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Messaggi - sgiombo

#3466
Citazione di: maral il 21 Maggio 2016, 08:48:52 AMNel primo caso il discorso mi è chiaro: la coscienza, intesa nel suo aspetto implicante l'affermazione appropriativa dell'io che la incarna, determina l'estinzione di ogni io (e alla fine pure di me stesso).
Il secondo mi pare più problematico da inquadrare (sarà effetto dei tempi). Se il genere umano, in virtù di uno scrupolo di coscienza, cesserà di riprodursi in quanto la vita espone a un rischio di infelicità chi, senza poter scegliere, la riceve presuppone pensare che il soggetto che si trova gettato nella sua vita sia pre esistente a quella vita stessa, per cui si commette verso di lui un atto di scelta indebito facendolo esistere. In realtà, con un simile ragionamento non si tiene conto che quella vita che lui vive è lui stesso e che si può parlare di un soggetto solo in quanto vivente e non collocandolo in uno stato di pre-esistenza. In questo senso mettere al mondo qualcuno non significa compiere un arbitrio su una sorta di ente pre esistente alla sua stessa vita, al suo esserci, ma fare sì che un ente esista come l'ente che è nella possibilità, che è data solo dall'esistenza in atto, di aderire o meno a se stesso (e quindi di essere felici o meno). Generare  non significa prevaricare con la propria scelta la possibilità di scelta del generato se esistere o meno proprio perché ogni scelta del generato è possibile solo se è stato generato. Nessuno sceglie se esistere o meno, ma solo dal momento che esiste, nella misura e nel modo in cui concretamente esiste, vivendo il significato della sua vita può scegliere.

Citazione di: sgiombo il 20 Maggio 2016, 12:30:56 PM(Mi rendo conto che l' ipotesi é un po' cervellotica, oltre che avveniristica e per me, nel mio pessimismo, che ritengo ovviamente realistico, in proposito, improbabile).

Sono perfettamente d' accordo che chi (ancora) non esiste non può decidere alcunché, ovviamete anche in merito alla propria eventuale meramente potenziale allora estenza o meno).
Ma é proprio per questo che a rigore si dovrebbe considerare ingiusto il generare dei figli.
Perché li si costringe a correre il rischio, per remoto, improbabile che sia, di essere infelici nell' impossibilità di averne il consenso: ciascuno ha il diritto di correre "in proprio" i rischi che più gli aggradano (in relazione alle possibilità positive che consentono), ma non quello di imporre alcun rischio (anche minimo; anche in alternativa a probabilissime prospettive fortunatissime) forzatamete ad altri, senza previo consenso da parte loro.
Ma per acconsentire o meno si deve necessariamente esistere.
Ciascuno di noi si ritrova dunque inevitabilmente a subre il fatto di venire ad esistere e vivere per decisione altrui, non propria.
Chi é felice non può che esserne grato (ai genitori ed eventualmente a Dio, al destino, il determinismo, il caso o chi per essi); ma chi  é infelice non può che maledirli come prevaricatori che gli hanno imposto la sua vita rivelatasi infelice senza (nemmeno potergli) chiedere il suo consenso a correre il rischio dell' infelicità stessa.

A, dimenticavo: fra l' altro questo mi sembra anche un potente argomento contro il teismo; per lo meno contro il teismo delle tre religioni "del libro" o "Abramitiche": un Dio onnipotente, (onnisciente") e infinitamente giusto (oltre che infinitamente buono) non potrebbe creare alcun essere cosciente (e men che meno autocosciente), a meno che non lo creasse sicuramente, necessariamente felice, essendo indubbiamente ingiusto (sarebbe una gravissima ingiustizia perpetrata da Dio!) farlo nell' impossibilità logica di averne il consenso a correre il ben che minimo rischio di infelicità. 
#3467
Citazione di: paul11 il 19 Maggio 2016, 09:48:34 AM
Mi par di capire ,Sgiombo, che tu abbia una visione più ottimistica su quella che ho definito legge di natura, riguardo all'uomo, strano perchè  ti contraddici, mi pare nel post iniziale.
Ritornerei "a bomba" sulle tue considerazioni iniziali del topic. Tieni presente che io mi spoglio d visioni spirituali, se così possiamo dire.

la tua ipotesi è pessimistica come la mia sulla possibilità che l'uomo possa avere un remoto futuro .
Sostieni che l'autocoscienza ,che intendi come correlato del cervello, sia addirittura controindicata  nella possibilità che l'umanità abbia un futuro . Mi par di capire che alla fine ,questa coscienza e/o autocoscienza è un bagaglio evolutivo che potrebbe portarci all'estinzione ,in quanto l' uomo autocosciente che ha costruito cultura ha espanso la sua dotazione tecnologica, ma non ha costruito le organizzazioni atte a gestire le problematiche che si evidenziano con quelle tecnologie,la possibilità di autodistruggersi per propria mano, per propria cultura.

C'è un ulteriore ipotesi,sempre pessimistica. Per quanto l'uomo autocosciente possa avere maturità di gestire le problematiche "esterne", è incapace di gestire felicità e infelicità. Io la intendo come immaturità morale, di sublimare i propri egoismi .

Se così fosse guarda che stai assolutamente dicendo le stesse cose che ho asserito finora. Anzi sei più pessimista di me.
Io lascio invece una via d'uscita all'umanità (sempre dal punto di vista NON ,diciamo così ,trascendentale), che saranno i problemi a "chiamare all'ordine" alla responsabilità umana. Ricordo la crisi cubana fra USA e URSS nei primi anni Sessanta del secolo scorso, con missili a testata nucleare,vicendevolmente puntati, sarebbe stata un'immane catastrofe dell'intero pianeta.
CitazionePenserei di chiudere la discussione (che speravo interessasse più frequentatori del forum; e ringrazio comunque te per avervi partecipato) con due precisazioni.

Per me l' uomo può arrivare all' estinzione "prematura e di sua propria mano" perché non supera per tempo l' organizzazione sociale capiatlitica che impone inevitabilmente la produzione e il consumo illimitato di merci in presenza di risorse naturali realisticamente (e non fantascientificamente) disponibili limitate: ci impone inevitabilmete di "segare il ramo su cui siamo seduti".

