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Messaggi - sgiombo

#3526

L' esistenza di altre coscenze non si può dimostrare logicamente in alcun modo (non c' è nulla di autocontraddittorio o assurdo nell' ipotesi che ogni altro uomo e animale sia uno zombi che parla e agisce ***come se*** fosse cosciente ma in realtà privo di cosacienza), né tantomeno mostrare, constatare empiricamente (ciò che si constata per definizione é parte della coscienza "propria").

Lo si può solo credere immotivatamente, letteralmente "per fede".

Ciò non toglie che in linea puramente teorica, di principio, artefatti cui corrispoonda (inidmostrabilmente tanto quanto negli altri uomini e aimali) una coscienza potrebbero essere costruiti (ma personalmente lo ritengo impossibile di fatto).


Il tutto é =  la somma delle parti (e ovviamente dlle relazioni fra le parti).

Per esempio un uomo vivo intero é = la somma delle sue membra, ovviamente nelle relazioni (spaziali, fisiche, chimiche, funzionali) che ne consentono il regolare funzionamento (non tagliate le une dalle altre e semplicemente accostate: queste sono = un cadavere).
#3527
Citazione di: maral il 25 Aprile 2016, 22:52:42 PM


Questa posizione corrisponde in ambito filosofico al radicale immanentismo razionale di Spinoza che lo sostiene in contrapposizione al dualismo cartesiano (che ha a lungo dominato la scienza stessa nelle sue forme più deleterie). La materia e lo spirito non sono enti autosussistenti in contrapposizione di cui si debba rivendicare la primarietà a seconda delle prospettive da cui ci si pone, ma sono semplicemente aspetti della medesima... materia: la materia esprime in sé lo spirito, esattamente come il corpo vivente esprime nei suoi meccanismi corporei la propria coscienza, non esiste una coscienza separata in sé, fuori dalla necessità della materia del corpo che vive.
Ritengo insostenibile il dualismo di tipo "cartesiano" in quanto implica interazioni causali fra materia e pensiero cosciente violando la chiusura causale del modo fisico che é imprescindibile dalla conoscenza scientifica (non é coerentemente sostenibile un dualismo "cartesiano" in concomitanza con la credenza nella conoscenza scientifica; alla quale non mi sento di rinunciare).

La concezione spinoziana del "pluralismo degli attributi (pensiero e materia, fra gli infiniti altri), monismo della sostanza (divina)" può naturalmente essere interpretato in più di un modo.

Personalmente non ritengo sostenibile (e nemmeno troppo fedelmente "spinoziana" ) la tesi per la quale "la materia esprime in sé lo spirito, esattamente come il corpo vivente esprime nei suoi meccanismi corporei la propria coscienza, non esiste una coscienza separata in sé, fuori dalla necessità della materia del corpo che vive"; per lo meno per come riesco a intenderla io (salvo eventuali ulteriori spiegazioni da parte tua).
Infatti per me i meccanismi corporei (neurofisiologici) non possono al loro interno contenere la coscienza: il cervello di uno che stia vedendo un bell' albero verdeggiante o che sia innamorato non contiene nessun albero (nulla di verde), né sentimento amoroso alcuno, ma solo determinati processi neurofisiologici (interessanti soprattutto il lobo occipitale nel primo caso; più diffusi e di localizzazione meno nota nel secondo) alla visione dell' albero o al sentimento di amore corrispondenti ma costituiti da tutt' altro: trasmissioni di impulsi lungo assoni di neuroni e attraverso sinapsi (macroscopicamente "roba grigio-rosea molliccia o gelatinosa"; microscopicamente molecole, atomi, particelle-onde subatomiche, ecc.).
La coscienza corrispondente (biunivocamente) ai processi neurofisiologici (e al loro divenire deterministico, in accordo con Spinoza) deve essere "da qualche altra parte", in un diverso "ambito ontologico"
#3528
Citazione di: Loris Bagnara il 26 Aprile 2016, 11:40:41 AM
Sgiombo ha scritto:
CitazioneQuesto a parte il fatto che, come ho già risposto a Loris Bagnara, quello del rapporto cervello/coscienza non é un problema scientidfico e non ha nulla a che vedere con l' evoluzione bologica: qualcuno o tutti gli animali (uomini compresi) che si osservano e sono comparsi per l' evoluzione biologica potrebbe anche essere in teoria uno zombi privo di coscienza e comportarsi esattamente allo stesso modo di come si comporta essendo dotato di coscienza, e non sarebbe assolutamente possibile accorgersene in alcun modo; e l' evoluzione biologica non sarebbe mutata di una virgola!
Risposta di Loris Bagnara:

Questo si può affermare solo al prezzo di trascurare il fatto incontrovertibile che l'intera evoluzione della specie umana è la storia di un progressivo trasferimento di funzioni dal corpo alla mente, tanto che se oggi riducessimo l'intelligenza umana a quella dei nostri cugini antropoidi, la specie umana sparirebbe nel giro di poche settimane.

L'uomo ha "rinunciato" al pelo e ha perduto gran parte della sua resistenza naturale alle intemperie, perché ha imparato a vestirsi e a riscaldarsi. Ha perduto forza fisica, denti e artigli perché ha imparato a costruirsi strumenti e armi. Ha modificato la laringe per poter parlare e comunicare, divenendo così l'unico animale che può soffocare mangiando.
E la lista potrebbe continuare a lungo.

L'evoluzione umana è la prova che la coscienza e l'intelligenza non possono essere escluse dalla evoluzione biologica nella sua globalità.
A meno che non si voglia porre una distinzione fra "comportamento intelligente" e "intelligenza autocosciente" vera e propria: anche uno zombi biologico potrebbe comportarsi in maniera apparentemente intelligente, pur essendo privo di reale autocoscienza. Quindi, si potrebbe in teoria affermare che l'evoluzione biologica potrebbe aver prodotto il comportamento intelligente nella specie umana, ma che l'intelligenza autocosciente comunque proverrebbe da un'altra dimensione e si sovrapporrebbe all'intelligenza "biologica", aderendovi perfettamente... Chi è soddisfatto di una soluzione del genere, alzi la mano.
CitazioneReplica di Sgiombo:

Per me il fatto che "l'intera evoluzione della specie umana è la storia di un progressivo
trasferimento di funzioni dal corpo alla mente" lungi dall' essere incontrovertibile è falso.
La biologia, in quanto scienza naturale, si occupa del divenire del mondo materiale – naturale e non dei rapporti fra mondo materiale – naturale, e in particolare sistemi nervosi centrali nel suo ambito, da una parte, ed esperienze coscienti ai sistemi nervosi centrali "correlate" e biunivocamente corrispondenti nel loro divenire dall' altra, che è un problema letteralmente "eccedente le scienze naturali", filosofico (nota bene: é filosofico e non scientifico il problema dei rapporti o relazioni ontologiche fra di essi, quello dell' "interpretazione" o "comprensione della natura" di tali corrispondenze, non quello dell' individuazione delle loro corrispondenze così come di fatto accadono e si verificano: invece quest' ultimo é un problema scientifico per lo meno "in avanzato stato di risoluzione").

Nell' evoluzione della specie umana si potrà casomai osservare (fra l' altro, non unicamente) un progressivo trasferimento di funzioni dal resto del corpo al cervello, che dirige i comportamenti umani e non all' esperienza cosciente; la qualeaccompagna il funzionamento del cervello (quest' ultimo reale all' interno di altre, diverse esperienze coscienti, anche se per lo più solo potenzialmente o indirettamente); cervello e comportamento da esso diretto che sarebbero del tutto indistinguibili da quelli che sono anche se non fossero accompagnati dall' esperienza cosciente (la quale, contrariamente al cervello e al suo funzionamento, e ai comportamenti che ne sono diretti, governati, é per l' appunto del tutto irrilevante per l' evoluzione biologica, non c' entra per nulla).

