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Messaggi - sgiombo

#3511
Citazione di: davintro il 03 Maggio 2016, 15:50:42 PM
Rispondo a Sgiombo:

Le sensazioni e i pensieri è tutto ciò che costituisce la conoscenza della realtà ma non sono di per sè cose reali, ma solo eventi che accadono a partire da una reale causalità psicofisica. Se le sensazioni e i pensieri potessero identificarsi con la realtà non sarebbe possibile valutarne il livello di aderenza e corrispondenza con un'oggettività, giacchè sarebbero essi stessi la verità. La nostra stessa discussione non sarebbe possibile, in quanto per poter giudicare che io avrei torto occorre necessariamente ammettere una realtà oggettiva distinta dalle nostre opinioni (cioè dai nostri pensieri) da usare come criterio per valutare i torti e le ragioni di ogni singolo pensiero. Dunque il pensiero è soggettività non oggettività e dunque non reale (anche se come intenzionalità, il pensiero è sempre rivolto alla rappresentazione di una realtà oggettiva, altra da sè, si rivolge a un trascendente e per questo alcuni pensieri sono più veri di altri). Per quanto riguarda le sensazioni, essendo queste al di fuori di una dubitabilità, non costituiscono un mondo oggettivo, cioè un mondo per il quale posso prendere una posizione, verificare, smentire, dubitare, dunque esse non sono oggetti reali ma soggettivi eventi che costituiscono il livello basico dell'esperienza e della conoscenza soggettiva. Infatti, posso dubitare che la sensazione che percepisco corrisponda a un oggetto reale, ma non che in questo momento abbia un certo tipo di sensazione. Questa è un fenomeno soggettivo della coscienza e dalla certezza di avere sensazioni, e di stare riflettendo e dubitando su di esse, si deduce l'esistenza di un io reale, pensante e senziente, che pone in atto pensieri e, con l'urto con reali oggetti esterni, sensazioni. Se queste fossero di per sè realtà, non sarebbe possibile distinguere l'indubitabilità della loro presenza nella mia coscienza con la possibilità dell'errore nei confronti della mia posizione riguardo il mondo oggettivo, perchè allora oggettività e soggettività finirebbero assurdamente per confondersi


Sensazioni (materiali) e (sensazioni mentalli o di) pensieri  (se e quando accadono realmente) in quanto tali (in quanto accadimenti di sensazioni e pensieri) sono reali.
Questa é una semplice tautologia: bisogna vedere in che senso sono reali, che significa "accadere realmente in quanto sensazioni e pensieri".

Anche "che avvengono a partire da una reale causalità psicofisica" bisogna vedere cosa significa.
Dalla realtà psicofisica costituita da un cervello osservato (cioé dalle sensazioni materiali accadenti nell' ambito delle esperienze coscienti di potenziali o attuali "osservatori" di tale cervello) possono derivare e derivano (nel senso di "essere causate") unicamente le azioni del corpo al quale appartiene quel cervello: contrazioni di muscoli, al limite anche secrezioni di ghiandole.
Invece le senzazioni (materiali) e (sensazioni mentalli o de-) i pensieri  dell' esperienza cosciente che a tale cervello si assume corrispondere (conformemente a quanto asseriscono sempre più convincentemente le neuroscienze), le sensazioni e pensieri dell' "osservato", che tale cervello non "conprendono" essendo invece esso compreso (come determinato insieme di sensazioni materiali) in quelle degli "osservatori", non ne sono causati (fisicamente, nel nodo in cui sono causati e scientificamente studiati gli eventi fisici), né causano gli eventi ad esso intrinseci (i suoi processi neurofisiologici): per quanto riguarda il mondo materiale di cui tale cervello (dell' "osservato") fa parte (nell' ambito delle esperienze cosciennti degli "osservatori") la sua coscienza potrebbe anche benissimo non accadere realmente che nulla cambierebbe: in conseguenza (per effetto) della fisiologia del suo cervello il comportamento del corpo cui questo appartiene (tutte "cose" fenomeniche appartenenti alle, facenti parte delle, esperienze coscienti degli "osservatori") avverrebbe esattamente così come avviene assumendosi che sia reale anche la sua propria esperienza cosciente (ma con esso non assolutamente interferente, ad esso trascendente).

Sensazioni e pensieri sono reali in quanto tali e ciò che non si può valutare (probabilmete ciò che intendi con "il livello di aderenza e corrispondenza con un'oggettività") é la realtà in sé che si può assumere (non dimostrare) ad essi corrisponda (comprendente il loro soggetto, lo stesso del loro oggetto nel caso delle sensazioni mentali, e i loro oggetti, diversi da loro soggetto nel caso di quelle materiali).

Ma ciò che possiamo valutare nelle nostre discussioni (se ciascuno di noi ammette la -indimostrabile; e men che meno mostrabile- realtà di altre esperienze coscienti delle quali ci parlano gli interlocutori; e la verità della conoscenza scientifica) sono le corrispondenze o meno delle rispettive sensazioni materiali: questa é in sostanza (secondo la mia personale filosofia) l' intersoggettività degli oggetti materiali (fenomenici, costituiti unicamente da mere sensazioni: "esse est percipi"!); che é una conditio sine qua non della conoscenza scientifica.
La maggiore o minore verità della conoscenza del mondo fenomenico materiale (della sua conoscenza in generale e in particolare della conoscenza scientifica) non é data (non può essere data) dalla conformità dei predicati che lo riguardano alle cose in sé (noumeno), ma dalla loro conformità alle sensazioni fenomeniche materiali (e al loro divenire) accadenti (separatamente, in modo reciprocamente trascendente) nelle varie esperienze fenomeniche coscienti e reciprocamente corrispondenti in modo biunivoco (cosa indimostrabile, ma da credere se si vuole uscire dal solipsismo e accettare la conoscenza scientifica).

Dunque il pensiero (e la conoscenza; in particolare scientifica) non é e non può essere pensiero (e conoscenza) delle cose in sé (conoscenza letteralmente "oggettiva", cioé degli oggetti -in sé- delle sensazioni) ma al massimo (nel caso di quella del modo materiale) pensiero delle corrispondenze intersoggettive fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti (conoscenza intersoggettiva).

In generale le sensazioni sono soggettive (appartengono alla realtà fenomenica), ma non per questo non sono reali (se e quando realmente accadono); e quelle materiali si può (e si deve se la conoscenza scientifica é vera)  assumere che siano intersoggettive o "reciprocamente corrispondenti fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti" (soggettive) di cui fanno parte.

Dalla certezza di avere sensazioni, e di stare riflettendo e dubitando su di esse, non si può dedurre necessariamente (dimostrare) l'esistenza di un io reale, pensante e senziente, che pone in atto pensieri e, con l'urto con reali oggetti esterni (nemmeno l' esistenza reale questi si può dimostrare), sensazioni: la realtà potrebbe benissimo limitarsi a queste sensazioni e basta; l' esistenza reale anche di altro (altre esperirenze fenomeniche coscienti oltre a quella immediatamente constatata, vissuta, cose in sé esistenti anche allorché non si percepisce nulla, ivi compreso l' "io" soggetto di tutte le sensazioni e oggetto di quelle mentali, gli oggetti di quelle materiali, ecc) si può credere (dal solipsismo si può uscire) solo per fede, come credenze indimostrabili
#3512
Rispondo a Loris Bagnara e a Davintro:


Perché non dovrebbero potere accadere realmente i soli eventi "sensazioni" (le uniche cose certe, se accadono) senza alcunché d' altro, in particolare senza alcun osservatore?
Quando ho del tutto svuotato la mente di sensazioni fenomeniche (comprese quella del pensiero "io sono" e quella del solo concetto di "io", senza verbo "essere", a giudizio sospeso) non rimane nulla.
Potrebbe anche accadere che adesso, adesso, adesso accadano unicamente le sensazioni costituenti il pensiero "io sono" (ma anche altre sensazioni mentali o materiali) e basta.
Per così dire "Tutto potrebbe essere falso, ma veramente tutto, compreso l' io", tranne le sensazioni "io sono" (ma anche qualsiasi altra sensazione mentale o meteriale) mentre accadono, non prima e non dopo: uniche cose (eventi) certe in mezzo ad un oceano di realtà incerte.


Ciò di cui c' è immediata certezza empirica, che si constata, non é alcun "io" persistente anche allorché non si danno sensazioni o percezioni (di "cose materiali" o di pensieri ovvero "cose mentali"; compresa la sensazione del pensiero "penso") ma sono le sensazioni stesse (questo vale per le sensazioni costituenti il pensiero "io penso", esattamente come per tutte le altre).
Volendo portare alle estreme conseguenze lo scetticismo metodico cartesiano (lo stesso Descartes non fu del tutto conseguente in questo), la realtà potebbe benissimo essere limitata alle sole sensazioni materiali e mentali in quanto "eventi fenomenici" (apparenze) "e basta".
Dalla sensazione "cogito" non segue necessariamente l' "ergo sum": tutto ciò che é reale potrebbe anche essere costituito da questa sensazione mentale (allorché accade, non prima e non dopo che accada, anche se accade ripetutamente); ed eventualmente anche da altre.
Ma ciò vale esattamente anche per le sensazioni degli oggetti materiali.
Ammettere l' esistenza di un' entità "io" reale anche allorché le sensazioni (e in particolare quelle mentali, come il pensiero "io sono", non accadono (dunque reale in sé, congetturabile ma non costituito da sensazioni o apparenze coscienti di alcun genere, pena la caduta in una patente contraddizione) e soggetto delle sensazioni (tutte; nonché oggetto di quelle mentali, come "io penso") si può, ma non si deve; esattamente come ammettere l' esistenza di entità reali anche allochè le sensazioni (e in particolare quelle materiali) non accadono (dunque reali in sé, congetturabili ma non costituite da sensazioni o apparenze coscienti di alcun genere, pena la caduta in una patente contraddizione) e oggetti delle sensazioni materiali.