Oppure perché, superata per tempo (prima di autodistruggersi) questa "strettoia storica", una prevedibile superiore (all' attuale) coscienza morale generalmente diffusa gli impone di non riprodursi per evitare di costringere ingiustamente, forzatamente altri a correre il rischio di incorrere in una vita infelice, nell' impossibilità di chieder loro preventivamente se siano o meno disposto ad accettarlo.
Peraltro (se vogliamo continuare in quesa ipotesi alquanto vaga e non certamente attuale) probabilmente si disporrebbe della possibilità di consentire a chiunque di usufruire facilmente e rapidamente dell' eutanasia se la ritenesse necessaria, riducendo comunque moltissimo per lo meno la durata della propria eventuale infelicità).
#3468
Tematiche Filosofiche / Re:uest
20 Maggio 2016, 11:58:10 AM
Citazione di: davintro il 20 Maggio 2016, 00:28:48 AM
Sgiombo scrive:

"Ma ciò non toglie che la coscienza in generale, la coscienza di altro dal proprio essere cosciente (quale che sia il grado di attenzione che presenta) é altra cosa dalla coscienza (anche questa più o meno attenta o distratta che sia) della coscienza (dalla sensazione del pensiero del "proprio essere cosciente", del pensiero dei -gli altri- "contenuti di coscienza"); e che solo quest' ultima (diversa dalla coscienza di qualsiasi altra "cosa" o "conteuto esperienziale") costituisca l' "autocoscie4nza"."

Assolutamente d'accordo! Non ho mai sostenuto il contrario. Certamente la coscienza degli oggetti del mondo esterno è "altra cosa" rispetto alla coscienza della coscienza. Non ho mai parlato di un rapporto di identità, evidentemente sono due modalità di coscienza aventi una distinta qualità di vissuto. Volevo dire che l'autocoscienza è la condizione necessaria, il termine giusto credo sia "trascendentale", della coscienza in genere. Senza autocoscienza avremmo solo sensazioni senza la possibilità di un intervento ordinatore da parte dell'Io, che presupporrebbe l'associare stimolo a stimolo grazie al ricordo di esperienze passate che forniscono gli schemi associativi da cui nascono percezioni e concetti. E che esista una correlazione fortissima fra senso della propria identità e memoria mi pare sia un dato inoppugnabile (per coincidenza proprio pochi giorni fà leggevo John Searle scrivere riguardo un "senso del sè" che si costituisce temporalmente attraverso la continuità passato-presente che si dà attraverso i ricordi)

CitazioneMa se "la coscienza degli oggetti del mondo esterno è "altra cosa" rispetto alla coscienza della coscienza", allora può darsi benissimo che essa si dia e di fatto essa si da anche senza  la "coscienza della coscienza": "sensazioni senza la realtà di fatto di un (soltanto possibilie, potenzale) intervento ordinatore da parte dell' io, che presupporrebbe l'associare stimolo a stimolo grazie al ricordo di esperienze passate che forniscono gli schemi associativi" sono pur sempre senzazioni ovvero "contenuti di coscienza" ovvero "coscienza"; che spesso di fatto accadono.


Non direi che l'autocoscienza sia un prodotto del linguaggio, direi al contrario che il linguaggio presupponga il pensare in astratto che è dato dal trascendimento dell'immediatezza dell'esperienza sensibile in virtù della mediazione data dalla continuità temporale del flusso di coscienza. Il linguaggio è una generalizzazione, le parole si riferiscono ad una molteplicità di oggetti concreti che vengono unificate attraverso il riscontro di somiglianze che rendono possibile classificare e categorizzare. Il riscontro di somiglianze presuppone la continuità temporale del flusso di coscienza: quel singolo oggetto me ne ricorda uno simile di cui ho avuto esperienza passate e ciò dà un senso alla formazione di una parola che si riferisca a entrambi gli oggetti nonchè tutti gli oggetti passati, presenti e futuri aventi quelle caratteristiche simili. Il linguaggio presuppone cioè la non-immediatezza di una coscienza che si protende verso il passato ed il futuro in un flusso che va al di là della semplice ed immediata coscienza presente. E quest'unità tra il mio passato, il mio presente, il mio futuro è data dall'autocoscienza, dall'idea che questi tre "stati temporali" sono uniti dal fatto di essere i "miei" stati temporali, appartententi ad un unico Io. Il linguaggio non è un apriori, ma la conseguenza di una relazione coscienza-mondo che si manifesta originariamente in forme intuitive e prelinguistiche. Il rosso che percepisco non è ancora una parola, ma un vissuto intuitivo concreto, non ancora un segno grafico, simbolico. Questo verrà "poi"
CitazioneNon ho affemato che l'autocoscienza sia puramente e semplicemente, sic et simpliciter un prodotto del linguaggio, ma che il linguaggio, consentendo il pensiero di concetti astratti e non solo l' immaginazione o il ricordo di oggetti di esperienza concreti mi sembra una conditio sine qua non dell' autocoscienza, cioé della coscienza (della sensazione mentale del pensiero) del proprio essere cosciente in generale, astrattamente (e non semplicemente il ricordo di qualche precedente concreto oggetto di esperienza cosciente o l' immaginazione di qualche possibile -o anche impossibile- futuro concreto oggetto di esperienza cosciente; che é ragionevole ritenere accada anche per lo meno a molti aminali non umani).

Non vedo infatti come potrebbe accadere, in assenza di concetti astratti linguisticamente definiti, di trascendere l'immediatezza dell'esperienza sensibile (in virtù della mediazione data dalla continuità temporale del flusso di coscienza).

Per esempio il concetto di "triangolo" non si limita all' immaginazione di un qualcosa di concreto triangolare considerabile "paradigmatico" o "prototipico" di tutte le altre cose triangolari reali e no (anche se ne é inevitabilmente accompagnato di fatto): implica invece nozioni che eccedono l' immaginazione del concreto e che sono esprimibili solo verbalmente, linguisticamente).

Infatti per passare dal rosso che percepisco e che non è ancora una conectto astratto, ma un vissuto intuitivo concreto, ho bisogno di segni verbali, simbolici (in maniera più o meno rudimentale, vaga, imprecisa, quanto é scritto oggi nel vocabolario della lingua italiana come definizione di "rosso").