Infatti sono due cose reciprocamente distinguibili (e che in linea di principio potrebbero anche non "andare di pari passo") il "comportamento intelligente" e l' "autocoscienza intelligente" vera e propria: anche uno zombi biologicopotrebbe comportarsi in maniera intelligente, pur essendo privo di reale autocoscienza. Quindi, si può (e si deve) affermare che l'evoluzione biologica potrebbe aver prodotto (ed ha prodotto) il comportamento intelligente nella specie umana, ma che l' intelligenza autocosciente comunque no. In un certo senso si può dire che essa appartiene a un'altra dimensione (preferisco dire "piano ontologico" o "ambito della realtà"; ma comunque non contano le parole ma i significati che vi si attribuiscono di comune accordo convenzionalmente) che coesiste (-rebbe) all' intelligenza "biologica", trascendendola (non comunicando e interagendo con essa) e corrispondendovi perfettamente...

Chiedi: "Chi è soddisfatto di una soluzione del genere, alzi la mano".

Alzo la mano!
E non pretendo che altri lo siano, mi basta illustrare loro le mie convinzioni.
Anche se domando a mia volta: chi ha altre proposte altrettanto o più compatibili con la chiusura causale del mondo fisico (indispensabile alla conoscenza scientifica) e con la corrispondenza che le neuroscienze dimostrano sempre più convincentemente fra determinati stati funzionali di determinati cervelli e determinati stati di coscienza nell' ambito di determinate esperienze fenomeniche coscienti (diverse da quelle degli osservatori di tali cervelli) me lo faccia sapere.
 
#3529
A Davintro

Non concordo (ma potrebbe anche darsi che si tratti solo di intendersi sul significato che diamo alle parole) con la concezione del "caos, inteso come conflitto tra agenti causali rivolti ad effetti opposti, nel quale gli agenti dotati di maggior forza si impongono su quelli più deboli e danno alla storia una certa direzione" : per me questo non é caos ma ordine, solo "non semplice, ma particolarmente complesso"; caos sarebbe un mutamento non riconducibile a cause universalmente e costantemente agenti ciascuna in un determinaro modo (con determinati effetti), sia pure fra loro interagenti in un intreccio complesso e di fatto non calcolabile (ma in linea di principio sì), imprvedibile di fatto ma non disordinato, .
In questo caso si dà prevedibilità degli eventi (almeno in linea teorica, di principio; di fatto può essere impossibile in caso di eccessiva complessità e limitata conoscenza dei temini in gioco), e cioé, purché si abbia adeguata conoscenza della situazione a un determinato tempo assunto come "iniziale", c' é la necesità teorica di pensare che gli eventi accadano così come accadono e non altrimenti: Invece nel caso di mutamento caotico non c' é alcuna necesità teorica  (né possibilità, se non per puro caso) di pensare che gli eventi accadano coasì come accadono e non altrimenti.
Quindi a mio parere la questione della necessità o meno (di pensare gli eventi futuri compatibilmente con la conoscenza dei presenti) si identifica con quello dell' ordine o caos nel loro accadere e suseguirsi.

Questo però solo in linea puramente di principio.
Ma concordo che "Si può dire che [in caso di divenire ordinato, causalmente determninato] la possibilità di ammettere come realmente possibili scenari alternativi a quelli realmente accaduti, ucronie varie, sia una possibilità [di fatto] che è tale quanto più la nostra conoscenza razionale della storia sia limitata. La conoscenza razionale è un "sapere di cause", e quanto più attribuiamo cause agli effetti che osserviamo quanto più dobbiamo limitare le possibilità di pensare alternative che sarebbero potute ragionevolmente accadere...".
Si tratterebbe per me comunque di una possibilità meramente illusoria, conseguente la limitata conoscenza e "calcolabilità di fatto" dei fattori in gioco.
Ed effettivamente (in questo preciso e correggo quanto scritto nel precedente intervento grazie alla sollecitazione della tua osservazione critica) oggettivamente o si dà ordine (= necessità, prevedibilità almeno teorica, in linea di principio; che potrebbe essere solo statistica in insiemi numerosi di eventi o anche dei singoli eventi a secofìda dei casi) oppure si dà disordine (imprevedibilità, possibilità di prevedere come possibili diverse alternative): tertium non datur.
Ritengo infatti il coesistere dialettico, l' "interagire in qualità di contrari" di ordine-necessità e di disordine-possibilità nella storia in ultima analisi solo soggettivo, apparente all' umanità (individui, classi sociali, popoli, ecc.), che nel porsi i suoi scopi é condizionata dai limiti invalicabile delle sue conoscenze dei fattori in gioco.
Ma la possibilità umana di conoscere fattori in gioco in generale é sempre limitata e in particolare nella storia é sempre limitatissima; e questo consente la possibilità di prevedere di fatto e di agire per più possibili esiti alternativi (anche se non in numero illimitato, come sarebbe al limite in caso di caos) degli eventi in corso.


La questione "sintesi" o "elastico" fra necessità o possibilità nella storia mi sembra puramente terminologica Ovvio che alternanza e coesistenza di bianco e di nero sono diversa cosa da grigio; ma dicendo che nella storia convivono elementi di prevedibilità e di imprevedibilità (di fatto, dal punto di vista umano soggettivo)  non intendevo dire che esiste un' impossibile condizione che sta alla prevedibilità e all' imprevedibilità come il grigio sta al bianco e al nero, ma casomai come la coesistenza di parte di bianco e di parte di nero (diciamo la maglia della Juventus) sta al solo bianco "tinta unita" e al solo nero "tinta unita"; fuor di metafora, alcuni eventi ed aspetti e circostanze di eventi della storia umana sono di fatto prevedibili (bianchi), altri no (neri), nessuno é contraddittoriamente prevedibile-imprevedibile (grigio).
Resta il fatto che se si dà ordine si dà necessità oggettiva e la possibilità, il libero arbitrio é solo illusorio. E tuttavia reale in quanto illusione nell' agire umano per la limitatezza delle conoscenze possibili di fatto e dunque l' esistenza di possibili alternative di fatto pensabili e desiderabili, per le quali agire.
#3530
Citazione di: anthonyi il 25 Aprile 2016, 19:28:17 PM
quando la nostra intelligenza diventa introspezione, interiorità e non si interessa più delle realtà ambientali, ci rende più deboli sul piano evoluzionistico. Questo è uno dei tanti caratteri umani che è difficile spiegare come prodotti da una selezione naturale.
Ora supponiamo di dare per giusta la teoria Darwiniana per tutte le specie, verrebbe fuori un'eccezione, la specie umana, sarebbe solo da spiegare perché quest'ultima fa eccezione ...


Innanzitutto é tutta da dimostare l' affermazione che "quando la nostra intelligenza diventa introspezione, interiorità e non si interessa più [immediatamente e direttamente, N.d.R.] delle realtà ambientali, ci rende più deboli sul piano evoluzionistico".



E (comunque anche ammesso e non concessdo) le corna dei cervi e di tantissimi altri mammiferi maschi???
E le piume caudali dei pavoni e di tanti altri uccelli maschi???

Nessuna eccezione, casomai la regola!

Per la quale la selezione naturale non elimina tutti tranne i "superadattatissimi" (a un ambiente che prima o poi muta rendendoli "superinadattatissimi"), ma elimina solo gli "eccessivamente inadatti".



Questo a parte il fatto che, come ho già risposto a Loris Bagnara, quello del rapporto cervello/coscienza non é un problema scientidfico e non ha nulla a che vedere con l' evoluzione bologica: qualcuno o tutti gli animali (uomini compresi) che si osservano e sono comparsi per l' evoluzione biologica potrebbe anche essere in teoria uno zombi privo di coscienza e comportarsi esattamente allo stesso modo di come si comporta essendo dotato di coscienza, e non sarebbe assolutamente possibile accorgersene in alcun modo; e l' evoluzione biologica non sarebbe mutata di una virgola!
#3531
CitazioneRispondo a Davintro:

Si, abbiamo due concezioni in buona parte diverse della scuola.
Nella mia (purtroppo lunga: sono vecchio) personale esperienza ho "spontaneamente" trovato soprattutto "fuori dalla scuola", nelle "comuni esperienze di vita", stimoli a pormi i problemi fondamentali della vita e a cercarne soluzioni, mentre la scuola mi ha dato interessantissimi e utilissimi spunti teorici per affrontarli, anche e soprattutto con lo studio della storia della filosofia; e probabilmente le mie convinzioni in proposito ne sono fortemente influenzate.