#3513
Citazione di: HollyFabius il 02 Maggio 2016, 17:54:45 PM
Citazione di: Sariputra il 02 Maggio 2016, 14:17:16 PM
Non c'è alcun merito in cui entrare. Sono tutte teorie indimostrabili. Una vale l'altra. Le scegli solo in base a quello che tu stesso credi vero e che senti più vicino al tuo modo di concepire il reale. Ma quello che è vicino a te è lontano da un altro sentire. Come giudicare se non c'è alcun riferimento sicuro? Non si riesce nemmeno a definire cos'è la coscienza o la materia...perchè parteggiare per l'una o per l'altra?

Non è così, esistono delle visione coerenti e delle visioni incoerenti. La riflessione tende ad escludere queste ultime. Per esempio "Nessuna posizione: Non vi è coscienza né materia ma solo un grande Vuoto." è equivalente a sostenere che visto che non riusciamo a concordare su cosa sia la morte siamo immortali.
CitazionePer parte mia credo inoltre che, ammesso un minimo di assunti indimostrabili (alla condizione ipotetica, indimostrabile, che questi siano veri), alcune concezioni sono vere (o per lo meno non falsificate, seppur falsificabili), altre false; e altre ancora ipotetiche (potrebbero essere vere oppure essere false senza che sia possibile stabilirlo).

P.S.: sarò anche diventato "utente esperto", ma imbranato telematico resterò fin che campo e fin che campo continuerò inesorabilmente a far casino con la grafica del forum!
(Abbiate pazienza).
#3514
CitazioneLoris Bagnara ha scritto:

Sulla base della riflessione sopra riportata, ritengo si possa affermare quanto segue:
1) la realtà dell'io-sono si deve assumere;
2) la realtà del mondo materiale si può assumere.

Rispondo:

Non sono d' accordo: se si deve assumere la realtà dell' "io sono" (pensieri, ragionamenti, sentimenti, ecc.), allora allo stesso identico modo si deve assumere anche la realtà degli oggetti materiali (il nostro corpo, altri corpi umani e animali, oggetti materiali naturali o più o meno artificialmente realizzati.
Infatti l' uno e gli altri sono esattamente allo stesso modo, con lo stesso grado di certezza sentiti, avvertiti nell' ambito della propria esperienza cosciente.
 
 
 


Loris Bagnara ha scritto:

Come si presentano i contenuti mentali all'osservazione dell'io-sono?
Direi che possiamo distinguere tali contenuti in due categorie.
La prima categoria è quella dei contenuti che appaiono, all'io-sono, liberamente determinati da se stesso (ad esempio, quelle che definiamo volizioni).
La seconda categoria è quella dei contenuti che appaiono, all'io-sono, non determinati da se stesso e con la caratteristica della necessità (ad esempio, quelle che definiamo "percezioni").
Il senso comune definisce soggettivi i contenuti della prima categoria, e oggettivi quelli della seconda categoria. Cioè, il carattere di necessità (ossia di ineluttabilità) con cui questi ultimi si presentano, induce l'io-sono a proiettare quei contenuti all'esterno da sé, o meglio, induce l'io-sono a postulare una realtà esterna che, interagendo con se stesso, produrrebbe quei contenuti.

Cosa esattamente sia questa realtà esterna l'io-sono non ha alcun modo di stabilirlo, poiché egli come detto non ne viene a diretto contatto: l'io-sono ha solo esperienza delle rappresentazioni mentali che tale realtà produce in lui.
Il senso comune chiama questa realtà esterna "mondo materiale", ma il significato di questa espressione non è ulteriormente definibile. L'unica cosa che si può dire è che il cosiddetto mondo materiale rappresenta i limiti al libero volere dell'io-sono: l'io-sono non può riempirsi di contenuti a piacere, ma ve ne sono alcuni che egli deve necessariamente accettare senza poterli respingere.

Rispondo:

Secondo la mia interpretazione è possibile essere assolutamente sicuri della realtà unicamente dell' esperienza cosciente immediatamente, direttamente vissuta o avvertita o percepita: dal solipsismo si può uscire, verso la credenza nell' esistenza di altre più o meno simili o analoghe esperienze coscienti oltre la "propria" immediatamente vissuta o avvertita unicamente mediante un atto di fere indimostrabile essere veritiero.


Se si ammette per fede l' esistenza (anche) di altre esperienze coscienti corrispondenti ai corpi (e più precisamente ai cervelli o loro parti in determinati stati funzionali) degli altri uomini e animali di cui si hanno sensazioni (i cui "contenuti sensibili" nel caso dei primi ci vengono anche in parte descritti verbalmente da loro stessi), allora si può constatare attraverso la comunicazione verbale che i "contenuti coscienti caratterizzati da necessità" che chiami "percezioni" (gli oggetti di coscienza materiali), sono intersoggettivi, cioè avvertiti sensibilmente in maniera puntualmente e univocamente corrispondente (purché ci si collochi "dallo stesso punto di sensazione") fra le diverse esperienze coscienti (per lo meno umane): se io e te andiamo a Zermatt ed entrambi guardiamo circa verso ovest-sud-ovest (e se non ci sono in quella direzione nuvole o nebbia) vediamo entrambi lo splendido monte Cervino 

Invece i "contenuti coscienti caratterizzati da libertà" (invero relativa, limitata: spesso non riusciamo a ricordare quel che vorremmo o a liberarci da ricordi, sentimenti, pensieri più o meno sgraditi), cioè gli oggetti di coscienza mentali (comprendenti quelli che chiami "volizioni") non lo sono; sono invece soggettivi: possiamo reciprocamente cercare più o meno fedelmente di di descriverceli reciprocamente, di comunicarceli verbalmente ma non "mostrarceli direttamente" nel modo in cui ci possiamo reciprocamente mostrare il Cervino).

Ma gli uni e gli altri, esattamente allo stesso modo,  non sono che sensazioni o insiemi di sensazioni o apparenze coscienti (alla greca e a la Kant: "fenomeni"), facenti parte della nostra esperienza cosciente, reali unicamente in quanto tali (sensazioni o insiemi di sensazioni) e unicamente allorché accadono (ovvero vengono avvertiti, sentiti, percepiti, se ne ha coscienza) come tali (mere sensazioni o insiemi di sensazioni).

 

Ora si può ipotizzare che qualcosa esista anche allorché le sensazioni fenomeniche non accadono, se non altro per spiegarsi come mai ogni volta che si va a Zermatt (o a Valtournenche) e si guarda nella giusta direzione si vede il Cervino (gli oggetti materiali sembrerebbero avere una certa  relativa costanza o continuità anche negli intervalli di tempo in cui non sono percepiti) e del tutto patimenti, allo stesso identico modo, come mai dopo periodi in cui non esistono sensazioni interiori o mentali (relativamente volontarie), riferibili a noi stessi sia come soggetti che come oggetti, dopo periodi di tempo nei quali non esiste l' "io sono" (per esempio durante il sonno senza sogni), esse possono nuovamente accadere e come mai di molte di quelle accadute ne passato resta memoria (se alla memoria si decide, anche in questo caso indimostrabilmente, per fede, di credere).

Ma per definizione e per non cadere in una palese contraddizione questo ipotetico "qualche cosa" reale anche allorché non sono reali (non accadono realmente) le sensazioni (tanto quelle materiali quanto quelle mentali) delle quali spiegherebbe la "relativa costanza nella discontinuità" non può essere costituito da apparenze sensibili (fenomeni), ma solo da qualcosa per l' appunto di unicamente congetturabile (alla greca e a la Kant: "noumeno").

E ripeto che questo vale tanto per le sensazioni materiali "involontarie" quanto per quelle mentali "libere": se oltre al loro accadere e anche allorché non accadono (e in condizioni diverse da quando accadono) vi è qualcosa di reale ad esse corrispondente, allora questo "qualcosa", sia nel caso si tratti dell' "io" (oggetto, oltre che soggetto, di quelle mentali o interiori), sia nel caso si tratti delle "cose del mondo" (oggetto di quelle materiali o esteriori), non è (costituito da) sensazioni (fenomeni) ma "cosa in sé (noumeno).

 

In conclusione: anche l' "io sono" si sente, é sensazione (-i), appare alla coscienza, anche le sensazioni mentali, non solo quelle materiali e altrettanto che queste, del tutto esattamente come queste, sono reali solo in quanto sensazioni; e se l' "io" ad esse corrispondente esiste anche allorché le sensazioni mentali non esistono (come loro oggetto, oltre che soggetto, in sé, congetturabile e non sensibile), allora non vedo perché mai non debbano esistere anche le "cose" corrispondenti alle sensazioni materiali (come loro oggetto in sé, congetturabile e non sensibile).

 

Grazie per l' attenzione.
#3515
Loris Bagnara ha scritto:

Dalla riflessione sul rapporto fra coscienza e materia scaturiscono tre possibili posizioni, tre diverse premesse su cui costruire una "visione del mondo":

1) posizione monista: esiste la coscienza e la materia è un contenuto illusorio della coscienza;
2) posizione monista: esiste la materia e la coscienza è un'illusione prodotta dalla materia;
3) posizione dualista: coscienza e materia esistono su piani distinti e paritari.

