta l' imposizione ad altri, non da loro liberamente accettata, dell' esistenza: ti sembrerebbe giusto imporre ad altri senza il loro consenso di giocare alla roulette russa nei termini che indico qui di seguito?
Ci sono 1000 pistole delle quali sola una carica; se si spara con quella ci si ammazza (o magari ci si condanna a un' esistenza fortemente invalidata e piena di dolore fisico e probabilmente anche mentale); se ci si spara con una delle altre 999 si ottiene il diritto di avere esudito il proprio principale desiderio (che sia essere coltissimo, ricchissimo, fortunatissimo con le donne, ecc.).
A me sembrerebbe PROFONDAMENTE INGIUSTO (e personalmente se potessi scegliere non acceteri il cimento, anche perché ho già altri modi di realizzare ragionevolmente, limitatamente i miei più forti desideri e credo di riuscire a controllare e superare piuttosto bene quelli irrealizzabili. MA QUESTO NON E' PER NULLA RILEVANTE !!! Cercate di capire! Vi prego: Sforzatevi!).



Loris Bagnara ha scritto:

4) La civiltà che dovesse giungere al punto di ritenere preferibile non esistere, per non rischiare l'infelicità, sarebbe una ben trista (sic) civiltà, la quale, se non ritrova la voglia di vivere, è davvero meglio che si estingua.

Rispondo:

Ma secondo giustizia ognuno può decidere in base ALLA PROPRIA voglia di vivere o meno e non PER CONTO DI ALTRI!

Dunque una civiltà, non che ritenesse preferibile non esistere (e dai!!!), bensì che decidesse di non imporre forzatamente il rischio dell' infelicità a chi non potesse decidere autonomamente se assumerselo o meno, sarebbe certamente triste, ma innanzitutto sarebbe giusta (e per niente affatto trista!).
#3458
Citazione di: davintro il 27 Maggio 2016, 21:56:05 PM
Nel paradosso per cui la nascita di una vita, cioè di una libertà, è presente una costrizione nei confronti di una vita che non decide essa di esistere sta tutta la finitezza ontologica e creaturale dell'uomo. Mentre Dio si autoafferma e in un certo senso "decide" di esistere, l'uomo riceve l'esistenza da una volontà esterna: è una non-libertà che però rende possibili tutte le altre libertà. Una libertà limitata ma è l'unica libertà umanamente possibile. La costrizione è qui "al servizio" della libertà. Quindi secondo me ha poco senso ritenere ingiusta la riproduzione in nome del valore della libertà, quanto più, come scritto prima, in riferimento a una vita che liberamente ha la possibilità di rimediare ad un'esistenza non desiderata attraverso il suicidio.
CitazioneMa la nascita di una vita non solo rende possibili tutte le altre (comunque limitate!) libertà umane; essa rende anche possibile l' infelicità.
Ed é questo il motivo per il quale ritengo ingiusto imporla, dal momento che non é giusto imporre ad altri senza il loro consenso di correre dei rischi; e in particolare di correre il rischio di essere infelice.

Certo, come ho rilevato anch' io, la possibilità dell' eutanasia (e più in generale del suicidio) da parte dei figli che ritenessero troppo infelice la propria vita per essere ulteriormente vissuta può costituire un importante "attenuante" per chi, essendo dotato di autocoscienza, procrea.
Ma ancora più moralmente retto sarebbe l' evitare di imporre a qualcuno senza il suo consenso il rischio anche di un' infelicità di breve durata alla quale si può mettere fine con relativa facilità e in modo indolore (n.b.: assenza di dolore limitata alla sua fine, e non a quella vita complessivamente intesa).