Trovo incoerente il concetto di un fine della storia che può anche essere non cosciente: l' ipotesi che che il corso degli eventi sia scandito da una logica che li governi che  però non ha coscienza di sè e della meta da raggiungere, di modo che in questo caso la logica si costituirebbe non come "mente", "soggetto personale", ma più propriamente "ritmo", "sequenza immanente al processo che lo scandisce dall'interno", "schema".
Per me uno scopo è intenzionale e necessariamente cosciente per definizione, un' autentico finalismo non può identificarsi con una logica che governi gli eventi storici la quale però non ha coscienza di sè e della meta da raggiungere (un po' come l' evoluzione biologica, mutatis mutandis ovviamente: un processo non finalizzato o "disegnato" per dirlo con i retrogradi, ma nemmeno caotico, bensì "strutturato", limitatamente regolato; nella fattispecie dalla selezione naturale operante sulle mutazioni genetiche casuali).
Altra cosa che un finalismo (comunque declinato) é
una logica immanente impersonale, un ordine oggettivo, uno "schema" nella successione degli eventi almeno in parte conoscibile e in misura ancora minore "praticamente dominabile" per scopi umani coscienti, per l' appunto sulla base della sua limitata ma possibile conoscenza.

Per me è logicamente possibile e di fatto reale un corso della storia non fatalmente necessario e inesorabile e nemmeno assolutamente disordinato, caotico, bensì (tertium datur!) "delimitato" in ogni fase da un ventaglio più o meno ampio (ma non illimitato) di possibili sviluppi alternativi (anche regressivi rispetto a quanto "fino ad allora percorso"); e la direzione di fatto seguita nell' ambito di questo ventaglio limitato di possibilità oggettive è frutto delle soggettive scelte umane che di volta in volta si impongono (determinate in ultima istanza dalla lotta di classe).
L' umanità in generale e in ogni fase particolare della sua storia a davanti ha sé un cammino (discretamente ma non rigorosamente definito) di progresso possibile ma anche di regresso (e oltre un certo grado di fatto già raggiunto dello sviluppo delle forze produttive sociali di autodistruzione): dipende da lei quale "destino" darsi.

Invero non mi sembra in questo di discostarmi molto da quanto affermi in conclusone del tuo intervento su questo argomento (a mio parere con dubbia coerenza rispetto a tutta l' argomentazione che lo precede): esiste la situazione di miscuglio delle due componenti che si potrebbe definire come "ordine imperfetto", ma comunque cosmo e caos sono due polarità opposte che tirano in direzioni opposte una sorta di "elastico" che sarebbe la storia (per dirlo un p' più elegantemente "a la Hegel", una sintesi dialettica fra necessità e determinismo -tesi- libertà e disordine -antitesi-).
#3532
CitazioneLoris Bagnara ha scritto:
 
Proprio per il principio del rasoio di Occam, perché non sbarazzarsi di tutti gli attributi tranne l'unico veramente indispensabile? Si può derivare la materia dalla coscienza; il contrario, invece, non si può fare (ed è questo lo scoglio sui cui naufraga un evoluzionismo riduttivista, che proprio per questo motivo è costretto a sminuire la coscienza a epifenomeno - l'effetto collaterale di un vasto quanto assurdo turbinare di fenomeni insignificanti).
La domanda è sempre quella, quella che "è mal posta" ( 
                  ): perché due attributi (res cogitans e res extensa) e non tre, quattro, cento, o mille etc? E, inoltre, perché tutto ciò esiste?


Rispondo:

Innanzitutto apprezzo lo spirito con cui stiamo ragionando: non per convincerci reciprocamente (men che meno per lanciarci reciproche scomuniche) ma per informarci su opinioni e credenze non necessariamente da abbracciare (men che meno integralmente) ma comunque interessanti da conoscere, anche perché stimolanti ulteriori considerazioni e affinamenti delle convinzioni di ciascuno di noi: credo che questo sia lo "spirito" del presente forum.
 
 
Secondo me sia la materia che il pensiero (del tutto parimenti, con il medesimo "grado di realtà", fenomenico) fanno parte della coscienza.
E l' evoluzionismo riduttivista, cui aderisco, semplicemente non prende in considerazione la coscienza, che non fa parte (dell' ambito) della realtà cui si applica come teoria.
Ritengo che non sia possibile sbarazzarsi dei fenomeni materiali e mentali per il fatto che se ne constata empiricamente l 'esistenza: le sensazioni "extensae" e "cogitantes" accadono e non si possono "cancellare dalla realtà".
Mentre ritengo indispensabile l' esistenza della "cosa in sé" per spiegare (in mancanza, almeno di fatto, di altre ipotesi in grado di farlo meglio) l' intersoggettività del divenire della res extensa (indimostrabile, che credo fideisticamente; e che è indispensabile alla conoscenza scientifica) e i rapporti di corrispondenza biunivoca che la neurologia dimostra fra il divenire della materia e della mente cosciente: non c'è una determinata esperienza cosciente (nella mente di un "osservato") senza un determinato processo neurofisiologico in un determinato cervello e solo quello (nell' ambito, almeno potenzialmente, o di fatto al solito indirettamente, delle esperienze coscienti di "osservatori"), e (almeno potenzialmente, e di fatto al solito indirettamente) viceversa.
E questo malgrado lunghi intervalli di tempo nei quali non esistono né i fenomeni materiali (le sensazioni, anche solo potenziali e indirette, del cervello dell' "osservato" nell' ambito delle esperienze coscienti degli "osservatori"), né (ancor più lunghi) i fenomeni mentali (esperienze coscienti dell' "osservato"); intervalli di tempo nei quali qualcosa di reale (per definizione non fenomenico, non apparente sensibilmente ma "in sé" o meramente congetturabile) deve pur continuare ad esistere, perché il tutto sia comprensibile.
 
 
Sul "perché [di fatto; come empiricamente constatato] due attributi (res cogitans e res extensa) e non tre, quattro, cento, o mille etc? E, inoltre, perché tutto ciò esiste?" la mia convinzione è sempre quella della risposta # 54.
 


Loris Bagnara ha scritto:

Esiste però una cosa come il buon senso, e l'intuito, e la chiarezza mentale, e la genuinità delle domande che sgorgano dal nostro profondo. A quelle bisogna dare ascolto.
 

Rispondo:

Con questo concordo, aggiungendo che in secondo luogo bisogna anche cercare di trovarvi risposte (e per quanto mi riguarda il più razionalmente possibile).
 



Loris Bagnara ha scritto:
 
maral, all'inizio sembri accettare come legittima l'adozione del postulato dell'agente intelligente.
Poi, evidentemente, qualcosa si ribella dentro di te e scatta il riduzionismo. Infatti, sintetizzando le tue parole conclusive:
- l'esistenza dell'agente intelligente è indimostrabile
- se anche esistesse, non sarebbe esplorabile.
Ergo, l'agente intelligente non esiste. O meglio, mi comporto come se non esistesse. E' questa la conclusione implicita.
Ancora una volta si ricade nella visione che esiste solo ciò che è esplorabile dalla scienza: ciò che non è esplorabile, non esiste. Ma questo sì che è un limite legato all'osservatore: la scienza è uno strumento che l'uomo si è costruito. Se cambia l'osservatore, cambia lo strumento e si allarga o restringe il perimetro del conoscibile. Qual è l'universo di un lombrico? E quale sarebbe l'universo di una creatura ancora più complessa dell'uomo?
Eppure la verità è sempre lì, identica a sé: non può certo allargarsi o restringersi in funzione del faro che tenta di illuminarla.

 

Rispondo:

(Evidentemente espongo le mie brevi considerazioni perché stimolato da queste parole senza pretendere di sostituirmi a Maral, che probabilmente replicherà diversamente; d' altra parte credo che la discussione sia più interessante se favorisce l' esposizione di più punti di vista sulle questioni affrontate; fine della sviolinata: perdonatemi, mi è venuta spontanea e sincera).
 
