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Messaggi - iano

#3466
Non puoi saperlo, ma puoi solo avere una tua personale idea del mondo da mettere a confronto con il mondo per vedere l'effetto che fà.
Se questa idea personale di mondo non ce l'hai la tua individualità è sprecata, a mio parere.
Cosa sia il mondo ce lo dicono in tanti e in tanti modi diversi, quindi hai solo da scegliere, ma se adotti uno di questi modi senza rivederlo con parole tue hai sprecato il tuo tempo e la tua individualità.
Se sei in cerca di una verità che ti consenta, se vuoi, di seguire perciò il bene, stai sprecando ancora il tuo tempo.
La responsabilità personale che deriva dall'uso di coscienza contempla inalzi tutto che individui si sia, che ci si comporti effettivamente come tali.
Nel mio precedente post ho provato a esemplificare cosa perderemmo se riuscissimo ad abolire i conflitti interindividuali.
Non bisogna vedere il conflitto come un male ponendo la propria attenzione sull'individuo, ma su ciò di cui l'individuo, in quanto tale, è potenzialmente portatore e forse allora si vedrà anche il bene dell'individualità, come ho provato ad esemplificare.
E comunque il mio post prendeva spunto dal tuo, ma senza criticarlo.
#3467
E quindi più che sul conflitto fra individui, tirando in ballo una volontà di potenza fine a se stessa, il paradosso sparisce se si considerano individui in conflitto con l'ambiente.
Quindi, mettendo da parte l'emotività, chiediamoci quale possa essere la migliore strategia.
SE partiamo col pregiudizio che il conflitto fra individui sia un male daremo un giudizio viziato.
Ma se vediamo una coppia di individui come lo stesso individuo che ha la capacità di sdoppiarsi in modo differenziato, possiamo vedere questa come una buona strategia nel conflitto con l'ambiente, che è quella di tentare risposte diverse non conoscendo la giusta risposta, e sono le diverse risposte ad entrare in conflitto per tramite degli individui.
Se guardiamo all'individualità pregiudizialmente come un male ne dobbiamo coerentemente dedurre che la diversità sia un male, e non una ricchezza.
La strategia della vita è quella di dare risposte preventive in gran numero, prima ancora che l'ambiente presenti l'ostacolo da superare, e in tal senso la diversità può considerarsi una ricchezza.
In tal modo però ciò che pregiudizialmente tendiamo a considerare un bene, la collaborazione fra individui, sembra essere tagliata fuori.
Non è così, se consideriamo che la capacità di sdoppiarsi dell'individuo sia vincente non meno che della capacità di ricomporsi, e che cioè diversi individui siano capaci di comportarsi in certi frangenti come uno solo.
Noi uomini siamo in grado di mettere in atto entrambe le strategie, e maggiori sono le strategie maggiori sono le possibilità di vittoria, specie quando il numero di individui è tale da poterle mettere in atto tutte insieme.

L'errore concettuale è che sia il più forte a vincere, ma in effetti noi non sappiamo chi è il più forte finché non vince, e non sappiamo mai quale sia la strategia vincente, anche se ogni individuo, in base ai suoi pregiudizi su cosa sia bene e male, crede di saperlo.
Noi non sappiamo mai quale sia la strategia vincente, e di fatto, grazie alla distribuzione statistica dei pregiudizi individuali, diamo diverse risposte casuali, per cui la probabilità di vincere è maggiore quanto numerosi sono gli individui, perchè maggiore sarà il numero di risposte e maggiore sarà la probabilità che fra queste vi sia quella giusta.

