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Messaggi - paul11

#361
ciao Green,


poniti questa riflessione: perché la prima opera di Nietzsche è sulla tragedia greca?
Perchè la cultura greca ha strutture storiche, pensieri, uniche. La musica, i riti, la nascita
delle arti con le Muse, sono un insieme di consapevolezza tragica della vita umana e nello stesso tempo di esorcismo della morte rappresentandola. Sublimano la morte con la tragedia, con suoni, voci, maschere, cori, la esorcizzano con i suoni della vita. Nietzsche desidera che la cultura tedesca allora decadente prenda esempio dai greci, così come il suo amore per la musica lo fa contattare  Wagner e il primo Schopenhauer, quello pessimista lo ispira. Sceglie una strada intuitiva per descrivere ,fra arte e filosofia. Tant'è che più anziano  riflettendo sulle sue opere giovanili , avrebbe voluto che avesse scritto la tragedia greca non in prosa, ma in aforismi.


Nietzsche influisce a sua volta su Heidegger. Quando Essere e tempo di fatto rimane incompiuto, non risolve la problematica dell'essere, Heidegger dirà che solo l'arte avrebbe potuto descrivere ciò che parole non riescono a denotare, a esaurire concettualmente. Nietzsche, piaccia o non piaccia, è quasi un mistico, con vene poetiche e perspicace dell'intimità umana. E l'intimo umano, l'anima, la psiche, non è descrivibile con la logica, questo Heidegger avrebbe dovuto saperlo.
Un umano che si cerca, e cerca la via dell'essere e vuole socializzare il suo pensiero non può usare la logica, o la logica da sola. I Vangeli si esprimono in parabole, non in logiche. La qualità del linguaggio metaforico ed allegorico è il richiamo visuale all'immaggine perché la psiche, l'animo umano lavora su simboli e immagini, non formule logiche.


L'esercizio logico dialettico di Hegel e Severino rischiano di anestetizzare la vita, anche se Hegel vuole arrivare allo spirito, anche se Severino vuole arrivare alla gioia.
Ma la vita non è possibile ridurla a formula logica,come descrivo uno stato di gioia o dolore, quando persino le parole rimangono chiuse in gola, diventano silenzio?


L'essere è qualcosa che intuitivamente, prima ancora che concetto,  mostra questo enorme gioco di immensità che è l'universo, dove tutto è e tutto si trasforma. Necessariamente tutto è collegato e nulla è negato se non nella specificità particolare. Se l'uomo moderno nega questa necessità autoreogola se stesso riducendosi. Allora dà importanza ai particolari e perde il quadro di riferimento di insieme. Siamo immersi in un magico mistero con due riferimenti fondamentali, la nostra vita, il nostro percorso e l'essere. Esaltare l'uno o l'altro perdendo di vista uno dei due, signifca a mio parere perdersi nella schizofrenia quotidiana di un percorso dove i gesti quotidiani non hanno senso se non per sopravvivenza. Ma sopravvivere non è vivere. Gli esseri viventi sopravvivono, gli esseri senzienti umani vivono.
Penso che più o meno siamo d'accordo.


Non penso possibile andare oltre il bene e il male. Prima del bene e del male c'è la natura che ne è esentata con le sue regole con un suo ordine, fatto di abbondanza e scarsità ciclica, di catene alimentari dipendenti, dove il feroce è la necessità e il fuggire pure.
Ma per l'umano? Anticamente, come ho già scritto vi era un ordine da rispettare ed era in merito alle relazioni fra cielo, terra, fra divino e natura che l'uomo capiva di esserne dipendente e rispettava. Ma cosa ormai rispettiamo? Quale è il limite dell'azione di responsabilità?
Il bene e il male segno un confine morale e la morale era far azioni per il bene, senza ricevere ricompense, ma perché ciò era implicito all'equilibrio a quell'armonia che cielo e terra dettavano.
La morale è il deterrente etico comportamentale. Se la morale non abita la coscienza umana ogni azione anche la più turpe si autogiustifica perché non c'è confine fra bene e male. E la cultura crea una coscienza.


Penso chela struttura filosofica di Vito. C. abbia possibilità di andare nel senso giusto.
Il presupposto è unire il sensibile e il soprasensibile, o se vuoi, la fisica e la metafisica, strutturandole come unità e riconoscendo una "ragione in-sè", per il semplice fatto che l'universo funziona in un certo modo e questo modalità non può che essere una "ragione".
Semplicemente perché a sua volta è leggibile dalla ragione umana. Si tratta di non esaltare una parte sull'altra anche qui. Il troppo soprasensibile può far perdere l'indirizzo della vita; esaltare la vita può significare perdersi perché non c'è la bussola, l'orientamento che può solo dare l'idea di senso del soprasensible.
#362
ciao Ipazia,




La virtù  in Grecia, nacque con il nomos di Esiodo che insieme dichiarava i principi di sovranità del re.
La virtù  era l'armonia che nasceva dal rapporto cielo e terra e quindi l'uomo.
Non si capirebbe altrimenti come mai tradizioni più antiche di quella greca, quella vedico indiana, egiziana, sumerico babilonese, già la interpretavano nel divino.


Aristotele è un filosofo con un piede ancora nell'antichità e un altro predispone la modernità.
E' il periodo ellenistico, quello di Alessandro Magno, di cui Aristotele era aio, precettore.
La scuola peripatetica, quindi aristotelica arriva fino al tomismo e la scolastica.
Aristotele si contraddistingue per una visione più pratica che teoretica ed è per questo che la sua influenza arriva più di Platone a certi filosofi moderni che seguono comunque il filone empirista.


Come ho scritto altrove il passaggio dalla civiltà greca a quella latina sposta anche le direzioni del pensiero. Il diritto latino si occupa più della domus che del nomos greco, degli interessi privati più che delle virtù in senso originario.
Quindi da una parte è corretto dire che Aristotele influisce in qualche modo sullo spartiacque fra morale ed etica, in cui la morale del nomos svanisce secondo l'interpretazione etica che deriva dalle prassi. Ed è quello che vado dicendo da un bel po' di tempo. Perchè il comportamento etico non ha fondamenti, se non l'osservazione di gruppi sociali, di società di tradizioni diverse. Quindi ogni gruppo sociale, stato, nazione, tradizione, addirittura luoghi diversi hanno etiche diverse.
Non è fondativo osservare, semmai è capire la legge che governa l'osservazione. L'etica che diventa usanze diverranno parti dei codici legislativi. Ma questo non cambia nulla né dal punto di vista teoretico, in quanto la morale è virtù e l'etica prassi comportamentale e la mores usanza.