In proposito è anche mia convinzione che non esiste solo ciò che è esplorabile dalla scienza e che non è vero che ciò che non è esplorabile, non esiste.
Ma (non essendo monista, contrariamente a te) credo che comunque nell' ambito materiale naturale della realtà esiste (e diviene) solo ciò che è esplorabile dalla scienza: la materia.
Secondo me la mente cosciente è reale su un altro "piano ontologico" e non interferisce con la res extensa: esplorando la natura materiale non la si incontra come sua componente o parte integrante (assumendo l' atteggiamento di dubbio metodico cartesiano non si può non ammettere che alcuni o anche tutti gli uomini e animali che ciascuno di noi percepisce, con i loro comportamenti più o meno intelligenti, potrebbero anche essere dei meri zombi privi di coscienza senza che nulla cambi nel mondo naturale materiale, senza alcuna possibilità di accorgercene).
#3533
CitazioneDavintro ha scritto:
 il punto è che nel mio post di apertura c'èra anche un sottofondo polemico verso un certo modo di discutere di filosofia, dominato dal citazionismo: cioè pensare che la verità di una tesi filosofica dipenda dal consenso degli autori del passato invece che dal corrispondere alla realtà oggettiva delle cose, capita, nei contesti accademici, di assistere a discussioni filosofiche che finiscono solo con l'essere con un'esposizione di citazioni di autori "Nietzsche ha detto che..." "Sì, ma Hegel ha detto che..." senza  argomentare in modo logico le proprie posizioni. Questo è dogmatismo. Invece che portare argomenti che possano razionalmente convicere l'interlocutore si cerca di "intimidirlo" (ed è un atteggiamento molto spiacevole che purtoppo il più delle volte mi sono trovato a subire e che fa soffrire...) citando autori che si presume lui non abbia mai letto dando per scontato che la verità di un discorso sia data quantitativamente dla numero di libri o autori che appoggiano quel discorso. La discussione filosofica finisce col diventare una gara a chi riesce a portare più esempi di autori che sostengono il proprio punto di vista. Questo io contesto. Il riferimento agli autori non deve scomparire ma penso dovrebbe, in sede di discussione teoretica, essere messo in secondo piano rispetto all'analisi logico-deduttiva e dialettica tra i concetti. Gli strumenti fondamentali del filosofare sono l'esperienza diretta delle cose stesse e l'argomentazione logica. Il modello di insegnamento della filosofia che provavo a sostenere è quello tipicamente socratico che emerge in alcuni dialoghi platonici. Socrate non citava autorità per giustificare le sue tesi, non imponeva ex-cathedra le sue idee, ma dialogava con loro in modo paritario stimolando dubbi che spingevano gli interlocutori a ripensare, rimettere in discussione le loro illusorie certezze approfondendo il discorso fino a raggiungere una visione dell cose più razionale rispetto a quella di partenza. Il docente di filosofia dovrebbe essere, socraticamente, una guida per gli studenti che attraverso il dialogo presenta loro diverse possibilità di modelli interpretativi di risoluzione dei problemi fondamentali aiutandoli attraverso la logica a comprendere le implicazioni conseguenti ad ogni singola assunzione di un certo modello: esempi "in cosa consiste la distinzione tra idealismo e realismo" "quali sono le implicazioni conseguenti all'assunzione di un'etica teista", " e le implicazioni teoretiche di un'ontologia materialista e di una visione della natura meccanicista". E queste implicazioni non devono necessariamente identificarsi con gli effettivi sviluppi storici che si sono realizzati nel passato a partire da quelle premesse, ma aperte anche a conclusioni originali che nascono in seno alle discussioni. Non si dovrebbe tanto trasmettere un sapere ma aiutare attraverso una palestra dialettica di continui ragionamenti e discussioni a sviluppare una forma mentis utilizzabile poi da ciascuno, se vorrà,  a risolvere autonomamente i vari problemi filosofici. Potrebbe essere tutto questo una possibilità costruttiva?
 
Rispondo:
Perfettamente d' accordo con le considerazioni sul "citazionismo".
Meno sulle considerazioni "didattiche".
Continuo a preferire un insegnamento scolastico della storia della filosofia, mentre ritengo che la ricerca filosofica "diretta", per chi ne sente l' esigenza e nella misura in cui è sentita da ciascuno, trovi una sede migliore nella "vita in generale" di ciascuno: educazione familiare, frequentazioni amicali, esperienze di vita, letture personali, partecipazioni a eventi culturali, ecc.
Anche frequentazione di forum come questo!
 
 

Davintro ha scritto:
Questa idea della storia come progresso implicherebbe l'idea della storia come svolgimento di una logica, di un ordine che la governa, orienta il suo divenire ma che di per sè si afferma come logica e ordine immutabile, un'immutabilità che governa il mutabile verso il progresso, verso un fine... e la filosofia che riconosce tale logica è un sapere dell'immutabile. La visione della storia come progresso non è una visione, dal punto di vista formale, storica, ma sovratemporale, teologica, escatologica o altrimenti il divenire, lasciato a se stesso, assolutizzato, sarebbe solo caos, non progresso..., secondo me.
 
Rispondo:
Ritengo che non necessariamente l' "idea della storia come progresso implicherebbe l'idea della storia come svolgimento di una logica, di un ordine che la governa, orienta il suo divenire ma che di per sè si afferma come logica e ordine immutabile, un'immutabilità che governa il mutabile verso il progresso, verso un fine".
Mi sembra che la storia umana possa (come mera potenzialità, non inesorabilmente, fatalmente) evolversi non "caoticamente" e in modo assolutamente imprevedibile e "ingovernabile" bensì secondo alcune caratteristiche relativamente costanti e "parzialmente, relativamente vincolate" (in qualche misura studiabili e "applicabili praticamente"), ma non in quanto guidata da un fine cosciente che trascenda dei naturali (e culturalmente declinati) scopi umani immanenti, semplicemente per una caratteristica di fatto della sua natura (la naturalissima e non "teleologicamente scelta da nessuno", per quanto peculiarissima, sua natura di  "specie animale culturale").
 
Davintro ha scritto:
Realista è chi sostiene l'indipendenza dell'esistenza delle cose reali dal fatto che ci sia una mente che le pensa, sostiene l'autonomia della realtà, ma senza specificare se la realtà di cui si parla sia materiale o immateriale...
 
Rispondo:
 
Penso che anche ammettendo il solispsismo, la realtà della sola esperienza cosciente immediatamente esperita ("da ciascuno", scriverei se non fosse contraddittorio, sottintendendo la realtà anche di altre), si potrebbe distinguere tra un certo relativo "realismo" per il quale l' accadere di sensazioni è indipendente dalla conoscenza –eventuale- di esse (dall' accadere della sensazione dl predicato –vero- del loro accadere; o meno: potrebbero essere reali anche senza essere pensate) da un' alternativa difficilmente definibile ("iper-idealismo"?) per la quale l' accadere della conoscenza delle sensazioni (la sensazione della predicazione di sensazioni predicanti l' accadere di altre sensazioni) fosse condizione necessaria dell' accadere delle sensazioni conosciute (pertanto non reali se non unicamente in quanto pensate).
 
Mi scuso per la pignoleria.
#3534
Citazione di: Loris Bagnara il 23 Aprile 2016, 17:05:09 PMHa poco senso una discussione in questi termini. In primo luogo perché occorrerebbe prima intendersi sul significato delle parole stesse, poiché probabilmente ciascuno di noi intende il razionale e l'irrazionale un po' diversamente dagli altri. E poi, oltre al significato, c'è il connotato: spesso il termine "irrazionalista" viene lanciato in senso dispregiativo, come se tale qualifica dovesse inficiare la qualità di quel pensiero. In verità qualcuno potrebbe perfino andare fiero di esprimere un pensiero irrazionalista, anziché "angustamente" razionalista, e in certi periodi storici è stato proprio così.
Quindi lasciamo stare quella diatriba e andiamo al nocciolo della questione, che secondo me sta come segue.

Se siamo su questo forum vuol dire che tutti siamo interessati alla verità, no?
E credo che siamo tutti d'accordo che la scienza (intesa in senso tradizionale) può indagare solo in parte la Verità; cioè, esistono parti della Verità che la scienza può illuminare solo debolmente oppure per nulla.
Quindi, esistono due porzioni della Verità: una accessibile alla scienza, l'altra no.

