Salve, Socrate78. Non-violenza sarebbe una cosa, pacifismo un'altra.
Mentre la non-violenza è l'espressione di una etica personale (che, al limite può venir condivisa da miliardi di persone ma riguarda sempre scelte individuali da confermarsi ed attuarsi di volta in volta) il pacifismo è la recente espressione - all'interno della cultura e della civiltà occidentali - del semplice ed egoistico infantilismo di chi vorrebbe veder eliminati certi problemi che lo disturbano o potrebbero disturbarlo (guerre e servizio di leva obbligatorio sono tra questi).
Il pacifismo è uno dei tanti movimenti post-sessantotteschi nati dalla velleità tipicamente giovanile di voler cambiare il mondo senza prima aver avuto il tempo e la voglia di conoscerlo.
Ovvio. I giovani sono il nuovo ed è giusto che trovino superabile ed ingiustificato il vecchio.
Purtroppo i tempi umani sono limitati ed occorre scegliere se utilizzarli per conoscere il mondo oppure per cambiarlo. I meno provveduti scelgono infatti di cambiarlo il più in fretta possibile.
Ma a questo punto non esiste persona più sciocca di quella che creda di poter cambiare il mondo pacificamente ed in gran fretta. Infatti tanto più in fretta si vorrà cambiare il mondo, tanto maggiore sarà la violenza che risulterà necessaria.
Quasi chiunque pensa che violenza e guerre siano manifestazioni che l'uomo dovrebbe essere in grado di gestire. Le tue considerazioni circa l'effetto perverso che uno spirito pacifistico esercitato ad oltranza produrrebbe risultano corrette.
Infatti fenomeni come la violenza, la guerra, la morte, le malattie hanno radice naturale ineliminabile poiché sono manifestazioni di una dinamica del mondo così come stabilita a livello fisico dall'entropia, cioè dalla direzione e dal ritmo dei flussi energetici che animano la materia ed il divenire del mondo.
Noi possiamo certo influire, a livello locale o personale, su questi aspetti, ma nel farlo dovremmo anzitutto conoscere la storia di ciò che ci accingiamo a voler moderare o modificare, diversamente ci comporteremmo in modo inconsapevole e pressoché casuale diventando non più attori ed artefici dei cambiamenti che desideriamo, ma solo ulteriori strumenti dei meccanismi stessi che vorremmo modificare.
Mentre la non-violenza è l'espressione di una etica personale (che, al limite può venir condivisa da miliardi di persone ma riguarda sempre scelte individuali da confermarsi ed attuarsi di volta in volta) il pacifismo è la recente espressione - all'interno della cultura e della civiltà occidentali - del semplice ed egoistico infantilismo di chi vorrebbe veder eliminati certi problemi che lo disturbano o potrebbero disturbarlo (guerre e servizio di leva obbligatorio sono tra questi).
Il pacifismo è uno dei tanti movimenti post-sessantotteschi nati dalla velleità tipicamente giovanile di voler cambiare il mondo senza prima aver avuto il tempo e la voglia di conoscerlo.
Ovvio. I giovani sono il nuovo ed è giusto che trovino superabile ed ingiustificato il vecchio.
Purtroppo i tempi umani sono limitati ed occorre scegliere se utilizzarli per conoscere il mondo oppure per cambiarlo. I meno provveduti scelgono infatti di cambiarlo il più in fretta possibile.
Ma a questo punto non esiste persona più sciocca di quella che creda di poter cambiare il mondo pacificamente ed in gran fretta. Infatti tanto più in fretta si vorrà cambiare il mondo, tanto maggiore sarà la violenza che risulterà necessaria.
Quasi chiunque pensa che violenza e guerre siano manifestazioni che l'uomo dovrebbe essere in grado di gestire. Le tue considerazioni circa l'effetto perverso che uno spirito pacifistico esercitato ad oltranza produrrebbe risultano corrette.
Infatti fenomeni come la violenza, la guerra, la morte, le malattie hanno radice naturale ineliminabile poiché sono manifestazioni di una dinamica del mondo così come stabilita a livello fisico dall'entropia, cioè dalla direzione e dal ritmo dei flussi energetici che animano la materia ed il divenire del mondo.
Noi possiamo certo influire, a livello locale o personale, su questi aspetti, ma nel farlo dovremmo anzitutto conoscere la storia di ciò che ci accingiamo a voler moderare o modificare, diversamente ci comporteremmo in modo inconsapevole e pressoché casuale diventando non più attori ed artefici dei cambiamenti che desideriamo, ma solo ulteriori strumenti dei meccanismi stessi che vorremmo modificare.