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Messaggi - cvc

#361
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
26 Novembre 2016, 23:32:23 PM
CitazioneInviato da sgiombo:

Su tantissime fondamentali questioni sono in totale accordo con il (per me "sommo") David Hume.


Come lui (e te; e tutte le persone comunemente ritenute sene di mente) nemmeno io credo che la realtà non si esaurisca nelle sensazioni fenomeniche della (costituenti la; "questa mia propria" immediatamente avvertita) esperienza cosciente (Hume non usava il temine "fenomeno", almeno in questo senso, almeno se mi ricordo bene dalle ripetute ma non recenti letture delle sue opere); ma come lui sottopongo a critica razionale serrata (il più possibile conseguente) le mie convinzioni e giungo alla conclusione che questa credenza é infondata, non dimostrabile né tantomeno mostrabile, empiricamente constatabile.
Ma  esistono anche cose non empiricamente dimostrabili, anzi esistono cose di cui non posiamo avere esperienza. Ad esempio parliamo spesso della nostra vita intesa nel suo complesso, ma non abbiamo mai esperienza della vita nel suo complesso.  Ma non credo si possa dubitare che esista una vita nel suo complesso (la mia, la tua) pur non avendone esperienza.
CitazioneIn questo senso secondo me "la sensazione  é fondante" ogni possibile conoscenza critica, é una sorta di fondamentale, indubitabile "monade di verità" ("esse est percipi").
(In questo presuntuosamente cercando di andare probabilmente almeno in parte oltre -ma non contro- Hume) Credo inoltre -ma rendendomi ben conto dell' infondatezza razionale di questa credenza- che essa (la sensazione) sia in un certo senso "qualcosa di strutturato" il cui reale accadere implica la coscienza, i sensi, la realtà fisica, l'intelligenza; credo cioé che esista oltre all' esperienza fenomenica cosciente fatta di mere percezioni (esteriori" o materiali o res extensa ed "interiori o mentali o res cogitans, intese non come cose in sé a la Cartesio" ma come meri eventi percettivi a la Hume; e in parte a la Berkeley) una realtà oggettiva in sé (non costituita di sensazioni) comprendente i soggetti (me stesso e altri) e gli oggetti di essa. E che la parte materiale di ciascuna delle molteplici esperienze fenomeniche coscienti sia biunivocamente corrispondente alla medesima realtà in sè o (a la Kant) noumeno; e conseguentemente per proprietà transitiva, che ciascuna di esse sia "poliunivocamente corrispondente" alle altre, indipendentemente dai loro rispettivi soggetti (cioé, in questo senso, intersoggettiva).
Certo il problema del dualismo è trovare il modo di far coincidere spazio-temporalmente materia e pensiero. Certo dividere res cogitans e res extensa semplifica le cose, ma poi rimane il problema di due realtà distinte che si trovano nello stesso "qui e ora". Diversamente il monismo finisce col ridurre il pensiero alla materia o, eventualmente, viceversa. Il miglior compromesso mi sembra quello di Eraclito, il fuoco come specchio della ragione, che permane nel tempo mutando continuamente forma e assimilando a se ciò che incontra (il fuoco assimila il combustibile, la ragione assimila conoscenza)
CitazioneCredo che le convinzioni di ogni soggetto possano cambiare (le sensazioni interiori o mentali di considerazioni, valutazioni, giudizi, credenze; più o meno vere) circa (le sue sensazioni fenomeniche costituenti) gli svariati enti e/o eventi fenomenici da lui percepiti; e non tali enti e/o eventi fenomenici stessi (intersoggettivi nel caso di quelli "esteriori" o materiali).