Gli studi "rigorosi scientifici moderni" sui comportamenti sono limitati a  test. Sull'attendibilità di tutti i test, compresa statistica, stocastica, calcolo delle probabilità , lo lascio ai rumors intestinali del mainstream culturale. A cosa poi servono in pratica? A imbonire le folle con pubblicità, marketing economico e politico, culto dell'immagine.


Ti zappi sui piedi se credi nel comunismo. Il comportamentismo alla Pavlov che con scosse elettriche si insegna al topo la via per mangiare il formaggio? E' superato dal cognitivismo.
Persino le ideologie liberali e liberiste, "prendono atto" degli individualismi e impongono alla politica di non intromettersi, in quanto  secondo il loro dettame il dare e avere, le transazioni, sono equilibratrici ed esaltano l'astuzia, il cinismo, l'egoismo, il narcisismo, la megalomania.
Il migliore, il più "forte" vince e il povero è un inetto. Questa è la sentenza del "rigore scientifico".


Spinoza è un ebreo, e gli ebrei sono più materici di quanto possa far sembrare le loro mistiche, non mi sorprende affatto.


Libertà è una bellissima parola, come l'amore. Si uccide per libertà e amore.
Sottrarsi ad una condizione, non significa essere più liberi, perché la libertà crea nuove problematiche e condizioni. Un cane alla catena dovrà il padrone sostentarlo. Un cane randagio dovrà badare a se stesso compreso il sostentamento.
C'è chi nasce per non prendersi responsabilità e sono le moltitudini di pecore smarrite che cercano  sempre l' uomo forte" e lo votano alle politiche perché, essendo  illusi e ingenui, gli risolva i loro problemi. Per esperienze sociali mie personali, sono pochi che hanno "gli attributi" per decidere
e prendersi le responsabilità e molti scappano per "non sporcarsi le mani".


La metafisica oggi è un coronavirus del regno animale e naturale che manda al tappeto una cultura di scientisti che vorrebbero andare su Marte e non riescono nemmeno a vivere sul pianeta natale.
#363
ciao Eutidemo,
Bisogna stare attenti a Platone e i dialoghi socratici, non tutti sono originari, e molto è stato scritto da discepoli dell'accademia di Platone. Platone ha scritto, certo, malvolentieri, ma soprattutto non ha dato soluzione ad alcune importanti fondamenti che rimangono in sospeso
Gli studiosi sono propensi a pensare che solo oralmente dicesse ai propri discepoli quello che manca negli scritti. Socrate non ha scritto nulla di suo pugno.


Ho visto velocemente che Treccani già dà dei significati polisemantici a logos; vale a dire è un termine che  prende un determinato   significato in relazione al  il contesto in cui lo colloca quasi ogni singolo filosofo. Consiglierei di cercarlo in siti seri di filosofia.


Questo è un esempio di collocazione del logos in un dato contesto e sarà strano che lo compia Eraclito che  non è solo filosofo del divenire: è più profondo.

"Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell'anima: così profondo è il suo lógos". (Eraclito, fr. 45 Diels-Kranz)




Aristotele definisce Parmenide "terribile".Il fondatore della logica predicativa, Aristotele, vede la difficoltà logica di come affrontare l'eterno e il divenire, il "ciò che è, è e non può non essere"


"Fenomenologia dello spirito" di Hegel, mi imposi di studiarlo. E' scritto male ed Hegel a posteriori lo disse. Lo scrisse in breve tempo, poiché il suo editore gli aveva dato dei tempi stretti, ed Hegel viveva in ristrettezze economiche e protetto, se non ricordo male, da Goethe.


I testi più difficili da leggere, sembrano fisica quantistica, sono proprio il cercare di capire la logica dialettica, quindi Hegel e poi Severino. Quando poi tirano fuori la negazione della negazione.......
Quindi capisco.


Il problema è che dopo la fine dei razionalisti moderni : Cartesio, Spinoza, nessuno o pochissimi ,sono andati a discutere del "noumeno", ovvero di metafisica.
Si trattava di operare non più come i greci antichi la metafisica, ma di poterla spiegare in termini logici. Gli altri filosofi, dall'empirismo a noi, riducono la conoscenza filosofica alla percezione e al mentale, viene esaltata la gnoseologia (o  moderna epistemologia scientifica) e perde in ontologia.
Dell'essere antico, del logos antico, ci si accorge che non solo mutano gli scenari, ma spariscono le parole chiave antiche. La finalizzazione era riuscire a costruire una "filosofia scientifica" e in un certo modo si muoverà la linguistica, la filosofia analitica da Frege, Cantor, Russell, Wittgenstein ,passando per Quine, Searle, .
La relazione moderna diventa correttezza sintattica e semantica fra soggettività e oggettività, dentro il dominio sensibile, naturale, materico. Galileo e Newton hanno avuto un enorme influenza così come poi Darwin.  Intanto la psicanalisi di Freud, la psicologia analitica di Jung, il comportamentismo alla fine è divenuto cognitivismo che insieme alle neuroscienze formano l'attuale filosofia della mente. Il mentale umano è oggi il focus con tutte le sue diramazioni e applicazioni. Rispetto a più di duemila anni fa si è capovolta la filosofia.
Quella antica era povera di conoscenze naturali e fisiche, ma sapeva trattare di universali.
Oggi siamo al tempo dei sincotroni, dei multiverso, dei quanti, ma siamo confusi se vi sia o meno una verità e non essendoci principi universali che uniscano , ognuno si fa forte dei propri principi.
Essendo in tempo di accelerazioni e trasformazioni,ciò che si credeva ieri, oggi è già messo in discussione. Siamo forse in un tempo di transizione culturale.


Schopenhauer non l'ho mai approfondito, di primo acchito non mi piaceva, preferivo Kierkegaard.
Ma adatto che ho aperto una discussione su Nietzsche (il Sileno), mi accorgo che il primo Nietzsche amava l'arte e nello specifico la musica e fu influenzato dal primo Schopenhauer.
Quindi mi appresterò a studiarmi i due volumi di "Il mondo come volontà e rappresentazione"
La "nientità" è il nulla iniziale e finale delle apparenze nel divenire.
Quando viene detto che ciò che appare viene dal nulla e sparisce nel nulla,
Se vita e morte fossero l'essenza l'uomo diventa solo strumento.
Vita e morte si riproducono continuamente, ma la singola identità umana viene una volta sola e sparisce.
Penso che l'identità nell'essere umano sia superiore a quella mentale. Noi mutiamo, in fondo anche noi fioriamo e fruttifichiamo, non è la memoria l'identità, si può anche perderla e riprenderla e non è che noi fossimo altro da noi quando eravamo smarriti. L'essere è un immutabile e corrisponde allo spirito per me, che ci accompagna nel divenire dell'esistenza in un corpo fisico.
Allora si capisce che l'essere è immutabile dentro un corpo fisico mutabile. Viviamo la contraddizione fra essere e non essere: questa è la mia tesi.