Mentre non mi sembra particolarmente rilevante il fatto ovvio che per astrarre concetti generali dagli oggetti particolari - concreti (immaginati o direttamente e presentemente esperiti sensorialmente) é necessaria la memoria, dal momento che ben pochi di tali oggetti (o forse di fatto uno solo per volta, almeno nel caso si tratti di oggetti di memoria e immaginazione) possono essere simultaneamente presenti alla coscienza.
#3469
Citazione di: Loris Bagnara il 18 Maggio 2016, 16:42:18 PM


Sgiombo, hai dimostrato ancora una volta di essere totalmente privo d'intuito.
Refrattario al linguaggio simbolico e metaforico, che è l'unico a poterti portare oltre.
E totalmente appagato delle tue risposte, ma soprattutto delle domande che non ti fai.

Sono felice per te.
CitazioneGrazie!
(Per me é semplicemente razionalismo; al quale non rinuncerei per niente al mondo).
#3470
Citazione di: Loris Bagnara il 18 Maggio 2016, 12:51:32 PM
Venendo al dunque, il problema lo si può vedere solo se si smette di osservare la realtà con gli stessi occhi di sempre.
Perché è umano dare per scontato ciò che constatiamo tutti i giorni.
Tutti i giorni e per tutta la nostra vita constatiamo quel che dice Sgiombo, e finiamo per darlo per scontato, per ovvio.
Ma è poi così ovvio?

Ho già detto altrove che è più difficile fare intuire l'urgenza di una domanda, che dare una risposta.
Ci provo con una metafora.

In ottica riduzionista, come ho supposto di mettermi, il corpo umano non è altro che la somma delle sue parti, senza un principio che lo renda una unità.
CitazioneNo, scusa, questo non é affatto riduzionismo.

Questo é una banale (e maligna) deformazione caricaturale che con l' autentico riduzionismo non ha nulla a che fare!

Per l' autentico riduzionismo il tutto é uguale alla somma delle parti poste in determinate relazioni reciproche.
La somma degli organi del corpo umano reciprocamente separati (tagliati gli uni dagli altri e semplicemente giustapposti) é complessivamente uguale al "tutto" costituito da un cadavere (sezionato).
Invece la somma degli organi del corpo umano fra loro uniti e funzionanti regolarmente, in rapporti reciproci tali da realizzare un' unità anatomica e fisiologica (funzionante senza l' aggiunta di alcun ulteriore "ingrediente vitalistico" o "animistico" misteriosamente scaturente dalla loro somma) é complessivamente uguale al ben altro "tutto" costituito dal corpo umano vivente.



Possiamo allora immaginarcelo come una sorta di nube di materia, che fluttua nello spazio e nel tempo.

La stessa cosa può dirsi dell'esperienza cosciente, che in ottica riduzionista è da intendersi come una nube di contenuti mentali, che anch'essa fluttua nel tempo e nello spazio.

Ora, noi abbiamo esperienza di questo fatto: senza che vi sia nulla che colleghi una nube all'altra, le due nubi stanno insieme, fluttuano insieme, vanno di pari passo per tutta la durata della vita.
E' così scontato?

CitazioneA parte la metafora delle "nuvolette" che personalmente trovo alquanto infelice (ma é questione di gusti), a me pare non vi sia nulla di problematico: é ciò che si constata quotidianamente.


A ciò va aggiunta una considerazione che farò ancora più fatica a far cogliere.
A entrambe quelle nubi sono legato io.
Non un essere umano qualsiasi. Io. Che potevo anche non esserci.
Non c'è nulla che implichi la mia presenza.
Se allora io mi rappresento come un palloncino gonfio d'elio, legato con uno spago, ecco, quel palloncino che sono io appare dal nulla proprio dentro a quelle nubi, e resta legato con il suo spago a quelle due nubi, mentre queste si spostano e fluttuano per tutta la durata della vita...

Non riesco a fare di meglio, per far cogliere il senso del problema.

CitazioneE a me non riesci proprio a far comprendere nulla di sensato con questa metafora: io ci sono e il fatto desta meraviglia, d' accordo.
Ma tutta la faccenda delle nuvolette e del palloncino che c' entra?

#3471
Citazione di: davintro il 17 Maggio 2016, 23:59:30 PMChe dire... se si accetta la validità della tua equazione, nulla da obiettare, la coscienza può darsi senza autocoscienza. Ma allora proviamo a chiarire un attimo il concetto di "attenzione". L'attenzione non è un atto meramente cognitivo, come il giudizio o la percezione, ma implica la volontà del soggetto e questo la rende un atto distinto rispetto ad altri vissuti (Erlebnisse, dal tedesco) della coscienza. Io volontariamente decido dove dirigere la mia attenzione. In questo momento la sto orientando verso il pc dove sto scrivendo (torno all'esempio di prima, scusa ma per ora non mi viene in mente niente di meglio) mentre il resto dell'ambiente esterno (la mia stanza) e la mia situazione interiore (preoccupazioni, pensieri della mia vita non direttamente legati a ciò su cui sto scrivendo) restano sullo sfondo, sono un "sottofondo". Cosa dovrebbe impedire di definire questo sottofondo come contenuto di coscienza? Stando a ciò che sostieni, l'identità tra contenuto di coscienza e oggetto dell'attenzione, in questo momento, nel quale la mia attenzione è orientata sulla tastiera e sullo schermo del pc, il resto della mia stanza dovrebbe essere fuori della mia coscienza ed allora se qualcuno aprisse la porta non potrei accorgermene. E invece probabilmente me ne accorgerei e me accorgo perchè la porta da dove proviene il rumore era già presente alla mia coscienza, che non si riduce al focus centrale dell'attenzione, così come mentre sto scrivendo un certo concetto potrebbe portarmi, per una serie di collegamenti associativi, a farmi tornare alla mente il pensiero di una certa preoccupazione a cui da un pò di tempo non rivolgevo la mia attenzione. Ma quando mi ritorna in mente la riconosco non come qualcosa di creato dal nulla ma già da prima presente nella mia mente (cioè nella mia coscienza) e solo ora tornata ad essere oggetto d'attenzione. Se la coscienza coincidesse con il "dare attenzione" tutto ciò non sarebbe possibile. L'autocoscienza è questo sottofondo trascendentale garante dell'unità temporale passato-presente attraverso cui il mondo acquisisce un significato dato dalla mia storia personale. La soluzione sarebbe pensare la coscienza come strutturata come un insieme di livelli di maggiore e minore chiarezza, dove l'attenzione è un fattore che determina un incremento di nitidezza di una singola esperienza vissuta, fermo restando che anche i vissuti presenti nei livelli "inferiori", più oscuri restano comunque parte della coscienza ed in qualunque momento possono essere rischiarati

Rispondo:

D' accordo (mi correggo): la coscienza non necessariamente é attenzione (vi sono vari gradi possibili di attenzione ai contenuti di coscenza reciprocamente alternativi, e probabilmete sono infiniti: infinite gradazioni di attenzione più o meno forte).