Certo, chi si fregia del libero arbitrio per affermare la sua specifica superiorità non sarà felice di sapere che il libero arbitrio funziona come un pallottoliere, ma non potrà negare, se smette per un attimo di autolodarsi vanamente, che esso costituisca un vantaggio evoluzionistico, perchè il tempo che una specie ha a disposizione per adattarsi ai mutamenti ambientali è limitato, e l'uso della coscienza serve nona dilatare questo tempo, ma, il che è lo stesso, ad accelerare la risposta.
Poi magari si può discutere se si tratti di un vero vantaggio evoluzionistico se si tiene conto dei costi di sostenibilità della coscienza.
Coerentemente a quanto sopra detto è più corretto dire che la coscienza è una strategia fra tante che adotta la vita.
La scommessa evoluzionistica degli uomini è solo una fra tante e nessuno può dire se sarà vincente  e per quanto lo sarà.
I problemi che stiamo creando all'ambiente, e quindi noi stessi, sono in ultima analisi riconducibili al dispendio energetico richiesto dall'uso della coscienza, nodo centrale della nostra strategia.
Se non dovesse funzionare altre funzioneranno e la vita andrà avanti.

Il paradosso che Socrate incarna in modo esemplare è che egli critica l'individualità da inconsapevole perfetto individualista, quello che pensa che degli altri individui con la loro voglia di potenza non se ne salvi uno, portando inconfutabili prove in apparenza, e che il male stia quindi nella individualità, tralasciando però di riportare esempi virtuosi di uomini , che anche quando collaborano fra loro, lo fanno per puro interesse personale.
In effetti non è importante perchè lo facciano, l'importante è che funzioni.
#3468
Ciao Jacopus.
Ci sono particelle che durano il tempo di un amen e altre più longeve, ma nessuna di esse sembra eterna, benché sempre replicabile, seppur entro dei limiti, perchè non bisogna mai dimenticare che la teoria degli errori è parte fondamentale della scienza.
Ogni essere vivente, in quanto al minimo è una loro combinazione, non solo non è replicabile, ma muta in continuo, finché non perde la sua identità, la quale stessa identità nasce da una valutazione errata, approssimativa, su ciò che continuamente muta.
Dentro questo errore si insinua la conoscenza.
 
La realtà più che fatta di oggettività, sembra essere un continuum che continuamente mutata, e in quanto tale sembra difficile in essa pensare alberghi il male.
Il male, come ci insegnano alcune religioni, è nella conoscenza stessa, a partire dal peccato, indispensabile alla conoscenza, di dividere la realtà in oggetti arbitrari quanto instabili. Instabili perchè parti arbitrariamente estratte da un instabile continuo.
Non è chiaro come faccia la conoscenza ad entrare a far  parte del continuum reale, e in particolare come sia possibile estrarre da questo oggetti in via preliminare, ma essa certo non avrebbe luogo se quegli oggetti, per quanto arbitrariamente definiti, non si ripetessero, se cioè la realtà nel suo continuo mutare non si ripetesse almeno in parte, agevolata la ripetizione da una definizione in parti imprecisa per sua natura, di modo che si possa dare un identità a ciò che pure in continuo muta, acquisendo così una esistenza autonoma.
L'esistenza stessa rientra così nella teoria degli errori e delle approssimazioni definitorie, e la tensione all'eternità è lo specchio di un ansia definitoria conscia dei propri limiti.
La realtà di fatto, cioè la realtà come noi la conosciamo, e' della realtà quell'estratto che tende a ripetersi dentro a quei limiti.

La realtà in quanto omnicomprensiva non si relaziona con nulla e non contiene al suo interno ne' oggetti ne' relazioni, ma se arbitrariamente suddivisa in oggetti questi mostrano relazioni a ricordarci che stiamo manipolando oggetti che nascono da una realtà unica. Oggetti che una volta estratti entrano in conflitto, nel bene e nel male.
Noi stessi siamo un esempio di ciò.
Nel momento in cui da noi arbitrariamente  estraiamo i nostri microbi entriamo con essi in conflitto.