Ora, i ricercatori della Verità (cioè tutti noi) si dividono in due categorie: quelli che si limitano alla prima porzione, e quelli che aspirano a tutta la Verità. Tutto qui. L'unica differenza vera è che i secondi hanno necessità di un senso, di un perché; i primi no, i primi questa esigenza non la sentono.
E' chiaro che i secondi, per coronare le proprie aspirazioni, dovranno utilizzare altri strumenti, che non sono quelli propri della scienza; ma non si può fare diversamente, se si vuole illuminare tutta la Verità.

Non c'è nulla di male in questa divisione. Ognuno si comporta e pensa sulla base di quello che sente nel suo intimo.
Tuttavia, accade spesso che i primi, quelli che restano nei confini illuminati dalla scienza, si costruiscono dei paradigmi mentali in base quali qualunque domanda che miri a indagare la porzione della verità nascosta, "è mal posta", "è priva di senso" ecc. Quando semplicemente è che a tale domanda essi non sanno dare risposta con i propri strumenti. Dovrebbero semplicemente dire: "non so rispondere". O anche: "questa parte della Verità non mi interessa".

Io credo che la finezza di un intelletto si vede ancor più nella capacità di sentire l'urgenza di certe domande, di dubitare, che nella capacità di dare risposte.

Si, qualcuno potrebbe del tutto legittimamente perfino andare fiero di esprimere un pensiero irrazionalista, anziché "angustamente" razionalista; e invece qualcun altro potrebbe del tutto legittimamente perfino andare fiero di esprimere un pensiero razionalista, anziché "angustamente" irrazionalista: questo secondo é il mo caso.

Personalmente sono convinto che la scienza può indagare solo in parte la verità; cioè, esistono verità che la scienza non può illuminare per nulla (quelle relative alla "res extensa" e ai suoi rapporti con la "res cogitans").
Ma c' é anche chi (a mio parere sbagliando) ritiene che esistano solo le verità scientifiche (ovvero che siano possibili soltanto le conoscenze vere ottenute dalla scienza).

Non mi pare di avere costruito nessun artificioso "paradigma mentale" per dimostrare che la domanda (che anche io mi sono posto a mio tempo) sul "perché la realtà (in toto) sia così com' é (includente, fra l' altro, la mia esistenza) e non diversamente (magari costituita da nulla) é mal posta, senza senso; ma invece solo un sobrio e pacato ragionamento che lo dimostra (nella risposta # 54 di questa discussione). Puoi naturalmente non condividerlo, ma non negarne l' esistenza, né attribuirmi il fatto di non sapervi rispondere (sia pure magari scorrettamente, erroneamente secondo il tuo parere ) o il fatto che "questa parte della verità non mi interessa".

Io credo che la finezza di un intelletto si vede a volte ancor più nella capacità di sentire l'urgenza di certe domande, di dubitare, che nella capacità di dare risposte, altre volte nella capacità di dare risposte corrette.
#3535
Citazione di: Loris Bagnara il 23 Aprile 2016, 17:05:09 PMLoris Bagnara ha scritto:
Premetto che non intendo esporre una critica esterna, ma fare solo un ragionamento sulla coerenza interna di quanto sopra riportato.

A) Si afferma l'esistenza di "un'unica sostanza divina". Parola chiave: unica.
B) Poi si dice che questa sostanza "si manifesta in infiniti attributi reciprocamente trascendenti". Parola chiave: trascendenti.
Le due affermazioni non stanno insieme.
Se si afferma che la realtà è unica, la molteplicità della manifestazione è illusoria e non sussiste trascendenza di una parte rispetto all'altra.
Se si afferma invece che esistono realtà trascendenti, allora non sussiste una realtà ultima unica.

Poi osservo che, sostanzialmente, anche questa soluzione derivata da Spinoza non si discosta dall'occasionalismo: è pur sempre Dio a farsi garante della coerenza reciproca degli infiniti attributi trascendenti.

Infine, osservo questo. Se si giunge ad ammettere l'esistenza di un'unica sostanza divina, per quale motivo essere poi fermamente contrari a qualunque idea di un ordine universale, di un finalismo, di un "disegno intelligente"? Che ci sta a fare la sostanza divina? A quel punto si può fare tranquillamente a meno di tale ipotesi. Tutto sommato, mi parrebbe più coerente (ma non la condivido) l'ipotesi secondo cui esiste solo la materia, e la coscienza è un'illusione prodotta dalla materia.


Rispondo:


Scrivendo che Salvo applicare da parte mia il rasoio di Ockam agli altri infinti -2 attributi, lo trovo molto convincente sono forse stato un po' troppo nel vago e "filospinoziano" e ti ringrazio perché con il tuo intervento mi dai occasione di fare alcune precisazioni.
Pur essendo comunque un grande ammiratore (fra gli altri) di Spinoza, non sono uno "spinoziano".
Lo citavo, insieme agli occasionalisti, semplicemente per segnalare che una considerazione della res extensa e della res cogitans come reciprocamente separate e trascendenti e divenienti per così dire "in parallelo" su diversi piani (diversamente dal classico dualismo "interazionista" cartesiano facilmente criticato da tutti i monisti materialisti) non è qualcosa di strampalato e ha illustri precedenti.
Per me esiste una realtà "in sé", non percepibile e non percepita, che spiega la relativa costanza del divenire dei fenomeni (realtà sensibile) mentali e materiali malgrado la loro discontinuità (posso evocare ripetutamente svariati ricordi a distanza di tempo nel quale non ci penso; e a tratti –sonno senza sogni- il divenire dei miei pensieri e delle mie sensazioni materiali è per così dire "sospeso"; ma tra una pausa e l' altra ha un andamento discretamente coerente: come una casa che vedo discontinuamente perché c' davanti una torre, ma c' é una continuità reale fra le due parti che percepisco come reciprocamente discontinue); nonché l' intersoggettività (indimostrabile ma necessaria alla conoscenza scientifica) dei fenomeni materiali. Per me questa realtà congetturabile ma non sensibile (alla greca e a la Kant "noumeno") non è certo "divina" (è noumenica –congetturabile- e non fenomenica –apparente, sensibile- "e basta").
Ma anche il panteismo di Spinoza e il carattere "divino" della sua "sostanza" (col quale non concordo) sono qualcosa di ben diverso di una banale credenza in un Dio personale e dotato di libero arbitrio (libero arbitrio da lui fra l' altro chiaramente e fermamente negato).
 
Venendo a ciò che più conta, non vedo come non possano stare insieme con perfetta coerenza una realtà congetturabile e non scientifica unica e due realtà apparenti o sensibili, fenomeniche, tutte reciprocamente trascendenti e in divenire "parallelo", biunivocamente corrispondente "su diversi piani".
Se si afferma che la realtà in sè è unica, la molteplicità della manifestazioni fenomeniche è un' altra "cosa", ha una "valenza ontologica" semplicemente diversa (apparente ma non necessariamente illusoria; certamente non nel senso di "non reale": è casomai diversamente reale) e può benissimo e anzi deve sussistere trascendenza dell' una rispetto alle altre.
Se si afferma che esistono (ambiti della) realtà reciprocamente trascendenti (uno congetturabile, reale in sé, e altri due sensibili, reali in quanto insiemi e successioni di fenomeni coscienti), allora sussiste una realtà unica ("ultima"? Non saprei che senso dare a questo aggettivo) costituita dalla (o intesa come) loro somma o insieme o "congiunzione" o "totalità".

In ogni momento si dà una certa determinata "situazione " del noumeno (per dirlo a la kant); e in una certa parte del tempo di esistenza del noumeno si dà una certa determinata situazione dei fenomeni materiali e solo quella e/o una una certa determinata situazione dei fenomeni mentali e di coscienza  e solo quella.