Ma ciò non toglie che la coscienza in generale, la coscienza di altro dal proprio essere cosciente (quale che sia il grado di attenzione che presenta) é altra cosa dalla coscienza (anche questa più o meno attenta o distratta che sia) della coscienza (dalla sensazione del pensiero del "proprio essere cosciente", del pensiero dei -gli altri- "contenuti di coscienza"); e che solo quest' ultima (diversa dalla coscienza di qualsiasi altra "cosa" o "conteuto esperienziale") costituisca l' "autocoscie4nza".

E continuo a ritenere che solo l' uomo, grazie al linguaggio e alla possibilità di pensiero atratto che ne consegue, sia dotato di piena, autentica autocoscienza.
#3472
Citazione di: paul11 il 17 Maggio 2016, 20:07:21 PMPerchè non pensare che la coscienza sia come una nuvola elettromagnetica dentro il cranio, ma non perfettamente corrispondente al cervello? Abbiamo presente gli elettroni e il nucleo atomico? Un campo magnetico non è direttamente e fisicamente corrispondente alla sola area della materia che lo genera, basta vedere la magnetosfera terrestre  e quanto il sole incida con le sue radiazioni a milioni di chilometri di distanza.

Rispondo:
Ma semplicemente perché si constata che di fatto la coscienza (l' esperienza fenmenica cosciente) é tutt' altra cosa (del tutto diversa) che una nuvola elettromagnetica dentro il cranio, ma non perfettamente corrispondente al cervello (la quale al massimo potrebbe costituirne un "minuscolo, occasionale contenuto"; peraltro di fatto non é così): può essere visione di panorami o di oggetti, ascolto di musica, degustazione di cibi, evocazione di ricordi, immaginazione di scene o di eventi irreali, sensazioni interiori di ragionamenti o di sentimenti, ma non una cosa materiale simile a una nuvola elettromagnetica dentro il cranio.
#3473
Citazione di: Loris Bagnara il 17 Maggio 2016, 19:53:56 PMMi sto ponendo nei panni di uno che vorrebbe accogliere la tesi che l'autocoscienza emerga dal cervello. Però questo tizio ha un dubbio: se è vero che nulla è permanente nel corpo e nel cervello umano (anche tu l'hai confermato), come è possibile che da una struttura impermanente sorga un'illusione permanente?[/size]
La logica riduzionista esigerebbe di individuare una struttura materiale permanente a cui agganciare l'illusione permanente dell'io-sono.

Ora tu proponi che le funzioni svolte dal corpo/cervello possano costituire tale struttura permanente a cui l'io-sono possa agganciarsi.
Non sono affatto convinto che possa risolvere il problema, per due motivi.

Il primo è che le funzioni del corpo/cervello in verità variano e fluttuano di secondo in secondo (pensieri, emozioni, desideri, sensazioni etc) e che solo in generale, e facendo una sorta di media di lungo periodo, tali funzioni possono considerarsi più o meno simili. Ma solo più o meno, e solo compiendo un'astrazione a posteriori: insomma, un'operazione inversa, analoga a quella dell'autoreferenzialità, mi pare.

Il secondo motivo è che se assumiamo la struttura delle funzioni del corpo/cervello umano nella loro generalità, allora tutti gli uomini sarebbero grosso modo identici. Cioè, se non consideriamo le specifiche differenze di contenuti mentali, ma restiamo sul generale, allora banalmente possiamo dire che tutti gli uomini pensano, sentono, desiderano più o meno allo stesso modo, cioè presentano un'analoga struttura funzionale.
Ma allora come fa a sorgere il senso della nostra specifica identità? Come facciamo a sentirci legati ad uno specifico corpo impermanente, se la struttura delle funzioni accomuna tutti gli esseri umani?

In conclusione, questi sono i due grandi problemi che il riduzionismo deve risolvere: il problema dell'impermanenza e quello dell'individuazione.

Non chiedo altre risposte, ora. Ho chiarito quel che intendevo dire e lascio a ciascuno il tempo e la voglia di rifletterci sopra...

Rispondo (anche se non direttamente chiamato in causa; me ne scuso, ma non sono riuscito a trettenermi oltre).

Non vedo alcun problema (dal punto di vista dei monisti materialisti, quale io peraltro non sono).

Tanto dell' esperienza personale cosciente (dell' "io", se così ti piace chiamarla) quanto del cervello (vivo) si può dire tranquillamente che iniziano e finiscono di esistere sostanzialmente insieme (con qualche limitata sfasatura; con buona approssimazione insieme se il cervello si intende in quanto pienamente sviluppato e regolarmente funzionante: non nel feto e primissimi giorni di vita extrauterina, non se in coma); e che si trasformano durante la loro esistenza, cioé che persistono relativamente, parzialmente, per certi aspetti e caratteristiche, continuando ad essere se stessi (ciascuno se stesso), pur mutando relativamente, parzialmente, per certi altri aspetti e caratteristiche (per esempio tu continui ad essere te stesso pur cambiando relativamente: non sei esattamente il bambino che eri qualche anno fa; esattamente come il tuo cervello continua ad essere il tuo cervello e a funzionare in quanto tuo cervello, pur non essendo esattamente quello di quando eri bambino e non funzionando esattamente nello stesso modo):

