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Messaggi - sgiombo

#3571
Citazione di: InVerno il 07 Aprile 2016, 14:57:24 PM
Stephen Hawkings non molto tempo fa aveva destato molta indignazione asserendo che la filosofia era morta, e che i soldi che si spendevano nelle scuole per insegnarla andrebbero reindirizzati. Ci furono molte repliche, la più autorevole in Italia probabilmente di Eco, che onestamente non mi convinse più di tanto, non più di quanto mi aveva convinto Hawkings. Rinunciare alla filosofia intesa in maniera etimologica, come semplice amore per la conoscenza, sembra ovviamente una scemenza, da quel punto di vista anche Hawkings è un filosofo prima di un fisico (come in un certo senso disse Eco) ma non credo che Hawkings si riferisse a questo, per di più accostando al discorso la questione scolastica. Onestamente bisogna anche guardarsi intorno e vedere la realtà. In un mondo ad altissima specializzazione figure "newtoniane" che accostano fisica, alchimia, teologia, filosofia in un unico calderone sono ormai inaccettabili, perchè per forza di cose non riescono a competere con i colleghi specializzati. A questo si aggiunge la constatazione pacifica che la filosofia, ha perso da tempo la sua qualità pionieristica, sopratutto in campo scientifico. I filosofi devono nella maggior parte dei casi accontentarsi di arrivare sempre secondi "sul pezzo" e commentare ed elucubrare a riguardo. Roba da poco ? No di certo, almeno in teoria. Tuttavia salvo rari casi, spesso fanno anche un pessimo lavoro, se non altro di interpretazione e\o divulgazione. Perlomeno della stessa qualità che viene raggiunta dalle arti sensoriali, che però hanno il vantaggio dell'immediatezza, del pathos, e della multimedialità. Insomma, da amante della conoscenza, sentir dire che la filosofia è morta sulle prime mi ha lasciato urtato. Tuttavia sempre più spesso mi guardo intorno e vedo gli amici "filosofi" coloro i quali hanno intrapreso un percorso di studi nella materia e hanno raggiunto diversi gradi, e vedo in loro spesso e volentieri, più una volontà nevrotica di differenziarsi tramite perniciose dispute semantiche che una sana passione per la verità, un continuo riverbero di concetti, ampollose reminiscenze, citazioni autodifensive, che a fine giornata il tutto trasuda di un imperioso "e vabbè, anche oggi non si è combinato niente". D'accordo o meno con l'asserzione di Hawkings, sono perlomeno d'accordo che la filosofia è in un momento di grande confusione e dovrebbe trovare una stella polare al più presto, per non svelare il risentimento e la nostalgica ammissione di impotenza che a mio avviso spesso stanno alla base delle argomentazioni filosofiche moderne.


    R I S P O S T A   di Sgiombo


(Mi scuso, ma la mia imbranataggine telematica mi impedisce di fare comparire in altro modo la differenza fra la citazione e la mia risposta).

Non concordo con Eco: a mio modesto parere di "uno che ha letto di lui solo la ormai lontana nel tempo prima edizione di Dal Big bang ai buchi neri e qualche articolo o intervista su quotidiani", Hawking non è un filosofo, o per lo meno è un pessimo filosofo, e come tutti quegli scienziati che pretenderebbero di disfarsi della filosofia

"
ignorandola od insultandola (omissis) poichè senza pensiero non vanno avanti e per pensare hanno bisogno di determinazioni di pensiero, (omissis) accolgono queste categorie, senza accorgersene, dal senso comune delle cosiddette persone colte, dominato dai residui di una filosofia da gran tempo tramontata, o da quel po' di filosofia che hanno ascoltato obbligatoriamente all' Università (che è non solo frammentaria, ma un miscuglio delle concezioni delle persone appartenenti alle più diverse, e spesso peggiori, scuole), o dalla lettura acritica ed asistematica di scritti filosofici di ogni specie; pertanto essi non sono affatto meno schiavi della filosofia", e dunque  lo sono il più delle volte, purtroppo, della peggiore; e quelli che insultano di più la filosofia sono schiavi proprio dei peggiori residui volgarizzati della peggiore filosofia" (F. Engels, Dialettica della natura).