 
Più precisamente ritengo che:
a)   si danno in determinate condizioni determinate "entità noumeniche" a ciascuna delle quali corrisponde un' esperienza fenomenica cosciente;
b)   allorché una di tali "entità noumeniche correlate a coscienze" si trova in certi determinati rapporti con altre "entità noumeniche" da essa diverse nella rispettiva esperienza cosciente accadono certe determinate sensazioni materiali e solo quelle.
c)   allorché una di tali "entità noumeniche correlate a coscienze" si trova in certi determinati rapporti con se stessa nella rispettiva esperienza cosciente accadono certe determinate sensazioni mentali o di pensiero e solo quelle.
Così, allorché per esempio tu vedi (di fatto solo potenzialmente o indirettamente tramite l' imaging neurologico) il mio cervello in un certo determinato stato funzionale l' entità noumenica che corrisponde ad esso è in una certa determinata relazione con l' entità noumenica corrispondente al tuo cervello tale che nell' ambito dell' esperienza fenomenica cosciente correlata ad essa (la "tua") accadono le sensazioni materiali costituenti il mio cervello in tale determinato stato funzionale e viceversa; stato funzionale al quale corrisponde quel certo determinato stato della mia esperienza cosciente che corrisponde biunivocamente al certo determinato stato dell' entità noumenica corrispondente cui è correlata (che corrisponde a sua volta alla percezione del mio cervello nell' ambito della tua esperienza cosciente): determinate sensazioni materiali se questa entità noumenica (in pratica io, la mia persona) è in determinati rapporti con enti ed eventi noumenici da essa diversa e/o determinate sensazioni mentali se questa entità noumenica (in pratica io, la mia persona) è in determinati rapporti con se stessa.
 
Naturalmente scrivo queste precisazioni senza la pretesa di convincere te o chiunque altro (anche se non si sa mai...), ma per illustrare a te e agli altri le mie convinzioni, nella speranza che le troviate almeno interessanti, oltre che con l' intento di dimostrartene la intrinseca coerenza.
#3536
Benvenuto nel forum e complimenti per la competenza e la lucidità di esposizione (e non essere troppo modesto!).

Come dici anche tu, filosofia e storia della filosofia sono cose diverse ed entrambe interessantissime (almeno per me; per noi frequentatori del forum).

Pur essendo del tutto alieno all' idealismo e particolarmente "antigentiliano", ho sempre riconosciuto altissimi meriti alla scuola italiana così come realizzata con il contributo decisivo del filosofo dell' attualismo (e ora in avanzata fase di demolizione vandalica).
Sarà perché ho avuto la fortuna di avere ottimi professori al liceo, ma sono contentissimo di avere studiato storia delle filosofia (l' unico limite per me é che si é trattato delle sola filosofia occidentale, con totale ignoranza di quelle orientali, la cui non conoscenza mi pesa non poco).
Studiando i maggiori filosofi (e approfondendo con letture dirette quelli che si trovano più interessanti) ognuno é potentemente aiutato a risolvere i problemi filosofici fondamentali (non solo dalla lettura delle posizioni che si condividono come espresse e declinate dai grandi del pensiero, ma anche confrontandosi criticamente con le tesi che si disapprovano).

Invece non credo che sarebbe realizzabile proficuamente un insegnamento scolastico della filosofia sistematica, se non altro perché inevitabilmente ciascun insegnante seguirebbe una certa corrente e sarebbe dificilmente in grado di esporre al meglio le altre (ovviamente ciò vale, ma in misura per me molto minore, anche per l' insegnamento della storia della filosofia; che inoltre lascia molto più spazio all' iniziativa personale nell' approfondimento degli autori che ciascuno reputa più interessanti)

La filosofia (l' affontare i vari problemi filosofici) ognuno la coltiva nell' ambiente in cui vive (famiglia, amici -personalmente ho avuta l' ulteriore fortuna di conoscere in gioventù, nei lontani anni '60, coetanei di grande intelligenza, cultura, sensibilità ai problemi foilosofici, etici, sociali, poltici, scientifici- lettura di libri e riviste, partecipazione a eventi culturali, mezzi di comunicazione di massa nella ahimè limitissima misura in cui non si perdono dietro a gossip, oroscopi e cazzate varie).

Credo ci sia un certo malinteso fra te e Green Demetr su scienza e filosofia.
Per quel che pare di capire a me tu per "filosofia scientifica" intendi sostanzialmente non "superamento della filosofia da parte delle scienze empirche naturali" (il vecchio positivismo spesso "riverniciato a nuovo"), ma una ricerca filosofica razionalistica.
Se é così concordo in pieno!
#3537
Citazione di: anthonyi il 22 Aprile 2016, 17:37:09 PMAnthonyi ha scritto:

Quando io parlo di finalismo io mi riferisco a leggi astratte, non a comportamenti e credo di essere formalmente coerente, ti spiego perché.
La relatività di Einstein E=mC2 è una formula vera perché gli esperimenti fatti la dimostrano, non perché questa legge è scritta su un qualche supporto fisico, essa è cioè, per definizione astratta, immateriale. Allo stesso modo una legge finalistica immateriale può essere accettata se confermata da tanti fatti reali.
Il principio universale che unifica le due categorie di leggi è il Rasoio di Occam, il principio cioè per il quale un'argomentazione è tanto più vera quanto più riesce a spiegare fenomeni reali usando il numero minimo di argomenti.
Banalizzare poi i residui non spiegati che la legge di Darwin lascia nella specie umana come marginali mi sembra inaccettabile.
Naturalmente la specie umana ha sviluppato, in quanto animale dominatore del territorio, una forte spinta alla violenza. Tale spinta, tutt'oggi risulta sostanzialmente annichilita e questo è inspiegabile sulla base della logica Darwiniana.
La natura sociale della specie umana ha predisposto la stessa, per ragioni di equilibrio interno alla comunità, ad accettare e costruire rigorosi rapporti di autorità. Tale predisposizione studiata per i primati in generale e anche per l'uomo, contrasta con quei meccanismi culturali che hanno prodotto la democrazia e più in generale l'idea che noi uomini siamo tutti uguali.
Non violenza ed uguaglianza sono i fondamenti della nostra società moderna, ma contrastano(non posso dilungarmi c'è comunque un paper esaustivo al riguardo https://www.academia.edu/20428344/Il_disegno_della_civilt%C3%A0 ) con le leggi evoluzionistiche.
Preciso che con concetti come culturale o sociale io intendo sintetizzare qualcosa che non per questo è spiegato, l'uso è, cioè, puramente tautologico, per cui non interpretare le mie descrizioni come spiegazioni di qualcosa che oggi non è spiegabile.


Rispondo:

La relatività speciale (che non si limita all' equazione di trasformazione massa/energia) è un fatto verificabile e verificato, certo; ipotizzato e non letto ovviamente su nessun supporto fisico (prima che Einstein ci pensasse e lo pubblicasse su una rivista scientifica) e sottoposto appunto a verifica empirica.
Invece una "legge fisica finalistica immateriale" potrebbe essere accettata se confermata da fatti reali; ma così non è.
Ma mentre un comportamento finalistico, come gran parte dell' agire umano e una parte minore dell'agire animale, è compatibile, anche il linea teorica o ipotetica, con la conoscenza scientifica purché non ne violi il (presupposto necessariamente; e indimostrabile: Hume!) divenire ordinato secondo concatenazioni causali espresse da leggi causali (per lo meno probabilistiche; e infatti se ne hanno molteplici conferme empiriche), una "legge finalistica" non capisco come potrebbe essere compatibile, anche in linea teorica o ipotetica, con siffatto modo causale di divenire della natura materiale (e infatti non se ne vede traccia da nessuna parte).
 
Il rasoio di Ockam è un principio razionalistico per il quale è preferibile un' ipotesi (o una teoria da confermare empiricamente, per lo meno se appena possibile) implicante un minor numero di asserzioni indimostrate rispetto a un' altra che ne implichi un numero maggiore, ma non afferma affatto che la prima è necessariamente vera e che la seconda necessariamente falsa; è (anche) un principio euristico, che può guidare (preferibilmente, da un punto di vista razionalistico) la ricerca, ma non ne determina affatto necessariamente l' esito né in positivo, né in negativo (in linea di principio potrebbe anche darsi che la verifica empirica falsifichi una teoria più "economica" e non un' altra più "dispendiosa".
 
