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Messaggi - sgiombo

#3496
Citazione di: HollyFabius il 08 Maggio 2016, 23:30:40 PM
Citazione di: HollyFabius il 26 Aprile 2016, 20:12:25 PM
Una delle tesi forti dell'intelligenza artificiale era (o forse è ancora) che continuando ad aumentare complessità negli algoritmi, oltre ad un certo grado di complessità, si sarebbe "rivelata" una sorta di coscienza o auto-coscienza.

Provo a riportare la discussione su temi a me noti e sulla domanda iniziale.
Nessuno dei filosofi dei quali abbiamo parlato nel 3D ha visto gli sviluppi dell'intelligenza artificiale degli ultimi anni. Questo fatto dovrà venire assimilato dai pensatori. Torno a chiedere più chiaramente: è possibile lo sviluppo di una intelligenza artificiale che arrivi alla coscienza e all'autocoscienza? Per quanto io mi sforzi non riesco a capire perché questo non possa generarsi, magari tra 200, 300 o magari 1000 anni di sviluppo tecnologico.
Cosa abbiamo noi, come qualità, che le macchine del futuro non potranno mai avere e per farci mantenere un'idea di un qualche tipo di coscienza a noi soli accessibile?


RISPONDO:

A questa domanda non si può rispondere per il semplice fatto che nemmeno se agli altri uomini e animali di cui abbiamo esperienza corrisponda un' esperienza cosciente analoga alla "nostra" immediatamente avvertita (sentita) si può sapere con certezza (non si può con nessun ragionamento e tantomeno con alcuna osservazine stabilire, dimostrare che non siano zombi che si comportano COME SE fossero coscienti, MA SENZA ESSERLO REALMENTE).

Secondo me IN LINEA TEORICA, DI PRINCIPIO non é impossibile costruire un congegno artificiale che si comporta esattamemnte come un uomo (un "perfetto robot" o "perfetto uomo artificiale") dal momento che le leggi di natura sono sempre le stesse e valgono per il "naturale" quanto per l' "artiìficiale".

Stimo (alquanto infondatamente, cercando di applicare il semplice buon senso, "andando un po' a lume di naso", come si può unicamente fare circa possibili fatti di un futuro non troppo prossimo) che DI FATTO non succederà e non si giungerà mai (col progresso tecnico) a creare le condizioni per le quali SIA EFFETTIVAMENTE, DI FATTO POSSIBILE FARLO.
#3497
Citazione di: Loris Bagnara il 08 Maggio 2016, 09:56:29 AM
Metto insieme le definizioni date da Sgiombo per farne una completa:
Citazione"La coscienza é l'insieme delle sensazioni" + "che accadono, che si constatano nel loro apparire"
La frase, benché grammaticalmente corretta, non ha alcun significato.

Cosa vuol dire "insieme delle sensazioni"? Dove c'è un insieme, esiste qualcosa che definisce i limiti di tale insieme.
Ebbene, qual è questo limite, nel caso della coscienza individuale? Cos'è che raduna le sensazioni in un insieme?

Cosa vuol dire che una sensazione "accade"? Accade dove? Forse nella mente? Allora c'è una mente, e se c'è una mente c'è una coscienza.
Quindi, la definizione corretta sarebbe: la coscienza è l'insieme delle sensazioni che accadono nella mente (coscienza).
Non è un circolo vizioso?

Cosa vuol dire "che si constatano"? Altro esempio di trucco linguistico e di depistaggio, sostituendo il "percepire" con il più innocuo "constatare". Ma la questione non si sposta di una virgola: si constatano da sole le sensazioni? Se no, chi o che cos'è che compie la funzione di constatare?

Che significa "al loro apparire"? Apparire a chi? Difficile pensare a qualcosa che appare se non a qualche soggetto. Oppure si intende "apparire a se stesse"? Ancora più oscuro. E poi "apparire" significa giungere in un "luogo" provenendo da un altro "luogo", oppure comparire dal "nulla" in un certo "luogo". Trascuriamo pure la provenienza. Ma il "luogo" dove le sensazioni appaiono, dov'è, se non si ammette l'esistenza di un soggetto?

Infine, tale definizione non dice nulla su due questioni basilari:
1) l'impressione di permanenza della coscienza, pur nel fluire mutevole delle sensazioni;
2) l'individualità della coscienza.

Ripeto la "sciocchezza", che però sta tutta in questa tua vuota definizione, che è solo un circolo vizioso di parole che si rincorrono. E implicitamente lo ammetti anche tu quando dici che per definire una parola occorrono sempre altre parole. Quando fai l'esempio dell'albero e della foresta. Ciò indubbiamente si deve all'aspetto olistico della realtà. Resta il fatto però che se è comprensibile definire la foresta come "insieme di alberi", vi sono definizioni di albero ben più ricche di significato, che non "unità costituente della foresta"... e infatti questa definizione di albero non la trovi da nessuna parte.
Ma appare ormai evidente che il senso delle cose non è fra i tuoi interessi.



Rispondo (per l' ultima volta):

Premetto che questa è l' ultima riposta che do a Loris Bagnara perché è del tutto evidente che non gli interessa discutere ma vuole solo menare il can per l' aia (e la mia pazienza ha un limite).
Alla sua probabile replica con le solite infondatissime accuse di pretesa "circolarità" e altrettanto pretesa "mancanza di spiegazioni" da parte mia non risponderò a mia volta in quanto avere letteralmente l' ultima parola in una polemica, tanto più se inconcludente come questa, non è fra i miei interessi; eviterò anzi senz' altro di leggerla per non essere indotto nella tentazione di perdere altro tempo (a ogni sua obiezione ho peraltro già esaurientemente risposto negli interventi precedenti malgrado lui si ostini pervicacemente a negarlo, e dunque é del tutto ragionevole pensare che qualsiasi mio sforzo ulteriore non potrebbe che essere inutile).



Le sensazioni considerate nel loro insieme costituiscono l' esperienza fenomenica cosciente.

Noto fra l' altro che dopo avermi subissato, a proposito del mio modo di intendere le sensazioni, di infondate accuse di "circolarità", "disinteresse per il senso delle cose (casomai delle parole, N.d.R.)", "trucchi linguistici", "depistaggi" e forse altro che in questo momento non ricordo, nella risposta a Memento immediatamente successiva (sic!) a questa cui replico per l' ultima volta, "riguardo alla parola "sensazione"" dici testualmente "Il significato che gli do io è di "evento della coscienza" - come dice anche Sgiombo - (di qualunque tipo: percezione esteriore, emozione, pensiero astratto etc)" [la sola evidenziazione in grassetto, e nient' altro, è mia, N.d.R]:

ti porgo i miei più sinceri complimenti per la tua "buona fede"!

Tanto di cappello!.

I limiti degli insiemi di enti ed eventi sono stabiliti arbitrariamente dal pensiero (posso considerare l' insieme degli Europei oppure quello degli Italiani, o quello degli Italiani che pesano 80 chili o più, o quello degli Italiani + i Francesi e così via ad libitum).

Dunque per definizione le sensazioni accadono nell' ambito dell' esperienza fenomenica cosciente; e nella mente che ne è una parte (un sotto-insieme) accadono quelle interiori o "res cogitans".
Noto in proposito che sempre nel tuo intervento immediatamente successivo scrivi testualmente: "Il problema che io ponevo era quello del rapporto fra coscienza e sensazione: che giustamente è un insieme inscindibile (almeno in prima approssimazione)":

a-ri-complimenti (come direbbero a Roma)!!!

Delle sensazioni si può dire indifferentemente che "accadono", "si sentono", "si percepiscono", "si avvertono", "si constatano" ecc., ecc., ecc.: sono tutti sinonimi e per trovare nell' uso da parte mia del termine "constatarsi" un "trucco linguistico" o un "depistaggio" ci vuole proprio una notevolissima coda di paglia.

Non sono le sensazioni ad essere in un luogo fisico, bensì i luoghi ad essere nella (= far parte della) esperienza fenomenica cosciente, in particolare nella sua componente materiale, la "res extensa".
Le sensazioni sono nella (fanno parte della) esperienza fenomenica cosciente

Dell' esperienza fanno parte (le sensazioni mentali de-) -i ricordi, che testimoniano la permanenza della coscienza, pur nel fluire mutevole delle sensazioni che la costituiscono.

La coscienza immediatamente esperita è una (presenta un' individualità), anche se si può ammettere (credere, ma non dimostrare e men che meno constatare) che per ogni uomo (che ce ne può parlare) e per lo meno per gran parte degli animali (vivi, ovviamente) ne esista realmente una.

Comprendo bene il tuo aggrapparti all' esempio delle definizioni semplificate di albero e foresta che ho proposto nell' inane sforzo di farti capire la tua colossale sciocchezza della presunta "circolarità" nelle mie argomentazioni, evitando di prendere in considerazione la mia affermazione che "tutte le parole dei vocabolari si definiscono reciprocamente -o per dirlo malamente, impropriamente "circolarmente"- l' una con l' altra": se non si hanno argomenti e non si vuole ammetterlo bisogna pur cercare di aggrapparsi a qualcosa!