 
Porre la libertà come valore in base al quale rinunciare alla riproduzione ha un senso unicamente in riferimento alla libertà del genitore che con la nascita di un figlio si priva inevitabilmente di una fetta considerevole della propria libertà vitale, dei propri spazi, gravato dal peso della responsabilità di un accudimento. Ingiusta la riproduzione diviene quando non preceduta da un' onesta autovalutazione delle proprie capacità genitorali, solo per obbedire ad una sorta di fantomatico e moralistico (non morale) "dovere di riprodursi", come purtroppo troppo spesso accade anche oggi, finendo con la creazione di un'infelicità nei figli cresciuti da genitori non adatti ad esserlo e un'infelicità dei genitori schiavi di figli non profondamente e non onestamente davvero voluti
CitazioneIl valore in base al quale ritengo che sarebbe doveroso astenersi dal procreare (il condizionale perché devo confessare che io stesso ho un figlio; che é fortunatamente complessivamente contento della vita: la questione che pongo non é per nulla autobiografica o comunque incentrata sulla mia propria vita ma generale) non é affatto quello della libertà, bensì quello della giustizia (il fatto che imporre forzatamente a chichessia senza averne il consenso di correre il rischio dell' infelicità non é giusto).

Quella dei limiti che la paternità impone alla propria libertà, degli impegni che comporta e dei doveri che impone, delle capacità che presuppone é tutt' altra questione (pure interessante, ma tutt' altra).

#3459
Citazione di: maral il 25 Maggio 2016, 11:01:51 AM
Citazione di: sgiombo il 25 Maggio 2016, 09:01:45 AM
Ma se genero un figlio gli impongo (a lui. al figlio stesso) forzatamente, ingiustamente i rischi della vita; mentre se non genero nessuno non faccio alcuna ingiusta imposizione a nessuno.
In ogni caso si decide e si impone una decisione (se è meglio correre il rischio di esistere o no, poiché anche la decisione per una non procreazione impone la scelta di chi così ha deciso) e ovviamente non può che essere così, dato che ciò per cui si decide non esiste e dunque non ha alcuna libertà perché ne manca assolutamente la precondizione che è appunto la sua esistenza. E' evidente che il soggetto è libero solo se esiste, non se non esiste ma è pensato in ragione di una futura libertà di un'esistenza che però gli viene negata per salvaguardarlo dai rischi di quella stessa libertà.  Qui non si decide in ragione di una aspetto concreto di esistenza, ma di principio, sull'esistenza stessa negandola, del tutto a priori e dunque del tutto arbitrariamente. Si decide (e si impone) in assoluto che non vale la pena di correre il rischio, ossia che non vale proprio comunque la pena di esistere, perché solo il nulla (non l'esistere) garantisce la libertà.
Se un giorno il figlio (esistente), maledirà il genitore che lo ha procreato per averlo procreato esponendolo così al dolore di vivere, è solo in quanto procreato che potrà farlo e lo farà in nome di un'assurdità che non ha alcun senso.
Può anche essere che l'autocoscienza esponga al pericolo di questo estremo nichilismo ontologico esistenziale radicalmente autocontraddittorio: perché c'è qualcosa anziché il nulla che sarebbe tanto meglio - che se non altro rimanendo nel nulla si sarebbe più liberi e tranquilli.

CitazioneRinuncio a cercare ulteriormente di farti capire che la questione che ho posto non é quella se valga la pena o no di correre il rischio di vivere infelicemente ma dell' ingiustizia di imporre questo rischio ad altri; e che é possibile (e per nulla contraddittorio), ed é moralmente ingiusto, inaccettabile compiere prepotenze anche ai danni di chi ancora non esiste e le subirà al momento di iniziare ad esistere (mentre verso chi non inizierà mai ad esistere non é possibile perpetrare ingiustizie, e dunque non generando nessuno non se ne compiono).

E' almeno la quarta o quinta volta che ripetiamo inutilmente le stesse cose e per quanto mi riguarda credo che non valga la pena di insistere ulteriormente: per parte mia la discussione finisce qui. 
#3460
Maral:
Ma chi questo chi a cui viene sottratto il rischio di decidere se non esiste e scegli (tu, alla luce della tua coscienza sull'esistenza e non certo lui) di non farlo in ogni caso esistere? Non è forse ancora un arbitrio questa decisione che sei pur sempre solo tu a prendere in base alla regola che non correre alcun rischio è in assoluto meglio del correrli?