Quanto ai veri o presunti "residui non spiegati" che la "legge di Darwin" lascerebbe nell' evoluzione della specie umana (e di qualsiasi altra specie), ribadisco la mia indisponibilità a discuterne: in particolare per i pregiudizi apparentemente insuperabili che "il fronte antidarwiniano" ha dimostrato e continuamente dimostra di coltivare pervicacemente, oltre che in generale per l' eccessiva distanza delle rispettive posizioni che rende praticamente impossibile un confronto costruttivo in una sede come questo forum (cose delle quali leggicchiando senza impegno qua e là altri interventi mi convinco sempre di più).
E se qualcuno si ostina a ritenere illusoriamente che questo dimostri l' infondatezza della moderna scienza biologica, non so proprio cosa farci: porterò pazienza! Sarebbe come se qualcuno che non sa quasi nulla della storia dell' Impero Romano pretendesse che gli venisse narrata per filo e per segno -in un forum telematico!- per credere che l' impero romano sia esistito per una quindicina di secoli, contando anche quello d' Oriente).
 
Faccio finta di non aver letto che la "forte spinta (naturale?) alla violenza nella specie umana" sarebbe stata "oggi totalmente annichilita" (dalla cultura?); e che "Non violenza ed uguaglianza" sarebbero "i fondamenti della nostra società moderna", ma "contrasterebbero con le leggi evoluzionistiche".



Green Demetr ha scritto:

Ora non ho tempo/voglia di controllare (se è ancora così, parlo di 10 anni fa) la questione del motore interattivo tra genoma e ambiente: rimango all'impasse che non era un fenomeno chimico (non almeno direttamente, benchè osservabile come tale, infatti mancavano i fattori di scatenamento: semplicemente ad un certo punto il citoplasma "si apre" a contatto con enzimi, mi sembra, ma quale siano le informazioni tra enzima e citoplasma scambiate questo rimane un mistero), e quindi dovendosi trattare di un fenomeno fisico, richiama possibilità tecniche di controllo atomico che non so se siamo ancora in grado di fare.

Se qualcuno corregge, magari tu Sgiombo, se avete letto qualcosa di simile, o di nuovo, grazie.

Rispondo:

In realtà è empiricamente provato che la sintesi delle proteine per interazione genoma-ambiente (innanzitutto intracellulare) e la sua regolazione (diversificata nei diversi tessuti e nelle diverse circostanze) avviene per meccanismi puramente fisico-chimici (interazioni enzimatiche), in parecchi casi ben conosciute dettagliatamente nei particolari.
  
Ma non esageriamo; ognuno di noi ha interessi diversi e credo che non sia dovere di nessuno (che non sia un ricercatore di professione) leggere di scienza almeno ogni due mesi.
 


Loris Bagnara
ha scritto:

(Sgiombo afferma che) Fra l' altro "da humeiano" non posso non respingere categoricamente l' affermazione della validità assoluta del principio di causalità proposta dall' esoterismo.L.B.: E sarei io l'irrazionalista?

Rispondo:

Beh, mi sembra evidente che chi crede "assolutamente valido" un principio indimostrato (e indimostrabile) sia molto più irrazionalista di chi si rende conto della sua infondatezza, del suo non essere dimostrato (né dimostrabile); e casomai si comporta come se ne avesse certezza, come fanno tutte le persona sane di mente (la stragrande maggioranza delle quali ne ha effettivamente infondata, irrazionale certezza).
 
 

Loris Bagnara ha scritto:

Secondo me ci sono tre possibili impostazioni filosofiche:
1) la realtà è mentale, e la materia ne è una proiezione
2) la realtà è materiale e la mente è una sua proprietà
3) la realtà materiale e quella mentale coesistono, trascendenti l'una rispetto all'altra.
Io sono per la 1, tu Sgiombo per la 3.
Tutte sono indimostrabili, e possono essere giudicate solo per la loro capacità di dare risposte senza cadere in contraddizioni.

Rispondo:

Sono sostanzialmente d' accordo.
 
 
 
Loris Bagnara ha scritto:

Lo stesso Cartesio si era accorto di un'enorme difficoltà nella sua visione duale, e cioè: come fa la mente a interagire con il corpo, e viceversa? Come fa un atto di volontà dell'individuo, a produrre il movimento del suo braccio, ad esempio?
Se è vero che la res cogitans e la res extensa sono trascendenti l'una rispetto all'altra, non possono logicamente interagire.
Cartesio aveva proposto la ghiandola pineale come punto di incontro delle due realtà, ma il problema non è nel dove, ma nel come.
Per risolvere questo problema sorse la corrente di pensiero dell'occasionalismo (Malebranche, ad esempio). La soluzione era la seguente: era Dio stesso a garantire il perfetto accordo fra corpo e mente. L'uomo ha soltanto l'illusione di essere l'artefice del suo movimento, perché in realtà è Dio stesso a prendersi la briga di muovergli il braccio.
Io trovo a dir poco raccapricciante questa soluzione, ma non mi pare che ne siano uscite altre.
Tu che ne pensi?

Rispondo:

Non trovo "raccapricciante" l' occasionalismo" ma solo falso (c' è ben di peggio nella storia della filosofia!).

Spinoza ha teorizzato che un' unica sostanza (divina) si manifesta in infiniti attributi reciprocamente trascendenti in divenire "per così dire (sono parole mie, non di Spinoza; e ti prego di tener conto che per forza di cose, oltre che per limiti miei personali,  "sto lavorando grossolanamente di accetta"; mentre Baruch era "un virtuoso del bisturi") parallelo, di pari passo su diversi piani o in diversi ambiti del reale incomunicanti ma reciprocamente correlati"; e che due di questi attributi sono le cartesiane res extensa e res cogitans.
Salvo applicare da parte mia il rasoio di Ockam agli altri infinti -2 attributi, lo trovo molto convincente.
 
 
 
Loris Bagnara ha scritto:
 
Infine, chiudo con un sorriso. Per l'ennesima volta mi sento dire (non solo da te, ma in generale in tutti i forum che frequento) che le domande che pongo sono "mal poste". Ma come, possibile che proprio le questioni fondamentali siano sempre "domande mal poste"?
A me sinceramente non frega nulla di come l'arto si sia trasformato in ala, o di come si sia formato il sole etc. Sono tutte questioni secondarie.
Le questioni vere sono: perché esiste qualcosa anziché niente? Perché c'è ordine anziché caos? Perché c'è vita anziché non-vita? E perché ci sono io?  

Rispondo:

Credo di averti già risposto nel precedente intervento che qui critichi.
#3538
Maral ha scritto

Se il motore che varia il vivente è conosciuto.
Il motore che varia l'organico in "vivente" è sconosciuto.

Non solo è sconosciuto, ma ritengo che sia impossibile conoscerlo senza un approccio essenzialmente filosofico che stabilisca questo confine, che dia un criterio per poter dire cosa è vivente e cosa no. E il problema è che di criteri ne sono stati dati tanti, troppi, ma ognuno alla fine può essere messo del tutto lecitamente in discussione. E allora rassegnamoci: il vivente si distingue dal non vivente solo in virtù dell'opinione che la cultura a cui apparteniamo determina in noi su di essi e solo il senso di questa opinione alla fine merita di essere filosoficamente esplorato.


Rispondo:

Mi sembra un' ottima definizione quella che tu stesso proponi in un altro intervento:

"L'organismo vivente è (da un punto di vista strettamente scientifico) fondamentalmente un trasformatore di energia che persiste finché riesce costantemente a mantenere integra a ogni variazione di contesto la propria complessa unità biostatica e, a differenza di un elemento non vivente, può fare questo solo interagendo con l'ambiente in modo ciclico".
Aggiungerei "e che si riproduce".

Ovviamente restano indefiniti i "margini" o "confini" della vita (l' inizio della vita in generale, l' inizio dell' esistenza di una data specie, l' inizio e la fine della vita di un individuo, l' inizio e la fine dell' "umanità" della vita di un individuo appartemnente alla specie homo sapiens, ecc.); e questo é un problema soprattutto etico, che a mio avviso si risolve positivamente cercando sempre di stare "ben al di qua di ogni ragionevole dubbio" circa l' inizio e la fine (non affatto precisamente individuabili) dell' esistenza di una persona umana.