 
Inoltre a mio parere anche "In un mondo ad altissima specializzazione" figure "newtoniane che accostano fisica", (non alchimia), "teologia, filosofia in un unico calderone" sono accettabilissime e non è detto affatto che necessariamente "per forza di cose non riescono a competere con i colleghi specializzati".
Fra l' altro tutte le maggiori scoperte scientifiche dell' ultimo secolo si devono a mio parere proprio a simili "figure newtoniane" cultrici attente e interessate e preparate della filosofia, come furono in modo particolarmente spiccato Einstein, Schroedinger, anche Bohr ed Heisenberg (che a mio parere seguivano filosofie irrazionalistiche  che non condivido affatto), Monod, Gould, (e prima ancora Darwin), ma in qualche meno eclatante misura anche molti altri grandi ricercatori del '900.
Peraltro i loro colleghi "iperspecialisti", come li definisco io, rischiano di sapere tutto non sull' albero, non su un certo ramo dell' albero, non su una certa  foglia di quel certo ramo dell' albero, ma solo su certe venature di una certa  foglia di un certo ramo di un certo albero, e di ignorare invece completamente la foresta; il che, oltre ad essere a mio parere dimostrazione di disdicevole limitatezza mentale e "provincialismo intellettuale", non li favorisce nel trovare soluzioni efficaci ai problemi veramente profondi e importanti che si pongono alla ricerca scientifica, ma casomai solo nel portare avanti la scienza "routinaria" o "ordinaria" (ne fa tendenzialmente ottimi "compilatori" ma pessimi "scopritori", realizzatori di autentici, rivoluzionari progressi scientifici).
 


Sul fatto che ci siano pessimi filosofi fra i professori di filosofia (oltre a pessimi ricercatori fra i professori di fisica o di biologia) sono perfettamente d' accordo.
Ma non si possono confondere tutti i filosofi con i peggiori filosofi; non più di come non si possono confondere tutti gli scienziati con i peggiori scienziati.
 


Dalla filosofia, dati problemi che affronta, (ma invero nemmeno dalla scienza, sia pure in altra misura e in altri termini) non si possono pretendere risposte definitive e insindacabili, il che è tutt' altra cosa che un ammissione di "risentimento" o una  "nostalgica ammissione di impotenza".
Ma a parte queste considerazioni, comunque, quanto a "momenti di grande confusione e bisogni di trovare una stella polare al più presto "non mi pare proprio che la scienza odierna sia messa molto meglio della filosofia...
#3572
Citazione di: acquario69 il 07 Aprile 2016, 14:24:37 PM
Citazione di: cvc il 07 Aprile 2016, 12:21:41 PM
Citazioneacquario69







Non credo che le manipolazioni biologiche della scienza debbano cambiare la nostra visione del mondo, almeno finchè gli interrogativi millenari di cui sopra rimangono insoluti e attuali.


Cercherò di leggere l' articolo che proponi (se eccederà in irrazionalismo e superstizione non ci riuscirò; ma non voglio fare preventivi processi alle intenzioni, metto solo le mano avanti nel caso lo trovassi troppo estraneo al mio modo di pensare e pormi davanti alla vita e non riuscissi a leggerlo per intero).

Intanto rispondo a questa tesi qui sopra citata.

Secondo me l progressi delle conoscenze scientifiche e in particolare biologiche non scalfiscono di certo minimamente l' attualità intramontabile delle domande millenarie sull' esistenza e la vita in generale e sul "che fare?" nella vita e della vita, ma anzi le sollecitano ad ulteriori sviluppi e applicazioni.

Con tutta evidenza non danno risposte a queste domande, ma richiedono che queste stesse domande e le risposte che ad esse cerchiamo siano applicate a nuovi casi concreti, come alla possibilità (e non certo: necessità, a rigor di logica; anche se gli assetti sociali dominanti e non la scienza stessa, a mio parere, tendono a farla diventare di fatto necessità) di modificarla ad esempio rendendola più salubre oppure più insalubre, di qualità potenzialmente migliore oppure potenzialmente peggiore, o piuttosto per certi aspetti migliore per altri peggiore, allungandola (limitatamente e non certo arbitrariamente!), in qualche misura procreandola o realizzandola in modi in parte nuovi, non naturali o non del tutto naturali, facendola finire in modi più piacevoli o meno spiacevoli (significato quasi letterale della parola "eutanasia"), ecc.

La vita, e in particolare la vita umana (per lo meno; e probabilmente in qualche misura anche animale) per me non è solo materia vivente (oggetto di possibile conoscenza scientifica), e dunque considero la pretesa scientistica (per esempio di Hawkig, che altri citano in questa discussione) che la biologia risolva gli "interrogativi millenari" e che la filosofia sia una oziosa (in senso deteriore) perdita di tempo dietro vane chimere una colossale c _ _ _ _ _ a (concetto censurabile in "sciocchezza"), come pure, e in modo più gravemente immorale (letteralmente "irresponsabile") e pericoloso per le sorti di ciascun uomo e dell' umanità tutta, la pretesa che "tutto ciò che è fattibile vada fatto" (pretesa piuttosto "tecnicistica" che "scientistica", a mio avviso di "veteromarxista molto engelsiano" condizionata in realtà dagli attuali assetti sociali capitalistici "in avanzato stato di putrefazione" e non affatto dalla scienza, e men che meno dal razionalismo): anche fare esplodere tutte le bombe atomiche attualmente esistenti è "fattibile", anzi é fattibilissimo...