Ancora una volta mi vedo dunque costretto a rispedire al mittente l' insinuazione che apparirebbe ormai evidente che il senso delle cose non sia fra i miei interessi (da parte di uno che pochi minuti dopo, per illustrare la sua concezione delle sensazioni, dice testualmente "Il significato che gli do io è di "evento della coscienza" - come dice anche Sgiombo –". SIC!!!

#3498
Citazione di: Loris Bagnara il 07 Maggio 2016, 23:52:34 PM
Sgiombo ha scritto:
CitazioneLe sensazioni sono eventi di coscienza
Hai ripetuto quest'affermazione, ma non hai ancora risposto alla domanda: se le sensazioni sono eventi di coscienza, che cos'è allora la coscienza?

E poi hai scritto:
Citazionele sensazioni (più o meno "amalgamate") si percepiscono immediatamente
Che significa "si percepiscono", che si percepiscono da sole?
Neanche a questa domanda hai risposto: è così per te, le sensazioni si percepiscono da sole?
Oppure non intendi il "si" in senso riflessivo, ma intendi dire "la mente, la coscienza percepisce le sensazioni".
Ma allora, torna la domanda di prima: che cos'è la mente, che cos'è la coscienza?
Non mi dirai che è "un'amalgama di sensazioni", vero?

Facciamo così: prova a definire la coscienza senza usare la parola sensazione (o sinonimi) e a definire la sensazione senza usare la parola coscienza (o sinonimi).
Se ce la fai, mi convinci.
Sto qui ad aspettare.
CitazioneHo già risposto (e qui pazientemente ripeto) che la coscienza é l' insieme delle sensazioni.

(Oso sperare che non ripeterai la colossale sciocchezza del presunto "circolo vizioso": qui non si tratta di dimostrazioni, ma di definizioni di eventi constatabili e constatati); come nel fatto che "foresta" si definisce come l' insieme degli alberi e "albero" come il costituente della foresta: tutte le parole dei vocabolari si definiscono reciprocamente -o per dirlo malamente, impropriamente "circolarmente"- l' una con l' altra).



Che "si percepiscono" le sensazioni significa che accadono, che si constatano nel loro apparire. Punto e basta.

E allora tornano le definizioni: la coscienza é l' insieme delle sensazioni e la mente un suo sottoinsieme.



Facciamo così: prova a definire una qualsiasi parola (del lessico dell' italiano o di una qualunque altra lingua) senza usare nessun altra parola.

Se lo fai divento irrazionalista olista "meditatore"!

(Non sto qui ad aspettare (invano) perché la (mia)  vita é breve (potrei farlo forse se fosse eterna).
#3499
CitazioneLoris Bagnara ha scritto:
[Che l' affermazione che la filosofia di David Hume sia insensata e costituita da sofismi andrebbe dimostrata] E' precisamente quel che ho fatto nel seguito del post.
 
Rispondo:
Non mi pare proprio!
 
 
 
Loris Bagnara ha scritto:
[Che all'origine di "quella corrente di pensiero che ha portato agli spettacolari successi della scienza moderna" si collochi David Hume] Non l'ho detto io, lo dice Wikipedia: "Quel che è certo è che ebbe una decisiva influenza sullo sviluppo della scienza e della filosofia moderna."
Per me in realtà è irrilevante, che lo sia o non lo sia.

 
Rispondo:
Anche per me è irrilevante; ma ciò non toglie che sia una sciocchezza (una mezza sciocchezza di Wikipedia che per lo meno parla anche di "filosofia moderna"; intera nella tua versione secondo la quale "Sarà anche vero che Hume è all'origine di quella corrente di pensiero che ha portato agli spettacolari successi della scienza moderna" [e basta, N.d.R.]).
 
 
 
Loris Bagnara ha scritto:
Pensare e ragionare NON sono meditare: meditare significa NON percepire, NON pensare, NON ragionare. E' solo così che si può INTUIRE l'Osservatore che sta "dietro". Più pensi e ragioni, meno sei in grado di cogliere l'Osservatore.
 
Rispondo:
Buono a sapersi: essendo razionalista e ritenendo che per avere opinioni fondate e a determinate condizioni possibilmente vere, ad eventuali altre condizioni certamente vere bisogna percepire, pensare e ragionare, mi guarderò bene dal "meditare" inteso in questo senso irrazionalistico!
 
 
 
Loris Bagnara ha scritto:
L'Osservatore, prima ancora che dimostrarlo, lo si intuisce, lo si sente con assoluta evidenza (vedi sopra). Dovrei forse dimostrarti che il rosso è rosso? No, perché tu puoi vederlo con la stessa evidenza con cui lo vedo io. Si tratta innanzitutto di esperienza interiore, non di dimostrazione logica.
 
Rispondo:
Il rosso lo percepisco.
L' esistenza di un "io" soggetto delle sensazioni, reale oltre ad esse (fra le altre di quella del rosso) no; e nemmeno si può dimostrare, ma solo credere infondatamente, letteralmente "per fede".
 
 
 
Loris Bagnara ha scritto:
"Una sensazione non richiede affatto necessariamente un senziente: un soggetto, oltre che un oggetto per definizione: necessariamente è unicamente un apparenza sensibile, un evento di coscienza. Punto e basta" (Sgiombo).
Come si fa a non vedere che sono proprio le parole stesse che non stanno logicamente in piedi?
Da una parte si vuol dire che la coscienza è solo "un amalgama di sensazioni". Bene, dico io, e chiedo allora: cosa sono le "sensazioni"? E mi si risponde che le sensazioni non richiedono un soggetto e un oggetto, ma che sono semplicemente "eventi di coscienza"...
Un momento: siamo partiti col definire la coscienza attraverso le sensazioni, e poi definiamo le sensazioni attraverso la coscienza...
Ma com'è possibile non rendersi conto della circolarità del ragionamento?
Non è solo una questione linguistica o grammaticale, questa semmai è solo il segno di una carenza del ragionamento. Che non è nemmeno un ragionamento, ma solo un sofisma per depistare la mente, un circolo vizioso di parole che non costruiscono alcun senso.
Ma davvero non ci si rende conto di quanto queste parole si rincorrono l'una l'altra senza produrre senso?

 
Rispondo:
Ma Come si fa a non vedere che sono proprio le parole stesse che stanno logicamente in piedi perfettamente?

Non c'è proprio nessun circolo vizioso: le sensazioni (più o meno "amalgamate") si percepiscono immediatamente (se e quando ciò accade) e non si pretende affatto di "dimostrarle" circolarmente a partire dalla coscienza a sua volta dimostrata a partire dalle sensazioni stesse!!!

Respingo dunque fondatamente al mittente proprio l' accusa di fare pseudoragionamenti che non sono nemmeno tali ma solo sofismi (anche particolarmente maldestri!) per depistare la mente, circoli viziosi di parole che non costruiscono alcun senso (attribuendole indebitamente all' interlocutore), parole che si rincorrono l'una l'altra senza produrre senso.
 
 
 
Loris Bagnara ha scritto:
"Pretendere che Una sensazione richieda necessariamente un senziente: un soggetto, oltre che un oggetto per definizione sarebbe come pretendere che l' esistenza della realtà richieda necessariamente per definizione un creatore o che l' esistenza dell' evoluzione biologica (o magari solo della diversità biologica esistente) richieda necessariamente un "disegno intelligente" (Sgiombo)
Questa obiezione mi sembra semplicemente fuori luogo: non capisco cosa c'entri il "creatore" col soggetto della sensazione. Il soggetto della sensazione non crea nulla, è l'osservatore che assiste al fenomeno percettivo o al flusso interiore. L'osservatore non crea nulla, esattamente come lo spettatore al cinema non crea il film: lo vede.
 
Rispondo:
Cerca almeno di leggere quel che scrivo.

Non ho mai scritto che un creatore crea le sensazioni (mi guarderei bene dal farlo!), ma solo –e lo ribadisco!- che la pretesa che l' esistenza di un soggetto delle sensazioni sia implicita nella definizione (del concetto) di "sensazione" è altrettanto infondata di quella che l' esistenza di un creatore sarebbe implicita nella definizione (del concetto) di "realtà" (e di quella che l' esistenza di un "disegno intelligente" in quella del concetto di "diversità biologica").
 
 
 
Loris Bagnara ha scritto:
Cos'è una sensazione? Se pretendiamo di fare a meno del soggetto, la sensazione resta solo un fenomeno fisico, elettrico, chimico. Esattamente come un'infinità di altri fenomeni fisici, elettrici e chimici dell'universo.
Quindi volete dire che i fenomeni fisici, elettrici e fisici si sentono da soli?

Perché allora ogni essere umano non sente tutti i fenomeni dell'universo?
Perché io invece avverto un limite a ciò che posso sentire?
Cos'è che costruisce quell'"amalgama", quel "fascio" che rappresenta il mio limite percettivo rispetto a quello di un altro?