La seconda premessa è quella apparentemente più naturale, ma la prima è quella più logica come dimostra il dubbio radicale cartesiano.
La terza, invece, a mio avviso, presenta difficoltà insormontabili nel problema dei rapporti fra le due realtà, concepite come reciprocamente trascendenti, tanto da dover postulare una terza realtà noumenica da cui quelle due dipenderebbero".
In questo mondo il dualismo si rivela solo apparente: in definitiva ci si riconduce ad una impostazione monista dove vi è una realtà in sé da cui promanano due realtà contingenti, la cui reciproca coerenza è garantita appunto dalla realtà in sé.

Rispondo:

Concordo tranne che a proposito delle "difficoltà insormontabili nel problema dei rapporti fra le due realtà, concepite come reciprocamente trascendenti, tanto da dover postulare una terza realtà noumenica da cui quelle due dipenderebbero. In questo mondo il dualismo si rivela solo apparente": io non ci trovo difficoltà insormontabili (il termine "promanare" non mi piace troppo trovandolo un po' vago e oscuro; preferirei parlare di "dualismo dei fenomeni, monismo del nuomeno"; esiste anche un dualismo "interazionista", quello proprio di Cartesio, che prevede appunto interazioni, causazioni reciproche fra materia e pensiero, che però gode oggi di scarsissima considerazione perché inconciliabile con la conoscenza scientifica; mi scuso per la pignoleria).



*******


Loris Bagnara ha scritto:

In conclusione, ripeto la mia domanda: possiamo logicamente dimostrare l'esistenza del mondo materiale?

Rispondo:

Secondo me tanto il mondo mentale quanto il mondo materiale si constatano empiricamente: si danno tanto sensazioni di ragionamenti, sentimenti, stati d' anoimo, quanto di cose materiali come il nostro corpo e quelli di altre persone e animali, muri, edifici, mobili e soprammobili, montagne, fiumi, ecc.

La "valenza ontologica", se così la vogliamo chiamare, o il "grado di realtà" di ciascuno dei due ambiti esperibili dell' esistete (o dei due tipi di oggetti percepiti) é esattamente lo stesso: fenomenico, ovvero apparente, costituito unicamente da insiemi e/o successioni di sensazioni (le une mentali, le altre materiali) reali unicamente in quanto tali e finatanto  che accadono in quanto tali.

Ciò vale per le cose materiali: quando non guardo verso il giardino del mio vicino di casa lo splendido e maestoso cedro del Libano che comunemente sia io che lui tendiamo a considerarvi presente  in realtà non esiste.

Ma vale esattamente allo stesso modo anche per le cose mentali: quando non avverto i miei ragionamenti, pensieri, sentimenti, ecc. essi non esistono.

E se qualcosa esiste anche allora (io, come soggetto-oggetto di essi) non può identificarsi con essi, pena la caduta in una palese contraddizione, ma per definizione deve (devo) essere qualcosa di non apparente (non sensibile), alla greca non "fenomenico", ma comunque qualcosa di congetturabile (esistere), alla greca "noumeno".
Esattamente come gli oggetti delle mie sensazioni materiali quando esse non avvengono.
#3516
Citazione di: Loris Bagnara il 01 Maggio 2016, 16:07:20 PM
CitazioneSecondo la dottrina del karma tutte le innumerevoli vite sono legate causalmente l'una all'altra. Il fatto di non ricordarsele è una necessità, per poter affrontare ogni singola vita come se fosse unica e senza il fardello dei ricordi. Del resto, quanto effettivamente ricordiamo della nostra presente vita? L'uno per cento? Vuol forse dire che ciò che non ricordiamo non è esistito?

E' esistito, ma non esiste più: ora, al contrario di ciò che ricordiamo, é come se non l' avessimo mai vissuto (almeno finché non ci risovvenga).

(Anch' io Smetto di scrivere su questo 3D)
#3517
CitazioneLoris Bagnara ha scritto:
"Realtà empiricamenteconstatate"?
Tu avresti constatatoche la res extensa e la res cogitans sono "due piani ontologici diversi e non reciprocamente interferenti etc"?
E sarei io il folle visionario e irrazionalista, quando dico di credere alle facoltà psi, e questo in virtù di una mole impressionante di dati raccolti anche da scienziati peraltro degni di fiducia?
Non ti seguo più, e mi pare che la qualità delle risposte sia alquanto scaduta.


Rispondo:
Constato che ho (o meglio: accadono) sensazioni materiali e sensazioni mentali.
E che perché il mondo fisico (materiale) sia scientificamente conoscibile se ne esige la "chiusura causale" come un' ineludibile conditio sine qua non.
Ne deduco che sensazioni mentali e materiali devono per forza divenire in diversi "ambiti della realtà" o "piani ontologici" non reciprocamente condizionantisi o influenzantisi (ovvero reciprocamente trascendenti); e constato che le moderne neuroscienze dimostrano (scientificamente; e sempre più convincentemente) le reciproche corrispondenze o le correlazioni necessarie fra di esse.

Non mi sono mai accorto della presunta "mole impressionante di dati raccolti anche da scienziati peraltro [SIC!, N.d.R.] degni di fiducia" che renderebbe credibili le "facoltà psi" (ma che cavolo sono? I presunti "poteri paranormali"? Per quanto mi riguarda sarei rimasto al "glorioso partito miserabilmente distrutto da Bettino Craxi").
...Sarò un po' distratto!

Faccio comunque mie le tue parole finali: "Non ti seguo più, e mi pare che la qualità delle risposte sia alquanto [anzi: di molto!, N.d.R.] scaduta".


Loris Bagnara ha scritto:
Mi hai forse dimostrato che nella mia concezione la reincarnazione e il karma sono incoerenti con quel che ho detto, e cioè che l'individuo progetta la propria vita prima di incarnarsi? E invece la reincarnazione e il karma dicono proprio questo...

Rispondo:
Parlando di "venire al mondo" non intendevo certo la reincarnazione ma il "cominciare ad esistere" (in assoluto). In mancanza di una tua precedente precisazione in proposito non potevo quindi che cogliere la contraddizione.

Certo che se si crede alla reincarnazione non è contraddittorio.

Resta comunque il fatto che la reincarnazione implica necessariamente la "formattazione del disco" delle esperienze precedentemente vissute (altrimenti ce le ricorderemmo, saremmo in continuità con le presunte nostre vite precedenti: la nostra vita attuale, e in particolare i ricordi nel suo ambito, si estenderebbe all' infinito nel passato implicando tutte le precedenti "reincarnazioni"); implica necessariamente il ricominciare un' esperienza che si sviluppa "da zero".
Mi sembra solo un tentativo (disperato, vano) di negare l' inizio (e soprattutto la fine! Che invece per parte mia ritengo si possa e debba serenamente accettare) della propria vita cosciente (quella attuale che ciascuno vive e che non ha alcuna reminiscenza di eventi precedenti in grado di avere su di essa un qualche effetto, di influenzarla in un qualsiasi modo, e che è iniziata dopo la nascita) semplicemente cambiando il significato delle parole usate e lasciando perfettamente invariata la realtà inesorabile dei fatti: in realtà le mie o tue presunte vite precedenti, assolutamente, integralmente dimenticate "starebbero (ammesso e non concesso) rispettivamente con la mia e la tua vita (reale) attuale come la tua vita attuale sta alla mia vita attuale e viceversa" (e così  le nostre presunte vite o "reincarnazioni" future con le nostre reali vite attuali): in un rapporto di totale separatezza e alterità!



Loris Bagnara ha scritto:
Vogliamo fare filosofia col vocabolario? Oppure possiamo farcela ad andare un po' oltre?

Rispondo:
Se mi tacci di avere "svuotato (intenzionalmente) [SIC!] di ogni significato" con le mie parole "il concetto di TUTTO", beh, allora credo di avere tutto il diritto di rivendicare il mio corretto, anzi correttissimo, uso (nei loro significati letterali) dei termini impiegati nelle mie argomentazioni!



Loris Bagnara ha scritto:
"Infatti ovviamente se l' universo contiene la vita intelligente non c' é bisogno di alcun presunto "principio antropico" perché debba essere fatto in modo da contenere la vita intelligente: é già logicamente necessario in quanto tautologico.
Universo = "tutto ciò che é reale" ovvero "oltre al quale non esiste null' altro (con cui si possa confrontarlo)": dunque "confrontarlo" non ha senso" (Sgiombo)


E' evidente, qui, che ti sfugge la differenza fra l'"essere manifesto" e l'"essere immanifesto". E non sono deboli in filosofia quegli scienziati che vedono nel principio antropico una questione importante, soprattutto se congiunta alla possibilità del multiverso come sembrerebbe emergere in alcune interpretazioni della meccanica quantistica, e nella stessa teoria delle stringhe (o almeno in alcune sue varianti).

Rispondo:
Da dove salterebbe fuori questa "differenza fra l'"essere manifesto" e l'"essere immanifesto" di cui non hai mai finora parlato?
Certo che se nemmeno me ne hai accennato la differenza non può che sfuggirmi: (per mia fortuna) mica sono un "olista in grado di praticare la telepatia grazie all' entaglement quantistico"!

"Multiverso": altra bufala non scientifica (assolutamente non verificabile/falsificabile) da scienziati scarsissimi in filosofia e irrazionalisti!
Perfino quella del "Dio creatore" è una tesi relativamente meno irrazionalistica: postulazione dell' esistenza di un minor numero di enti indimostrati e indimostrabili esistere (rasoio di Ockam)!



Loris Bagnara ha scritto:
Purtroppo il senso dell'assurdo non si può spiegare: o lo si sente, o non c'è niente da fare. E qui non c'è niente da fare.

Anch'io un tempo mi dilettavo con i sofismi, con le trappoleverbali, con i depistaggi del pensiero; poi ho smesso, perché mi sono reso conto che è come masturbarsi, però fermandosi prima dell'orgasmo.
Ho scoperto che smontare il senso non dà gusto: c'è più gusto a costruirlo.