Ovviamente tutto ciò é perfettamente compatibile con la passività delle sensazioni "esteriori" o materiali e con l' attività di (sensazioni "interiori" o mentali costituenti) valutazioni, pensieri, conoscenze circa di esse e di decisioni pratiche. E con il fatto che l'intelligenza e il sentimento (e la forza di volontà) ci portano spesso ad agire contro le nostre spontanee inclinazioni avvertite ("interiormente", mentalmente) come immediate pulsioni ad agire, come nei casi di autocontrollo.
Su questo mi pare siamo d'accordo
CitazioneUso sempre le virgolette per i termini "interiore ed "esteriore" riferendoli ad "oggetti" (enti e/o eventi) che sono comunque sempre irriducibilmente interni all' esperienza fenomenica cosciente (anche nel caso di quelli intersoggettivi), e dunque in ultima analisi propriamente soggettivi.
E mi sembra che il punto difficile da comprendere ed accettare sia proprio il "mio punto di partenza filosofico", cioé l' "esse est percipi", il rendersi conto che gli "oggetti" (cosiddetti) di esperienza (in generale; ed in particolare quelli "esterni" o materiali) non sono che insiemi e successioni di mere sensazioni in quanto tali, e dunque non (più e/o non ancora) reali allorché non accadono presentemente in atto (in quanto tali): il solito maestoso cedro del Libano, o il monte Bianco o quant' altro di materiale, allorché non li vediamo non esistono per niente (sarebbe platealmente autocontraddittorio pretenderlo!): casomai esiteranno enti ed eventi in sé (non costituiti da sensazioni) ad essi biunivocamente corrispondenti; e lo stesso dicasi delle sensazioni fenomeniche coscienti "interiori" o mentali: allorché non accadono noi in quanto insiemi e/o successioni di esse, noi intesi in quanto "i nostri pensieri" non esistiamo per niente (sarebbe platealmente autocontraddittorio pretenderlo!): casomai esitereremo in quanto (intesi come) enti ed eventi in sé (cioé non in quanto ci percepiamo "interiormente)".
Si ma se esamini le percezioni è difficile trovare due percezioni identiche. La scienza mostra invece che alcuni fenomeni sotto le stesse condizioni si comportano sempre allo stesso modo. Quindi non credo potrebbe esserci scienza sulla base delle sole percezioni. Occorrono la logica e la matematica che si fondano sull'astrazione. E spiegare l'astrazione partendo dalla percezione non saprei proprio
#362
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
26 Novembre 2016, 11:25:08 AM
Citazione di: sgiombo il 26 Novembre 2016, 10:56:40 AM
Citazione di: cvc il 23 Novembre 2016, 15:51:35 PM
Citazioni da sgiombo
Citazione La realtà fenomenica é costituita dalle "nostre" rappresentazioni (sensibili, coscienti, ovvero, per l' appunto, fenomeniche) e le "nostre" rappresentazioni fenomeniche costituiscono la "nostra" coscienza.
Ma ciò che si manifesta a noi lo fa per mezzo delle nostre rappresentazioni. Si possono dare diverse rappresentazioni del medesimo oggetto, ma dovrà pur esistere anche l'oggetto che si manifesta in quanto percepibile. Può essere che ci siano percezioni e nulla di percepibile?
Citazione
Secondo me si, per il semplice fatto che ciò é pensabile in maniera non autocontraddittoria, sensata:  potrebbe anche darsi che la la realtà si esaurisca nelle percezioni fenomeniche e nulla più.
Che inoltre esistano realmente oggetti e io come soggetto delle percezioni -gli uni e l' altro essendo evidentemente cose in sé congetturabili (noumeno) e non insiemi di apparenze sensibili (fenomeni)- lo credo senza poterlo dimostrare né tantomeno mostrare (e ciò vale in particolare per il fatto che  pure che fra gli altri oggetti fenomenici delle (mie) sensazioni esistano pure altri soggetti di esperienza fenomenica cosciente oltre a me).