 
Rispondo:
Le sensazioni sono eventi di coscienza e non affatto "fenomeni fisici, elettrici, chimici", i quali sono costituiti unicamente da sensazioni: "esse est percipi" (Berkeley).

Sono i fenomeni fisici, elettrici, chimici a essere sensazioni, non le sensazioni a essere fenomeni fisici, elettrici, chimici!!!
 
 
 
Loris Bagnara ha scritto:
Grande risposta, che fa il pari con la "geniale" risposta di Hume:
 
Rispondo:
Certo, per l' appunto! (E sono onoratissimo dell' accostamento al gradissimo David Hume!!!
 
 
 
Loris Bagnara ha scritto:
[font='Times New Roman', serif]Anche ammesso che non esista una risposta dimostrabile alla domanda, resta l'evidenza del fatto: ognuno di noi sente (intuisce) con certezza la propria costanza come io-sono aldilà della mutevolezza del corpo, delle sensazioni e dei pensieri.
Questo dato empirico resta, ben chiaro in ciascuno di noi: che poi la risposta non si riesca a dimostrare, o a trovare, non fa sparire l'evidenza del fatto.
Sarebbe bello poter far sparire le questioni di cui non si conosce la risposta. A quanto pare Hume ce l'ha fatta. Davvero geniale![/font]

 
Rispondo:
Complimenti: questa miserrima deformazione caricaturale del suo pensiero dimostra solo che non hai capito proprio un bel nulla (anche, fra l' altro) di David Hume!!!

Chiunque conosca un poco il grandissimo scozzese lo constaterà immediatamente.

(E purtroppo non ho tempo per tentare ulteriormente l' impresa disperata di aiutarti a cercare di farlo).
#3500
CitazioneDavintro ha scritto:
Uno stesso complesso sensitivo può essere sentito da più o meno soggetti senzienti. Possiamo ipotizzare un infinito numero di soggetti senzienti ed infiniti gradi di intensità delle sensazioni. Ora, come è possibile isolare un momento di questo ipotetico continuum per porlo come criterio discriminante in base al quale stabilire quando uno stato di cose diverrebbe reale? Qual'è la quantità di conformità intersoggettiva oltre il quale le sensazioni corrispondono a un oggetto reale? La maggioranza assoluta delle coscienze attualmenti presenti nel mondo? Se di uno stesso evento abbiamo 4 miliardi di soggetti che hanno dello stesso oggetto un'immagine sensitiva e 3 miliardi che ne hanno una contrastante possiamo ritenere sufficiente il livello di conformità intersoggettiva per accettare che la realtà sia ciò che sostengono i 4?  Oppure la selezione del criterio è totalmente arbitraria... e in questo caso come può fondare la conoscenza e la verità scientifica? Come può un criterio quantitativo (la conformità intersoggettiva delle sensazioni) determinare qualcosa di qualitativo come il carattere di esistenza di uno stato di cose?

Rispondo:
A parte l' indimostrabilità né tantomeno mostrabilità dei soggetti delle sensazioni, dire che Uno stesso complesso sensitivo può essere sentito da più o meno soggetti senzienti (cioè appartenere a due o più diverse esperienze coscienti) non ha senso a causa delle reciproca trascendenza fra le diverse esperienze coscienti stesse: se (come credo ma non è dimostrabile) ne esistono altre oltre alla propria immediatamente esperita, allora non è però possibile "sbirciare" nelle altre in modo da verificare se i loro contenuti, anche materiali, sono uguali a quelli della propria o meno: quel che si può ammettere (credere ma non dimostrare) é che quelli materiali fra di essi siano reciprocamente corrispondenti in maniera biunivoca, ovvero intersoggettivi).

Ciò posto (non: dimostrato; né tantomeno: mostrato), le diverse sensazioni (postulabili essere corrispondenti, intersoggettive nel caso di quelle materiali) costituenti le diverse reciprocamente trascendenti esperienze fenomeniche coscienti sono ben reali, per quanto unicamente in quanto fenomeniche.
I loro comuni "oggetti" (gli stessi per tutte), se reali, non potrebbero che essere "cose in sé" tali che allorché diversi soggetti (altre cose in sé) sono in rapporti con esse simili, allora nell' ambito delle rispettive esperienze fenomeniche coscienti appaiano sensazioni materiali "similmente corrispondenti" (e non: simili o uguali, che non avrebbe senso per la "non sbirciabilità nelle coscienze altrui").

Sulle differenze nelle sensazioni materiali (in realtà "discorrispondenze") dovuti a illusioni ottiche (o di altre modalità percettive) o altre "distorsioni" più o meno patologiche o strumentali in linea di principio (e solitamente anche di fatto) è sempre possibile darne una spiegazione scientifica –tutt' altro che arbitraria- e arrivare ad un accordo generale su quelle che sono le corrispondenze intersoggettive (fra "cose fenomeniche") ottenibili eliminando le patologie o le distorsioni strumentali e interpretando correttamente le illusioni sensitive.



Davintro ha scritto:
le credenze scientifiche nascono dall'osservazione sensibile e quindi una volta identificata la realtà con le sensazioni soggettive

Rispondo:
Perché possa darsi conoscenza scientifica si deve postulare necessariamente l' (indimostrabile) intersoggettività delle sensazioni materiali nell' ambito delle diverse esperienze fenomeniche coscienti, cioè la loro corrispondenza biunivoca (o forse è meglio dire: "poliunivoca").



Davintro ha scritto:
Del resto, starebbe proprio nella distinzione tra il piano dell'immagine percettiva e quello dei giudizi l'ammissione implicita di una realtà oggettiva, a cui i nostri giudizi sono riferiti distinta dalle sensazioni soggettive. Altrimenti, in cosa consisterebbe la differenza di senso del nostro rapporto con la realtà che si ha quando la si giudica rispetto a quando ci si limiterebbe a percepirla?

Rispondo:
Possiamo giudicare unicamente di "cose " costituite da sensazioni fenomeniche (eventi che accadono separatamente in ciascuna coscienza); nel caso di quelle materiali è possibile postularne la corrispondenza o intersoggettività.
E i nostri giudizi possono coglierne (se veritieri) solo l' intersoggettività, non l' oggettività, cioè il loro essere reciprocamente corrispondenti, e non la stessa cosa od "oggetto"; questa, se c' è, è realtà in sé non fenomenica, non percepita ma congetturabile (come ottima spiegazione fra l' altro di tale intersoggettività): nelle nostre due distinte esperienze coscienti (mia e tua) accadono le visioni sufficientemente corrispondenti di quello che comunemente (ma impropriamente) chiamiamo "lo stesso oggetto (materiale)" allorché noi due (entità in sé "soggetti", ciascuno di un' esperienza cosciente) siamo in rapporti sufficientemente simili con la stessa entità in sé "oggetto" di ciascuna delle nostre esperienze fenomeniche coscienti.



Davintro ha scritto:

Personalmente non ce la faccio a concepire realtà senza causalità... e allora se le sensazioni costituissero la realtà dovrebbero essere causa di loro stesse. Se le sensazioni e i pensieri che nascono da esse avessero un potere causale, non porterebbe tutto ciò a una sorta di concezione magica nella quale il pensiero e la sensibilità creerebbero i loro oggetti  invece che limitarsi a rappresentarli?

Rispondo:
Bisogna distinguere le "cose" percepite sensibilmente in quanto contenuti fenomenici delle nostre esperienze coscienti, che non sono create da- (-le sensazioni mentali de-) –i pensieri di esse dagli (indimostrabili) enti ed eventi "in sé" (noumenici) che in un certo senso si potrebbero considerare "causare" tali "cose fenomeniche"; nel senso che si può ipotizzare, spiegando egregiamente tante cose, che ogni volta che un determinato soggetto in sé (noumeno) è in determinati rapporti con determinati oggetti in sé (noumeno), allora nella esperienza fenomenica "propria di tale soggetto" accadono proprio certe determinate sensazioni di "cose fenomeniche" (reciprocamente corrispondenti fra le diverse esperienze fenomeniche dei diversi soggetti –noumeno- proprio in quanto ciascuna corrispondente alla stessa cosa in sé oggettiva –noumeno-) e non altre.



Davintro ha scritto:
va distinta nettamente l'idea che "conosciamo solo fenomeni" da quella "conosciamo solo ATTRAVERSO i fenomeni". La prima opzione porterebbe allo scetticismo assoluto e dunque alla fine di ogni razionalità possibile, scientifica e filosofica, la seconda, su cui sono pienamente d'accordo, porrebbe i fenomeni, a partire dalle sensazioni, come un'inaggirabile via che però porterebbe necessariamente a riconoscere l'esigenza di un'oggettività, di una cosa in sè che determina la manifestazione dei fenomeni stessi e dunque la possibilità di una coscienza.