Rispondo (Sgiombo):
Se genero un figlio, allora il figlio che genero (anche se non c'é ancora al momento in cui decido di generarlo) é comunque vittima di un' ingiusta repotenza da parte mia nell' imporgli forzatamente e non consensualmente il rischio dell' infelicità (come lo é dell' imposizione delle sofferenze conseguenti la malattia genetica il figlio che genero inevitabilmente portatore della malattia stessa, anche se, allo stesso identico modo, non c'é ancora al momento in cui decido di generarlo).
Se invece non lo genero mi astengo dall' imporre ingiustamente alcunché forzatamente a chichessia.

Vedo che continui a fraintendermi attribuendomi ancora la credenza nella "regola che non correre alcun rischio è in assoluto meglio del correrli".
Può anche essere meglio correrli (e nel mio personale caso é certamente meglio), ma non é questo il problema, bensì quello della libertà o meno (ovvero la costrizione) nel correrli: la libertà é giusta, la costrizione é un' ingiusta prepotenza.



Maral:
Se non è giusto imporre forzatamente ad altri di correre rischi perché dovrebbe essere giusto imporre loro di non correrli? Sempre imposizione è da parte di chi decide per un altro.

Rispondo (Sgiombo):
Ma se genero un figlio gli impongo (a lui. al figlio stesso) forzatamente, ingiustamente i rischi della vita; mentre se non genero nessuno non faccio alcuna ingiusta imposizione a nessuno.



Maral:
Ma tutto questo discorso non ha senso logico, proprio poiché qui si sta parlando di un puro astrattissimo e generalissimo esserci in quanto tale, un esserci che si incarnerà in gioie e dolori, e quindi correrà rischi, ma solo se ci sarà e solo se ci sarà potrà valutare, lui a posteriori con la sua esistenza, e non tu a priori, se di correre tutto questo rischio di esistere in quanto tale è valsa la pena o no.

Rispondo (Sgiombo):
Ovviamente se sia valsa la pena o meno di correre un certo rischio lo si può valutare solo a posteriori.
Ma una decisione é rischiosa proprio per il fatto che non se ne consoce con certezza l' esito a priori.
Ed é palesemete ingiusto che non la prenda liberamente o meno chi ne dovrà subire le conseguenze, che la scelta gli sia forzatamente imposta da altri (anche se con le migliori intenzioni).



Sgiombo:
Esempio (molto banale; me ne scuso):
Secondo te é giusto prelevare con l' inganno i risparmi di un altro e fare a suo nome, senza il suo consenso, un investimento (che magari si rivelerà fruttuoso e gli arrecherà grossi guadagni)?

Maral:
Ma certo che non è giusto, ma quest'altro a cui sottraggo i risparmi esiste! Se io faccio nascere un figlio non lo inganno prelevandogli qualcosa da mettere a rischio. Cosa gli prelevo? Cosa gli metto a rischio? La sua inesistenza forse? La sua possibilità di scegliere se correre rischi o meno? Se non esiste cosa gli sottraggo di suo e cosa di suo metto a rischio?

Rispondo (Sgiombo):
Anche se imponi al figlio la malattia genetica di cui sei poratore la imponi (e ne sei pienamente responsabile verso di lui) a qualcuno che, allo stesso modo, non esite al momento della tua decisione.

Al figlio che generi (anche se non esiste ovviamente al momento di questa tua decisione, fatto del tutto irrilevante) imponi il rischio della propria infelicità.