CitazioneIn quanto tale essa (la realtà fenomenica) non può essere considerata oggettiva: se esistiamo (oltre ai "nostri" fenomeni coscienti, anche) noi (ciascuno di noi) in quanto soggetti (in sé, noumenici) di essi, allora la realtà fenomenica é ciò che noi come soggetti di coscienza percepiamo; al di fuori della nostra coscienza (se e quando, allorché la realtà fenomenica costituente la nostra coscienza non c' è, non accade) allora essa non è nulla (questa è addirittura una tautologia).
L'oggettività dipende dalla posizione dell'osservatore. Dallo stesso punto di osservazione una interpretazione di un fenomeno fisico, al netto della psicologia, dovrebbe, credo, valere per tutti
CitazioneFermo restando il fatto che si tratta di mere sensazioni fenomeniche e insiemi di sensazioni fenomeniche ("esse est percipi"), questo é ciò che chiamo "intersoggettività" della parte "esteriore" - materiale ) dell' esperienza fenomenica cosciente (la res extensa; ed anche questo non é dimostrabile ma solo credibile -e di fatto anche da me creduto, ovviamente- arbitrariamente, "per pura fede)": reciproca univoca corrispondenza fra ciascuna delle molteplici esperienze fenomeniche coscienti (la cui anche sola esistenza stessa é credibile e non dimostrabile esistere), ovvero corrispondenza "poliunivoca" fra esse.

Non si tratta comunque propriamente di "oggettività stiamo parlando pur sempre di enti ed eventi accadenti nella ("appartenenti alla") coscienza di di ciascun soggetto, enti ed eventi fenomenici reali unicamente in quanto tali: "esse est percipi"
Per oggetti propriamente tali, se esistono (come credo, ancora una volta, senza poterlo dimostrare né tantomeno mostrare), non si può che intendere cose in sé che a quanto di "esterno" o materiale fenomenicamente (e dunque pur sempre soggettivamente, per quanto intersoggettivamente) accade si possono non certo identificare, ma casomai postulare essere biunivocamente corrispondenti.



CitazioneLa componente "esteriore" o materiale (e non quella "interiore" o mentale) di essa può essere considerata (e creduta, ma non dimostrata, né mostrata) essere non uguale (concetto che applicato ad essa non ha senso, nessuno potendo "sbirciare nelle coscienze altrui" per confrontarne i contenuti con quelli della propria e stabilire se e in che misura essi siano uguali o meno), bensì poliunivocamente corrispondente fra le diverse esperienze coscienti: ciò che intendo io dicendo che qui davanti c' é un bell' albero di Cedro del Libano dal fogliame verde cupo può (e deve, se adeguatamente interpellato) dire di vederlo (lo deve vedere) chiunque (non cieco, né daltonico o affetto da altri difetti di vista) si collochi nella mia stessa posizione e guardi nella stessa direzione (ma cosa o come siano i quali detti "verde cupo" nell' ambito delle coscienze di ciascuno di essi non posso nemmeno immaginarlo: posso solo pensare che quando chiunque abbia vista sana e sia nelle condizioni opportune dice di vedere qualcosa di verde cupo, allora io nelle stesse condizioni percepisco -o percepirei, se il caso fosse ipotetico- quel determinato quale che chiamo "verde cupo" e non quello di alcun altro colore; e viceversa).
Ogni dimostrazione parte da assiomi non dimostrabili, quindi ogni dimostrazione è preceduta da un prender per vero. Su questo, se è questo che intendi, siamo daccordo
CitazioneIn particolare che esistano (anche) cose in sé, "oggetti" in senso proprio delle sensazioni (fenomeniche) "esteriori o materiali, a queste ultime biunivocamente corrispondenti "intersoggettivamente", cioé allo stesso modo in ogni esperienza fenomenica cosciente di ciascun soggetto di sensazioni (in particolare materiali: res extensa) non può essere in alcun modo dimostrato: non c' é argomentazione cogente che possa convincere che necessariamente così stiano le cose in realtà.