Rispondo:
Infatti la coerenza logica (o meno) delle affermazioni non "si sente" (questo è irrazionalismo allo stato puro! Confusione fra sentimento e dimostrazione razionale!), casomai la si argomenta e la si spiega proprio ragionando.

Rimando al mittente le elegantissime insinuazioni su "i sofismi, le trappoleverbali,  i depistaggi del pensiero e le masturbazioni mentali interruptae" (a proposito: "godere nel costruire -arbitrariamente e irrazionalmente- sensi" -presunti!- anziché dimostrarli essere reali mi sembra proprio un'ottima esemplificazione!): è dai tempi dell' asilo infantile che non li pratico più (io).
#3518
Citazione di: davintro il 30 Aprile 2016, 16:36:02 PMDissento vivamente invece sull'idea che la questione "miscuglio" e "sintesi" sia anch'essa riducibile a mera questione terminologica. Invece è fondamentale... cos'è la storia? Potremmo definirla genericamente un dinamismo, e come si costituisce il dinamismo, un divenire? Direi,  sempre come un passaggio da un contrario all'altro. Il riscaldamento è il divenire che subisce la pietra esposta al sole. Questo divenire (potremmo definirlo come "la storia" della pietra) si pone come passaggio progressivo dal freddo al caldo. Il sasso continua a riscaldarsi fintanto che si pone come "miscuglio" di caldo e freddo. Il divenire, qualunque divenire, compreso quello propriamente definibile come "storia", resta tale fintanto che non viene raggiunta una condizione nella quale un contrario cessa di opporre una resistenza alla direzione impressa dal principio causale opposto. Una volta cessata la resistenza, il polo "vincente" potrà identificarsi pienamente con l'oggetto che ha spinto a muoversi verso la sua direzione, e cesserà il dinamismo, come l'elastico, che una volta che una delle due dita cessa di tirarlo dalla sua parte si rilassa e perde la sua tensionalità. La sintesi, condizione di armonia e superamento di contrasto tra tesi e antitesi, coinciderebbe con la fine del dinamismo storico, il movimento ha raggiunto la sua fine ( e il suo fine) eliminando tutti gli ostacoli, riassoberdolì a sè, non a caso, spero di non dire stupidaggini, in Hegel era presente l'idea che il raggiungimento della Sintesi Assoluta avrebbe significato la fine della filosofia (che per lui coincideva con la storia della filosofia)... Eraclito, per il quale invece il divenire è guerra tra contrari, avrebbe mai concepito una fine del divenire in un sintesi? Per Eraclito il divenire era eterno in quanto non "sintesi", bensì "miscuglio", amalgama di contrari in continua tensione. Qua si parla di eternità o conclusione della storia... altro che terminologia!
La maglia della Juventus è una mera res extensa, spazio in cui possono convivere due contrari, bianco e nero, a condizione di spartirsi spazi delimitati e distinti. Ma la metafora non ci aiuta nel piano della storia, perchè la storia umana non è uno spazio vuoto che posso colorare di tinte diverse come una maglietta. La storia è, chiaramente, un complesso globale di relazioni che legano soggettività agenti, eventi in una rete all'interno della quale non ha senso concepire cause ed effetti isolati fra loro, per il quale si potrebbe sostenere una separazione tra un ordine di eventi ordinato e prevedibile in linea di principio e una serie di eventi caotica, come se la storia fosse una torta divisibile in due parti che posso condire con ingredienti diversi senza che il condimento di una fetta influenzi il condimento dell'altra. Accettando una visione olistica della storia, un sistema globale di relazioni che la rende più della somma delle sue parti, non ha senso pensare ad una separazione rigida tra aspetti opposti fra loro. Prevedibile e imprevedibile non si spartiscono sfere di influenza come fanno due capi di nazioni che si accordano dopo un trattato di pace, ma si autoescludono (mentre ordine e caos, caos nella misura in cui lo definisco io, sarebbero compresenti ma non pacificamente separati tra loro, ma come contrapposte polarità di una tensione dinamica) Del resto, ammettendo, come tu stesso sopra avevi mi sembra riconosciuto, che l'imprevedibile è solo ignoranza di cause, elemento della mente e non reale, non avrebbe senso continuare ad attribuire a tale principio indeterministico un fondamento reale e oggettivo

Devo confessare (l' avevo già fatto anche nel vecchio forum) che fin dai remoti tempi del liceo non ho mai "digerito" Hegel e che avevo usato senza alcuna pretesa di rigore filologico i termini "tesi", "antitesi" e "sintesi" tanto per dare un' idea delle mie convinzioni, credendo anche, forse a torto, di conferire una certa "eleganza formale" al mio ragionamento, ma senza assolutamente intendere di argomentare secondo la dialettica hegeliana (per la verità mi sembrava anche che ciò risultasse molto evidente dalle mie parole).
E infatti ho sostenuto che, sia pure in ultima analisi per limiti di fatto insuperabili di completezza e precisione nella conoscenza possibile della materia (la storia umana; cosa che non ho affatto "riconosciuto" o "ammesso", bensì ne sono stato convinto "da sempre"), di fronte all' umanità sta sempre aperto un sia pur limitato ventaglio di possibili (o di fatto ritenute tali: inevitabilmente tali per il pensiero e l' azione soggettiva umana) opzioni reciprocamente alternative e dipendenti, nel loro realizzarsi o meno, dalle scelte concretamente compiute dai soggetti della storia stessa (secondo me fondamentalmente le classi sociali in lotta): per me la storia non avrà fine se non al momento dell' estinzione (per cause naturali oppure "di sua propria mano" e "prematuramente") della nostra specie.
 
Quella della maglia della Juventus era un' altra metafora per cercare di intendersi, cosa che peraltro, se tu prendi tutto alla lettera, risulta certamente molto difficile.
 
Ciò che intendo sostenere è semplicemente che nella storia, così come di fatto si dipana, "viene fatta dall' umanità", esistono sia aspetti di indeterminismo (sia pure in ultima analisi "epistemico"), sia elementi di necessità deterministica: non c' è mai una possibilità indiscriminata, illimitata di esiti ("tutto è possibile, basta volerlo"), ma nemmeno un' unica "direzione possibile" e dunque necessaria, ineluttabile, "fatalistica" (oso sperare che intenda correttamente questa metafora meccanica, per la precisione "cinematica").
 
Sono drasticamente contrario a qualsiasi sorta di "olismo" (molto di moda): per me il tutto è sempre perfettamente uguale alla somma delle parti (tenuto ovviamente conto anche delle relazioni fra le parti).
 
Che una distinzione (teorica) fra le molteplici forze e tendenze agenti nella storia sia sempre un' astrazione del pensiero (peraltro utile e necessaria, anche in pratica, ovviamente se condotta cum granu salis, senza assolutizzarne nessuna e tenendo conto dei molteplici reciproci rapporti), mentre nei fatti concorrono le une con le altre in un "intreccio" per così dire "inestricabile" (ahi, una metafora: speriamo bene!) mi sembra del tutto ovvio e pacifico.
 
Ma dato che a tua volta usi metafore in abbondanza (anche "colorite", ad sempio gastronomiche, il che non mi schifa di certo: sono un buongustaio!), ti pregherei di non prendere troppo alla lettera e non cercare il pelo nell' uovo in quelle degli altri, ma di cercare di intenderne pazientemente i significati cui intendono alludere (se necessario chiedendo pazientemente chiarimenti).
#3519
Loris Bagnara ha scritto:
Citazione
"Ma questa è solo una banale tautologia: il tutto è tutto.
Bella scoperta!
Ma non vedo come possa costituire la (pretesa) risposta alla (pretesa) domanda (senza senso) sul senso della totalità del reale." (Sgiombo)
La tautologia è tutta e solo in queste parole, in cui il concetto di TUTTO è stato svuotato (intenzionalmente) di ogni significato.
Eppure è un concetto antico quanto la filosofia: il finito è contingente, solo l'infinito è assoluto.
Nel Kybalion si dice:
"Non appena l'allievo sarà pronto per la Verità, questo libro giungerà a lui."

Rispondo:
Io ho impiegato il concetto di "tutto" nel suo significato letterale, quale si può trovare nei comuni vocabolari (non svuotandolo di esso)!

Mi sa che per quanto mi riguarda Kybalion e il suo libro dovranno aspettare a lungo; anzi: all' infiniti-assoluto, e dunque invano!


Loris Bagnara ha scritto:
Citazione
"Il principio antropico l' ho sempre ritenuto una bufala irrazionalistica, tipica espressione della totale impreparazione filosofica di tantissimi scienziati che vanno per la maggiore: dal momento che la vita intelligente c' è nell' universo, allora è banalissimamente ovvio che l' universo non poteva non essere fatto (da nessuno: non poteva non avere le caratteristiche che ha) che in modo tale che la vita intelligente ci fosse" (Sgiombo).
Questa sì che è una tautologia: si afferma che "l'universo è così perché è così". E questo vale non solo col "perché", ma anche col "come" e col "quanto". Ha senso chiedersi com'è o quant'è l'universo, se l'universo è quel che è e non poteva essere diversamente, e non ci sono nemmeno termini di riferimento per confrontarlo?

Rispondo:
La risposta a questa domanda é ovviamente NO!

Infatti ovviamente se l' universo contiene la vita intelligente non c' é bisogno di alcun presunto "principio antropico" perché debba essere fatto in modo da contenere la vita intelligente: é già logicamente necessario in quanto tautologico.