Tutti filosofi, in modalità a volte diversissime cercano la cura, cercando prima di capire le cause della malattia:ognuno a suo modo.
Onestamente non basta la logica, non basta un solo attributo, un solo strumento, c'è chi cerca per vie intuitive ed artistiche, chi per vie mistiche, chi per vie logiche. Forse bisognerebbe essere tutte queste serie di attributi, come dire che la totalità dell'universo è concepibile solo per via di una totalità umana.


Un saluto anche a te.
#364
 Ciao Green,
scusa, ma non rimprovero nulla a te. Il mio discorso è generalizzato alla cultura attuale.
Va bene la fenomenologia  come inizio. Va bene perché analizza i contenuti conoscitivi umani, l'intuito, l'appercezione, il concetto e ha cercato di relazionare il soggetto e l'oggetto. Ma ha necessità di andare ad un livello più alto. Heidegger , discepolo di Husserl e fondatore della fenomenologia, cerca di farlo nell'esistenza. Ha scritto molte cose interessanti che fanno riflettere, ma nel complesso è una filosofia che non ha sbocchi se non ancora per vie estetiche e soggettive.


Se non si alza il livello,ciò che hanno scritto Kant ed Husserl diventa semplice linguaggio.
Ma il linguaggio è il tramite, importante, ma strumento, che sta fra la mente del soggetto e il mondo che gli stà attorno. Non spiega né l'uomo e neppure il mondo, rischiando di invilupparsi in se stesso.


Ciao Viator,
francamente non mi interessa di essere convincente, se lo volessi userei argomentazioni più sottili, diverse.
#365
ciao Ipazia,
Ethos in origine greca, non porta all'etica come significato moderno  che poi è il comportamento. Ma il comportamento umano non è istintivo naturale,  che invece riduci ad un uomo  animale e ne giustifichi di conseguenza una cultura che invece contraddittoriamente non accetti: quella dell'uomo-lupo. Ethos in origine è "il luogo dove si vive" e non fu inteso in termini fisico naturali  E non è sinonimo di morale. Internet e vocabolari moderni sono scritti da  parecchi depistatori dell'etimo antico, Perchè ethos non è parola latina, bensì greca.
Il termine più proprio alla morale era per i greci aretè che significa virtù.
Un comportamento è un effetto, la virtù  invece precede il comportamento e può giudicarlo attribuendogli virtuoso o non virtuoso. L'etica non ha un giudizio implicito ed interno, nella modernità ha necessità logica di una normativa a lei esterna che la giudichi. Infatti le virtù sono finite al macero.
Possiamo allora dire che c'è un comportamento morale ma non un comportamento etico
Infatti la phronesis che in parole povere significa possedere conoscenza affinché nelle
scelte( e quindi si presuppone una libertà) si consegua il bene attraverso l'aretè, la virtù che indirizza la pratica. La sophia interagiva con la phronesis.


La physis greca è il principio fondamentale che regola gli universali , il Kosmos che domina la natura. Non è la natura in senso specifico che nasce nella modernità. Talete, Anassimandro, Anassimene  i pre-socratrici,quando parlano della natura, la intendono come qualcosa che avvolge il tutto ,non fine a se stessa e autoreferenziata.
E daccapo, il passaggio latinizzante dal greco antico ha costruito ambiguità ed è l'indice della differenza delle due culture. Accade che una cultura eredita il testimone nei cicli storici e opera dei mutamenti anche linguistici adattandoli alle nuove situazioni organizzative umane, a nuovi modi di pensare, a nuovi saperi. Questa diciamo mimesi, in realtà confondendo  i significati
rende addirittura non più interpretabile correttamente una cultura precedente.
E' per questo che gli ermeneuti, filologi, esegeti contemporanei  devono sapersi calare correttamente(anche linguisticamente) in una cultura se vogliono capirla davvero e non dire castronate post moderne.
I traduttori in questo sono in prima linea.
#366
ciao Eutidemo
Tutti i filosofi fino a Platone compreso sono oscuri ed ermetici, oltre al fatto che più ci si addentra nella storia antica e meno sono emersi scritti. Ma fu una loro scelta l'ermetismo, temevano che le conoscenze date, soprattutto per iscritto, fossero travisate dagli ignoranti in materia, o addirittura per scopi poco nobili. Già nell'introduzione dell' Opera omnia di Platone, il filosofo Giovanni Reale dice chiaramente che il "vero" pensiero di Platone purtroppo è  nascosto e per sua scelta, nonostante vi siano scritti,Perchè lo scritto non ha più l'autore per difenderlo, una volta letto e interpretato.
Lo scritto rimane e l'autore...svanisce.
E questo fa pensare.....
Su Eraclito posso dire che le interpretazioni sono alquanto ballerine a volte e questo per la polisemantica dei termini, per questo Severino voleva che gli studenti conoscessero profondamente il greco. TO ON è l'essere. Il Logos è un termine polisemantico (famoso il Logos di apertura del Vangelo di S.Giovanni), tradotto in Verbum in latino. Ma non è proprio così.  Il Logos, può essere l'archè, può essere il discorso, può essere il "legame", quindi la relazione diremmo oggi.
Parmenide, per quello che ci è dato di sapere, non accetta proprio il divenire, si blocca sull'identità : l'essere è e non può anche non essere. Questo affermazione fa eco in tutta la storia, perché è inconfutabile dal punto di vista logico. Eraclito accetta il divenire e l'unisce ad un Logos originario.


Ammetto di avere impiegato almeno un anno a studiare "Fenomenologia dello spirito" di Hegel, e non so quanti lo hanno fatto e quanti filosofi lo abbiano capito.