Rispondo:
Sentiamo, percepiamo solo fenomeni.
Attraverso i fenomeni possiamo solo congetturare, arguire, ipotizzare l' esistenza di enti ed eventi in sé.
Solo di questi si può ipotizzare l' oggettività.
Ma assumendo l' intersoggettività (cioè la reciproca corrispondenza) delle "cose fenomeniche materiali" si può superare lo scetticismo e ammettere la conoscenza scientifica (e l' ipotesi del noumeno né è un' ottima spiegazione).



Davintro ha scritto:

Invece secondo me l' "esse est percipi" non potrebbe in alcun modo prescindere dalla visione metafisica, che per quel che ricordo, Berkeley sosteneva, per cui anche se tutti gli uomini smettessere di ossrvare l'albero questo continuerebbe a esistere dato che ci sarebbe ancora Dio che lo osserva. Perchè, se rigettiamo l'idea di un Dio osservatore eterno, o dovremmo concepire l'idea di un' "Umanità primordiale" da sempre soggetto delle percezioni sensibili, oppure dovremmo accettare che se l'uomo,insieme agli animali preistorici, dinosauri ecc., e in generale la vita di esseri senzienti ha cominciato a esistere successivamente rispetto ad uno sviluppo meramente fisico dell'Universo, allora in questo in caso dovremmo ammettere l'esistenza per un larghissimo lasso di tempo di una realtà che nessuna coscienza senziente osservava... Dall'impasse si esce solo pensando che tale realtà, seppur non ancora attualmente sentita era già costituita in modo da essere POTENZIALMENTE sentita e manifestabile ad una coscienza che sarebbe poi in futuro venuta ad esistere. La soluzione mi sembra convincente, ma certo il principio dell' "esse est percipi" uscirebbe di molto depotenziato, le sensazioni verrebbero degradate a puro principio gnoseoloegico del reale, ma non più fondamento esistenziale del reale. Per questo penso che il solispismo, nel senso forte ed estremo del termine, non possa che porsi come "iperspiritualismo"


Rispondo:
In alternativa alla soluzione "teistica" Berkeleyana si può secondo me più razionalisticamente postulate l' esistenza di una realtà in sé trascendente le esperienze fenomeniche coscienti in divenire e tale che di tanto in tanto in essa (nel suo "divenire") vengono a costituirsi certe determinate, peculiarissime "entità soggetti di coscienza", corrispondentemente alle quali accadono esperienze fenomeniche coscienti reciprocamente e dalla realtà in sé trascendenti e biunivocamente (o poliunivocamente) corrispondenti: nel noumeno starebbe la continuità reale necessaria a "colmare gli abissi spaziotemporali" senza "cervelli e affini" (nell' ambito delle componenti materiali delle esperienze coscienti) cui siano appunto correlate, coesistenti (seppur trascendentemente) esperienze fenomeniche coscienti.
#3501
Citazione di: Sariputra il 07 Maggio 2016, 00:54:26 AM

1 La visione intuitiva è , se così posso esprimerla, quella potenzialità della mente a cogliere non l'essere ma l'esser-ci delle cose.
La trovo pure una cosa molto ordinaria  consueta. Se incontro una tigre...fuggo. Fuggire è l'atto appropriato da fare ed è prajna. Sono presenti sia l'istinto che la ragione e lavorano all'unisono e di fatto, in quel preciso istante dell'incontro con la tigre, sono una cosa sola e realizzano l'esser-ci.

2 Quando prajna viene rivolta verso il proprio interno osserva il sorgere e svanire di tutti gli stati mentali. Non formula giudizi (da dove vengono, dove vanno, sono sostanziali o insostanziali, ecc.). Potrebbe dirsi l'Osservatore dell'Io sono, oppure l'osservatore dell'Io-non sono (non sono gli stati mentali, le sensazioni, ecc.) ma intesa così crea una dualità . In realtà questa visione intuitiva intuisce "non come il mondo è, ma che esso è" (Wittgenstein).

Rispondo:

1 Ma allora se ho capito per "intuizione" si intende una semplice immediata percezione (o insieme di percezioni) cosciente.
La fuga dalla tigre é una reazione immediata a un gravissimo pericolo che vi consegue (per fortuna, se tutto va bene rapidissimamente).
La conoscenza teorica delle esperienze coscienti e della loro natura (fenomenica o in sé, di oggetto immediato in sé o meno dei suoi "contenuti", la loro attribuibilità o meno a un soggetto in sè, ecc.) mi sembra invece tutt' altra cosa: non richiede reazioni pratiche immediate e velocissime, ma invece ragionamenti pacati, calmi, ponderati, criticamente analizzati e "sviscerati" con la dovuta tranquillità e lentezza, senza fretta, e non la rapidissima adesione acritica al primo impulso (teorico in questo caso) immediato.

2 A quanto mi par di capire questa ("Prajna") mi sembra una semplice sospensione del giudizio circa la realtà (la "natura ontologica") delle esperienze fenomeniche coscienti (un viverle in quanto) immediatamente esperite; e non l' affermazione (e men che meno la dimostrazione; peraltro secondo me impossibilile) dell' esistenza di un soggetto e di oggeti "in sé" da esse distinti; e reali anche allorché esse non accadono.




#3502
Citazione di: Loris Bagnara il 06 Maggio 2016, 18:49:17 PM
Ricordo che ai tempi del liceo il pensiero di Hume non mi prese più di tanto, e tornandoci sopra ora devo confermare la mia prima impressione...

Riporto alcuni passi da Wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/David_Hume)
CitazionePer Hume la sostanza non era altro che una "collezione di qualità particolari" ovvero un insieme di stimoli e di sensazioni empiriche provenienti dall'esterno cementate dal nostro intelletto fino a creare un'idea di ciò che stiamo analizzando, creandoci l'impressione che ciò esista anche nel momento in cui noi non lo percepiamo.
Nel suo iter filosofico Hume fece rientrare in questo ragionamento anche l'"io". Egli cercava infatti di scoprire quale fosse quell'elemento che ci fa essere noi stessi quando tutto il nostro corpo cambia incessantemente giorno dopo giorno.
Ne concluse che anche la sostanza dell'"io" era soltanto un amalgama di sensazioni. Infatti, ogni volta che ci addentriamo nel nostro io, incontriamo sempre una qualche particolare sensazione (piacere, dolore, caldo, freddo) e se riuscissimo ad eliminare ogni singola sensazione del nostro io non resterebbe nulla.
Il pensiero di Hume mi sembra un chiaro esempio di come lo scetticismo, spinto ai suoi estremi, divenga sterile e insensato, trasformando ragionamenti in sofismi.

Per Hume, "se riuscissimo ad eliminare ogni singola sensazione del nostro io non resterebbe nulla".
Quest'affermazione farebbe come minimo sorridere un orientale (come pure qualunque occidentale dedito a un minimo di meditazione), perché a una mente attenta e lucida appare chiara la presenza dell'Osservatore dietro il flusso delle sensazioni, Osservatore che permane anche quando nella mente si riesce a fare il vuoto, anche solo per brevi momenti. I grandi meditatori orientali poi vedono anche l'Osservatore dell'Osservatore, e l'Osservatore dell'Osservatore dell'Osservatore; ma non è necessario spingersi così oltre per capire che parlare di sensazioni senza un senziente è un'insensatezza.

Per definizione, una sensazione richiede un senziente: un soggetto, oltre che un oggetto.

Se no chi le sente le sensazioni? Si sentono da sole? Ogni sensazione è autosensibile?
Supponiamo di sì: ogni sensazione è autosensibile. Ma se l'io, come dice Hume, è solo "un'amalgama di sensazioni" autosensibili, chi o che cos'è a realizzare l'amalgama, appunto? Come avviene che un fascio di sensazioni autosensibili si aggregano in un'unico amalgama che produce l'impressione (non importa se reale o illusoria) di un soggetto unico?
Se è vero che Hume "cercava infatti di scoprire quale fosse quell'elemento che ci fa essere noi stessi quando tutto il nostro corpo cambia incessantemente giorno dopo giorno" (bellissima domanda che anch'io mi sono sempre fatto), qual è poi la sua risposta? Nulla. Bella domanda inevasa.

Per non dire del fatto che anche solo a esporre quel che Hume vuol dire non si riesce ad evitare l'incoerenza e il non senso.
Hume infatti dice: "se ci addentriamo nel nostro io, se eliminiamo ogni singola sensazione etc"... Ma chi è il soggetto grammaticale di questi verbi? Noi. Chi è dunque che compie le azioni di "addentrarsi" ed "eliminare"? Noi.
Ma noi chi, se non il soggetto senziente, l'io-sono?

Sarà anche vero che Hume è all'origine di quella corrente di pensiero che ha portato agli spettacolari successi della scienza moderna, ma per quanto riguarda la filosofia, ne faccio tranquillamente a meno.


Rispondo:

No, scusa, ma l' affermazione che la filosofia di David Hume sia insensata e costituita da sofismi andrebbe dimostrata.