ma dove starebbe mai il problema?
#3474
Citazione di: davintro il 17 Maggio 2016, 15:19:55 PM
Non direi che la riflessione a posteriori "costruisca" alcunchè. La riflessione non produce i propri oggetti ma scopre qualcosa che gia c'è, mette in evidenza ciò che prima era latente. L'autocoscienza è questo sapere latente della coscienza che ha di sè, latente perchè nell'atteggiamento naturale (dominante nella nostra quotidianità) l'attenzione della coscienza è rivolta non su di sè ma sugli oggetti del mondo esterno che percepisce. L'atto di attribuzione di significati ad un oggetto ci appare come immediata perchè nell'atto percettivo, come è ovvio che sia, sono rivolto alla scoperta dei lati dell'oggetto sensibile e non sul processo cognitivo che in quel momento sta operando la sintesi percettiva. Non va confusa l'immediatezza con l'instantaneità. La percezione è effettivamente istantanea perchè gli schemi associativi del passato attraverso cui l'oggetto che ho di fronte assume un significato perchè associato con l'attribuzione di significato che oggetti simili hanno avuto per me nel passato, è già collegato con l'atto presente in virtu della continuità del flusso di coscienza, continuità data dal permanere nel flusso di un soggetto, di un Io genericamente inteso. Non c'è bisogno di un sforzo di regressione verso il passato, il passato è già qua. Ma non si può parlare di "immediatezza", perchè la percezione, seppur frutto della continuità passato-presente, è pur sempre sintesi, sintesi tra i lati dell'oggetto che si danno come fenomeni alla coscienza. La riflessione a posteriori, che può attuarsi o meno, scopre tale continuità tra la coscienza del passato e la coscienza del presente come condizione della mediazione percettiva ed in questo senso trova l'autocoscienza come già data, presente come latente ed ora la mette solo in evidenza ma non se la "inventa". Se se la inventasse, come in una sorta di autoillusione, non avrebbe senso parlare di riflessione come un atto teoretico, ma più come una sorta di atto volontario che "vuole" vedere ciò che magari non c'è. Chiaro che stiamo uscendo dall'accezione naturale del concetto di riflessione. Pensare che l'autocoscienza sia solo una costruzione a-posteriori della riflessione è possibile solo confondendo "autocoscienza" con "attenzione della coscienza su di sè". In realtà l'autocoscienza per essere non ha bisogno di essere tematizzata. la riflessione sposta l'autocoscienza dallo sfondo al punto focale dell'attenzione dello sguardo, ma anche fintanto che resta sullo sfondo se ne ha un livello di consapevolezza che condiziona lo stesso darsi del fenomeno presente nel punto centrale della visuale come ho provato a descrivere nei miei esempi.

CitazionePurtroppo mi é impossibile intenderti.

Per me "autocoscienza" = "coscienza della coscienza" = "coscienza come oggetto di coscienza" = "attenzione della coscienza su di sé".

Quando l' attenzione della coscienza non verte su di sé si ha coscienza di altre cose diverse dalla coscienza; id est: non si ha autocoscienza (ma soltanto coscienza). E questo anche se tali contenuti di coscienza (che non sono autocoscienza) sottintendono in qualche modo, per me alquanto oscuro, o dipendono in qualche modo da (ma comunque non attenzionano, non comprendono o includono attualmente come loro contenuti, cioé come contenuti di coscienza) esperienze coscienti passate (delle quali si ha memoria nel senso che sono potenzialmente evocabili, ma non ricordo ovvero evocazione immaginativa-mnemonica in atto).
#3475
Citazione di: HollyFabius il 17 Maggio 2016, 08:30:10 AM
Condivido.

La materia vivente é "perfettamente" riducibile alla materia inorganica, la biologia é in linea di principio "perfettamente" riducibile alla fisica - chimica, senza alcun ulteriore "ingrediente vitalistico" che ecceda le fondamentali entità e leggi del divenire fisiche, senza che nella "somma" biologica (vivente) vi sia alcunché in più delle sue "parti" fisiche (minerali; ovviamente poste nelle rispettive relazioni fra di esse).

Non così il pensiero alla materia, la mente al cervelo.


Si mi è chiara questa tua posizione, però non sono soddisfatto dell'idea che pensiero e mente siano 'altro', siano principi operanti su un livello realmente separato dal resto della realtà materica. E' una ipotesi ma senza una spiegazione convincente. Accetto e mi pare naturale farlo che esistano dei principi, il rifiuto di principi porta a evidenti contraddizioni, ma mi aspetto che la natura i questi principi sia intellettualmente più chiara (in realtà più astratta) rispetto al pensiero e mente. Vedo pensiero e mente derivati non principi.
[/quote]


Rispondo:

Sta di fatto che si può cercare fin che si vuole nel cervello di chiunque ma vi si troveranno sempre e soltanto neuroni, celule gliali, assoni, sinapsi, potenziali d' azione e stimolazioni o inibizioni trans-sinaptiche, ecc., a loro volta costituiti di molecole, atomi, particelle/onde subatomiche, campi di forza ecc.
E mai le esperienze coscienti che a tale o tali cervelli si possono ritenere "correlate" (mai visioni di verdi foreste se il tizio di cui si osserva il cervello sta guardando una verde foresta, né ragionamenti se sta mentalmente dimostrando un teorema di geometria, né sentimeti se si sente immamorato o odia qualcuno, ecc.).

L' esperienza cosciente non sta in alcun modo, in alcun senso nel cervello.
Né é dal cervello causata, prodotta, e nemmeno "gli sopravviene" o "ne emerge" (qualsiasi cosa MATERIALE, statica o "dinamica" o "relazionale", ecc. si possa intendere con questi concetti) in alcun modo: ai processi neurofisiologici nel cervello conseguono (causalmente) SOLO ED UNICAMENTE contrazioni di muscoli o al limite secrezioni di ghiandole.
Sono invece i cervelli ad essere "contenuti ne-" o a "far parte de-" -le esperienze fenomeniche coscienti (nell' ambito delle quali sono per lo meno potenzialmente, e se attualmente di solito indirettamente, per il tramite dell' imaging neurologico funzionale, percepiti sensibilmente).

E analogammente in un fantascientifico futuribile "cervello artificiale" si troverebbero solo ed unicamente elaborazioni algoritmiche implementate su su un hardware di silicio, di "materiale organico artificiale" o qualcosaltro di materiale, e non certo le sensazioni, i pensieri, gli eventuali sentimenti che ad esso si potrebbero ritenete correlati.