Ci sono sostanzialmente due modi per fare filosofia dell'Essere : non accettare la metafisica come ad es. fa Schopenhauer che è anti-hegeliano. Non accetta l'essere e la necessità e sceglie il dato empirico come causazione(a parer mio contraddicendosi poiché la causazione è comunque un modo mentale di leggere il fenomeno) Questo è il percorso scelto dalla modernità ,con il naturalismo con l'umanesimo. L' altro sistema,e sono le  eccezioni moderne sono Hegel e Severino e scelgono una strada paralogica con la cosiddetta logica dialettica negativa. Accettano la contraddizione.
Se leggi attentamente ciò che ti ho postato riferito allo scritto di Hegel, dice che l'essere e il non-essere sono unite dal referente, ma il non-essere comprende l'essere e il nulla. Questa triade :essere, niente, non essere, permette nella logica hegeliana di unire i concetti intellettivi della coscienza umana con la matericità naturale fisica attraverso la mediazione della coscienza. Il nulla è nel divenire delle apparenze, per cui ciò che vediamo è ciò che solo appare e scompare ai sensi, nel sensibile. La coscienza è la mediatrice fra il dato sensibile ,che è contraddittorio in quanto ciò che è non può anche non essere  e quest'ultimo si esplica in ciò che appare dal nulla e scompare nel nulla.
Per farla breve, la triade permette da una parte di unire il concetto intellettivo di verità dell'essere e dall'altra di relazionarla all'esistenza umana e naturale che è contraddittoria rispetto all'essere e l'insieme di tutto ciò è il movimento della conoscenza dentro la nostra coscienza: la fenomenologia che secondo Hegel si conclude nel concetto dell'intelletto finale, lo spirito.


Il fatto che esista il termine "nulla" e lo utilizziamo magari paradossisticamente, magari contraddittoriamente, magari irrazionalmente, ha comunque un significato che se fosse anche solo linguistico evoca  a sua volta un' immagine relazionata ad un concetto mentale o ad una realtà fisica. Il nulla permette alla contraddizione dell'essere, il non-essere di divenire e di poter spiegare l'esistenza, anche se negativo dal punto di vista logico. E' una via di uscita logica al fermo "l'essere è" che non spiega l'esistenza nel divenire. Quindi ontologicamente il nulla è la contraddizione che permette di dire che gli essenti, qualunque cosa che esiste nell'universo, non può venire dal nulla e scomparire nel nulla poiché "ciò che è, non può anche non-essere".


Veniamo alla vita dal nulla e moriamo sparendo nel nulla?


Trovo, almeno sino ad ora, che dal punto di vista logico la dialettica negativa sia al più alto livello per unire  spiegare l'eterno e il divenire: ciò che è ,è (eterno), ciò che è diviene altro da sè(contraddizione diveniente). Negare l'identita del "ciò che è", significa negare all'uomo la possiblità di una verità, con tutte le conseguenze culturali(e forse è questo che si capisce ancor meno),; poiché accettare solo la negazione"ciò che è può anche non essere" e quindi divne altro da sé, significa vivere nel nascondimento e nel disvelamento per altre vie che non sono logiche, sono estetiche, quindi intuitive più che concettuali E la via estetica non ha costituito cultura, perché il livello è contraddittorio. La necessità di dichiarare che cosa è la giustizia, che cosa è bene o male, che cosa è bello o brutto, costituisce un canone, un codice al livello superiore della contraddizione. Noi possiamo costruire con le parole concetti, sensi, significati che non sono contraddittori, ma scegliamo invece un sistema contraddittorio vivente. E' come dire che nella contraddizione cerco di essere non contraddittorio: questo è aporia filosofica ed è quello che poi dichiara Severino. Quando dice che l 'aporia del fondamento, fu già nella Grecia antica, quando scelsero la contraddizione del divenire e non l'essere come eterno, significa scegliere una cultura determinata
A mio parere è possibile unire il tutto.
#367
ciao Eutidemo,


La tua iniziale disamina sull'essere è corretta. Molti identificano, sbagliando, l'essere  come esistenza.
Infatti filosoficamente prima vi è la regola (preferisco non chiamarli principi perché la logica non esaurisce la filosofia, la logica regola semmai il pensiero, per cui è corretto semmai dichiarali principi ,ma all' interno della logica) d'identità, poi quella della contraddizione che crea antinomie.
Altrettanto corretta è la disamina che viene eseguita come concetto temporale .Ed è per questo che è famoso Parmenide, poiché nega il divenire, o meglio il divenire diventa contraddittorio rispetto all'essere che non è diveniente.
Diventa ovvio che sia per Parmenide che non accettando la contraddizione, nega il divenire entrando in una aporia evidente empirica, per cui il problema diventerebbe: ma la logica sa descrivere la realtà naturale o essendo due domini diversi autoreferenziandosi costruiscono
relazioni antinomiche? Severino accetta la contraddizione e simile, ma non uguale a Hegel, costruisce una dialettica para-logica.


Su Eraclito ed Hegel avrei invece delle delucidazioni.
Eraclito è ben più complesso dello stereotipato  filosofo del divenire .
Eraclito ritiene che il Logos detti i legami che uniscono la natura e lo definisce cosmico.
Sostiene che l'universo non è il prodotto di dei o umani, bensì un ordine unico ed eterno.




Per quanto riguarda Hegel alcune aggiunte tratte sempre da "Scienza della logica"


Nulla, il puro nulla. E' semplice simiglianza con sé,completa vuotezza, assenza di determinazione
e di contenuto; indistinzione in se stesso. - Per quanto si può qui parlare di un intuire o di un pensare,si considera come differente,che s'intuisca o si pensi qualcosa oppur nulla. Intuire o
pensare nulla ha dunque un significato. I due si distinguono; dunque il nulla è (esiste) nel nostro intuire o pensare, o piuttosto è lo stesso vuoto intuire e pensare, quel medesimo vuoto intuire e pensare,ch'era il puro essere.- Il nulla è così la stessa determinazione o meglio assenza di determinazione,epperò in generale lo stesso, che il puro essere.


Unità di essere e nulla.

.......(è il proseguimento del testo da te riportato)
In pari tempo però il vero non è la loro indifferenza, la loro indistinzione, ma anzi ch'essi non son
lo stesso, ch'essi sono assolutamente diversi, ma insieme anche inseparati e inseparabili e che immediatamente ciascuno di essi sparisce nel suo opposto. La verità dell'essere e del nulla è
pertanto questo movimento consistente nell'immediato sparire nell'uno di essi nell'altro;
il divenire; movimento in cui l'essere e il nulla sono differenti, ma di una differenza che si è in pari tempo risoluta.



Nota (di Hegel)
.....Quando si volesse riguardar come più esatto di contrapporre all'essere il non essere,invece che il nulla, non vi sarebbe niente da dire in contrario, quanto al risultato, poiché nel non essere è contenuto il riferimento all'essere; il non essere è tutti e due, l'essere e la sua negazione, espressi in uno, il nulla, com'è nel divenire.

#368
Citazione di: viator il 02 Marzo 2020, 20:54:36 PM
Salve Paul11: Citandoti : XXXXX"La fenomenologia nasce come presa di coscienza che la realtà fisica naturale in sé è inconoscibile.
Per quanto i nostri sensori, i sensi umani, percepiscano, è la mente che decide la rappresentazione"XXXXX.