Universo = "tutto ciò che é reale" ovvero "oltre al quale non esiste null' altro (con cui si possa confrontarlo)": dunque "confrontarlo" non ha senso.




Loris Bagnara ha scritto:
Citazione
"Per quel che ci è possibile ragionevolmente arguire in proposito credo proprio che in assenza di un cervello vivo e funzionante (per lo meno potenzialmente e di solito di fatto indirettamente) nell' ambito di altre, diverse esperienze fenomeniche coscienti (dunque prima della nascita e dopo a morte) non possa darsi mente cosciente.
Non vedo come considerare un piano ontologico mentale diverso da quello materiale sia contraddittorio con il considerare le menti coscienti mortali (aventi durata temporale finita, con un inizio e una fine)" (Sgiombo).
E con questo si compie l'apoteosi dell'insensatezza. Abbiamo il noumeno, una realtà-in-sé-che-non-si-sa-cos'è-né-perché, da cui dipendono due precari piani ontologici che non sussistono di per sé, che non sono nemmeno in grado di interagirel'uno con l'altro, e i cui contenuti fluttuano nell'impermanenza. La mente cosciente sorge dal nulla e sparisce nel nulla, senza spiegare come avvenga il mistero dell'individuazione, cioè come avvenga che io (non una mente cosciente qualsiasi, ma: io) sia apparso "qui e ora", e non in un altro qualsiasi "qui e ora". Dov'è l'incoerenza? Non era necessario postulare un piano ontologico proprio per la coscienza: se la l'idea che la mente cosciente è comunque legata all'esistenza corporea, tanto vale risolvere il problema restando nel piano ontologico della materia (e risparmio un piano: rasoio di Occam).



Rispondo:
Non ci vedo proprio nulla di insensato (autocontraddittorio): altro che "apoteosi"!

Io (non una mente cosciente qualsiasi, ma: io) sono comparso qui e ora: e perché mai sarei dovuto comparire là e allora?!?!?!

Se constato empiricamente due piani ontologici diversi e non reciprocamente interferenti ed entrambi in mutamento più o meno continuo non posso certo appellarmi (indebitamente) al rasoio di Ockam per eliminarne uno o entrambi!
Mica sono ipotesi, sono realtà empiricamente constate!


Loris Bagnara ha scritto:
Citazione
"Ma certamente uno che ritiene "razionale" l' affermazione che "E' proprio così. Noi siamo qui perché l'abbiamo voluto" [evidentemente prima di esserci] ha dei concetti di "coerenza logica" e di "contraddizione" molto personali, per così dire..." (Sgiombo)
La coerenza logica delle concezioni altrui di solito la si verifica partendo dalle premesse altrui, non dalle proprie.
Io ho fatto così con le concezioni di altri, ma non ho visto fare altrettanto con le mie.


Rispondo:
Infatti sei tu che alla mia domanda "Credi forse di essere al mondo (così come sei) per tua libera scelta antecedente alla tua esistenza stessa" mi hai risposto che le cose stanno proprio cosi!

La coerenza logica di una conclusione la si valuta relativamente (é relativa) alle sue premesse, di chiunque siano (come puoi ben constatare ho fatto io in questa discussione).
#3520
Citazione
Re:Ma davvero chi non è d'accordo con i darwiniani è un retrogrado?

« Risposta #107 il: Oggi alle 20:02:46 »

Loris Bagnara ha scritto:

Infatti, sono d'accordo. Proprio perché è vero quel che dici, l'unica soluzione logicamente sensata è che la totalità del reale sia il TUTTO: il TUTTO è ciò che include in sé tutte le possibili cause, tutti i possibili effetti e tutti i possibili sensi. Gli universi manifestati sono solo espressioni contingenti del TUTTO.

Rispondo:

Ma questa è solo una banale tautologia: il tutto è tutto.
Bella scoperta!
Ma non vedo come possa costituire la (pretesa) risposta alla (pretesa) domanda (senza senso) sul senso della totalità del reale.  



 Loris Bagnara ha scritto:

Ora ho finalmente capito cos'è che disturba tanto nell'idea del disegno intelligente. Se si intende la versione riportata da Sgiombo, sono perfettamente d'accordo anch'io: un Dio "interventista" è qualcosa che mi fa letteralmente ribrezzo. Questa sì che è una visione superata, ma superata non solo dalla scienza, anche dalla filosofia. Superata e ingenua.
Quel che si deve intendere, quando si parla di disegno intelligente, è qualcosa di più sottile.

Supponiamo che Dio esista. Se esiste, e se decide di creare un universo, ha naturalmente carta bianca: può stabilire le leggi fisiche che crede e bilanciarle come crede; ha a disposizione tutta la materia che vuole, materia da lavorare come più gli aggrada; ha tutto lo spazio che serve per sistemare quella materia e ha anche tutto il tempo necessario da dare a quell'universo per evolvere. Giusto? Ora, però, converrete che se Dio decide di creare un universo, non lo fa tanto per fare, ma per uno scopo, giusto?

E allora immaginiamo Dio come il più felice degli ingegneri che può progettare una macchina industriale avendo completa carta bianca su tutto, dalle leggi fisiche ai materiali. Non penserete certo che quell'ingegnere realizzerà una macchina insensata che non produce nulla? Assurdo, no? Quell'ingegnere realizzerà certamente un macchina che, una volta avviata, produrrà esattamente quello che l'ingegnere si prefigge, senza alcun bisogno di interventi straordinari.

La concezione, più seria, del disegno intelligente è questa: il disegno intelligente è intessuto nelle fibre stesse dell'universo, senza alcuna necessità di interventi straordinari da parte di Dio. E lo scienziato può indagare l'universo proprio come se Dio non esistesse. Semmai, potrebbe restare stupito della straordinaria finezza della sua regolazione, tanto che se il cosmo fosse regolato diversamente, anche di pochissimo, lui non sarebbe lì a stupirsi di tanta meraviglia... E' il 
principio antropico: l'universo sembra essere regolato per poter dare luogo alla vita e alla vita intelligente.

Rispondo:

Se il disegno intelligente "è intessuto nelle fibre stesse dell'universo, senza alcuna necessità di interventi straordinari da parte di Dio. E lo scienziato può indagare l'universo proprio come se Dio non esistesse", allora spiega l' evoluzione biologica unicamente con cause naturali. E infatti questo è prprio ciò che effettivamente fanno tutti i non pochi scienziati seri credenti: la spiegano con le mutazioni genetiche casuali e la selezione naturale.

Il principio antropico l' ho sempre ritenuto una bufala irrazionalistica, tipica espressione della totale impreparazione filosofica di tantissimi scienziati che vanno per la maggiore: dal momento che la vita intelligente c' è nell' universo, allora è banalissimamente ovvio che l' universo non poteva non essere fatto (da nessuno: non poteva non avere le caratteristiche che ha) che in modo tale che la vita intelligente ci fosse.
Allo stesso modo che se dell' acqua è calda, allora bisogna per forza che o si è formata calda, per liquefazione del vapore, oppure che sia stata scaldata: la celeberrima "scoperta dell' acqua calda"!   
 


Loris Bagnara ha scritto:

Infatti io non invoco nulla di misterioso. Tutto ciò che accade nell'universo è naturale. Anche i fenomeni psi, come la telepatia, che potrebbero trovare una spiegazione nel fenomeno dell'entanglement.

Rispondo:

Beh se ritieni reale la telepatia e i fenomeni "paranormali" (credo intenda questo con "psi" -?-), allora vale lo stesso discorso del definire "razionale" l' autocontraddirsi: parliamo lingue diverse e non intertraducibili!
Per usare una tua felice espressione, ci conviene stare reciprocamente alla larga!  



Loris Bagnara ha scritto:

Concludo chiedendo a Sgiombo una cosa che mi sono dimenticato di chiedere prima.
Nella tua concezione, la mente cosciente è 
mortale immortale? Esiste prima di congiungersi al corpo materiale? Se sì, qual è la sua condizione? E dopo la morte del corpo materiale, continua a esistere la mente cosciente? E se sì, qual è la sua condizione?
Visto che colleghi la mente cosciente al piano ontologico della res cogitans, mi viene da pensare, per coerenza, che tu la ritenga immortale.

Rispondo:

Per quel che ci è possibile ragionevolmente arguire in proposito credo proprio che in assenza di un cervello vivo e funzionante (per lo meno potenzialmente e di solito di fatto indirettamente) nell' ambito di altre, diverse esperienze fenomeniche coscienti (dunque prima della nascita e dopo a morte) non possa darsi mente cosciente.
Non vedo come considerare un piano ontologico mentale diverso da quello materiale sia contraddittorio con il considerare le menti coscienti mortali (aventi durata temporale finita, con un inizio e una fine).
Ma certamente uno che ritiene "razionale" l' affermazione che "E' proprio così. Noi siamo qui perché l'abbiamo voluto" [evidentemente prima di esserci] ha dei concetti di "coerenza logica" e di "contraddizione" molto personali, per così dire...
#3521
Loris Bagnara ha scritto:

Non mi pare si possa dire che l'ipotesi del "disegno intelligente" sia stata superata, nel senso di "verificata e poi accantonata": è stata semplicemente accantonata, questo sì, ma per ragioni ideologiche, cioè filosofiche, in nome di una visione del mondo autosufficiente rispetto a quel Dio che era il cardine delle precedenti concezioni. Ad un certo punto si è stabilito che dovesse valere quella che Sgiombo ben definisce la "chiusura causale": i fenomeni dell'universo si devono poter spiegare con cause che restano all'interno dell'universo. Ma lo si è stabilito "a tavolino", come assioma. Un assioma che ti porta all'arcinota contraddizione della causa prima: ossia, dopo aver risalito la catena delle cause fino all'origine (diciamo fino al Big Bang), qui la catena si deve interrompere, perché prima non c'era l'universo e quindi non c'era una causa a cui far attribuire l'inizio dell'universo stesso. Oppure bisogna postulare la causa incausata, l'aristotelico motore immobile... concetto poco scientifico, no?