Non posso argomentare ulteriormente in maniera adeguata qui (fra l' altro l' ho fatto più volte nel vecchio forum e non voglio tediare i più "incalliti" o meglio "fedeli da antica data" frequentatori).
Mi permetterei di invitarti a leggere la "lettera on line" sull' argomento che ho inviato a questo stesso sito "Riflessioni" (é la n° 175: "I paradossi delle moderne neuroscienze").
#3476
Citazione di: HollyFabius il 16 Maggio 2016, 20:48:26 PM
Citazione di: maral il 16 Maggio 2016, 16:51:15 PM
Citazione di: paul11 il 16 Maggio 2016, 01:20:26 AM
Se siete riusciti a costruire decine di post senza riuscire a evidenziare che prima sorge la vita da materiale organico e una coscienza nasce da materiale organico tramite un cervello  ,a meno che dimostrate che siete sassi che parlano e si ha coscienza senza un cervello .
Sbaglio o i chip elettronici di un computer sono materiale inorganico che utilizzano costruzioni topologiche per creare porte in cui passa (1) o non passa(0) la corrente per cui la matematica binaria è necessaria di base per poi codificare linguaggi più evoluti?

Informatevi, perchè da qualche anno sperimentano materiale organico
Mi pare ovvio che prima di capire quale materiale serve, occorrerebbe capire di cosa si tratta e come si fa a riconoscere dal di fuori la coscienza, se mai è possibile averne la certezza, e mi sa che su entrambe le cose si abbiano ancora idee assai poco chiare.
Lo studio dell'utilizzo di materiale organico ha lo scopo di aumentare la capacità elaborativa dei computer, ma questo non implica di per sé l'acquisizione di alcuna coscienza, tanto più che la stragrande maggioranza degli esseri viventi, pur essendo tutti costituiti da materiale organico, non ci appare né cosciente né tanto meno autocosciente.

Peraltro la suddivisione tra organico e inorganico a me è poco chiara.
Ogni classificazione dipende dal livello di analisi con il quale si guarda la realtà. Tutto ciò che noi vediamo sembra composto dagli stessi elementi della tavola periodica, sia il materiale inorganico che quello organico. Qualcuno mi chiarisce qual è la discriminante forte, il muro insuperabile tra organico e inorganico che non sia nella nostra mente?
Cito da Pellegrinaggi verso il vuoto di A.Sabbadini:
"Alcune ricerche significative in questo senso sono state fatte negli ultimi decenni del secolo scorso. Ci si è resi conto che la materia inorganica in certe circostanze è capace di produrre spontaneamente organizzazione e struttura, cose che in passato si riteneva prerogativa dei sistemi viventi(..). Ciononostante questa emergenza mostra che non esiste una barriera insuperabile tra l'inorganico e l'organico, fra il non vivente e il vivente."
CitazioneCondivido.

La materia vivente é "perfettamente" riducibile alla materia inorganica, la biologia é in linea di principio "perfettamente" riducibile alla fisica - chimica, senza alcun ulteriore "ingrediente vitalistico" che ecceda le fondamentali entità e leggi del divenire fisiche, senza che nella "somma" biologica (vivente) vi sia alcunché in più delle sue "parti" fisiche (minerali; ovviamente poste nelle rispettive relazioni fra di esse).

Non così il pensiero alla materia, la mente al cervelo.
#3477
Citazione di: davintro il 16 Maggio 2016, 00:46:57 AM
Non credo che coscienza ed autocoscienza possano sussistere una senza l'altra. Sono certamente distinguibili dal punto di vista concettuale, ma co-implicate nell'attualità concreta del loro porsi in atto. La coscienza che ho di questa penna, il sapere di avere di fronte a me una penna per stare all'esempio di Maral, presuppone il darle una forma percettiva, cioè un'attività ordinatrice che unisce i vari stimoli sensitivi in una forma (la forma della penna che ha per me un senso riconoscibile), una forma che corrisponde al concetto di penna, senza la quale non avrei alcuna coscienza della penna, ma solo di un caotico miscuglio di parti della penna impossibile da ricondurre all'unità del "concetto penna". Ma questo "concetto penna" deve essere presente alla mia mente come idea regolativa della sintesi percettiva, schema ordinatore che io ho in mente ancor prima di iniziare la sintesi. Io ce l'ho già in mente perchè ne ho un'esperienza mnemonica. Per me il concetto di penna ha un senso perchè già in passato l'ho riconosciuto, perchè, ad esempio, quella penna mi è servita da piccolo per cominciare a scrivere, dunque il collegamento tra le sensazioni della penna unifica tali sensazioni nell'unità del concetto-penna perchè tale concetto ha un senso che riconosco perchè nel passato ho avuto esperienze di penne che per me hanno avuto un valore e un senso. E la continuità temporale passato-presente che determina la memoria implica l'autocoscienza, la coscienza presente si serve della coscienza passato per dare un senso al proprio mondo, e può farlo perchè il mondo presente che ha di fronte viene riconosciuto come lo stesso mondo che aveva di fronte nel passato, il passato mi offre gli schemi e i modelli concettuali per interpretare i fenomeni e ordinarli in forme percettive. E quando ricordo non posso fare a meno di riconoscermi come Io, l'Io è l'elemento che unifica il mio presente e il mio passato, tutto ciò è "autocoscienza". Senza autocoscienza il mio passato sarebbe solo un'immagine sbiadita senza nessun legame col presente, impossibilitato a dare un senso a quest'ultimo, invece il mio passato agisce sul presente perchè io lo riconosco come il MIO passato, il mio passato mi porta ad interpretare il mondo attuale perchè riconosco qualcosa che unifica passato e presente, cioè il mio permanere come soggetto cosciente di questo mondo, testimone del suo divenire. Senza autocoscienza, non si sarebbe continuità mnomenica passato-presente, senza questa continuità non potrei compiere associazioni percettive dei fenomeni sensibili, senza percezione non c'è coscienza. La coscienza "nasce" nel passaggio dalla sensazione alla percezione. Con la percezione per me il mondo comincia ad avere un senso, io divengo soggetto dotato di intenzionalità.


Obiezione:

Però si può concettualmente distinguere (prendere separatamente in considerazione) la coscienza in generale dalla coscienza (in particolare) della coscienza (autocoscienza).