Non so se nell'affermare ciò hai dimenticato esistenza e funzione intermedia della cosiddetta "psiche" oppure se hai voluto limitarti a non citare ciò che secondo te non esiste tra la funzione percettiva e quella ideatorio-concettivo-razionale. Saluti.


salve viator,
lo avevo già scritto, comunque...
Kant nella "critica della ragion pura" dichiara un concetto fondamentale: non è possibile conoscere il fenomeno naturale in-sè, bensì viene interpretato, rappresentato, secondo categorie e classificazioni che costituiscono la conoscenza umana.Significa che con  la percezione sensoriale noi conosciamo solo "l'epi-fenomeno", il noumeno kantiano sarebbe l'"intero fenomeno"
La psiche viene inserita da Husserl successivamente, anche in modo alternato.In quanto per Frege, fondatore della logica proposizionale moderna,maestro di Russell, la logica doveva essere depurata dalla psiche.
Il loro contenzioso fu più o meno accettato da Husserl, che come Kant, cercava una "filosofia scientifica".
Husserl fu influenzato da Brentano ,tra l'altro famoso per una "psicologia empirica",fra i cui allievi vi era anche Sigmund Freud, fondatore della psicanalisi.


A parere mio,dipende come e cosa riteniamo psiche. Il più corretto allora è quello del primo Nietzsche, preso da Schopenhauer.......è un'altra storia,interessante.
Se andiamo sulla neuroscienza....continua la confusione....visto il numero di "matti" che girano per il mondo.
#369
Citazione di: Ipazia il 02 Marzo 2020, 18:38:12 PM
@paul11

Per quanto ritenga l'ethos umano ben radicato nella physis, trovo che confondere i due ambiti in una episteme totalizzante sia scarsamente proficuo per l'episteme stessa ed abbia già prodotto fin troppi strafalcioni storici, dai quali qualcosa dovremmo avere pure imparato


Il solito mantra.
Prima definisci l'ethos e la physis in termini greco antico, che non sono da confondere con l'etica e la fisica in termini moderni.  E poi vediamo gli strafalcioni storici. Se li intendi come sinonimi allora fai anti-filosofia
#370
 Ciao Green,
calare l'ontologia del soprasensibile nell'esistenza, togliendo i fondamenti del soprasensibile significa, detto in termini brutali, fare un "casino". Mancando le relazioni fra esistenza e soprasensibile, quale mai senso ha la vita? Una simile filosofia rimane in sospeso, fra scienza deterministica sperimentale e ontologie del soprasensibile. Invece di risolvere il dilemma fra sensibile e soprasensible ,fra scienze e filosofie, ne raccoglie da entrambe le parti le contraddizioni, e la vita si risolve in una ulteriore confusione.
La fenomenologia nasce come presa di coscienza che la realtà fisica naturale in sé è inconoscibile.
Per quanto i nostri sensori, i sensi umani, percepiscano, è la mente che decide la rappresentazione.
O la fenomenologia ha una tale forza persuasiva e  quindi culturale di collocarsi fra metafisica e scienze moderne dettando nuovi paradigmi, o diventa puro esercizio narrativo soggettivo: ognuno vive la sua fenomenologia in quanto rappresenta  nella sua personale mente una propria idea di vita, tutto compreso, da dio alla politica. Husserl finisce col dire che tutto è opinione, Nietsche che è interpretazione come l'ermeneutica di Gadamer e Heidegger con la filosofia è morta e solo un dio può salvarci . La fenomenologia, volente o nolente, ha steso il tappeto all'avvento del relativismo e della filosofia post moderna, del pensiero debole.
Daccapo, o si ha il coraggio di mettere in discussione la filosofia moderna che ribadisco son quattro e più secoli che influisce sull'occidente; dalla storiografia, allo strutturalismo, dalle norme giuridiche, dalle forme economiche, dalla sociologia ,all'antropologia sino alla biogenetica e medicina e quant'altro. Se ci sta bene, va bene così. Personalmente non mi va e ormai ho capito da troppo tempo che non si tratta solo di mettere in discussione la tradizione moderna, bisogna trovarne la cura. Nietzsche docet. Perchè  la parte degli effetti devastanti della nostra cultura, lo hanno analizzata moltissimi pensatori, non solo filosofi. Le crisi , ribadisco, danno le possibilità ad aprire nuovi fasi, perso il treno bisognerà attendere( lo faranno altri probabilmente). La filosofia attuale, i filosofi attuali, sono decotti, vanno bene in tisaneria. E' inutile parlare della semiologia del fashion, o l'analitica dei paradossi linguistici. Meglio sciarade, rebus e cruciverba. C'è  tanto chiacchiera quanto gossip e fake new: preferisco l'isolamento e il silenzio. Se le moltitudine di pecore aspettano il pastore da crocifiggere e non intendo in senso religioso, ma come nuovo verbo culturale, i potenti sguazzano in questo brodo cultura attuale e condizionano "fisicamente", "economicamente","politicamente", la nostra vita ,che è nostra vita e non loro vita, io non ho appaltato la mia esistenza al cretinismo post moderno. Quindi sfondi una porta aperta quando ritieni che le prassi, la nostra vita quotidiana per cambiare ha necessità di nuove teoretiche.
Per me è necessario che un pensiero per essere forte deve avere dei paradigmi inossidabili, deve avere analisi di almeno tre millenni, deve dichiarare identità e morale se vuole unire le pecore nelle moltitudini delle latitudini e longitudini, perché la globalizzazione standardizza le culture e diversità, le pialla come i gusti e i stili di vita. La prossima cultura necessariamente dovrà unire le identità, è una balla grossissima il mantenimento delle diversità, siamo in un mondo conflittuale, contrattuale, dove ognuno vuole prevalere sull'altro o con le buone, imponendogli la propria cultura, o con le cattive, facendo guerra fisica. Tutti gli istituti culturali ,nati nella modernità, sono in crisi e in via di dissoluzione: dalla sovranità alla democrazia, da organismi internazionali sopra le parti, alla dignità, alla libertà,all'eguaglianza: tutto è da ridefinire
La fenomenologia , per quella che è stata è finita. Non è la soluzione, è incapace di creare cultura.
Le  vere filosofie, o pensieri forti, uniscono. Se non si è in grado di capire questo.....?
#371
Tematiche Filosofiche / Re:Sileno
02 Marzo 2020, 00:01:37 AM
 Ciao Green,
si sta andando troppo in là sul pensiero di Nietzsche, e francamente non è mia intenzione farne un processo. Nietzsche è bravo a porre dei problemi fondamentali, è molto perspicace nell'indagine umana. E questo già nella sua prima opera ufficiale. Sarà nella seconda sulla "filosofia nell'epoca della tragedia greca" che aprirà una disamina cronologica dei filosofi.
Per quanto riguarda Platone, e quindi anche i dialoghi socratici, sono nella sua lettura di tutte le opere a cura di G.Reale e sono 2.000 pagine di studio. Andrei quindi piano a sintetizzare giudizi sia su Nietzsche , sia su Socrate. Socrate è forte e debole allo stesso tempo nella morale. Platone che era eracliteo, come Nietzsche, scelse come maestro in seguito Socrate proprio per la morale.
E' strano come origini uguali, poi scelte diverse ,creino divergenze. La morale di Socrate è forte
nella dialettica e retorica, è scarsa ontologicamente. Saranno Platone ed Aristotele a porne basi più forti.
#372
ciao Green,