Secondo me le definizioni dei concetti impiegati dalle scienze é almeno in gran parte "pragmatica", determinata dalla loro "fecondità euristica": se la definizione di inerzia come "invariabilità dello stato di quiete o moto rettilineo uniforme in assenza dell' applicazione di forze" "funziona meglio" per comprendere la realtà di quelllo di "invariabilità dello stato quiete in assenza dell' applicazione di forze", allora é la prima di esse che si sceglie; e lo stesso vale ad esempio per i concetti di "gene" o di "specie".

Secondo me a determinare (e spiegare) le spettacolari differenziazioni di sistemi, tessuti e organi dei metazoi pluricellulari sono le interazioni fra genoma e ambiente (intra ex extracellulare), in ultima analisi riducbili a reazioni chimiche o ad eventi fisici (va tenuto conto che esistono "interruttori citoplasmatici" -enzimi- che regolano diversamente nelle varie circostanze in ciascun tessuto la trascrizione dei geni e la sintesi delle proteine da essi codificate e "interruttori genetici" o geni regolatori che, dipendentemente dalle loro interazioni con l' ambiente intracellulare e indirettamente extracellulare, regolano diversamente nei vari tessuti la trascrizione dei diversi geni e la sintesi delle diverse proteine).
#3539
Anthonyi ha scritto:
Tu dici che l'accettazione di una legge finalististica impedirebbe la definizione di leggi causali, a me non sembra. Il mio parere è che la definizione di leggi causali è la premessa dalla quale è necessario partire anche per riconoscere leggi finalistiche. Nei tuoi ragionamenti sul ruolo della scienza secondo me sottovaluti il ruolo del principio di completezza, del bisogno scientifico di spiegare il più possibile. Consideriamo ad esempio la teoria Darwiniana, ha spiegato un sacco di cose, ma quando si va ad osservare la specie umana nell'ottica di tale teoria vediamo troppi comportamenti non conformi alle leggi di sopravvivenza biologica (Tra cui in particolare molti comportamenti religiosi), come si spiegano? Certo la spiegazione standard è che è la società a definire queste variazioni, ma la società è un prodotto umano, per cui dovrebbe essere sottoposta alle stesse leggi ...

Rispondo:

Non ci siamo intesi: io ho sostenuto proprio che la definizione di leggi causali è la premessa dalla quale è necessario partire anche per poter ammettere comportamenti (e non leggi) finalistici.

Concordo ovviamente sul bisogno scientifico di spiegare il più possibile (senza cadere nello scientismo).
E mi pare che la teoria dell' evoluzione biologica per mutazioni genetiche e selezione naturale (correttamente intesa e non assolutizzata) fornisca la "cornice teorica" in grado di "inquadrare alla perfezione" i fatti: non ovviamente una dettagliata ricostruzione dei singoli particolari, che però per essere stabilita e compresa nella sua dinamica generale non ne può prescindere.

Comportamenti "non conformi alle leggi di sopravvivenza biologica" per definizione non sopravvivono.
Ne sopravvivono, e non pochi, non "conformi, per così dire, a un' errata assolutizzazione della selezione naturale" come pretesa "lotta egoistica all' ultimo sangue per la sopravvivenza" che consentirebbe solo ai "massimamente adatti" i spravvivere.
Infatti la selezione naturale si limita a determinare (in negativo) l' estinzione solo dei "troppo inadatti".
A parte che come dici anche tu si tratta di una questione in sostanza culturale (e non semplicemente naturale), pssiamo comunque dire che i comporatmenti religiosi evidentemente non sono proppo inadatti al' ambiente naturale (e sociale) per essere eliminati dalla selezione naturale.
#3540
@ Loris Bagnara

Ovviamente anche Le riflessioni filosofiche che esponi tu sono assolutamente legittime e hanno tutte un loro posto nella storia del pensiero.

Data la notevolissima distanza fra noi mi sembra giusto limitami (almeno in questa occasione) a segnalare, nell' ambito di un' interessante informazione reciproca, che non le condivido e che (ed é soprattutto per questo) secondo il mio moddesto parere sono irrazionalistiche e in larga misura fideistiche.
Fra l' altro "da humeiano" non posso non respingere categoricamente l' affermazione della validità assoluta del principio di causalità proposta dall' esoterismo.
ça va sans dire che non sono affatto d' accordo che l' esoterismo accetta di buon grado tutto quanto ha da dire la scienza, perché non c'è nulla di quel che dice la scienza che sia in contrasto con i suoi principi.
Per me c' é per lo meno la teoria "in larga misura darwiniana" dell' evoluzione biologica.
Dissento pure drasticamente dall' affermazione secondo cui la meccanica quantistica sia arrivata a concezioni che l'esoterismo afferma da migliaia di anni (di David Bohm, che credo di conoscere un poco avendone letto negli anni passati due libri che in questo momento non ho a portata di mano per verificarne i titoli, condivido entusiasticamente quanto ha sostenuto in proposito nella prima parte della sua vita -anni '50- decisamente contro l' interpretazione di Copenhagen e in sostanziale accordo con i "deterministi delle variabili nascoste" -per così dire- Plank, Einstein, de Broglie e Schroedinger; personalmente ritengo che nell' ultima parte della sua vita abbia subito una deprecabile -e per me inspiegabile- involuzione irrazionalistica).
Mi interessa invece commetare le tue ultme affermazioni.



Loris Bagnara ha scrtto:

Possibile che non ci si chieda mai per quale motivo esistono le leggi fisiche? Perché la realtà non è un semplice caos, privo di leggi e di forma? Perché la realtà è intelligibile?
Come si fa allora a dubitare che l'universo è intelligenza, quando è la scienza stessa a scoprire che non c'è un angolo dell'universo dove non esista un ordine?

Rispondo:

La realtà (secondo me la sola realtà materiale naturale, almeno per molti aspetti identificabile con la cartesiana res extensa e nettamente separata -trascendente- dal pensiero, la res cogitans) si può assumere indimostrabilmente (Hume) divenire secondo leggi universali e costanti, non essere un semplice caos, privo di leggi e di forma e dunque essere scientificamente conoscibile.
La domanda del perché di queste sue caratteristiche (se reali, cosa indimostrabile) secondo me é mal posta, non ha senso.
Infatti proprio partendo dal presupposto che la realtà fisica diviene ordinatamente secondo leggi universali e costanti ci si può cheidere "perchè" qualcosa (di particolare nel suo ambito, e non essa tutta intera), accade, e la risposta alla domanda sta nell' applicazione delle leggi universai e costanti del divenire alla situazione "iniziale" di fatto delle circostanze che hanno preceduto e accompagnato tale "qualcosa".
Cioé solo di particolari eventi nell' ambito di un più ampio insieme di eventi in divenire ordinato ha senso chiedersi quali ne siano le cause; e di tale più ampio insieme solo nell' ambito di un insieme ancora più ampio, in un eventuale regresso all' infinito che non potrà mai terminare all' "insieme universale di tutto ciò che siste", in quanto per definizione non inquadrabile in un ulteriormente più vasto insieme con cause - ovvero leggi generali del divenire e circostanze particolari o "iniziali"- dalle quali possa essere determinato (e spiegato), anziché essere determinato (e spiegato) qualcosa d' altro o di diverso.

Inoltre ci si potrebbe chiedere "perché la realtà é (e diviene) propio così come é (e diviene) anziché diversamente (per esempio perché non esiste invece alcunché)?" solo se la realtà potessere essere (realmente) diversa da così come é.
Ma in realtà poiché é così come é, allora non può non esserlo (per le definizioni di "essere e di "non essere", o di affermazione e negazione: al massimo può ***essere pensata*** essere diversamete da come é, ma non ***esserlo realmente***), la domanda non può sensatamente porsi; quindi la domanda dovrebbe casomai essere "perché si può pensare (anche) che la realtà sia (e divenga) diversamente da come é e diviene (per esempio la non esistenza, invece, di alcunché; oltre che così come é e diviene)?".
Ma non mi sembra una domanda degna di interesse: semplicemente sta di fatto che il pensare (o, in forma grammaticalmente passiva, l' essere pensato) é diversa cosa dall' essere reale.