Inltre si danno momenti nei quali si hanno sensazioni coscienti senza pensare alle proprie esperienze coscienti passate (né alle presenti).
E credo sia ragionevole pensare che gli animali non umani siano dotati solo coscienza e non di autocoscienza (se non forse di "barlumi molto limitati", ben diversamente da quanto può accadere e di fatto spesso accade all' uomo.
#3478
Ulteriore risposta a Paul11

Concordo che la storiografia "che va per la maggiore", più o meno "ufficialmente ammessa", la scrivono i vincitori, ma gli sconfitti possono sempre lottare per imporre le loro interpretazioni e soprattutto per cambiare la storia futura.

Continuo invece a dissentire sul fatto che vincerebbero sempre i peggiori perchè sempre e inivitabilmente più forti.

Ritengo quella dei neuroni a specchio (scoperti dal mio antico professore di Fisiologia a Parma, quando nel lontano 1974 frequentavo il terzo anno di corso di Medicina; allora era solo "assistente") una scoperta decisamente sopravvalutata e fraintesa dalla neurofisiologia main stream e in realtà di scarso interesse circa i rapporti mente/cervello che a mio parere costituiscono un problena sostanzialmente filosofico e solo "marginalmente" scientifico.
E credo che in natura e in cultura esistano tanto l' intersse per se stessi quanto l' interesse per gli altri individui e per la società tutta, molto variamente declinati nei diversi casi individuali e sociali: l' uomo non é affatto meno potenzialmente (e di fatto) altruista di quanto sia potenzialmente (e di fatto; in altri casi, in altre circostanze) egoista.

Non sono d' accordo che Il vero altruismo sia solo e necessariamente un pressocché impossibile totale, assoluto disinteresse della propria condizione e che non ci siano alternative fra questo e lo pseudoaltruismo (o più o meno bieco ragionare di interessi personali da riscuotere) consistente nel favorire agli altri calcolando "un ritorno di convenienza futura": tertium datur, in questo caso, anzi "infiniticum datur", consistente in un indefinito ventaglio di forme più o meno spinte, più o meno ragionevoli di altruismo relativamente, non assolutamente disinteressato (che pure accadde ma é rarissimo e comunemente si chiama "eroismo", non "altruismo").

Nessun problema per il fatto, che ho sempre saputo e affermato chiaramente, che, ritenendo che vi sia coscienza correlata al cervello ma che non è dimostrato (nè tantomeno mostrato, empiricamente verificato né dimostrabile né verificabile) scientificamente (né filosoficamente), faccio un atto di fede.

Credo che la fisica non abbia mai "contratto alcun matrimonio", né con la meccanica classica, né con la termodinamica né con l'elettromagnetismo, né con al relatività, né con la meccanica quantistica che ne sono parti integranti e/o e fasi del suo sviluppo.
E nego recisamente che con la meccanica quantistica sia mai finito il determinismo (malgrado le pretese filosofiche irrazionalistiche di Bohr, Hisenberg e compagnia)!
Tutte le pretese "mancanze" della teoria dell' evolzione biologica cui accenni sono invece corposissime presenze.

Per me la cosicenza c' é ECCOME!!!
Certamente non meno della materia, ma ESATTAMENTE COME QUESTA "in qualità di insieme di sensazioni fenomeniche in divenire" e non di "cosa in sé".
Credo che fra filosofia e scienze si diano distinzione e integrazione, che siano in un certo senso complementari.
"Trascendenza" é un concetto filosofico che esprime i rapporti intercorrenti secondo me fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti e fra ciascuna di esse e la realtà in sé o noumeno.

La storia umana conosce anche repubbliche più o meno democratiche (ma anche in alcune specie animali ci sono rapporti di sostanziale "uguaglianza"):
Inoltre un' eccessiva "prevaricazione" intraspecifica nella riproduzione tende inevitabilmente a portare a un' eccessiva uniformità genetica e dunque fragilità (tendenza al' estinzione) di fronte ai mutamenti ambientali, prima o poi inevitabli; al contrario di una "buona tolleanza per la diversità genetica intraspecifica".

Non vedo in che senso non mi debba piacere la psiche (invece non mi piace punto l' irrazionalistica e antiscientifica "psicoanalisi"!).
E non vedo di che utilità possa essere l' uso del temine "psiche" piuttosto che quello di "coscienza" nell' affrontare il problema dei rapporti mente/cervello ed "eventuale mente"/"fantascientifico calcolatore supersofisticato".

#3479
Citazione di: paul11 il 15 Maggio 2016, 17:54:47 PM
Invece a me risulta che chi è arrivato primo sulla tecnologia fisica dell'energia atomica abbia lanciato delle bombe atomiche sapendo che avrebbe ucciso milioni di persone civili. E' un atto di forza dove il sacrificio è incluso come strategia di potere.
CitazioneRisulta anche a me.
Ma ciò non toglie che la seconda guerra mondiale é stata vinta dall' URSS e alleati e persa da nazismo, fascismo e imperialismo giapponese.

Io non ho mai sostenuto che vince sempre il bene.
Ho invece negato che vinca sempre e comunque il male.

Che per vincere le guerre si debba essere più complessivamente  forti (militarmente innanzitutto, ma anche economicamente, culturalmente, eticamente) é ovvio; ma non é affatto detto che necessariamente non debbano esserlo i sostenitori di cause giuste, della civiltà e del progresso!

Affinchè si dirimi l'ambiguità del termine altruismo prova a definirlo.
CitazioneRispetto del bene o dell' interesse altrui e in generale del bene o dell' interesse comune nel perseguire il bene o l' interesse proprio.

L' essere felici della felicità altrui e tristi della tristezza altrui.

Il non essere disposti a fare ingiustamente del male agli altri come condizione del bene proprio, ovvero l' essere disposti a subire in qualche misura un male per se stessi come condizione per realizzare un bene altrui.

(Ma ovviamente sono solo alcune fra le tante definizioni che se ne possono dare. E inoltre non vanno assolutizzate: si può essere altruisti, esattamente come si può essere egoisti, in maggiore o minor misura; e non é detto che l' eccesso nelle qualità positive sia positivo).

Allora trascendi anche tu? ma la mia non vuole essere provocazione, ma semplice chiarimento di termini e relazioni.
CitazioneQuesta non l' ho proprio capita.