Infatti non gli sottrai nulla bensì gli imponi qualcosa (ingiustamente): il rischio di essere infelice.
Ingiusto non é solo il sottrarre indebitamente qualcosa ma anche l' imporlo (altrattanto indebitamente!
#3461
Citazione di: maral il 24 Maggio 2016, 20:09:47 PM
Sgiombo, ma tu, dicendo che scegliendo la procreazione si impone un rischio a chi verrà ad esistere stai dicendo che la condizione di assenza di rischio data dall'inesistenza è in ogni caso meglio e questa è una valutazione che tu dai arbitrariamente e solo in quanto esisti.
CitazioneNon sto affatto dicendo che la condizione di assenza di rischio data dall' inesistenza é in ogni caso meglio della condizione di rischio data dall' esistenza.
Sto invece dicendo che il correre un rischio (qualsiasi, in generale; e in particolare il rischio dell' infelicità che la vita comporta) dovrebbe unicamente, necessariamente essere, secondo giustizia, conseguenza di una libera scelta di chi eventualmente decida di correrlo (oppure di non correrlo); e che il doverlo forzatamente correre per una scelta altrui, subita passivamente e non assunta liberamente di propria iniziativa o per lo meno liberamente accettata (dando il proprio consenso a chi semplicemente si limitasse a proporcela, e non invece ce la imponesse forzatamente, senza chiedere il nostro consenso), significa patire un' ingiusta prepotenza.

Questo anche nel caso in cui di fatto l' esistenza sia felice e dunque l' esistenza, con l' inevitabile rischio di infelicità, sia meglio (preferibile) del' inesistenza: non é questo il problema!
Il problema é quello se sia giusto imporre forzatamente ad altri di correre dei rischi.
E la risposta mi sembra indubbiamente "no".

Esempio (molto banale; me ne scuso):
Secondo te é giusto prelevare con l' inganno i risparmi di un altro e fare a suo nome, senza il suo consenso, un investimento (che magari si rivelerà fruttuoso e gli arrecherà grossi guadagni)?
A me pare proprio di no!
Sarebbe giusto invece proporgli l' investimento e lasciare decidere a lui quale uso fare dei suoi risparmi.
Io penso invece che il confronto sul significato di per sé (preso in modo del tutto autoreferente e astratto) di esistenza e inesistenza non si pone proprio, è logicamente assurdo, mentre ha senso decidere di non procreare in base a certi parametri con cui ci si configura, da un punto di vista sempre più o meno soggettivo, l'esistenza futura .
CitazioneMa infatti non sto affatto considerando un confronto sul significato di per sé (preso in modo del tutto autoreferente e astratto) di esistenza e inesistenza, ma invece fra l' ingiustizia di subire forzatamente, non per libera scelta, la condizione di correre un rischio (in generale; e in particolare quello di essere infelici in conseguenza del vivere) e la giustizia di correre (eventualmente) qualsiasi rischio liberamente, per libera scelta.

Mi sembra molto diverso: cerca di capire.
#3462
@Maral
 
Dal fatto che l'esistenza significa di per se stessa inevitabilmente il poter essere infelici per un motivo o l'altro in quanto l'esistenza è matrice di ogni rischio mi sembra discendere evidentemente che nessuno ha il diritto di imporre questo rischio a nessun altro senza il consenso del diretto interessato (paradossalmente si potrebbe imporlo solo a se stessi, se ciò non fosse logicamente impossibile; mentre ci si può solo, limitare a scegliere se restare in vita o togliersela, non se darsela o meno).
 
Mentre nel momento in cui decido di non procreare non prevarico su nessuno, invece nel momento in cui decido di procreare prevarico su colui cui impongo l' esistenza, con il conseguente rischio dell' infelicità, senza potere avere il suo consenso.
 