Rispondo:

Non é che si é arbitrariamente stabilito "per capriccio" o per "biechi motivi ideologici" di "abolire Dio dalla natura" e "stabilire la chiusura causale del mondo fisico".
Semplicemente si é constatato che per credere vero ciò che ci dice la conoscenza scientifica (e per contunuare a fare ricerca scientifica) é necessario postulare che Dio, se anche c' é, non interferisca (da dopo la creazione fino all' apocalissi) col divenire naturale, così come nient' altro di non naturale: bisgna che il divenire naturale sia regolato secondo modalità universali e costanti e questo non consente l' irrompere in esso di elementi di disordine, che falsificherebbe ogni e qualsiasi legge fisica conosciuta o immaginabile; per esempio non é vero che e = m (c al quadrato), se Dio o chi per esso può, volendo, annichilire qualche corpo massivo senza trasformarlo nella quantità prevista di energia oppure far comparire un corpo massivo non "a spese" della quantità corrispondente di energia; sarà casomai vero che a volte, quando Dio si astiene dal mettere il naso nel mondo, saltuariamente e = m (c al quadrato), altre volte no, ovvero che il mutamento naturale é caotico e non conoscibile scientificamente. Tertium non datur.
E' sulla base di questo presupposto ineludibile che si possono mettere alla prova delle osservazioni empiriche le ipotesi scientifiche.

Se l' universo fisico ha avuto un inizio (e magari avrà una fine) bisogna ammettere che l' universalità e costanza delle leggi fisiche non sono propriamente tali, ma solo limitatamente alla durata dell' universo.
Non é detto che questo sia meno verosimle rispetto all' ipotesi di durata infinita; semplicemente crederlo é meno razoinalistico per il rasoio di Ockam (richiede di ammettere almeno due affermazioni indimostrabili: che la natura diviene secondo le leggi fisiche dal B.b. all' apocalisse -1- e che prima ed eventualmente dopo non era/sarà così -2- contro un' unica affermazione indimostrabile: "la natura diviene secondo le leggi fisiche", che senza ultriori determinazioni significa "per sempre e dovunque").
Se fossero più filosoficamente ferrati i ricercatori "mainstream" (o, come preferisco dire, conformisti) ne sarebbero indotti non ad abbandonare, ma almeno ad accettare meno acriticamente la teoria del B.b. ed impiegare risorse economiche anche per esplorare ipotesi alternative.




Loris Bagnara ha scritto:

No, nessuno ha verificato l'ipotesi del disegno intelligente... Benché la moderna fisica quantistica sia arrivata a concepire un universo dove non esistono parti (che sono illusioni), ma solo un TUTTO strettamente interrelato. in questo senso la fisica quantistica è arrivata a capire quello che laphilosophia perennis dice da sempre (migliaia e migliaia d'anni). Il fenomeno dell'entanglement è la base su cui avviare una nuova comprensione dell'universo come l'antica Anima Mundi.


E poi, chi l'ha detto che il disegno intelligente non si può conoscere perché noi ne siamo dentro? E se chi l'ha concepito, quel disegno intelligente (perché qualcuno lo deve aver concepito), semplicemente ce lo rivelasse?

Rispondo:

L' entanglement quantistico non ha nulla di "misterioso", é una regolarità del divenire naturale come le altre, solo "un po' inaspettata" al momento in cui é stata scoperta.
E' fra l' altro perfettamente inquadrabile in un' interpretazione epistemica, ontologicamente deterministica "a variabili nascoste", dell' indeterminismo quantistico, quella di Bohm, (per quanto questa interpretazione non piaccia ai ricercatori conformisti, scarsamente ferrati in filosofia e indulgenti verso l' irrazionalismo come sono).


Resto in paziente, anche se scettica, attesa di rivelazioni divine...





Maral ha scritto:

C'è tutto un filone di ricerca che tenta di definire la coscienza nei termini di funzionamento interattivo dei neuroni. Uno degli esponenti più interessanti è Damasio che vede il fenomeno coscienza come una interazione continua tra i neuroni del midollo allungato e quelli dell'area neocorticale, in stretta polemica con l'idea cartesiana di una res cogitans. La psiche è materia non intesa come cosa, ma come relazione, non una sostanza ineffabile che sta oltre la materia vivente.

E Loris Bagnara ha risposto:

Io intendevo dire che il fenomeno della coscienza non viene oggi inteso come parte attiva nell'universo, né pertanto indagato come tale. Viene inteso riduttivamente nel modo che hai detto tu. Io, sinceramente, provo quasi compassione per questi tentativi, per queste menti peraltro brillanti che credono di poter spiegare l'origine della coscienza in questo modo. In poche righe si può dimostrare che la coscienza non può venire fuori in quel modo.

Rispondo a mia volta:

Stavolta sono sostanzialmente d' accordo con Loris (tranne però circa la coscienza intesa come parte attiva nell'universo fisico).

Il dualismo "interazionista" cartesiano, palesemente insostenibile, non é l' unico possibile dualismo.
E altrettanto insostenibile é, a mio parre, il monismo materialistico.

La neurofisiologia può solo conoscere tendenzialmente sempre meglio i meccanismi fisiologici cerebrali e stabilire le corrispondenze fra determinati meccanismi nurofisiologici e determinati stati di coscienza; può anche studiarne gli aspetti funzionali e pure algoritmici; ma non può pretendere di identificare le due ben diverse, anche se "strettamente correlate" cose: trasmissioni di potenziali di azione in fibre nervose e attraverso sinapsi (in ultima analisi molecole, atomi, particelle/onde subatomiche, campi di forze), e anche elaborazioni algoritmiche su di esse implementate (e riproducibili in linea di principio su altri hardwares) da una parte e sensazioni, sentimenti, ricordi, ragionamenti, ecc. dall' altra.
#3522
CitazioneLoris Bagnara ha scritto:


"Perché invece tu credi forse di essere venuto al mondo per tua libera scelta, con le caratteristiche (che ti ritrovi) che tu liberamente ti sei scelto prima di esistere?
Assurdo! autocontraddittorio!". (Sgiombo).

 
E' proprio così. Noi siamo qui perché l'abbiamo voluto.
Reincarnazione karma, questi sono i concetti chiave. L'evoluzione della vita è un processo letteralmente infinito che porta ogni atomo a divenire un Dio (concetto che sarebbe da chiarire...), e a sua volta un creatore di universi.
E' questo lo scopo per cui siamo qui.

 
Rispondo:


Capisco a mia volta quanto basta per tenermici altrettanto simpaticamente alla larga!

(Curioso!).
 
 



Loris Bagnara ha scritto:


L'esoterismo e la teosofia sono assolutamente razionali, benché includano anche la comprensione di stati di coscienza sovra-razionali, che non contraddicono la mente razionale, ma si elevano dove essa non può giungere.
C'è molta più razionalità nella concezione teosofica che nella tua, dove ravvedo (ma è una mia opinione) una razionalità fredda, artificiosa, inutilmente complicata, un po' sofistica, troppo disinteressata alle vere domande che l'uomo si pone. E dove l'amore e la fratellanza umana sembrano quasi parole prive di senso.

(Sempre con simpatia, mi raccomando...).
 
Rispondo:


Beh se per te l' autocontraddizione e il credere del tutto acriticamente alle più sfrenate fantasie è "razionalismo" (vedi appena sopra), se alla razionalità ritieni si possa rinfacciare di essere troppo "fredda" (o anche "calda") anziché troppo poco coerente e conseguente, allora con questa parola intendiamo concetti radicalmente diversi, anzi diametralmente opposti!
Ma autocontraddittorio (per come intendo io il concetto assolutamente irrazionale) è anche (pretendere di) affermare che la razionalità consentirebbe "anche la comprensione di stati di coscienza sovra-razionali, che non contraddicono la mente razionale, ma si elevano dove essa non può giungere".
 
Amore e fratellanza umana sono sentimenti, non ragionamenti.
Non sono in relazione né di affinità né di incompatibilità con la ragione ma casomai vi è fra essi e la razionalità un rapporto di (possibile; e per me auspicabile) complementarietà: si può benissimo essere irrazionalistissimi e superstiziosissimi e al contempo sentimentalmente aridissimi, grettissimi e meschinissimi; e si può essere razionalistissimi e al contempo generosissimi e magnanimissimi.
(Personalmente, non senza una buona dose di presunzione, mi sono sempre definito "un razionalista sentimentale").
 
Simpatia a parte, sono comunque per me interessanti alcune tue obiezioni a Maral, alle quali cercherò di rispondere con la dovuta calma appena ne avrò il tempo.
#3523
Citazione di: Loris Bagnara il 28 Aprile 2016, 20:02:46 PMRe:Ma davvero chi non è d'accordo con i darwiniani è un retrogrado?
« Risposta #107 il: Oggi alle 20:02:46 »
 
Loris Bagnara ha scritto:

Per come io intendevo il senso delle mie parole, la volontà dell'individuo è un'espressione della mente cosciente, ma tu sembri non pensarla così.
Cosa intendi dunque per "volontà dell'individuo"?

Rispondo:

Per volontà dell' individuo (umano) intendo ciò che l' individuo cosciente vuole (res cogitans). E che non causa le sue azioni; queste sono infatti causate dal suo cervello, precisamente da determinati stati funzionali del suo cervello (res extensa) che causano i movimenti volontari dei suoi muscoli; e che per l' appunto corrispondono biunivocamente alle sue volizioni, ma non vi si identificano.
 