Sono cosciente di stare usando un linguaggio non scientifico, ma lo scopo non è quello di criticare la scienza o la conoscenza in generale, ma di cercare di mutare prospettiva, di essere cioè in pieno quel che ci tocca essere, partecipando con la coscienza al mutamento della realtà.
Sono anche cosciente che la prospettiva che propongo non è alternativa in quanto priva di contraddizioni, ma in quanto portatrice di nuove contraddizioni, perchè la contraddizione è insita nella conoscenza la quale si origina a partire da un arbitraria estrazione di un discontinuo da un continuo, indipendentemente da come ciò possa avvenire, e comunque la rigiriamo resterà sempre qualche mistero da contemplare.
Credo sarebbe saggio ricordare che nessun essere cosciente sia del tutto cosciente, e sarei cauto quindi a caratterizzarci in modo esclusivo con la coscienza, identificandoci perciò con il male.
Perchè se male siamo a volte però ci distraiamo dall'esserlo, rientrando dentro un innocente indistinto.
Sono quei momenti di comunione, di benessere estatico, dimentichi di noi stessi.
#3469
Caro Socrate,
siccome si tira in ballo Dio onnipotente per spiegare l'origine del mondo, non si pensa mai alla possibilità che egli mantenga la sua onnipotenza, pur senza aver fatto tutto lui, e anzi senza aver fatto proprio nulla, pur potendolo. di modo che egli si trovi di fronte a un mondo da scoprire, essendoci questa lacuna nella sua onniscienza.
Una lacuna che non lo diminuisce  però, grazie alla sua onnipotenza che ogni lacuna gli consente di colmare.
E' un Dio che non sà tutto, ma che tutto può sapere.
E' quantomeno una prospettiva interessante  da cui riconsiderare ogni cosa.
Supponiamo allora che inizialmente egli si trovi di fronte a un mondo fatto di una massa unica e compatta?
Per quanto onnipotente , come farebbe a scoprire la forza di gravità?
Non potrebbe scoprirla, finché, potendolo, non decidesse di dividere il mondo in due, per vedere l'effetto che fà, e l'effetto sarebbe che le due parti si attraggono.
Ne dedurrebbe allora Dio che le due parti già si attraevano anche quando parti non erano?
O direbbe che l'attrazione è un effetto che segue a causa della divisione?
Come fanno due parti ad attrarsi se non ci sono parti?
Con la stessa logica potrei dire che un fotone è costituito da parti che si attraggono con un nuovo tipo di forza, anche se io non sono abbastanza onnipotente da poter dividere un fotone in due.

Una volta che Dio ha diviso l'unica massa in tante parti, andando avanti col suo esperimento, arriviamo noi e scopriamo la forza di gravita' affermando che essa abbia origine nelle masse stesse, sorprendendoci di ciò in quanto non vediamo come una necessità che fra le cose vi sia una relazione, essendo la loro esistenza indipendente dalle loro relazioni, ma solo perché siamo arrivati a divisioni già fatte.

Finché Adamo era l'unico vivente  non vi era alcun male e Adamo sarebbe rimasto in eterno uguale a se stesso.
Ma esistono davvero il male e la forza di gravità?

#3470
L'energia cosmica, e la coscienza universale, sono due belle  chimere , che chi lo sà, forse esistono davvero da qualche parte, anche se nessuno saprebbe dire dove, ma è certamente vero che tutto ci appare sempre più interconnesso senza che ciò appaia dover essere necessario a priori.
Credo che su questa non necessità che però si verifica come dato di fatto dovremmo riflettere profondamente, a meno che non la si voglia considerare una coincidenza, per quanto molto improbabile a verificarsi, che cioè cose che abbiano una origine così indipendente, mostrino poi una così forte relazione.
Una possibile spiegazione è che appunto la loro origine non sia indipendente, come avviene ad esempio per l'entenglement quantistico.
Mi viene allora da pensare , in analogia al noto caso quantistico, che tutto ciò che è in relazione ha origine comune, anche se noi di questa origine possiamo non avere prova o non avere più in generale coscienza.
Ma suggerirei che quando la  questione riguarda gli uomini il primo posto dove andrei a cercare l'origine delle cose è l'ambito culturale, là dove nascono tanto gli unicorni quanto i leoni, dei quali a ragione della comune origine, forse gli uni sono meno consistenti di quanto si creda, e gli altri più consistenti di quanto non si creda..