E' vero che l' esistenza di per se stessa non è necessariamente né buona né cattiva, né bella né brutta, perché è la condizione preliminare di ogni buono e cattivo, di ogni bello e brutto, di ogni giusto e ingiusto ecc., e dunque può essere tanto buona quanto cattiva, tanto bella quanto brutta, ecc.
Proprio per questo imporre ad altri di correre il rischio che sia cattiva, brutta, ingiusta, ecc. anziché buona, bella, giusta, ecc. è una prepotenza (non lo sarebbe solo se -per assurdo!- la vita potesse essere data ad altri dopo averne avuto il consenso a correre il rischio dell' infelicità)
 
 
(Rilevo che è di fatto in corso d parte americana una forsennata e pericolosissima corsa agli armamenti soprattutto attraverso il tentativo di realizzare sistemi antimissile in grado di consentire un devastante "primo colpo nucleare"; che più o meno a breve termine metterebbe seriamente a repentaglio anche il benessere fisico e la sopravvivenza stessa dei "vincitori", novelli re Mida).
 
 
@ Paul11
Beh, non mi sembra proprio che l' "uomo occidentale", culturale (?) e tecnologico, si faccia problemi di autocoscienza sulle responsabilità, sul mondo che consegnerà alle prossime generazioni. Mi sembra anzi che lo stia forsennatamente devastando!
 
Mentre mi pare proprio che se altri popoli sulla faccia della Terra prolificano anche nella scarsità economica, essi si trovino appunto nella scarsità economica proprio a causa delle forsennate, violentissime, "terroristissime" rapine e aggressioni quotidianamente subìte da parte dell' "uomo occidentale", culturale (?) e tecnologico.
 

E se finirà che gli indigeni europei saranno sostituiti da popolazioni immigrate (cioè da coloro che saranno riusciti a salvarsi dai genocidi quotidianamente perpetrati dall' imperialismo occidentale) sarà solo per colpa delle elité indigene europee dominanti il mondo.
#3463
Citazione di: maral il 24 Maggio 2016, 00:19:58 AM
Sgiombo, la responsabilità non sussiste in sé, ma sussiste a carico di qualcuno verso qualcuno. Ma verso chi va quella responsabilità se quel qualcuno non esiste?  chi viene caricato del rischio di esistere, se non c'è proprio nessuno, poiché i figli non ci sono? Certo che il padrone degli schiavi è responsabile verso i figli generati dai suo schiavi, ma dopo che questi sono nati, è responsabile verso di loro in quanto essi esistono, altrimenti è responsabile solo verso gli schiavi che esistono, ossia i loro potenziali genitori.
Certo, e in questo senso posso capire la tua posizione, si può valutare il rischio dell'esistenza, alla luce della coscienza che si è maturato su di essa, come troppo elevato per essere corso da chiunque esista, ma questo non ha a che vedere con un "senso di responsabilità", semplicemente si valuta l'esistenza come tale per tutti svantaggiosa, poiché si sente che ci si perde sempre, ma senza mascherare la propria intima stanchezza o il senso di umana sconfitta con il nome di responsabilità per farne quasi una sorta di etica. Non c'è proprio alcuna responsabilità, la responsabilità si attua verso chi, nascendo, esiste, con il prendersene cura (e certo, anche valutando le proprie possibilità e capacità di offrire a chi verrà ad esistere una sufficiente cura), in assenza dell'esistente c'è solo il proprio sentimento verso la vita, positivo o negativo che sia.
Sarà per questo che mi è sempre suonato estremamente falso quando sento qualcuno, in nome di un preteso "senso di responsabilità" proclamare di non volere figli: responsabilità verso chi? In questa proclamata responsabilità etica c'è invece al contrario solo il rifiuto a priori di ogni reale responsabilità in quanto non ci si sente in grado di assumerla. E, se lo si ammettesse, andrebbe benissimo così, ma ci si vuole sentire persone coscientemente responsabili!

Se, come disse Sileno, sarebbe meglio per i mortali non essere mai nati o, quanto meno, sperare di morire prima possibile, non è per senso di responsabilità che lo si può dire o pensare, ma per come si sente in coscienza  il significato dell'esistenza propria, ossia del proprio essere tutti comunque destinati a morire.