Orientali e occidentali dediti alla "meditazione" (perché David Hume non "meditava" ovvero pensava, ragionava, e anche molto finemente?!?!?!) possono sorridere fin che vogliono (buon per loro: fa buon sangue!), ma "la presenza dell'Osservatore dietro il flusso delle sensazioni, Osservatore che permane anche quando nella mente si riesce a fare il vuoto, anche solo per brevi momenti" non è affatto logicamente necessaria, né dimostrabile (e men che meno mostrabile) in alcun modo; e inoltre "parlare di sensazioni senza un senzienteè sensatissimo, cose giustamente rilevato da David Hume.
I sorrisi non sono argomenti e non dimostrano né confutano alcunché (casomai possono esprimere un atteggiamento di pretesa, presuntuosa e saccente "superiorità intellettuale" preconcetta).

Una sensazione non richiede affatto necessariamente un senziente: un soggetto, oltre che un oggetto per definizione: necessariamente è unicamente un apparenza sensibile, un evento di coscienza. Punto e basta.
Soggetti e oggetti, reali anche allorché non accadono le sensazioni (= apparenze sensibili, eventi di coscienza), non la accompagnano necessariamente: non si può dimostrare né tantomeno mostrare che siano reali ma li si può (e si deve: di fatto lo fanno o per lo meno si comportano come se lo facessero tutti i sani di mente) credere esistere soltanto infondatamente, arbitrariamente, letteralmente "per fede".

Pretendere che
Una sensazione richieda necessariamente un senziente: un soggetto, oltre che un oggetto per definizione sarebbe come pretendere che l' esistenza della realtà richieda necessariamente per definizione un creatore o che l' esistenza dell' evoluzione biologica (o magari solo della diversità biologica esistente) richieda necessariamente un "disegno intelligente".

Domanda di Loris Bagnara: "Se no chi le sente le sensazioni? Si sentono da sole? Ogni sensazione è autosensibile?
Supponiamo di sì: ogni sensazione è autosensibile. Ma se l'io, come dice Hume, è solo "un'amalgama di sensazioni" autosensibili, chi o che cos'è a realizzare l'amalgama, appunto? Come avviene che un fascio di sensazioni autosensibili si aggregano in un'unico amalgama che produce l'impressione (non importa se reale o illusoria [SIC!, N.d.R.]) di un soggetto unico?"

Risposta: Se no semplicemente accadono ("aggregate in un amalgama o in un fascio unico", se così vogliamo esprimerci, che tende ad indurre la convinzione –indimostrabile, né tantomeno empiricamente constatabile, verificabile- dell' esistenza di un soggetto unico). Punto e Basta.

E se si appura, come David Hume genialmente appurò, che non esiste una risposta dimostrabile né tantomeno mostrabile alla domanda su "quale fosse quell'elemento che ci fa essere noi stessi quando tutto il nostro corpo cambia incessantemente giorno dopo giorno" questa è proprio la giusta, la vera risposta.

Della frase "se ci addentriamo nel nostro io, se eliminiamo ogni singola sensazione etc" il soggetto puramente grammaticale (ma la filosofia non è certo banale analisi grammaticale da terza elementare!) è "noi", prima persona plurale; ma i fatti certi, indubitabili sono solo e unicamente che accadono le sensazioni interiori o mentali dell' analisi del presunto proprio io e dell' eliminazione di ogni singola sensazione, senza inoltre alcun necessario soggetto senziente o io-sono?

Hume non è affatto all'origine di "quella corrente di pensiero che ha portato agli spettacolari successi della scienza moderna" (-?- Casomai Galileo e Newton!), ma per quanto riguarda la filosofia, non è stato superato o confutato da nessuno (in Oriente, Occidente, Settentrione o Meridione); e personalmente non posso assolutamente farne a meno.
#3503
Citazione di: Sariputra il 06 Maggio 2016, 15:30:45 PM
E' evidente che ,come non se ne può affermare l'esistenza, nemmeno se ne può dimostrare l'inesistenza ( del noumeno kantiano). Pertanto per il pensiero buddhista, che è essenzialmente e intrinsecamente "pratico", appare ininfluente, come mettersi a discutere di farfalle immaginarie. Tu sostieni che, in definitiva, l'unica cosa di cui possiamo esser certi sono le sensazioni. Questo mi sembra un assolutizzare il fenomeno "sensazione" ( in pali ditthi, tendenza dogmatica della mente a formulare opinioni assolute). Portando all'estremo questa teoria non si può che aderire al solipsismo a parer mio. Affermare la supremazia dell'Intuizione risolve implicitamente questa "deriva" del concettualizzare il reale. E' infatti l'Intuizione che ti fa "intuire" l'esistenza dei fenomeni altri da sè e dalla sensazione, non certo il ragionamento. L'intuizione viene prima del ragionamento che mi appare come uno sviluppo dell'intuizione stessa. L'intuizione "vede" la catena formata da contatto-sensazione-volizione-coscienza, elementi tutti interdipendenti fra loro e quindi vuoti di un sè. Questa è la capacità naturale della mente non concettualizzante, chiamiamola istintiva, intuitiva, mente reale, non è importante, sono solo termini.
Sono d'accordo con te che i concetti sono assai importanti. Infatti le due facoltà, intuizione e ragione, DEVONO lavorare insieme. Anche solo per dimostrare l'importanza del fattore "mente intuitiva" devo servirmi della ragione e dei concetti da essa espressi. La critica di Candrakirti, secondo il mio comprendere, mi appare rivolta alle "costruzioni concettuali" che pretendono di spiegare ed esaurire il reale e piegarlo ai concetti stessi. Se il reale sfugge alla concettualizzazione ( che è strumento di investigazione di una parte del reale e che permette la nostra sopravvivenza NEL reale) lo strumento Intuizione, secondo il pensiero madhyamika, appare più adeguato per investigarlo nel suo complesso interdipendente e vuoto di un sè.
Per questo Candrakirti parla di "oscuramento". Se la mente è dominata da costruzioni concettuali che spazio rimane per la pura intuizione?

Rispondo:

Mettersi a discutere di farfalle può essere un inutile (per quanto interssante) perdita di tempo.
Invece credo che l' esistenza del noumeno spieghi molte e importanti cose dell' esperienza sensibile, come l' intersoggettività della sua componente materiale (indispensabile al superamento del solipsismo e necessariamente postulata dalla conoscenza scientifica).

Sostenere che, in definitiva, l'unica cosa di cui possiamo esser certi sono le sensazioni non mi sembra un assolutizzare il fenomeno "sensazione" ma semplicemente constatare la realtà dei fatti; e porta all' indimostrabilità della superabilità del solipsismo (di cui si deve essere consapevoli se si vuole guardare in faccia la realtà e non coltivare illusioni non razionalmente fondate); solipsismo che può comunque essere superato "per fede", essendo ben consapevoli di questo carattere non razionalmemte dimostrabile e certo del superamento stesso.

L' "intuizione" non riesco proprio a capire in che cosa possa consistere (se non in questa "fuoriuscita consepevolmente irrazionalistica dal solipsismo", espressa con altre parole).
Per me "intuizione" ha sempre significato "credenza acritica, infondata nella prima ipotesi che ci viene casualmente in mente", che nulla garantisce essere veritiera. E mi sembra che sia un concetto ben applicabile all' "intuizione" che ""vede" la catena formata da contatto-sensazione-volizione-coscienza, elementi tutti interdipendenti fra loro e quindi vuoti di un sè" (effettivamente un parto della mente non concettualizzante, chiamiamola istintiva, intuitiva, arbitraiamente, infondatamente, acriticamente fantasticheggiante).