Il punto credo sia che non sia necessaria una coscienza universale quanto non sia necessaria una coscienza individuale perchè il mondo vada per la sua strada, e in presenza di una coscienza che sia almeno individuale non perciò muta la strada, perchè se una è la strada tanti sono i modi di percorrerla.
#3471
Una fede sincera è essenziale all'azione cosciente in quanto il dubbio è suo nemico.
Non importa neanche sapere quali motivi inducono alla fede, basti sapere che ve ne sono altrettanti per ritrattarla.
Cruciale diventa allora il tempo che intercorre fra la nascita della fede e la sua ritrattazione, perchè è in quel tempo che la fede agisce.
Che si tratti di sradicare un gelso per trapiantarlo in mare o altro, qualcosa avviene, e di questo qualcosa rimane memoria tanto più quanto si è condivisa quella fede.
Sarà tanto più beneficiario eventuale di quella azione chi vi ha preso parte condividendo quella fede.
La fede è la fondamentale espressione del libero arbitrio attraverso cui si esplica la coscienza.
Immagino che la chiesa sia sempre cauta nel giudicare i miracoli, trattenendosi dal marchiarli come bufale, cosa sempre facile a farsi, considerando le eventuali conseguenze della fede nei miracoli, considerando più importanti le sue eventuali conseguenze che non la sua verità.
Se in conseguenza di quella fede si sarà fatto del bene , cosa importa in fondo la sua verità?
Lo stesso si può dire delle teorie scientifiche: se con la legge di gravità di Newton, basata sulla fede di uno spazio e tempo assoluti, siamo andati sulla luna, cosa importa se poi abbiamo ritrattato la loro esistenza?
Rimane che siamo andati sulla luna.
Ciò che importa è che senza fede in essi sulla luna non ci saremmo andati, e duemila anni fà immagino che i più fossero disposti a credere al miracolo del gelso sradicato più che a quello dell'allunaggio.
Gli uomini possono modificare le loro fedi, come detto in incipit, ma non possono smettere di credere.
La capacità di credere sta a loro fondamento, perchè l'unico modo di rapportarsi con una realtà ignota è quella di raccontarsi una storia inventata per vedere quale effetto essa fà sulla realtà, e l'effetto resterà agli atti se molti condividono quella storia, e quegli atti, anche quando non più supportati da fede, agiranno al pari di una fede.
Ma perchè tutto funzioni occorre che l'uomo creda che la storia da lui inventata, inventata non sia, e che la sua fede in essa sia dunque sincera, e l'unico modo per farlo è attribuire la storia a qualcosa di non umano.
#3472
Problemi utilizzo forum / Re: Accesso forum.
07 Settembre 2022, 10:02:37 AM
Abbandonato il vecchio iPad, passando al nuovo Macbook, ogni problematica di cui sopra sembra essere sparita. ;)
#3473
Il requisito primo di ogni eventuale spiegazione scientifica è la ripetizione diffusa dell'evento, che manca appunto negli eventi miracolosi.
A mio sentire non c'è spiegazione scientifica di cui vengo a conoscenza che in prima istanza non mi lasci incredulo al pari di un miracolo.
Ma una spiegazione scientifica, diversamente da un miracolo, ha tutto il tempo di banalizzarsi nella mia considerazione fino a giungere eventualmente al suo grado massimo  nell'ovvietà, a causa del suo ripetersi.
Le apparizioni e visioni non sono monopolio della fede, ma hanno diversi gradi di probante scientificità che si fondano a partire dal poterle osservare ripetutamente  fino al poterle provocare a piacere.
Ma se per diletto ci sforziamo di fare il percorso inverso a quello della banalizzazione possiamo tornare alla meraviglia, al miracolo di una realtà fatta di visioni e di colori, ad una estatica contemplazione  causa di un piacere tale da demotivizzarci dal cercare una spiegazione, e questo mi sembra infatti l'atteggiamento di chi crede nei miracoli.
Però, se pure veramente ci crede, non può poi non notare ciò che Socrate acutamente osserva, che ci sia qualcosa che non quadri.
Al punto cui è arrivata oggi la scienza direi però che alla meraviglia si sia sostituita più propriamente l'incredulità che generano negli stessi scienziati le spiegazioni che loro stessi danno.
Se nei credenti è ancora intatta la libertà di credere , per quanto con conseguenze paradossali, sembra che invece gli scienziati provino imbarazzo sentendosi costretti a credere a ciò a cui il loro metodo sembra condurre.
Paradossalmente si afferma che la scienza sia vera fino prova contraria, ma se ciò fosse vero allora nulla sarebbe più vero dei miracoli.