Innanzitutto, a scanso di equivoci, ribadisco che parlo in generale (per fortuna personalmente sono contento della vita e dunque ne sono grato ai miei genitori).

Ma ciò non toglie che in gnerale imporre forzatamente ad altri di correre qualsiasi rischio (di qualsiasi entità e con qualsiasi probabilità; e in cambio di qualsiasi vantaggio alternativamente possibile in caso di buon esito degli eventi e con qualsiasi probabilità di tale buon esito) senza il loro consenso non può che essere considerato una prepotenza e un' ingiustizia.
E in particolare lo é l' imporre il rischio dell' infelicità ai figli da parte dei genitori.

Che c' entra il fatto che al momento di compiere questa scelta ingiusta le vittime di essa ancora non esistono (se ne determina l' esistenza per l' appunto con tale scelta ingiusta)?
Anche se rapino una donna incinta condannadola alla povertà compio un ingiustizia contro di lei ma anche contro il suo figlio, sebbene quest' ultimo ancora non sia nato.
Anche se riduco in schiavitù una donna ancora non incinta il torto e l' ingiustizia della schiavitù lo impongo (e ne sono responsabilissimo) non meno ai suoi figli che a lei, anche se al momento di perpetrarlo non ci sono ancora!

I figli vengono ad esistere e a correre forzatamente, senza il loro preventivo consenso, il rischio dell' infelicità a causa di una scelta dei loro genitori, della quale i loro genitori sono pienamente responsabili verso di loro anche se al momento di tale scelta non esistono ancora, proprio per il fatto che esistono in conseguenza, per effetto di tale scelta.
Forse che delle conseguenze "dilazionate nel tempo" delle nostre scelte (ma perfettamente prevedibili ed eventualmente evitabili al momento delle nostre scelte) non siamo responsabili?
Forse che non ne siamo responsabili verso coloro che le subiscono e la cui esistenza magari non era ancora reale al momento delle nostre scelte ma -come le nostre scelte da loro subite- perfettamente prevedibile ed evitabile in conseguenza delle nostre scelte?
Forse che per il fatto che sono nato nel 1952 chi ha inventato le bombe atomiche nel 1945 e nel 1949 non é pienamente responsabile (anche) verso di me del rischio dell' olocausto nucleare cui sono sottoposto in seguito alla sua scelta?

Se so che da me nascerà un figlio affetto da una grave malattia genetica che lo farà gravemente soffrire e ciò malgrado lo faccio nascere non sono forse reponsabile a pieno titolo delle sue sofferenze, anche se al momento in cui ho deciso di imporgliele lui (colui che sarà danneggiato dalla mia scelta) non c' era ancora? (E questo indipendentemente dal fatto che un tale figlio potrebbe anche essere felice malgrado la malattia: in questo caso non dell' inesistente infelicità ma comunque a pieno titolo del' esistentissima malattia e delle conseguenti esistentissime sofferenze sarei responsabile).