La natura in sé esiste e sussiste nonostante l'uomo. Viene prima della comparsa umana.
Certo, il concetto di natura è l'interpretazione che la nostra ragione della natura pone come rappresentazione e incide nella cultura.
L'associazione natura con dio, dal punto di vista squisitamente filosofico, è diversa per ogni corrente filosofica, a cominciare dall'antichità greca.
Diciamo che prima ancora della filosofia, con Esiodo, la natura(come terra) era asservita al cielo
e l'uomo doveva stare in armonia con cielo e terra: da ciò derivava la morale. Ma questo prima ancora dei pre-socratrici. La filosofia,che viene dopo, nasce come indagine anche naturale.
Nella modernità, con l'umanesimo fino a noi, la natura assurge d un ruolo paradigmatico, fondativo, che prima non aveva, con la negazione della meta-fisica; con la dualità del cogitans ed extensa, con il soggettivismo empirico, ecc.
Un conto è partire dall'aletheia nell'esistenza, negando preconcettualmente il soprasensibile e un conto inserirlo nel soprasensibile: muta completamente l'ambiente e le prospettive indagatrici.


Il disvelamento riguarda l'essere: il problema, ribadisco, che l'essere per i metafisici è ontologicamente e gnoseologicamente diverso da chi invece lo cerca nell'esistenza.
Per fare un esempio concreto:  è giusta la critica di Heidegger verso Platone del "che cosa è l'essere?" E se fosse giusta dove,come, in che cosa consisterebbe l'essere per Heidegger?
Sono riflessioni.


L'essere, il logos, sono credenze? E il Sileno che crudelmente dichiara la tragedia umana della sua misera vita? A tua volta non ti chiedi da dove fuoriesce il Sileno e se sia migliore la sua sorte?


Heidegger mi risulta che scrive"Essere e tempo" e non "Enti e tempo".
Personalmente l'Essere ritengo sia come scrive inizialmente Nietzsche "l'uno primigenio", o archè, o ragione in sé, o chi lo identifica in Dio(non necessariamente in senso religioso).


L'impossibilità della risposta "chi sono io?" è l'impossibilità tutta moderna di pensare che la natura, la matericità siano e diano le risposte riponendo nella tecnica la salvezza. L'esistenza si esplica anch'essa come apparenza, si nasce si muore, come la materia come i cicli della natura, Ma noi non rientriamo nei cicli perpetui della natura ,se non magari con altre spoglie mortali, divenendo altro da-sè. E per me questa è una grossa aporia logico metafisica.


Alcuni filosofi necessariamente se non vogliono parlare della semiologia delle mode, dei gossip, , ma vogliono fare filosofia, ritornano indietro ripensando alla metafisica antica,semmai cercando di capire e migliorare. La filosofia naturale materica ha fatto il suo tempo,visto che sussiste da almeno quattro secoli a questa parte, e non ha dato nemmeno risposte alle pratiche, anzi ha creato caos e confusione, ha creato vuoti colmati apparentemente dalle scienze moderne.


Penso che Vito C. abbia abbandonato la discussione, voleva testare la sua filosofia.


La fenomenologia è sempre soggettivismo e per questo non può creare Cultura con la C maiuscola.
Husserl guardava più a Cartesio che non a Kant, e la sua indagine come il fallimento della psicanalisi non è identificativa di una comunità, è individuazione non socializzazione, è opinione, non è verità. Heidegger segue questa china,seppur vorrebbe elevarsi da queste strettoie,vorrebbe utilizzare i termini metafisici ma calarli nell'orizzonte dell'esistenza.


Appunto, la natura e fenomeni sono parte della realtà, e quale filosofo lo ha mai negato?
Sono leggende metropolitane che la metafisca greca neghi la realtà dei fenomeni.
Semmai gli eleati di Parmenide e Zenone la negano come essere, ma non come esistenza.
Severino ne fa una negazione logico dialettica, ma non significa negare la realtà come esistenza.


Mi trovi d'accordo che il fenomeno naturale e fisico è ineludibile, ma ripeto, dal punto di vista filosofico non è questo il problema. Il vero problema è che se in tutto l'universo esistesse una verità, quella verità non può essere opinabile per le infinite apparenze dei fenomeni, che le varie culture e tempi culturali mutano.
A me non risulta che il noumeno Kant lo abbia voluto risolvere, tanto meno con una "cosa".
Non avrebbe mai posto il noumeno se voleva indagare il metafisico.
A me risulta che Kant sia il filosofo che abbia influito sulla cultura forse anche più degli altri filosofi a seguire. E' divenuto il mainstream.


La dialettica è in Hegel ,non in Kant. Kant ha avuto il merito di analizzare come la mente umana concettualizza un fenomeno, giusto o sbagliato che sia, ed era un procedimento originale e mai eseguito in precedenza se non dalle categorie aristoteliche, ma in termini diversi. Kant è uno gnoseologico e per farlo deve soggettivare, non più porre ontologie. E' per certi versi un precursore della filosofia della mente. Hegel pone un soprasensibile, cosa che Kant non attua  anche se non lo nega, lascia la questione aperta. Husserl prosegue l'analisi fenomenologica, ma ancor più soggettivata, perché vi inserisce la psiche, l'intenzionalità: in questo modo i confini fra realtà fisica e naturale sfumano nel soggetto mentale che diventa sempre più un interpretante della realtà.
A voler ben indagare la cultura naturale e materica moderna apre ad aporie interessanti al suo interno, con la mente umana. Tant'è che una spinta di Husserl a filosofare fu la crisi delle scienze a cavallo del Novecento. E se ci pensiamo bene al fiorire della psicanalisi mentre galoppava un positivismo, dall'altra matematica, geometria, mutavano i propri fondativi e Maxwell univa l'elettricità con il magnetismo permettendo la teoria della relatività einsteniana. Ci sono momenti di crisi nella modernità che potrebbero aprire a mutamenti filosfici. Ma bisogna prima riconoscere su cosa oggi è  veramente fondata la cultura post moderna se si vuol migliorarla. Il mio personale giudizio è che la fine della metafisica abbia relegato l'umanità ad una crisi in cui si inviluppa invece di una ingenua liberazione a suo tempo annunciata dall'illuminismo. Oggi si fa la filosofia del pomodoro quadrato.