#3474
Tematiche Spirituali / Re: La buona battaglia.
07 Settembre 2022, 01:37:26 AM
Citazione di: Freedom il 06 Settembre 2022, 14:23:12 PMCredo

E' per questo che mi sento di condividere anche la tua conclusione e cioè che la battaglia è, in definitiva, contro sé stessi. Anche se penso, come San Paolo, che c'è chi sta dalla parte del nostro cattivo sé stesso, lo fomenta e lo aiuta a precipitare nel baratro  :D
Credo che il Diavolo, se così vogliamo chiamarlo, stia dentro di noi, e coinciderebbe con noi se non vi fosse un altra parte di noi che, se vuole, ha le potenzialità per contrastarlo.
Se vuole contrastarlo deve decidere come, cioè quale strategia adottare.
L'istinto, se così invece vogliamo chiamarlo, in che modo possiamo contrastarlo, quando decidiamo di contrastarlo?
Per riuscire a contrastarlo dobbiamo avere un minimo di conoscenza su di esso ed è su questa conoscenza che calibreremo la nostra strategia.
Sappiamo che esso scatta a nostra insaputa e ci rendiamo conto dei suoi effetti a cose fatte, e in modo spesso irrimediabile.
Non possiamo distogliere l'attenzione dal diavolo quindi, se così vogliamo chiamarlo, ma pur così la sua azione fulminea può sempre sorprenderci, a meno che non alleniamo la nostra reazione a contrasto ad essere altrettanto fulminea.
E' un allenamento mentale in cui ad esempio ci raffiguriamo mentre uccidiamo quella persona che ci sta particolarmente sugli zebedei, felici del fatto che solo di una simulazione si tratta.
Ci autocondizionamo quindi allenandoci mentalmente a non uccidere quella persona.
Possiamo contrastare l'istinto con le sue stesse armi, quando decidiamo di farlo.
L'istinto è un condizionamento che abbiamo ereditato, ma che ammette l'operazione inversa, se si azzecca la giusta strategia.
Credo che la peggiore strategia si basi  sul credere che il diavolo possa tentarci essendo fuori di noi.
Che noi siamo brave persone, ma non perciò immuni dalla tentazione del diavolo, per contrastare il quale non ci resta che sperare  in un aiuto anch'esso esterno a noi, mettendoci magari nella mani di Dio.
Pur non essendo un credente ci sono tanti motivi per cui mi piacerebbe credere, col timore però che ciò possa indurmi ad abbassare la guardia, rinunciando al mio senso di responsabilità.
Un altro timore è che tendendo a vedere il diavolo fuori di me possa individuarlo in altro da me commettendo male verso quell'altro da me per contrastarlo.
E' un rischio che preferisco non correre, perchè per quanto non credente, so' che un senso di colpa potrebbe rovinarmi l'esistenza, perchè il senso di colpa è quella legge secondo cui ad ogni male che facciamo corrisponde una reazione uguale e contraria,
se non peggio.
Forse non sono un credente perchè credo, per amor di semplicità, che la nostra spiccata coscienza non ci dia uno status speciale, in quanto credo che la coscienza sia solo un diverso modo di fare ciò che gli esseri viventi hanno sempre fatto, creandosi autocondizionamenti virtuosi in senso evoluzionistico.
Usare coscienza non significa contrastare l'istinto in quanto male in sé, ma male nella misura in cui diventa statico, nella misura in cui smette di derivare da un adattamento vitale al mutevole mondo, adattamento che usando coscienza perde la dimensione usuale e corrente dei tempi evolutivi,  che diventano così i tempi dei giorni nostri.
#3475
Citazione di: viator il 04 Settembre 2022, 13:57:46 PMSalve. Gustoso il fatto che possano esistere sottoinsiemi infiniti. Ovvero, essendo i numeri pari in relazione a quelli dispari (mancando l'esistenza concettuale degli uni non possono esistere gli altri........), evidentemente i pari ed i dispari  sono categorie relative (inesistenti nella realtà, perchè enti puramente concettuali - è questo l'aspetto che consente di dire di essi tutto ed il contrario di tutto).