Non vedo comunque come si possa spiegare il reale altrimenti che con "costruzioni concettuali", cioé sottoponendo ad analisi critica razionale ciò di cui abbiamo coscienza.
Ciò che nel reale sfuggisse alla concettualizzazione e critica razionale non potrebbe essere conosciuto fondatamente (non potrebbe nemmeno essere pensato razionalmente, ma casomai soltanto "immaginato arbitrariamente, fantasiosamente", senza fondamenti su cui poggiare il giudizo che sia reale nei fatti -oltre che fantasticamente immaginato, nel pensiero- o meno).
#3504
Citazione di: Sariputra il 06 Maggio 2016, 00:20:12 AMLa critica principale di Candrakirti è che senza l'oggetto la coscienza conoscitrice non può funzionare. Se l'oggetto fosse irreale cosa si può conoscere? La mente è vuota e non può conoscere se stessa. Deve lavorare su qualcosa; una semplice forma non può fornire il contenuto."Neppure la spada più affilata può tagliare se stessa; le punte delle dita non possono essere toccate dalle stesse punte delle dita. La mente non conosce se stessa" dice il filosofo buddhista. Come può qualcosa essere allo stesso tempo il conoscitore e il conosciuto, senza dividersi in due? Se è conosciuto da un altro atto di conoscenza, quest'ultima conoscenza sarà conosciuta da un'altra, ciò che conduce ad un regresso all'infinito. Le semplici categorie, o anche l'Io trascendentale, sono del tutto vuoti. Non appare possibile avere alcuna conoscenza di sè senza la conoscenza degli oggetti. Il tutto si risolve, per Candrakirti, fedele alla posizione del Buddha di negazione dei punti di vista dell'"è" e del "non è",in un disturbo dei modi comuni di conoscenza dell'esistenza oggettiva senza alcun vantaggio compensatorio. In quanto reciprocamente dipendenti, né il soggetto puro né l'oggetto puro (la cosa in sè e il dato sensoriale) sono  incondizionatamente reali.
E' vero che , nella costruzione per es.del Vedanta, il mondo costruito del soggetto-oggetto è irreale (maya) ma questo non rende irreale il suo sub-strato (brahman) che però è non-concettuale. Se fosse l'oggetto dell'ideazione sarebbe irreale  come qualsiasi altro oggetto sovraimposto.L'Assoluto appare del tutto privo della dualità soggetto-oggetto.
Candrakirti però amplia la Critica anche a questo supposto substrato assoluto  in quanto , necessitando per apparire del dualismo soggetto-oggetto, non può dirsi incondizionatamente reale in quanto dipendente dalle forme del suo apparire. Per Candrakirti non si può avere Brahman senza maya, cosa in sè e ideazione costruttiva sono relative l'una all'altra. Come tali esse sono entrambe condizionate, e quindi vuote (shunya). Il discepolo di Nagarjuna non esita quindi a considerare sia la cosa in sè che le categorie della ragione pura come costruzioni concettuali. E queste costruzioni concettuali (vikalpa) sono l'oscuramento dell'Intuizione  che è il Reale.

Mi pare che il portare conseguentemente fino in fondo la critica berkeleyana dell' "esse est percipi", oltre che a quelle esteriori o materiali anche alle sensazioni interiori o mentali, come fece Hume, superi queste critiche:

ciò che é immediatamente evidente, di cui può aversi assolutamente certezza (se accade) sono le sensazioni (sia materiali sia mentali: la totalità della realtà potrebbe limitarsi ad esse, senza implicare, "in aggiunta", né oggetti in sé, né un soggetto in sé, che non sono logicamente necessari).

L' esistenza di una realtà in sé o noumeno (per dirlo a la Kant), oltre alle sensazioni, non può essere dimostrata: sono d' accordo con Nagarjuna che si tratta di una "costruzione concettuale"; ma non che questete costruzioni concettuali "sono l'oscuramento dell'Intuizione  che è il Reale", anzi!.
Rilevo innanzitutto che nemmeno se ne può dimostare l' inesistenza.
E inoltre che, lungi dall' "oscurare il reale", vi getta una certa luce, lo illumina alquanto, spiegando molte cose altrimenti incomprensibili del divenire delle sensazioni fenomeniche coscienti (sia materiali che mentali, nonché dei rispettivi rapporti).
#3505
Citazione di: Loris Bagnara il 05 Maggio 2016, 22:30:31 PM
in questo forum ho visto citato più volte George Berkeley e il suo "esse est percipi", e quasi sempre mi è sembrato che lasciasse intendere una comprensione del pensiero berkeleyano diversa dalla mia.
Può anche darsi che fosse solo un'impressione. In ogni caso, per stabilire una base comune su cui poterci intendere senza rischio di equivoci, mi sembra utile riportare la seguente sintesi del pensiero berkeleyano che si trova su Wikipedia, e che corrisponde alla comprensione che mi ero fatta sin dai tempi del liceo (ahimé, lontani...).

Citazioni da https://it.wikipedia.org/wiki/George_Berkeley:
Citazione[...]
Nei Commentari filosofici scrive che, se l'estensione esistesse al di fuori della mente, o si avrebbe a che fare con un Dio esteso, oppure si dovrebbe riconoscere un essere eterno e infinito accanto a Dio. Berkeley aderisce quindi all'immaterialismo ovvero alla dottrina per cui nulla esiste al di fuori della mente: non esiste la materia, ma solo Dio e gli spiriti umani.
[...]
Ma anche gli oggetti che noi crediamo esistere sono in realtà delle astrazioni ingiustificate; non esistono oggetti corporei, ma soltanto collezioni di idee che ci danno una falsa impressione di materialità e sussistenza complessiva.[1] Infatti noi conosciamo soltanto le idee che coincidono con le impressioni dei sensi. Proprio come in un sogno, noi abbiamo percezioni spazio-temporali relative ad oggetti materiali senza che questi esistano.
[...]
La celebre formula che riassume la filosofia di Berkeley, «Esse est percipi», vuol dire "l'essere significa essere percepito", ossia: tutto l'essere di un oggetto consiste nel suo venir percepito e nient'altro. La teoria immaterialistica così enunciata sentenzia che la realtà si risolve in una serie di idee che esistono solo quando vengono percepite da uno spirito umano. È Dio, spirito infinito, che ci fa percepire sotto forma di cose e fatti le sue idee calate nel mondo. Idee, in un certo senso, "umanizzate", e in quanto tali "percepibili".
La dottrina di Berkeley esclude in virtù di questo principio l'esistenza assoluta dei corpi. Secondo il teologo irlandese tutto ciò che esiste è idea o spirito, quindi la realtà oggettiva non è che un'impressione data dalle idee.[2] Berkeley nega la distinzione fra qualità primarie e secondarie, propria di John Locke, sostenendo che tutte le qualità sono secondarie, cioè soggettive, e rigetta anche l'idea di substrato, ovvero di materia. Se esistesse una materia, essa sarebbe soltanto un limite alla perfezione divina. In questo senso anche la scienza di Newton non ha altro valore che quello di una mera ipotesi, che ci aiuta a fare previsioni per il futuro, ma non ha alcun riferimento con la realtà materiale, che non solo non è conoscibile, ma non esiste affatto. Le idee, secondo Berkeley, vengono impresse nell'uomo da uno spirito infinito, cioè Dio. Lo stesso Dio si configura come la Mente infinita grazie a cui le idee esistono anche quando non vengono percepite.
Berkeley porta quindi alle estreme conseguenze l'empirismo di Locke, giungendo a negare l'esistenza di una sostanza materiale perché non ricavabile dall'esperienza, e recidendo così ogni possibile legame tra le nostre idee e una realtà esterna. Egli anticipa lo scetticismo di David Hume, ma se ne mette al riparo ammettendo una presenza spirituale che spieghi l'insorgere di simili idee dentro di noi, rendendocele vive e attuali, sebbene prive ormai di un fondamento oggettivo.
[...]

Questo è il pensiero di Berkeley. I passi che ho evidenziato in grassetto parlano chiaro: dal dubbio cartesiano, attraverso l'empirismo di Locke, si giunge all'idealismo assoluto di Berkeley, secondo il quale nulla esiste al di fuori della mente. Uno sviluppo perfettamente coerente e, direi, inevitabile a quel punto.

Se cambiamo la terminologia propria del pensiero occidentale e sostituiamo il Dio personale con qualcos'altro di più "raffinato" siamo ad un passo dal concetto di maya dell'induismo. Insomma, quello che ho sostenuto io in questo 3D, quando ho parlato del primato dell'io-sono nei confronti di un'ipotetica realtà esterna oggettiva.

Rispondo:

Concordo con questa esposizione di Wikipedia, salvo che nell' afermazione:

"In questo senso anche la scienza di Newton non ha altro valore che quello di una mera ipotesi, che ci aiuta a fare previsioni per il futuro, ma non ha alcun riferimento con la realtà materiale, che non solo non è conoscibile, ma NON ESISTE AFATTO. Le idee, secondo Berkeley, vengono impresse nell'uomo da uno spirito infinito, cioè Dio. Lo stesso Dio si configura come la Mente infinita grazie a cui le idee esistono anche quando non vengono percepite.

Secondo me per Berkeley la scienza newtoniana ci dà una conoscenza vera della materia; solo che quest' ultima é costituita puramemnte e semplicemente da un insieme in divenire di sensazioni REALI UNICAMENTE IN QUANTO, SE E QUANDO ACCADONO e COME TALI (= SONO COSCIENTEMENTE AVVERTITE); E DUNQUE NON E' VERO CHE NON ESISTE AFFATTO: ESISTE COME INSIEME DI SENSAZIONI.