#3573
Citazione di: maral il 04 Aprile 2016, 16:18:03 PM
Le frontiere che le biotecnolgie stanno aprendo sembrano sempre più venire a sfidare la concezione che abbiamo dell'individuo vivente. Appare evidente che ciò che il biotecnologo sa di poter fare travalica di gran lunga il significato di quello che possiamo comprendere e  quanto, soprattutto le biotecnologie, rendano tragicamente antiquato l'uomo nel suo modo di sentirsi e di pensarsi, di stabilire un'etica.
La questione che qui pongo alla vostra attenzione è quale rimedio si può porre a questo "dislivello prometeico" (secondo la felice espressione di Gunther Anders) e quindi se la filosofia può ancora dire qualcosa in merito o non le resta che affidarsi alla biologia, lasciando alla sua capacità di fare (e che comunque farà) il compito di istituirsi come unica filosofia possibile.
A fronte dell'enorme gap che si è creato tra ciò che si può fare e il suo significato, il biologo rivendica al suo poter fare la base per istituire ogni significato in merito ai temi basilari per l'esistenza, ricusando ogni tentativo filosofico (o religioso) di rallentare o porre limiti alla capacità tecnica acquisita, al massimo è disposto a concedere al filosofo un ruolo di aiuto specialistico per costruire una semantica efficace per il "mondo nuovo" che egli sa tecnologicamente costruire.
Sini parte dalla concezione che è sempre stato il lavoro dell'uomo, gli strumenti materiali che egli è venuto usando a determinare la visione del mondo e di se stessi, ma sottolinea sempre come questo riconoscimento è sempre culturale e dunque, per l'essere umano, la natura, fondamentalmente riflessa dal lavoro umano, resta il prodotto di situazioni culturali. Questa è una posizione che pur andando incontro alle esigenze del biologo, non pare lo soddisfi, perché forse avverte in essa una resistenza a quel concetto di oggettività scientifica basata sull'evidenza sperimentale incontrovertibile del funzionare. 
Il problema allora è: possiamo essere sicuri che un mondo il cui significato resta dettato dalle biotecnologie, funzioni davvero? 

Sono un veteromarxista, lo so, e inoltre mi rendo conto di ripetere quanto già più volte da me sostenuto nel vecchio forum, ma (a parte il fatto che quanto qui riferito (da parte di Maral) del filosofo Carlo Sini mi sembra inequivocabilmente  "marxiano", come preferiscono dire i politicamente corretti), penso che il "fare" della biologia (contrariamente al suo "sapere") non sia scienza (casomai tecnica), e dipenda innanzitutto dagli assetti sociali dominanti (capitalistici e secondo me "in avanzato stato di putrefazione").

La biologia in quanto scienza conosce, e le applicazioni tecniche che consente a rigore non sono necessarie, né inevitabili in linea di principio, ma casomai soltanto di fatto; e a mio parere a causa della struttura sociale capitalistica dominante, che imponendo oggettivamente la concorrenza nella ricerca del massimo profitto a qualsiasi costo e a breve termine cronologico fra unità produttive, proprietarie private dei mezzi di produzione, reciprocamente indipendenti, non può che ignorare il concetto eminentemente razionalistico di "limite" (infatti il modo di produzione capitalistico é eminentemente irrazionale): limite oggettivamente ineliminabile innanzitutto della quantità e della qualità della vita umana, individuale e di specie, limite delle risorse naturali realisticamente (e non fantascientificamente) disponibili e della capacità dell' ambiente naturale di "metabolizzare" gli inevitabili (in qualche misura finita) effetti nocivi delle produzioni e dei consumi delle merci (tutte, anche dei "servizi" pretesi più "immateriali"), limite delle conoscenze scientifiche reali di fatto e possibili, ecc. 
Non é la scienza biologica, bensì la società capitalistica "in avanzato stato di putrefazione" a imporre di ignorare irrazionalisticamente i limiti dell' agire umano e non sono, secondo me, la filosofia o l' etica che potrebbero imporle di rispettarli, bensì unicamente nuovi, più avanzati, più oggettivamente adeguati, più razionali  rapporti sociali di produzione.
Circa la realizzazione dei quali nella nostra storia umana di specie parlante, pensante, "culturale" naturalmente (naturalisticamente) comparsa per evoluzione biologica su questo nostro pianeta, credo ci sia da essere assai pessimisti. Il che non giustifica secondo me alcuna accettazione pavida e vigliacca dello stato di cose presente e inevitabilmente della conseguente "estinzione prematura e di sua propria mano" dell' umanità stessa: per chiunque abbia una corretta concezione etica e una corretta visione della realtà di fatto lottare, anche "disperatamente" é un' ineludibile imperativo categorico!