Per tale ragione qualcuno afferma che possono esistere più infiniti, ovvero più assoluti !

Quando, non molto tempo fa, parlavo dell'esercizio del togliere i ragni dal buco ! Topic come questo sono per qualcuno dei passatempi, altro che ricerca di verità fattuali !.Saluti.


L'infinito assoluto è unico di fatto.
Se l'infinito esiste di per se', non come costruzione matematica umana, esso è assoluto.
Diversamente e' relativo al modo in cui viene costruito.
Se le cose stanno così rimane solo da discernere quali tecniche costruttive si equivalgono e quali no, come ha provato a fare Cantor.
Tu puoi derivare l'insieme dei numeri pari a partire dall'insieme dei numeri naturali e potrà sembrarti perciò paradossale che siano infiniti "allo stesso modo" come ci suggerisce Cantor.
Ma se provi a costruire l'insieme dei numeri pari senza derivarlo da altro insieme ti renderai conto di dover fare la stessa cosa che fai per costruire i numeri naturali, e in tal senso i due infiniti si equivalgono.
È questo un nuovo punto di vista che sposta la prospettiva dal risultato all'operazione per ottenerlo, adottando la ragionevole assunzione che se le operazioni, al di là della forma che può essere apparentemente diversa, si equivalgono, allora i risultati non potranno che coincidere.
Finché l'infinito rimane solo un fatto percettivo, che ognuno si tiene nella propria testa, ritenendolo per di più assoluto, perché evidentemente ritiene assoluta la propria percezione,
allora possiamo parlarne all'infinito senza giungere ad alcun accordo.
Se invece l'infinito è una cosa mentale possiamo ben parlarne se riusciamo ad esplicitarla, dandone una definizione operativa, dicendo in che modo si costruisce un infinito.
#3476
Citazione di: baylham il 05 Settembre 2022, 09:39:24 AML'insieme dei numeri pari è effettivamente infinito, ma dalla definizione intensionale qualunque numero pari è concepibile, può essere stato o potrà essere concepito.
La dimostrazione è data dal fatto che qualunque numero pari è parte dell'insieme dei numeri pari che possono essere concepiti o che saranno concepiti, mentre non c'è alcun numero pari che faccia parte dell'insieme dei numeri pari che non sono stati o non saranno concepiti. Poiché nessun elemento appartiene al secondo insieme, ne segue che è un insieme vuoto.
Inoltre il fatto che un numero pari sia inconcepibile non implica che non sia in grado di dividerlo per due, anzi dalla sua stessa definizione di numero pari è certo che sono in grado di dividerlo per due.
Perché la mia dimostrazione per assurdo non ti ha convinto?
Io subito ti ho dato ragione, e la tua osservazione è comunque acuta, ma poi mi sono ricreduto dimostrando essere errata.
L'insieme dei numeri pari mai concepito non è vuoto
Se per dimostrare l'esistenza di un insieme occorre concepire ogni suo elemento escludiamo così di poter dimostrare l'esistenza dell'infinito attuale.
In generale slegherei l'esistenza di qualcosa dal poterla effettivamente manipolare, se l'esistenza stessa e' necessaria condizione a quella manipolazione , e non viceversa.