Fra l' altro personalmente (per quel che può valere la mia mia opinione) fin qui sono perefettamente d' accordo col vescovo irlandese; non concordo con la parte letteralmente "metafisica" delle sue argomentazioni, ma piuttosto con Hume in proposito (che a mio avviso lo ha decisamente superato: Berkeley non si mette affatto anticipatamente al riparo dallo scetticismo di Hume!
Di Hume condivido anche l' applicazione (portando conseguentemente fino in fondo la critica berkeleyana) dell' "esse est percipi" pure alle sensazioni coscienti interiori o di pensiero: potrebbe non esistere nemmeno alcun io soggetto-oggetto delle sensazioni interiori (e da esse distinto, ulteriore rispetto ad esse) e soggetto delle esteriori, in aggiunta alle sole sensazioni coscienti, oltre che (con Berkeley) alcun oggetto materiale di quelle esterne (ulteriore ad esse, da esse distinto, in aggiunta ad esse).
#3506
Citazione di: davintro il 05 Maggio 2016, 15:58:45 PM

Se l'intersoggettività fosse il criterio regolativo della verità che si discute e il fine della conoscenza scientifica (conclusione necessaria dell' "esse est percipi", il tuo discorso mi sembra internamente coerente) andrebbe di fatto persa l'idea di un progresso di tale conoscenza mediante nuove scoperte. L'idea dell'oggettività di un mondo trascendente è la condizione necessaria della scoperta. Fondando epistemologicamente la verità scientifica sull'intersoggettività delle sensazioni si arriverebbe secondo me all'assurdo di sostenere che in un mondo ipotetico nel quale la stragrande maggioranza delle persone subisse una malattia, una disfuzione, dei campi percettivi e cominciasse a percepire la neve che cade di colore rosso la neve cambierebbe effettivamente colore diventando effettivamente rossa, oppure che prima delle scoperte di Galilei e Copernico, quando la credenza dell'intersoggettività era costituita dal geocentrismo e dalla staticità della Terra, la Terra  fosse effettivamente ferma e al centro dell'Universo per poi cominciare magicamente a muoversi e a decentrarsi dal sistema solare con l'avvento di una nuova credenza intersoggettiva fenomenica prodotta da nuove scoperte. La scienza si ridurebbe al conformismo appiattito sull'aderenza al complesso dell'immagine sensibile del mondo culturalmente e socialmente strutturata storicamente. Ma la scienza non è democrazia. La possibilità di modificare, mediante nuove scoperte, l'immagine scientifica del mondo, modificarla rispetto a un'interpretazione in un certo periodo storico più o meno dominante a livello intersoggettivo, implica necessariamente una "via di uscita" dall'arbitrarietà dei fenomeni soggettivi e dall'intersoggettività, che non è mai superamento di tale arbitrarietà, ma solo suo allargamento quantitativo. La vera via di uscita a cui le nostre scoperte tendono è rivolta alle "cose in sè". Indentificare le "cose in sè" con l'accezione del noumeno (inconoscibile) che ne dava Kant porta a equivoci. Ovvio che partendo dalla premessa di definire la distinzione fenomeno-noumeno con quella esperibile-inesperibile si arrivi per forza a pensare che la conoscenza del noumeno sia una pretesa irrazionale. Tautologico: dell'inesperibile non abbiamo esperienza (dunque è assurdo pensare di conoscerlo). Ma è una conclusione che è già presente nella premessa, nella premessa di definire il nuomeno come assoluto inesperibile , dunque pregiudiziale, non il risultato di una critica. Se si intende invece la "cosa in sè" come causalità reale che produce i fenomeni, le sensazioni della nostra coscienza rendendo questa coscienza di un soggetto effettivamente e attualmente esistente, allora recuperare il discorso su ciò che è "transfenomenico" non è più dogmatismo ma esigenza svolta a partire dal dato stesso della presenza dei fenomeni della coscienza, residuo del dubbio cartesiano, dunque punto di partenza solido per un argomentare razionale. Sono cioè i fenomeni stessi (sensazioni e pensieri) che richiedono l'ammissione di un loro superamento, sebbene, come è chiaro, la trascendenza (le cose in sè) che ne deriva sarà necessariamente una trascendenza relativa e condizionata in un certo senso dal punto di partenza da cui è stata riconosciuta (la soggettività)

Rispondo:

A me pare che perché posa darsi conoscenza scientifica (e progresso storico della stessa) basti postulare che il monodo fenomenico materiale sia intersoggettivo, cioé che siano reciprocamente corrispondenti le sensazioni e il divenire delle sensazioni che lo costituiscono nell' ambito delle varie esperienze fenomiche coscienti.
Un' oggettività vera e propria (la conoscenza della cosa in sé o noumeno reale  indipendentememnte dall' accadere eventualmente anche di manifestazioni fenomeniche ad essa corrispondenti, a parte il fatto che é impossibile per definizione (se non in termini etremamente vaghi e oscuri, non nel suo determinato e per cos' dire "dettagliato" divenire), non mi sembra comunque necessaria: "la conoscenza scientifica funziona (si spiega)" benissimo anche senza.

La neve non é altro che insieme di sensazioni (un' entità puramente fenomenica) e in quanto tale può esere assunta (non dimostrata) come intersoggettivamente constatabile. Se un' alterazione fisiologica (o patologica) la facesse diventare rossa sarebbe rossa; casomai immutata sarebbe l' "entità in sé" ad essa corrispondente.

Diverso é il discorso circa il sistema tolemaico: esso era semplicemente una credenza ritenuta vera e poi falsificata scientificamente; in questo caso si tratta non della realtà dei fenomeni, come la neve con il suo colore bianco oppure rosso, ma delle credenze (vere o false) circa la realtà dei fenomeni.

La scienza é conoscenza dei fenomeni materiali intersoggettivamente verificabile/falsificabile (postulato peraltro indimostrabile; anche se di fatto ritenuto vero da tutte le persone comunemente ritenute sane di mente); e l' opinione sul mondo culturalmente e socialmente strutturata (e più o meno generalmente "dominante") in una determinata epoca storica (non: la sua "immagine" sensibile, se non in senso metaforico) può essere scientificamente più o meno vera o più o meno falsa, e questo in linea di principio può essere intersoggettivamente verificato (se é vera la conoscenza scientifica).

Tutto ciò di cui si ha coscienza é per definizione apparenza, fenomeno, (insieme di) sensazioni; e di questo (o meglio: della sua componente materiale) e di nient' altro si può avere conoscenza scientifica per il semplice fatto che solo i fenomeni materiali possono essere assunti accadere intersoggettivamente (in modo biunivocamente corrispondente nelle diverse esperienze coscienti) e misurati: se esiste realmente una realtà "in sé" ad essi corrispondente, allora per definizione non la si percepisce; e dunque:
a) non si può assumere che sia intersoggettivamente corrirpondente fra le varie esperinze coscienti che unicamente di percezioni fenomeniche e di nent' altro constano per definizione;
b) non si può misurare onde ricavare ipotesi sul suo divenire verificabili/falsificabili con uteriori misurazioni sperimentali (di fenomeni ovviamente).

Del noumeno (inaccessibile alla coscienza sensiblile per definizione) si può solo postulare (non dimostrabilmente; nè tantomeno mostrabilmente, per definizione) che sia in corrispondenza biunivoca con i fenomeni, onde spiegare:
a) la relativa costanza di essi: ogni volta che qualcuno va a Courtmaieur e guarda verso nordovest vede il monte Bianco); ogni volta che ripenso alla mia vita mi sovvengo sostanzialmente dello stesso complesso di ricordi con eventuali varianti reciprocamente congrue (salvo evidenti errori di memoria, amnesie e/o ricordi distorti o illusori, in linea di pìrincipio riconoscibili, spiegabili e correggibili);
b) l' intersoggettività dei fenomeni materiali (ogni volta che qualcuno vede il monte Bianco, allora nell' ambito del noumeno le entità in sé "soggetti" di tale visione (per esempio "io" o "tu" se andiamo a Courtmaieur e guardiamo verso nordovest) si trovano in rapporti simili o (corrispondenti) con la medesima entità in sé che di tale visione in ciascuna delle loro esperienze coscienti é l' oggetto (e che non potendo essere sentita non può essere misurata e scientificamente conosciuta: la si può solo congetturare esistere appunto anche per spiegare in questo modo che sto illustrando l' intersoggettività della conoscenza scientifica).
#3507
Citazione di: HollyFabius il 05 Maggio 2016, 17:10:22 PM

Ho scritto sopra che esistono due possibili interpretazioni di fenomeno e noumeno, in quella kantiana è effettivamente come scrivi tu il noumeno rimane inaccessibile ai sensi e alla ragione. La seconda è quella di Schopenhauer dove il noumeno non è inaccessibile.  Io penso sia corretta l'interpretazione di S.

Rispondo:

Beh, non si tratta di una qustione di "interpretazione (di fatti)" ma di "definizioni di concetti", del senso che arbitrariamente si conviene di dare alle parole.
Personalmente conosco un po' Kant, pochissimo, quasi per niente Schopenhauer (dal solo studio obbliatorio al liceo).

Comunque poiché storicamente i concetti di "fenomeno" e "noumeno" sono stati introdotti da Kant (a quanto mi risulta; e comunque da lui impiegati ben prima di Schopenhauer), credo che parlandone senza ulteriori precisazione si dovrebbero intendere "a la Kant" e che sarebbe necessario esplicitarlo nel caso si intendano invece "a la Schopenhauer".