 
 

Loris Bagnara ha scritto:
 
Citazione
"[...] il corpo materiale e il cervello sarebbero  orpelli perfettamente inutili rispetto alla mente cosciente, dato che essa diviene altrettanto autonomamente secondo i modi sui propri [...]" (Sgiombo)
Qui si spalancherebbe un mondo di domande... Se il corpo e il cervello sono orpelli inutili per la mente cosciente, dato che questa diviene nel suo mondo e per conto suo, per quale motivo la mente cosciente si trova ad essere "innestata", "legata" ad un pezzo di materia che non le fornisce nulla di utile per la sua evoluzione, e di cui potrebbe fare a meno?

Rispondo:

Semplicemente perché (secondo questa tesi; non scientifica ma filosofica; e indimostrabile) così stanno le cose (e ovviamente la res cogitans non è per nulla pertinente rispetto alla res extensa, in particolare all' evoluzione biologica).
Naturalmente la lettera della mia asserzione non fa che riprendere polemicamente le tue parole invertendone il significato (dal rapporto fra res cogitans e res extensa anziché viceversa; o meglio: oltre che e nella stesso senso che viceversa); non è (in assoluto, "fuori dalla polemica") un modo molto felice (è un po' troppo caricaturale) di esprimere la mia convinzione, anche se non ne tradisce la sostanza.
 
 
 

Loris Bagnara ha scritto:

La mia è una richiesta di senso, lo so come rispondi alle mie richieste di senso, ma questa non è una domanda che riguarda il senso complessivo dell'universo, riguarda il senso di un porzione molto piccola dell'universo, di una porzione molto piccola di materia-pensiero... Se si sfugge anche in questo caso alla richiesta di senso, allora si può sfuggirne sempre, in ogni occasione e per qualunque fenomeno grande o piccolo dell'universo. Le ragioni stesse dell'atto conoscitivo verrebbero meno.

Rispondo:

Questo riguarda in generale i rapporti fra res cogitans e res extensa, è un aspetto fondamentale della (mia personale) ontologia, che può spiegare e spiega molte cose particolari ma non ha (né necessita di) spiegazioni (proprio come nell' ambito della res extensa le leggi fisiche spiegano i fatti particolari senza essere spiegate, né necessitare di essere spiegate da alcunché: "Hypotheses non fingo", Newton).
Ma la non pertinenza del concetto di "spiegazione", "ragione" o "senso" al contesto generale non impedisce affatto l' identificabilità di "spiegazioni", "ragioni" o "sensi" dei fatti particolari (che infatti sono offerti per l' appunto dal contesto generale, se non caotico, ma ordinato o "regolato").
 
 

 
Loris Bagnara ha scritto:
 
Inoltre, tu dici che la mente cosciente evolve nel suo piano. Ora, ciò che evolve, evolve da una condizione verso un'altra condizione. Nel caso della mente cosciente, qual è la condizione iniziale da cui parte e qual è la condizione finale (oppure la prossima condizione a cui arriverà, in una serie di condizioni infinite)? Ancora: è un'evoluzione che è un progresso, o è un vano girare in tondo senza meta? Naturalmente vorrei anche chiederti "perché?", ma evito...

Rispondo:

E fai bene!

"La mente "evolve" nel senso che muta, diviene: ora è occupata da un ragionamento deduttivo, ora dalla rievocazione di un ricordo, ora da una fantasia o una immaginazione creativa, artistica, ora da un desiderio, un sentimento, uno stato d' animo, ecc.
In un certo senso "è un vano girare in tondo senza meta (oggettiva, dimostrabile essere giusta o buona; men che meno soprannaturalmente impostale da chichessia)"; ovvero al perseguimento di mete arbitrariamente assunte, avvertite irrazionalmente, fatto che personalmente mi è da grande soddisfazione.
 
 

 
Loris Bagnara ha scritto:

Citazione
"[...] (le cui componenti "cogitantes" non sono misurabili nè intersoggettivamente verificabili, e conseguentemente non sono conoscibili scientificamente, per lo meno in senso "stretto" o "proprio")" (Sgiombo). 
Dici che la res cogitans non può essere oggetto di conoscenza scientifica perché non è misurabile né verificabile intersoggettivamente. Ma la misurabilità e la verificabilità intersoggettiva della res extensa avviene attraverso la mente cosciente, non per conto suo. Come mai, chiedo, la res cogitans non può compiere sul suo piano quella verifica intersoggettiva che compie sul piano della res extensa? Questa domanda è legata ad un altra: qual è il rapporto fra tutte le menti coscienti che esistono nel piano della res cogitans? Sono in relazione fra loro, nel loro piano? Oppure sono monadi incomunicabili?

Rispondo:

Che la verificabilità intersoggettiva della res extensa avvenga attraverso la mente cosciente, e non "per conto suo" mi pare del tutto ovvio.
Ed altrettanto che la res cogitans non possa compiere a proposito di se stessa quella verifica intersoggettiva che compie sul piano della res extensa: se io e te andiamo a Courtmaieur e guardiamo entrambi verso nord-ovest vediamo entrambi il monte Bianco; ma hai un bel guadare verso la mia testa e anche dentro, e mai vedrai in essa i miei pensieri, ma solo il mio cervello e le sue parti, e viceversa da parte mia verso di te.

Ritengo che una realtà in sé o noumeno (a la Kant; o "sostanza", a la Spinoza) sia necessaria proprio per spiegarlo: a determinati enti e/o eventi nel noumeno corrispondono determinate esperienze coscienti, in modo tale che ogni volta che una di tali entità o eventualità è in determinati rapporti con se stessa allora nella corrispettiva esperienza fenomenica cosciente accadono determinate sensazioni mentali (res cogitans), e ogni volta che una di tali entità o eventualità è indeterminati rapporti con altre, da sé diverse entità o eventualità (pure del noumeno) allora nella corrispettiva esperienza fenomenica cosciente accadono determinate sensazioni materiali (res extensa).
Per esempio se io (nell' ambito della mia esperienza cosciente) sto pensando a mia moglie e/o mio figlio (res cogitans) tu puoi (in teoria) constatare (nell' ambito della tua esperienza cosciente) che il mio cervello (res extensa) si trova in un determinato stato funzionale: alla stessa "entità noumenica con correlata coscienza" (per esempio  a me) corrisponde nella "sua" rispettiva esperienza cosciente una determinata res cogitans, nell' esperienza cosciente di un' altra, diversa di tali peculiari "entità noumeniche con correlata coscienza" corrisponde una determinata res extensa (un determinato stato funzionale cerebrale).
 
 
 

Loris Bagnara ha scritto:
 
Citazione
"L' assioma della chiusura causale del mondo fisico é imprescindibile perché possa darsene conoscenza scientifica (e infatti nessun "disegno intelligente" che non sia naturalmente tale, cioé dovuto ad esempio all' uomo, é compatibile con la conoscenza scientifica)" (sgiombo)
Perché darsi tanta pena per garantire la conoscibilità del piano materiale, se il prezzo da pagare è la totale inconoscibilità del res extensa, e una assoluta mancanza di senso?
Tanto più che questa insensatezza non è una necessità, ma una precisa scelta dell'impostazione assunta: con altre impostazioni, si può dare una risposta alla richiesta di senso, senza rinunciare in nulla alla conoscibilità del tutto.

Rispondo:

(Penso che si tratti di un lapsus e tu intenda la "non conoscibilità della res cogitans").

Perché a quanto pare agli uomini (in generale e a me personalmente in particolare) piace (anche) conoscere scientificamente la res extensa (disinteressatamente, come fine a se stessa, e inoltre per le possibili applicazioni tecniche come mezzi per conseguire fini; limitati e realistici, ovviamente). E a quanto pare questo genere di conoscenza non è possibile della res cogitans.
 
E' logicamente impossibile (non c'è possibile scelta di "impostazione" che tenga!) attribuire un senso alla realtà in toto (non esistendo per definizione alcunché d' altro oltre di essa, dunque in particolare "qualcosa che ne possa costituire il "senso"); si può attribuire un senso solo a una parte della realtà se essa è complessivamente ordinata e non caotica: il senso essendo la collocazione della parte nell' ambito dell' ordine complessivo, le sue "relazioni determinate (nell' ambito dell' ordine complessivo) con altre parti" che spiegano per l' appunto la sua "collocazione" (non necessariamente intesa in senso fisico – topografico, eventualmente anche in senso logico).
 

 
 
Loris Bagnara ha scritto

Citazione
"Non vedo alcuna "schiavitù" (concetto antropomorfo, non applicabile a mio avviso, se non in senso meramemnte metaforico, alla realtà extraumana), ma solo un determinismo (ovvero ordine del divenire), che per lo meno in una forma "debole", statistica - probabilistica é presupposto necessario (e indimostrabile: Hume!) della possibilità di conoscenza scientifica (in particolare della res extensa); e secondo me anche della valutabilità in termini di etica dell' agire umano" (Sgiombo).
Puoi anche non chiamarla schiavitù, ma nella tua concezione la mente cosciente scende in un corpo che non controlla, assiste ad un film che non ha deciso di vedere (cioè tutte le esperienze percettive della vita) e subisce anche le eventuali conseguenze negative (punizioni) di comportamenti assunti dal corpo che la ospita. Quanto all'etica, semplicemente sparisce: se l'agire umano è deterministicamente stabilito (o anche probabilisticamente stabilito), se il libero arbitrio non esiste... be', non c'è responsabilità morale: quel che accade, accade perché deve accadere.
 