O forse più semplicemente tu non accetti le dimostrazioni per assurdo, il che sarebbe lecito?
#3477
Tematiche Spirituali / Re: La buona battaglia.
05 Settembre 2022, 00:10:09 AM
Alla coppia istinto-azione si è affiancata evolutivamente la coppia pensiero-azione, la quale ha un senso evolutivo se alternativa alla prima coppia, e un pensiero che sia ossessivo sembra poco alternativo, perché al pari dell'istinto ti pone dentro una gabbia, con l'aggravante di essere una gabbia visibile, ma siccome visibile evitabile o da cui si può evadere.
Un pensiero cattivo e' un pensiero che non fa' il suo dovere di rendere possibile il libero arbitrio.
Non vedo altro modo di distinguere pensieri buoni dai pensieri cattivi, che i pensieri cattivi siano dei non pensieri di fatto apparendo tali solo nella forma.
Ma il pensiero , pur eventualmente ossessivo, di fare sesso o di soddisfare un qualunque istinto, non è un cattivo pensiero, ma solo un pensiero inutile, ridondante.
Non occorre pensare di soddisfare un istinto per poterlo soddisfare, ma in quanto esseri pensanti , anche in forma di pensiero ridondante può manifestarsi l'istinto, che in tal modo però acquisisce connotati culturali che diventano parte integrante dell'istinto.
Così, anche quando si ammette di dover soddisfare un istinto, c'è però modo e modo di farlo.
Una volta che l'evoluzione ci ha dotati di coscienza è nato il problema di doverla gestire in quanto causa del nostro agire.
I pensieri buoni sono quelli il cui conseguente agire non diventi una gabbia comportamentale.
Però la tentazione di ricadere in una rassicurante gabbia nel bene e nel male agisce, come una voglia di regredire.
In tal caso il pensiero viene indirizzato ad un obiettivo da raggiungere ad ogni costo, divenendo schiavo dell'obiettivo.
Ma in tal modo, più che esprime una convinzione, ho provato a illustrare un possibile metodo per distinguere pensieri cattivi da quelli buoni, anche se c'è molto di autobiografico.
L'invito implicito è quello di trovare possibili metodi simili, perché il cattivo pensiero e il pensiero buono possano essere connotati nella loro generalità , e non assumere una fattezza solo nominale, solo perché gli abbiamo dato un nome, diavolo demone o diavoletto, come mi pare richiedesse Niko.
La battaglia se c'è è sempre contro se stessi, fra chi siamo e chi crediamo di essere.
#3478
Citazione di: baylham il 03 Settembre 2022, 16:19:25 PMContinuo a ritenere che l' "insieme dei "numeri pari che nessuno ha mai concepito e che nessuno concepirà mai" sia per definizione un insieme nullo, vuoto, che non contiene alcun elemento: infatti nessuno è in grado di indicare un solo elemento che appartenga a questo insieme.
Facciamo una dimostrazione per assurdo.
Ammettiamo che "l'insieme dei numeri pari che nessuno ha mai concepito è mai concepirà " sia vuoto .
Ne segue che l'insieme dei numeri pari fin qui concepiti coincide con l'insieme dei numeri pari.
Ma ciò è falso perché il primo insieme è finito mentre il secondo è infinito, quindi l'insieme dei numeri pari che nessuno ha mai concepito e mai concepirà non è vuoto, e anzi contiene infiniti elementi.
CVD
#3479
Citazione di: Alberto Knox il 02 Settembre 2022, 23:12:23 PMla domanda non specifica se i numeri devono essere interi o con la virgola (decimali) , così si può stabilire ad oc  un insieme di numeri pari con la virgola avente l'atro numero un numero pari ma la cui divisione per due è un dispari. Si dirà quindi che l'insieme dei numeri pari che non possono essere divisi per due aventi come risultato un numero pari sono quell insieme di numeri decimali il cui divisore da come risultato un numero dispari. ad es 2,2...