Peraltro non conprendo il senso del concetto schopenhaueriano di un "noumeno" che può diventare "fenomeno": come? Che significa questa espressione? Che sgnificano i concetti di "fenomeno" e di "noumeno" a la Schopenhauer? (Se é possibile dirlo in poche parole, naturalmente; che altrimenti se fossi interessato dovrei leggere i suoi scritti).
#3508
Citazione di: HollyFabius il 05 Maggio 2016, 09:12:59 AMNoumeno, inconscibilità, immediato sensibile queste sono le parole chiave.
La nostra sensibilità è la porta di accesso alla trasformazione del noumeno verso il fenomenico. La conoscenza (prima intuitiva, poi razionalizzante, poi razionalizzata) è l'atto di trasformazione del noumeno in fenomeno.
Questa evoluzione è in atto, lo constatiamo nella trasformazione della nostra realtà fenomenica che aggiunge entità oggettuali dove prima mancavano.
Portatrice di questo cambiamento è la spinta del mondo della Tecnica, e avanguardie di queste nuove rappresentazioni sono gli scienziati e gli artisti.
Ma questo cambiamento si può supporre non limitato al logos condiviso, alla conoscenza immateriale che cresce; si può supporre che nel trascorrere del tempo, delle generazioni, cambi anche il nostro corpo, aggiungendo forza all'apparato sensibile. L'uomo di oggi è diverso dall'uomo di mille anni fa e sarà ancora diverso tra mille anni.
Come verrà trasformato il nostro corpo dopo decine di generazioni che vivano nello spazio privo di gravità? 
Certo per alcuni, e forse anche per me, può esistere (e la cosa appare anche naturale, comprensibile e spiegabile) un limite alla possibile trasformazione del noumeno in fenomeno. Siamo corpo con limiti temporali, invecchiamo e dobbiamo alimentarci per sopravvivere, i nostri sensi porta del fenomeno potranno lentamente trasformarsi ma non sappiamo e difficilmente sapremo quanti altri sensi siano possibili in natura.
Rispetto al passato, rispetto ai pensatori greci e anche solo ai grandi pensatori del '700 e '800 noi conosciamo un mondo conoscitivo condiviso che travalica il singolo uomo, che ha sede altrove rispetto all'uomo e altrove rispetto al logos del libro, possiamo intravede delle potenzialità che erano oltre il confine cognitivo di questi pensatori.


Rispondo:

Ma se per "fenomeno" si intende l' apparire di ciò che è sensibile, cosciente e per "noumeno" si intende "ciò che è in sé, senza apparire alla coscienza" non vedo come sia possibile, che senso possa vere una "trasformazione del noumeno in fenomeno": più che di trasformazione (cambiamento di "forma" di un' unica entità) si tratterebbe di una negazione (il cessare di esistere) di una determinata entità e affermazione (l' iniziare ad esistere) di una determinata altra completamente diversa entità.
 
Se per conoscenza si intende "predicazione vera, cioè conforme alla realtà", allora, potendo essa accadere unicamente nell' ambito di un' esperienza cosciente (si tratta delle sensazioni interiori o mentali di pensieri, di predicati per l' appunto), potrà accadere unicamente di fenomeni, sensazioni coscienti e non di cose in sé o noumeno.
Se vedo il Cervino e penso "vedo il Cervino", allora per definizione ho una conoscenza (del fatto di vedere il Cervino); ma lo stesso non posso dire del noumeno.
Quest' ultimo lo si può unicamente pensare come un concetto "oscuro" (quasi letteralmente: non visibile, né altrimenti sensibile, non apparente alla coscienza), si può dirne che unicamente esiste o che non esiste o poco più, magari allusivamente o metaforicamente); e se si dice che esiste (oppure che non esiste) non si può per definizione verificare, constatare (in ultima analisi percepire sensibilmente, coscientemente) la verità o meno di questa affermazione, in quanto ciò che si può percepire sensibilmente, coscientemente non è noumeno ma fenomeno.

Infatti I cambiamenti che la tecnica rende possibili sono cambiamenti nell' insieme dei fenomeni, tant' é vro che si constatano (= "appaiono" ai sensi, alla coscienza).
Citazione di: HollyFabius il 05 Maggio 2016, 09:12:59 AM 

#3509
Citazione di: acquario69 il 05 Maggio 2016, 02:55:13 AM
ma allora questa esperienza che si vuole assoluta originaria,da dove prenderebbe la sua stessa origine?
e che fine farebbe l'immaginazione o le idee e i concetti stessi?

e se tutta la cosiddetta realtà rientrerebbe solo in questa pura praxis,attraverso i nostri sensi immediati quindi nella nostra immediata percezione che fine farebbe l'auto coscienza?
a meno che non si voglia appunto negarla,ma non sarebbe comunque una contraddizione voler affermare un idea o un concetto e poi negare implicitamente (visto che come viene detto sopra: "ossia un esperienza che non e' di niente e di nessuno,o se si preferisce,una sorta di coscienza primaria senza l'io e quindi senza l'uomo"..) l'esistenza stessa dell'idea o il concetto espressi un attimo prima?  (e chi sarebbe dunque l'autore di tale concezione? ..niente e/o nessuno?!?)



Non credo sia necessario ammettere che oltre gli immediati dati sensibili (fenomenici) dell' esperienza sia reale qualcosaltro: la realtà potrebbe benissimo anche limitarsi ad essi (ma ciò non toglie che lo credo di fatto, per fede; solo che il mio razionalismo mi impone di essere consapevole dell' indimostrabilità, dell' arbitrarietà delle mie credenze che eccedono l' esisteza dei soli dati fenomenici o sensibili di coscienza di cui é immediatamente evidente l' accadere).

Dunque "un esperienza che non e' di niente e di nessuno, o se si preferisce, una sorta di coscienza primaria senza l'io e quindi senza l'uomo" potrebbe essere tutto ciò che é reale, che costituisce la realtà.

Credere all' esistenza di se stessi (ammettere la realtà dell' autocoscienza) e di altri si può indimostrabilmente, per fede, ma non necessariamente per cogenza logica (e sono anche convinto si debba di fatto se si é psichicamente sani).
#3510
Citazione di: Duc in altum! il 04 Maggio 2016, 12:17:17 PM
Stamane leggendo questo passo ho pensato potesse alimentare, produttivamente, la discussione.

Tratto dal n° 10 della collana: Scoprire la filosofia - Rousseau.

<< Per noi - scrive ancora Rosseau nelle Lettere Morali -, esistere equivale a sentire; e la nostra sensibilità è incontestabilmente anteriore alla nostra ragione.
Non crediate che sia impossibile spiegare il principio attivo della coscienza prescindendo dalla ragione. E nel caso fosse impossibile, allora tale spiegazione non sarebbe necessaria. Perché i filosofi che combattono questo principio non ne provano l'inesistenza in assoluto, ma si limitano ad affermarla; quando invece sosteniamo che esiste, contiamo su tutta la forza della testimonianza interiore e sulla voce della coscienza che depone a favore di se stessa.
Quanta pena suscitano questi tristi ragionatori!
Cancellando in se stessi i sentimenti della natura, distruggono la fonte di tutti i loro piaceri e per sfuggire al peso della coscienza sono capai solo di rendersi insensibili.
Limitiamoci in tutto ai primi sentimenti che troviamo dentro noi stessi>>.
[continua il redattore]: Tutto il pensiero rousseniano ruota intorno a una coppia di sentimenti che ne costituiscono gli assi portanti: l'amore verso se stessi e il sentimento che ne deriva nei confronti degli altri, cioè la pietà. A suo modo (di Rosseau) di vedere: <<mediante la sola ragione, indipendentemente dalla coscienza, non è possibile stabilire alcuna legge naturale (quindi, aggiungo io, @Duc, neanche l'esistenza della coscienza attraverso una dimostrazione logica); e tutto  il diritto di natura non è altro che una chimera se non è fondato su una necessità naturale del cuore umano.
Superflui i trattati di metafisica e morale; basta osservare l'ordine e il progresso dei nostri sentimenti>>. come leggiamo nell'Emilio.

Ma si può ben essere "ragionatori allegri", che portano alegria a chi é in loro compagnia!
(E pure irrazionalisti tristi che fanno anche più pena dei razionalisti sentimentalmente aridi).

Si può beissimo ragionare (essere estremamente razionalisti), evitare di Limitiarsi in tutto ai primi sentimenti che si trovano dentro se stessi, senza per questo Cancellare affatto in se stessi i sentimenti della natura, senza distruggere la fonte di tutti i propri piaceri e sfuggire al peso della coscienza rendendosi insensibili.

Si, mediante la sola ragione, indipendentemente dalla coscienza, non è possibile stabilire alcuna legge naturale (fin qui concordo con Rousseau); ma aggiungo per parte mia: nemmeno mediante i soli sentimenti senza ragione e razionalità.
Che sono qualità umane non affatto reciprocamente escludentisi, bensì compolementari!