Non penso affatto che lo scientista sia irrazionale, ritengo se vuoi come mia personale definizione che lo scientista sia lo scienziato che non si attiene ai fatti ,ai metodi e dimostrazioni, ma comincia a fare filosofia o teorie come quelle sull'evoluzione, ben sapendo che sta andando oltre alle dimostrazioni, reperti, ecc. in altri termini è colui che da ipotesi fa diventare tesi e addirittura teorie.Non ci trovo nulla di male quando uno scienziato fa il filosofi, La storia ha consegnato alla filosofia illustrissimi matematici, fisici e comunque uomini di scienza, Ma devono avere l'onestà intellettuale di dichiarare sotto quale veste, scienziato o filosofi, proclamano teorie.
CitazioneLa teoria dell' evoluzione biologica per mutazioni genetiche casuali e selezione naturale (correttamente intesa e non assolutizzata) non é affatto scientismo ma scienza.

Per me lo scientismo é irrazionalismo perché é assunzione acritica (=irrazionale), assolutizzazione della validità della conoscenza scientifica e pretesa di una sua indebita estensione oltre il terreno che le é proprio (ove, per dirlo un po volgarmente, c' entra come i cavoli a merenda).

Dunque secondo me é pessima filosofia (e che la propongano e la seguano scienziati oppure filosofi non fa differenza).
A me pare, ma lo dico amichevolmente, che tu non riesca a conciliare l'aspetto meramente scientifico del cervello e il correlato che ne risulta come coscienza. Se l'attività biochimica non lo spiega, scientificamente non si capisce da dove e come "salti fuori".
Quale sarebbe la sua natura: materiale , trascendentale, o cos'altro ancora?
CitazioneSecondo me trattandosi di un problema filosofico e non affatto scientifico, é ovvio che non se ne può dare una spiegazione scientifica.

La scienza (neurologica) si limita a stabilire quali eventi neurologici cerebrali (più o meno potenzialmente e indirettamente nell' ambito delle esperienze coscienti di "osservatori") corrispondono biunivocamente a quali eventi coscienti (nell' ambito delle esperienze coscienti di "osservati").

Ma la la coscienza non "salta fuori" da alcunché di materiale (cervelli compresi). E' invece la materia che "salta fuori da-" (cioé fa parte de-, é reale nell' ambito de-, all' interno de-) -le esperinze fenomeniche coscienti: "esse est percipi"!

E le diverse esperienze fenomeniche cosciente sono reciprocamente trascendenti; e trascendenti le cose in sé (o noumeno).

Dimentichi una regola formidabile: il più forte del branco si prende tutte le femmine e il cibo passa prima da lui e tutti devono fare atto di accondiscendenza, in cambio offre protezione.  Non ti sembra chiaro se traslato  nella metafora umana della cultura dentro le organizzazioni sociali?
CitazioneNo, sei tu che dimentichi che non esistono solo società animali organizzate in questo modo. E che comunque anche in queste un capo branco troppo egoista porta all' estinzione dei portatori di geni differenti dai suoi, i quali ultimi al primo inevitabile mutamento ambientale di una certa consistenza si rivelano inadeguati a resistervi, di modo che la sua specie si estingue ben presto; al contrario di quelle nelle quali i capi-branco sono più altruisti e generosi nel consentire la sopravvivenza e la riproduzione degli altri individui permettendo alle loro specie di essere dotate di una maggiore variabilità genetica e dunque di essere di gran lunga meglio "attrezzate" di fronte agli inevitabili cambiamenti ambientali, cioé molto più in grado di non estinguersi allorché, prima o poi inevitabilmente, accadono.

Comunque, personalmente ritengo che come sia emersa una psiche , lì si trovi anche la coscienza e forse (sono ipotesi) sono entrambi emersi quando il cervello si è dotato di funzioni e  aree fisiche linguistiche.
CitazioneCome ben chiarito anche da Maral in risposta a Jeangene coscienza non é sinonimo di autocoscienza.

Ritengo che l' uomo, coscientissimo, come per lo meno tantissimi animali di altre specie, anche prima sia potuto diventare cosciente solo dopo che l' invenzione del linguaggio gli ha consentito di pensare astrattamente, in termini di concetti astratti.

Ma attenzione la razionalità non ha mai vinto l'animalità connaturata nell'essere umano, può vincerla e questa è la mia speranza, solo se la riconosce e non finge  di non non averla e deve educarla a sublimare gli istinti, cioè a spostare l'ira, la furia, la prepotenza.
CitazioneSu questo sono sostanzialmente d' accordo: la cultura non emanciperà mai completamente l' uomo dalla natura (alla faccia delle ridicole pretese dello scientismo)!

Ma oggi culturalmente vince proprio chi ha utilizzato le teorie scientiste per potersi giustificare come animale razionale
CitazioneNon é ancor detto!

E comunque personalmente spero che non mi arrenderò mai, anche solo se si trattasse unicamente di "vendere cara la pelle", ovvero di recitare degnamente la mia parte nella tragedia della vita: combattere valorosamente é più importante di vincere (il che non vuol certo dire non fare di tutto per vincere).
#3480
Citazione di: paul11 il 15 Maggio 2016, 18:05:18 PM
Citazione di: HollyFabius il 15 Maggio 2016, 12:10:10 PM

Il grande errore è di ridurre l'uomo linguisticamente al linguaggio binario di una macchina o con simboli chiusi.
Perchè il problema non è il software, ma l'hardware,
Quando si riuscirà a passare dal materiale inorganico a quello organico nei computer , si aprirà una nuova era, perchè l'automa potrà acquisire coscienza.,potrà essere in grado di rielaborare il codice sorgente.


CitazioneMi scuso perché non ho tempo di argomentare ma mi limito ad affermare il mio dissenso: per me in linea puramente teorica é possibile realizzare un meccanismo inorganico tale che possa comportarsi esattamente come un uomo cosciente. Determinante é il modo in cui funziona e interagisce con l' ambiente il meccanismo, non il materiale di cui é fatto.
Per dirlo con Putnam, (in linea di principio, teorica) una persona cosciente potrebbe benissimo anche essere fatta di formaggio svizzero (io però avrei proposto gli esempi degli italianissimi e di gran lunga migliori provolone piccante o grana).