Ma esattamente come chi, affetto da una grave malattia genetica, é responsabile delle sofferenze che essa arrecherà al suo figlio ancora inesistente, malgrado questa inestenza del figlio allorché decide di generarlo, nello stesso modo tutti i genitori sono responsabili verso i loro figli della sopraffazione ed ingiustizia consistente nell' imporre loro forzatamente, senza il loro consenso, il rischio dell' infelicità, anche se al momento della scelta ingiusta dei genitori i figli non esistono ancora.
#3464
Citazione di: maral il 21 Maggio 2016, 23:34:47 PM
CitazioneChi é felice non può che esserne grato (ai genitori ed eventualmente a Dio, al destino, il determinismo, il caso o chi per essi); ma chi  é infelice non può che maledirli come prevaricatori che gli hanno imposto la sua vita rivelatasi infelice senza (nemmeno potergli) chiedere il suo consenso a correre il rischio dell' infelicità stessa.
Secondo me non ha senso logico né l'essere grati per la nostra felicità a chi ci ha semplicemente procreato , né maledirli per la nostra infelicità. Non ha senso cioè biasimarli per averci esposti facendoci esistere a un rischio di infelicità, poiché quel rischio coincide con la nostra esistenza stessa e prima di essa, in quanto non esistevamo, non c'era alcun soggetto verso cui essere responsabili.
La responsabilità semmai viene dopo, ossia quando già nati ed esistenti, chi ci ha procreato, facendoci nascere, è chiamato a prendersi cura di chi è stato generato.
La faccenda di un Dio onnisciente e onnipotente è diversa, qui è proprio l'onniscienza che determina la responsabilità del Creatore per il quale ciò che egli concepisce in potenza, teologicamente parlando, è già in atto. Ma qui, nel rapporto tra Creatore e creatura, si innescano delle contraddizioni ardue da dipanare che lascerei ai teologi.
CitazionePrima che noi nascessimo c' erano i nostri genitori, ed appunto essi -persone ben reali- sono i responsabili della scelta di farci venire al mondo senza (avere nemmeno la possibilità di) chiederci se saremmo stati disposti o meno a correre il rischio di essere infelici.
A me pare evidentissimamente ingiusto verso di noi (anche se personalmente ho la fortuna di essere molto contento della mia vita e conseguentemente ne sono altrettanto grato ai miei genitori).

Il fatto che non potessero nemmeno consultarci perché eravamo inesistenti non è una giustificazione valida: forse che se sono nell' impossibilità di chiedere a un altro se è disposto o meno a correre un rischio ho per questo motivo il diritto di imporglielo?
Per questo motivo ho casomai il dovere di astenermi dall' imporglielo!

Che al momento della sopraffazione il coartato non esista non assolve gli autori della prepotenza in quanto fatta a "nessuno (di esistente al momento dell' azione)": l' esistenza è per l' appunto conseguenza della prevaricazione, e che sia una conseguenza successiva nel tempo non la rende meno "prevaricazione" (sarebbe come pretendere che un "Erode" che fosse stato avvertito prima della futura nascita del "potenziale usurpatore del suo regno" e avesse deciso prima la "strage degli innocenti" predisponendo tutto affinché venisse attuata ma fosse morto nel frattempo sarebbe stato meno colpevole perché al momento della sua decisione delittuosa non esistevano ancora le vittime di essa, mentre al momento della sua attuazione non ne esisteva più l' autore stesso).
Se quando esisteva la schiavitù (esplicitamente dichiarata) un uomo libero e facoltoso si impossessava di due schiavi coniugi non è che fosse moralmente responsabile solo della loro schiavitù e non anche di quella dei loro figli (anche se generati dopo che ne avesse ridotti in schiavitù i genitori); tant' è vero che sul mercato degli schiavi quelli in età fertile e non menomati "valevano" più di quelli che per qualche patologia fossero sterili, anche a parità di età e di prestanza fisica.
 

Trovo interessante e direi quasi "doveroso" mettere in luce le contraddizioni e le assurdità dei teologi (e di chiunque altro).
#3465
CitazioneProvo ad obiettare malgrado l' abissale distanza che separa le mie convinzioni dalle tue, e che addirittura mi impedisce di comprendere almeno alcune tue affermazioni (se non sarà possibile un confronto costruttivo, pazienza: tentar non nuoce).
 