però moltilicandolo per due da come risultato un numero pari, ma la domanda è specifica "A quale insieme appartengono quei numeri pari che nessuno sarà mai in grado di dividere per due?" o forse o interprato male io l domanda perchè allora anche due diviso due porta a un numero dispari . Mapoi che senso ha dire che non sarebbero possibili dividere per due? tutti i numeri si possono dividere per due dando magari come risultato un numero periodico.
Non occorre specificare se si tratta di numeri decimali con la virgola.
Infatti da cosa dovresti capire che un numero decimale con la virgola, il quale dopo la virgola possiede in genere infinite cifre, sia pari?
Anche limitandoci ai soli numeri razionali, che possiamo perciò' scrivere in forma di frazione, esistono frazioni pari e frazioni dispari?
Ovviamente no.
Credo quindi che Eutidemo abbia voluto sottintendere di rifarsi ai numeri naturali, ed abbia inteso ancora che sono divisibili per due se tale divisione non da' resto, cioè , più precisamente, che non dia un resto diverso da zero.
#3480
Citazione di: Eutidemo il 02 Settembre 2022, 04:52:37 AM
La mia (personale) soluzione è la seguente.
Il professore risponde che, poichè i numeri pari sono infiniti, i numeri pari che nessuno sarà mai in grado di dividere per due, sono quelli che appartengono all'insieme dei "numeri pari che nessuno ha mai concepito e che nessuno concepirà mai (nè tantomeno pronuncerà o scriverà)".
Ed infatti, sebbene qualsiasi numero pari, in sè e per sè, è senz'altro divisibile per due, tuttavia nessuno può essere in grado grado di dividere per due un numero pari che non gli è mai venuto in mente e che non gli verrà mai in in mente!
Nel momento in cui qualcuno lo concepisse, invece, diventerebbe subito divisibile per due; ma allora non farebbe più parte dell'"insieme" dei  "numeri pari che nessuno ha mai concepito nè concepirà mai".

Potevamo risparmiarci la divisione per due, e dire che ci sarà sempre un insieme di numeri che nessuno ha mai pensato, pronunciato o scritto, indipendentemente da quello che già sappiamo di poterci fare una volta che li concepissimo.
Posto il problema in questa veste direi che esso equivalga a dire che in un insieme infinito di numeri non esiste un numero che sia più grande di tutti gli  altri , perché qualunque numero N venga considerato si può dimostrare che ne esiste almeno uno più grande di lui, ad esempio lo stesso numero sommato ad uno, N+1.
Tolto il fumogeno della divisione per due abbiamo così ridotto il problema a un noto teorema matematico di facile dimostrazione.
In effetti esiste poi un insieme infinito di numeri più grandi di N, che nella nuova veste che abbiamo dato al problema corrisponde all'insieme di Eutidemo, avendo però più generalità, essendo l'insieme di tutti i numeri mai concepiti, senza alcun limite operativo su di essi che ne restringa il campo, essendo ciò inessenziale al nostro problema.
Rimane quindi da capire, conoscendoti, se così  hai voluto appositamente gettarci fumo negli occhi nel restringere il campo operativo per creare l'ennesimo gioco di magia, che, nel caso, direi ben riuscito.