Rispondo:

Perché invece tu credi forse di essere venuto al mondo per tua libera scelta, con le caratteristiche (che ti ritrovi) che tu liberamente ti sei scelto prima di esistere?
Assurdo! autocontraddittorio!
 
Se l'agire umano (libero da condizionamenti estrinseci: da non confondere con condizionamenti intrinseci: tutt' altra cosa!) è deterministicamente stabilito (o anche probabilisticamente stabilito) dal modo in cui si è (più o meno buoni oppure cattivi), se il libero arbitrio non esiste... be' è proprio per questo che c' è responsabilità morale: quel che si fa, lo si fa perché si hanno determinate qualità morali (più o meno buone o cattive; che dal modo di agire sono appunto dimostrate).
Se invece esiste il libero arbitrio, cioè il nostro agire non è determinato da come si è (caratterizzati da qualità morali più o meno buone o cattive) allora esso è (per definizione) casuale, fortuito: è conseguenza di come (e dimostra che) siamo più o meno fortunati o sfortunati, non più o meno buoni o cattivi; è eticamente irrilevante, insignificante
 
 
 

Loris Bagnara ha scritto

Citazione
"Le cose secondo me stanno in questi termini semplicemente perché stanno in questi termini" (Sgiombo).
Allora tanto valeva che il primo uomo che si è chiesto "Perché piove?", prendesse per buona la risposta del suo compagno: "Piove perché piove". L'uomo sarebbe ancora lì, a scheggiare pezzi di selce e a masticare pelli.

Rispondo:

Ma è proprio perché le cose stanno (o meglio: divengono) in generale nei termini in cui stanno che si possono spiegare i particolari, per esempio il fatto che piova.
 

 
 
Loris Bagnara ha scritto

Citazione
"Chiedersi il perché dalla totalità del reale non ha senso perché oltre ad essa non ci può essere altro [...]" (Sgiombo)
La "totalità del reale" è un'espressione fuorviante: cosa intendi, il nostro universo osservabile?
Allora, non sappiamo se il nostro universo è la totalità del reale: è la totalità dell'osservabile, ma è una cosa ben diversa.
Potrebbero esserci altri universi, e il nostro universo potrebbe essere semplicemente una parte di una totalità maggiore, un fenomeno anch''esso. E se è un fenomeno, non vedo perché non possa chiedermi le ragioni di quel fenomeno, esattamente come per tutti gli altri fenomeni.
(L'unica totalità rispetto a cui non ci può essere altro è la totalità di tutti i possibili "universi"... ma questo è il TUTTO di cui parla l'esoterismo, ad esempio il Kybalion.)

Rispondo:

Innanzitutto "totalità" e "parzialità" sono concetti ben diversi da "noumeno" e "fenomeni".
 
La totalità del nostro universo fisico osservabile è la totalità della res extensa; che non è la totalità del reale da noi conoscibile, perché questa include anche la res cogitans (e secondo me anche la cosa in sé).

La totalità di ciò che a noi è consocibile non è detto sia la totalità del reale: potrebbe esser reale (anche se non possiamo intendere compiutamente il senso di queste parole, inevitabilmente "oscure") anche altro di non conoscibile, analogamente a come si è rivelato esere reale (successivamente) altro (precedentemente ignorato) da ciò che precedentemente conoscevamo.

Per chiederti le ragioni del nostro "universo" (termine improprio perché letteralmente significa "il tutto") nell' ambito del metauniverso dovresti conoscere che esiste e come è il metauniverso (non mi pare proprio...); e allora (ammesso e non concesso), se il metauniverso fosse ordinato, potresti identificare le ragioni in esso del nostro "universo".
Ma allora non avrebbe alcun senso chiedersi il "perché?" (ricercare un senso, le ragioni) del "metauniverso" (la vera totalità del reale)...
 
Di esoterismo sono completamente digiuno (sono razionalista).
#3524
Citazione di: HollyFabius il 28 Aprile 2016, 14:04:40 PM
Leggendo e riflettendo sugli ultimi commenti mi chiedevo se non fosse razionale, per un materialista radicale, sostenere che la coscienza esista solo a livello percettivo. Tutto sommato mi sembrerebbe una posizione equipollente al pensare, da una posizione idealista radicale, che tutta la realtà sia contenuta al livello del pensiero. E mi pare pure equivalente ad una posizione panteista. Il tutto esiste e sta immanentemente lì, mutando illusorie qualità, derivate da una unica "sostanza" che per alcuni è materia, per altri è pensiero per altri ancora è spirito o sostanza divina.

Personalmente non sono un materialista radicale.

Inoltre ritengo che tanto la materia quanto il pensiero esistano solo a livello percettivo, ovvero siano reali unicamente in quanto percepite, costituite da collezioni o fasci  di sensazioni coesistenti/succedentisi nel tempo (esse est percipi).

Per Spinoza la sostanza non é né materia né pensiero (che ne sono "attributi" sensibili); essa è in sé e non appare (a noi uomini; per lo meno non direttamente) se non mediante questi due attributi (degli infiniti di cui é dotata); un po' come il noumeno kantiano.
E anche io personalmente (si parva licet!!!) penso che esista una realtà in sé in divenire corrispondente sia (in determinate circostanze) al pensiero, sia (in determinate altre circostanze) alla materia.
Mi sembra necessario ammetterlo per spiegare l' altrimenti per me incomprensibile (se non con una per me oscura leibniziana "armonia prestabilita", che non trovo convincente) intersoggettività del divenire materiale (indimostrabile ma necessario se é vera la conoscenza scientifica), e inoltre l' esistenza di lunghi lassi di spazio e di tempo (nell' ambito fenomenico materiale della realtà) senza organismi cui possa ragionevolmente ritenersi correlata un' esperienza fenomenica cosciente: "qualcosa" dovrà pur persistere in tali lassi di spaziotempo per spiegare la continuità del divenire materiale naturale nelle varie esperienze fenomeniche coscienti (allorché accadono) come ci dice accada la scienza .
#3525
Loris Bagnara ha scritto:

Vorrei approfondire le implicazioni di quanto affermi.

Se è vero che la mente cosciente non interferisce con la res extensa, cioè con il piano materiale, allora le azioni che un individuo compie non dipendono dalla mente cosciente, cioè non dipendono dalla volontà dell'individuo. Il nostro corpo, allora, agirebbe e si muoverebbe solo per conseguenza di altre cause che stanno nel piano materiale. Il libero arbitrio non esisterebbe.

Rispondo:

Fin qui, salvo l' affermazione "cioè non dipendono dalla volontà dell'individuo", per il resto sono perfettamente d' accordo (cioé hai esposto impeccabilmente quanto io personalmente -non tu ovviamente- penso).




Loris Bagnara ha scritto:

In altri termini, la mente cosciente dell'essere umano sarebbe solo il prigioniero testimone di un robot biologico, vivendo nell'illusione di poterne controllare (almeno in parte) le azioni.

Ne segue anche questa riflessione: la mente cosciente sarebbe un orpello perfettamente inutile, dato che il corpo agisce autonomamente in virtù di cause materiali.

Rispondo:

La descrizione del primo capoverso non mi piace, anche se potrebbe essere probabilmente compatibile con le mie convinzioni ("soggettivamente interpretate" non da me).

Quanto alla seconda affermazione, la mente cosciente sarebbe un orpello perfettamente inutile rispetto al cervello, dato che il corpo agisce autonomamente in virtù di cause materiali, esattamente quanto il corpo materiale e il cervello sarebbero  orpelli perfettamente inutili rispetto alla mente cosciente, dato che essa diviene altrettanto autonomamente secondo i modi sui propri (le cui componenti "cogitantes" non sono misurabili nè intersoggettivamente verificabili, e conseguentemente non sono conoscibili scientificamente, per lo meno in senso "stretto" o "proprio").




Loris Bagnara ha scritto:

Anche altrove hai parlato di "chiusura causale " del piano materiale: cioè, secondo tale assioma, tutto quanto avviene sul piano materiale ha una causa che sta nello stesso piano. E' l'assioma che porterebbe ad escludere ogni "disegno intelligente".

La mia conclusione, ovviamente, è una domanda: perché la mente cosciente dovrebbe scendere sul piano materiale ed essere sottoposta a questa sorta di impotente, ingannevole schiavitù?
Qualunque risposta è accettabile, tranne "la domanda è mal posta"...

Rispondo:

L' assioma della chiusura causale del mondo fisico é imprescindibile perché possa darsene conoscenza scientifica (e infatti nessun "disegno intelligente" che non sia naturalmente tale, cioé dovuto ad esempio all' uomo, é compatibile con la conoscenza scientifica).

La res extensa non é sotto (né sopra) alla res cogitans; entrambe sono e divengono nell' ambito delle esperienze coscienti.

Non vedo alcuna "schiavitù" (concetto antropomorfo, non applicabile a mio avviso, se non in senso meramemnte metaforico, alla realtà extraumana), ma solo un determinismo (ovvero ordine del divenire), che per lo meno in una forma "debole", statistica - probabilistica é presupposto necessario (e indimostrabile: Hume!) della possibilità di conoscenza scientifica (in particolare della res extensa); e secondo me anche della valutabilità in termini di etica dell' agire umano.

In questo senso, mi spaice tanto ma ritengo proprio che la domanda sia mal posta (vi ho comunque risposto).

Le cose secondo me stanno in questi termini semplicemente perché stanno in questi termini.
Chiedersi il perché dalla totalità del reale non ha senso perché oltre ad essa non ci può essere altro (in particolare dunque nemmeno una spiegazione di essa) per definizione; ci si può chiedere il "perché" di qualche parte del reale, se esso diviene ordinatamente secondo leggi causali.