Scordiamoci che la verità metafisica sia sperimentabile e visibile come le apparenze.
Questa è la netta dicotomia culturale. Scordiamoci pure che sia statistica, stocastica, calcolo delle probabilità. Deve necessariamente essere assunta non dico la necessità, ma la possibilità che quella ragione in sé sia praticabile gnoseologicamente,  percorrerla deduttivamente. A mio parere è solo pregiudizio, è la paura di un dio, è la paura che una verità debba mettere d'accordo tutti?
Le ricadute culturali sono un mondo diviso soprattutto proprio nelle pratiche.
Possiamo permetterci un mondo individualistico e conteso con la tecnologia attuale e soprattutto con i problemi attuali?
Il fallimento di organizzazioni sovranazionali che di fatto non hanno poteri, dimostrano che senza una verità nessun accordo è possibile, solo l'utile individuale, l'utile per un singolo stato .


Se qualcuno riesce a convincermi del contrario ben venga.


Non si riesce a far capire che una cultura o implicitamente, perché li vuol nascondere con i poteri umani, o esplicitamente, determina il modo di vivere. Per questo iniziai a studiare filosofia.
Allora assumiamo ipoteticamente che la ragione in sé e la natura non abbiano fondamenti.
Cosa rimane per sottrazione? L'uomo e la sua soggettività. Adatto che ogni uomo vede dal suo balcone sul mondo una prospettiva, chi avrà ragione fra tutti i punti di vista? Chi urla di più? Chi ha armi più potenti? Tolti i paradigmi si torna allo stato primitivo con però alte tecnologie, non si lanciano frecce, si sparano missili: daccapo, possiamo permettercelo? Possiamo, assunta per  morta la filosofia, fingere che il "buon senso" umano è vincente? Su quale fondativo il buon senso è sempre vincente?
#373
Tematiche Filosofiche / Re:Sileno
01 Marzo 2020, 14:02:26 PM
Ciao Lou,
questo non l'avevo letto precedentmente nel tuo post, per cui rispondo ora.


citaz. Lou

Comprendo, ma a mio parere, dire che con Socrate, che ovviamente è il primo grande gigante contro cui si confronta Nietzsche, si attua il primo grande tradimento dello spirito greco eroico nel suo pessimismo non è un rifiuto della figura dell' "uomo teoretico" in quanto tale, ma è un richiamo a come totalizzare nel teoretico, dimenticando la saggezza instintiva, creativa, emotiva, passionale, che è una delle posture esistenziali da cui si sprigiona pur l'arte,  l'umano è trasfigurato in altro dall'animale uomo. E' questa dimenticanza che non ci può far essere uomini e acquisire consapevolezza. Io credo che quando scrisse che "poi arriverà un medico...", beh certo Freud e la psicanalisi, l'inconscio, l'enigma uomo ecco sono prefigurati in certa misura da aspetti che sono messi in luce negli scritti nietzschiani. Ovviamente dal mio punto di vista.

Il problema non è l'antitesi giocata ad arte da Nietzsche, il saggio è colui che guida i sentimenti e li doma dentro una morale. C'è una netta dicotomia, perché in Nietzsche non è la ragione che si fa una ragione della morte sublimandola, rimane in ciò che definisce istinto, nell'intuito.
Se è vero che le parole non esauriscono la ragione e forse ancor meno i sentimenti, nel senso che è improbo nella logica nel concetto raccogliere ciò che viene dalla psiche, dai sentimenti, è altrettanto vero che   i sentimenti e l'intuizione devono essere guidati dalla ragione; per cui o pensiamo all'uomo "buona di natura", e così non è, oppure ciò che è terrore della psichè deve necessariamente sublimarsi in arte, e anche in concetti. C'è una dialettica, intima anche in noi stessi, se dobbiamo farci guidare dagli impulsi o trovare una ragionevole mediazione. A livello culturale accade che i concetti sono criticati e denunciati prima di tutto dall'arte che speso precede nuovi imbocchi culturali. Nei dialoghi socratici si parla eccome di sentimenti, ma la morale socratica è superiore all'impulso, c'è sempre una virtù che coniuga un sentimento. E' chiaro che si toglie la morale e la virtù, facciamo degli impulsi una autoreferenzialità morale. Nel senso che gli stessi impulsi diventano moralmente giustificati. Ma questo possiamo dirlo degli esseri viventi privi di ragione che seguono regole naturali, l'uomo può essere contro-natura con la sua ragione,pur essendone fisicamente facente parte.
Non intendo fare un'apologia di Socrate e denigrare Nietzsche, non  è questo è il mio scopo.
Semmai è difficile equilibrare istinto/intuito, ragione / concetto.
Il "moralista" in termini denigratori è colui che relega  i sentimenti in un ego, non segue una virtù, segue una sua colpa, un torto subito, che pesare agli altri. Il "moralista" non prova misericordia, pietas, ha costruito una morale ingessata nell'ego proprio per chiudere in cassaforte  i propri sentimenti e poter giudicare dal suo ego gli altri.
Questo non corrisponde né a Socrate e neppure a Nietzsche.
Ma se il Silene indica la disciplina della terra, la regola della vita e morte, altrettanto l'uomo deve costruire una disciplina e non può venire dalla terra.


Ciao Ipazia e Phil


a mio parere dite entrambi cose giuste.
La vita per quanto sia crudele la sentenza di Sileno, per nostra fortuna non è proprio tragica, cerchiamo di ritagliarci dei sensi che non sono sovrannaturali, sono gli affetti, le nostre passioni, , la nostra vita sociale e solitari, insomma il nostro cercar di star bene. Nonostante vediamo morte, la vita sembra più forte nel chiamarci a proseguire. Lo stesso Nietzsche cerca una sua via.