 
Innanzitutto ci tengo a precisare che, sebbene nettamente minoritaria fra gli "addetti ai lavori" (che secondo me sono in gran parte buoni ricercatori scientifici ma pessimi filosofi irrazionalisti) esiste anche almeno un' interpretazione universalmente ritenuta "rispettabile" (non da "ciarlatani new age" o da "dilettanti allo sbaraglio") della meccanica quantistica "a variabili nascoste" deterministica e "oggettivistica", quella di David Boehm.
E che il grande Erwin Schroedinger si collocò con Plank, Einstein e de Broglie (per me: i razionalisti) e contro Bohr, Heisenberg e compagnia (per me: gli irrazionalisti) a proposito di determinismo ed oggettivismo di enti ed eventi quantistici (il suo celebre esperimento mentale "del gatto", per quanto spesso del tutto travisato e stravolto nel suo contrario -sic!- in molti scritti divulgativi, serviva proprio ad evidenziare che secondo lui, per quanto non conoscibili entrambe anche in linea di principio o teorica e non solo di fatto, una posizione e una quantità di moto definite -e allo stesso modo qualsiasi coppia di caratteristiche fisiche legate dalla relazione di indeterminazione di Heisenberg- sono realmente "possedute" entrambe in ogni istante dalle particelle/onde subatomiche, indipendentemente dal fatto di essere rilevate o meno da osservatori).
 
 
Per me una "prova" (= dimostrazione razionale o/e empirica" dell' esistenza di Dio non la si può trovare da nessuna parte; all' esistenza di Dio (del Dio dei deisti; non di quello dei teisti e in particolare delle tre principali religioni monoteistiche, che è autocontraddittoria, senza senso) si può credere soltanto arbitrariamente, immotivatamente, unicamente per fede.
 
 
Circa l' oggettività della conoscenza scientifica, a mio parere non può essere dimostrata dal momento che ciascuna esperienza fenomenica cosciente, nella quale "sono contenuti" enti ed eventi materiali – naturali ("res extensa"), oltre che mentali o di pensiero ("res cogitans"), trascende ciascun altra: che altre esperienze fenomeniche coscienti oltre alla "propria" direttamente esperita, vissuta esistano non si può dimostrare, né tantomeno mostrare; e, se ne esistono, a nessuno è dato di "sbirciare nelle esperienze fenomeniche altrui" onde verificare se i loro contenuti sono uguali o meno a quelli della "propria".
Che oggetti (e soggetti) delle sensazioni fenomeniche coscienti (reali anche indipendentemente da esse, anche allorché esse non accadono realmente) esistono non si può dimostrare, né tantomeno mostrare. Ma se esistono, allora non possono essere "costituiti da" sensazioni fenomeniche coscienti (sarebbe eclatantissimamente autocontraddittorio l' affermarlo!), bensì da "cose in sé" non sensibili" ma solo "congetturabili" (noumena).
Però una intersoggettività, cioè una verificabile corrispondenza biunivoca (o forse è meglio dire poliunivoca), fra i "contenuti fenomenici" materiali – naturali delle diverse esperienze coscienti deve essere presupposta necessariamente perché possa darsene conoscenza scientifica.
 
 
La "conoscenza flaccida" che potrebbe essere "la sostanza dell'impasto" fra res cogitans e res extensa o fra "contenuto idealistico della coscienza" e "realtà materiale o realistica esterna", ovvero "la sostanza di cui è fatto l'Universo" fa purtroppo parte di quelle tue affermazioni il cui significato non mi è per nulla comprensibile.
E così pure il "Dio" che starebbe "proprio dentro la singolarità IO perciò è, come dire, una Singolarità dentro la Singolarità senza una 'distanza' ulteriormente riducibile", nonché la " 'Conoscenza assoluta' (prerogativa per ora solo divina)".
 
 
Le particelle/onde subatomiche per me semplicemente sono entità/eventualità teoriche ipotizzate (e non falsificate ma "confermate" dalle osservazioni empiriche) atte a spiegare il "comportamento" (divenire) delle "cose" (enti ed eventi) materiali "macroscopiche" direttamente osservate. E la cui osservazione fra l' altro ne da per l' appunto conferma e non falsificazione (almeno per ora); e la cui intersoggettività, indimostrabile, deve essere ammessa se si vuole credere sensatamente alla conoscenza scientifica).
 
 
Ah, mi sia lecito in conclusione affermare che per parte mia "retrivi" sono casomai il soggettivismo e l' irrazionalismo.