Ammesso e non concesso, da parte mia, che il sovrannaturale sia un orpello illusorio, e per certi versi lo è per come può condizionare l'esistenza, e praticamente il nichilismo di Nietzsche, nel senso di uccidere la tradizione, apre a due strade: se è possibile accettare la vita per quella che è,
oppure si cade in una decadenza dove il tragico non essendo sublimato ad un livello superiore diventa vivere la tragedia nuda e cruda.
Il superuomo e l'eterno ritorno siamo sicuri che in fondo non siano altre illusioni per sublimare la tragedia? Quì propendo per quanto dice Phil.
#374
Tematiche Filosofiche / Re:Sileno
29 Febbraio 2020, 16:35:43 PM
Ciao Ipazia


Non è mia intenzione ridurre l'intero pensiero di Nietzsche, che è costruito in fasi, al pensiero giovanile. Ma ciò che proviamo in gioventù, noi tutti umani, in qualche modo lo portiamo per tutta la vita, trasformandole durante il viatico dei diversi passaggi nelle maturità.
Già nella sua prima opera ci sono concetti, intuizioni, che delineano le future opere.
E il mio personale modo di pensare è capire perché, ma chiunque: pensatore, filosofo, politico, economista, religioso ,scienziato, scriva in un certo modo e su certi concetti e perché.
Nietzsche è conturbante e ha influito parecchio, piaccia o non piaccia, sui futuri pensatori, sull'estetica, sul modo di scrivere e approcciarsi, sulle interpretazioni.
Il suo schema è un approccio profondo, che solo testi sapienziali e saggi antichi riuscivano a descrivere dagli abissi. Identico approccio, ma sintesi completamente opposta. Sa descrivere
l'animo umano, ma non vuole saperne di anima in senso spirituale.
Il secondo aspetto è che il suo argomentare nasce dall'uomo, non si origina al di fuori costruendo dettami, imperativi, al contrario.
Paradossalmente è un ateo spirituale; questo è uno dei suoi segreti fascinatori.


Ciao Phil,


ritengo la sentenza di Sileno ancora più profonda , rispetto ad un re Mida qualunque.
Noi tutti, poveri o ricchi, potenti o sottoposti, siamo sicuri di una cosa da cui non possiamo sfuggire e lo vediamo quando scompare un nostro caro, un nostro amico, conoscente. Conosciamo la morte attraverso altrui morti, ed è una separazione incolmabile: non vediamo più i nostri affetti, non possiamo più parlare con loro.
Il Sileno in fonde dice  "Tu dovrai morire, e pene, dolori, sofferenze superano gli attimi di gioia e felicità" Le infinite battaglie della vita, vinte o perse, finiscono con la guerra comunque persa
perché è già nella nascita il destino.


Ciao Lou,


Sono giuste le tue considerazioni sul visivo e uditivo e relazionate a Nietzsche.
Ma permettimi di dire che Nietzsche non conosceva bene le origini ancora più antiche delle tradizioni, o forse alla sua epoca non erano ancora state scoperte archeologicamente, divulgate e studiate sicuramente di più nei nostri tempi.
Ad esempio c'è più di un collegamento fra Apollo e Dioniso , ma soprattutto a Nietzsche sfugge una personalità mitica molto importante: Orfeo.
Nietzsche dice "misterioso" come a cicli l'apollineo e il dionisiaco, secondo alcune interpretazioni erano addirittura la stessa personalità, e Orfeo è ancora più legato alla  tragedia attica,estrema sintesi del dorico apollineo e  ditirambo dionisiaco.
Il vero culto antico greco  era orfico, non l'Olimpo.(E molti filosofi post Nietzsche non si pigliano nemmeno la briga di controllare)  Orfeo è il musico sciamano. Tutti nascono, muoiono sbranati (come Crono il titano faceva dei suoi figli), come nei misteri  Eleusini che furono dionisiaci.
E' importante dirlo perché i filosofi moderni hanno poco o nulla affidabilità sulle interpretazioni della cultura antica, non hanno capito che la fascia che va dagli indiani vedici dell'attuale parte occidentale dell'India e passa per gli altipiani fino a toccare la penisola balcanica, da lì venne Orfeo, da lì venne la cultura iranica del zoroastrismo e vicino nella Siria attuale dal crocevia turco, venne l'ebraismo e lì vicino i quattro fiumi che formarono l'antico Eden, al tempo dell'età dell'oro greco, quando Crono (il tempo) dormiva.
Nietzsche non conosce bene la cultura antica, cosa che per me è fondamentale per capire la cultura umana
#375
Tematiche Filosofiche / Re:Sileno
29 Febbraio 2020, 00:57:49 AM
 Ciao Lou,


sono ancora d'accordo sull'analisi in generale che fai di Nietzsche.
Inserirei delle considerazioni, riflessioni.
Nietzsche ha già  una sua posizione ancor prima della  " La nascita della tragedia ....".
Mi interesserebbe capire come matura il suo pensiero e non scarterei le sue vicende famigliari, protestanti praticanti e laureato in teologia(come Heidegger) e filologia. E' come se avesse rifiutato il tutto per andare nel contrario.
C'è spesso  una profonda  amarezza vissuta dietro un  profondo scandagliare umano.
In lui la condizione umana, la tragedia, assume un paradigma metafisico, il pathos estetico sostituisce l'ontologia, il pessimismo di Schopenhauer e l'arte di Wagner(poi ripudiati) e il divenire eracliteo sono risaltati già in queste sue prime opere.
Nel nostro tempo il teatro è visto come spettacolo che può più o meno coinvolgerci e i nostri giudizi spesso sono concettuali; la tragedia greca nei tempi antichi, pur essendo rappresentazione, è vissuto evocativo, è empatico, istintivo/pulsionale. L'arte tragica greca è la perfetta sintesi fra la volontà dionisiaca e la rappresentazione apollinea.
Omero è tacciato come ingenuo illuso, sono accettati i miti che prefigurano la lotta umana contro il divino, come sottoposizione crudele nel Prometeo, Oreste, Edipo. C'è già un  pre-giudizio che sarà posto nell'opera successiva "La filosofia nell'epoca tragica dei Greci".


Legge Schopenhauer per la prima volta nel '65, ne coglie subito l'enorme portata, come rivela in una lettera ad un suo collega: «da quando Schopenhauer ci ha tolto dagli occhi le bende dell'ottimismo, lo sguardo si è fatto più acuto. La vita è più interessante, sebbene più brutta».


Dal mio punto di vista.
Ma perché mai il pensiero è sofferenza, la consapevolezza il mezzo per aumentare la sofferenza?
Questo non capisco . Come se la ragione fosse un torto all'uomo posto dalla natura, se non si vuol più porlo alla teodicea divina. L'attimo animale è la dimenticanza, non c'è passato  o futuro.
Meglio animali che umani? 
Mi pare netta la dicotomia culturale sul perché della ragione umana.




ciao Ipazia,


Sileno indirizza la sua sentenza a tutta la stirpe umana.
Sono d'accordo che "la morte di dio" ha lasciato spazio ad una decadenza.
E qui penso che Nietzsche abbia fallito, più ancora di un "dio in vita".
E se tanto mi dà tanto......significherebbe che alcuni paradigmi nietzscheani
non sono filosoficamente  pertinenti e deformano il suo pensiero.
E' solo un invito a riflettere la mia, non una sentenza.