Citazione Ma oggettivo (cioé indipendente dalle -eventuali- sensazioni soggettive di chiunque, tale che é così com' é, che sia fenomenicamente percepito da qualcuno o meno) può essere solo qualcosa di reale in sé, congetturabile (noumeno) ma non sensibile, non apparente (non fenomeno), ma casomai biunivocamente corrispondente a fenomeni intersoggettivamente percepibili nell' ambito delle esperienze fenomeniche coscienti di chiunque abbia le facoltà sensibili appropriate (noi non possiamo udire tridimensionalmente, contrariamente ai pipistrelli, nè udire ultrasuoni percepiti dai cani); cioè tali che allorchè i soggetti di esperienza cosciente sono in determinati rapporti con determinati enti/eventi in sé, allora sono in condizioni tali che nelle rispettive esperienze coscienti "di ciascuno loro" accadono certe determinate sensazioni "extensae" e solo quelle, e non altre, tutte in reciproca corrispondenza poliunivoca nell' ambito di tali diverse esperienze coscienti (in tali circostanze,) e ciascuna in corrispondenza biunivoca con tali determinati enti/eventi in sé oggettivi.
Certo è una delle tesi scettiche che non percepiamo tutti in modo identico. Però esistono delle convenzioni. Se si stabilisce che una determinata barra di metallo è un metro, e con essa si misura l'altezza o la larghezza del tuo cedro in modo corretto, tale misura è da considerarsi oggettiva. Ovviamente non tutto è misurabile (anche se qualcuno non  è d'accordo) e così facilmente oggettivabile. Azzardo a dire che secondo me, stringi stringi, la realtà oggettivabile non è che una parte minore del reale, benchè in taluni ambiti la si reputi la sola
CitazioneConcordo: le misure (i rapporti quantitativi esprimibile mediante numeri) nell' ambito materiale (la rese extensa) di ciascuna esperienza fenomenica cosciente (se queste esistono e sono poliunivocamente corrispondenti) sono le stesse (proprio per la corrispondenza biunivoca di ciascuna di esse con la realtà in sé o noumeno e transitivamente fra tutte esse (= "poliunivoca").

Per esempio qualsiasi cosa sia nella tua esperienza fenomenica cosciente ciò che con me chiami "(visione di) questo cedro", il rapporto fra (ciò che chiamiamo) la sua altezza e (ciò che chiamiamo) il metro campione conservato a Parigi é -poniamo- ciò che tu nella tua esperienza cosciente chiami "40" ed anch' io nella ia chiamo "40".



CitazioneConcordando che La realtà noumenica, infine, è kantianamente inconoscibile e ritenendo che l' oggettività sia propria solo di essa e non della realtà fenomenica, l' oggettività non (ci) é per me (fenomenicamente) attingibile, ma la parte "esteriore" materiale delle diverse esperienze fenomeniche coscienti é comunque "intersoggettiva" nel senso di "poliunivocamente corrispondente" fra tutte quelle di ciascun soggetto (affermazione peraltro indimostrabile, né men che meno empiricamente mostrabile, constatabile).
Faccio un pò fatica ad assimilare il concetto "poliunivocamente corrispondente" ma forse è lo stesso che penso io.
CitazioneSpero di averlo chiarito nelle risposte alle tue precedenti considerazioni e obiezioni.



CitazioneInfine non trovo alcuna necessità di conoscenze a priori, anche se la realtà mentale (esattamente come quella materiale) consiste unicamente di sensazioni o "rappresentazioni": per spiegare il fatto di comunicarci verbalmente e condividere intersoggettivamente conoscenze circa la parte materiale dei fenomeni "basta" (anche se mi rendo conto che è una credenza infondata non da poco! Ma non più di quella in conoscenze a priori comuni a tutti) postularne la corrispondenza biunivoca con la realtà in sé o noumeno, e transitivamente la corrispondenza poliunivoca fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti.
Si però se tutto ciò che sappiamo lo abbiamo appreso, da qualche parte dovrà pure iniziare l'intelligenza. La quale è, secondo me, un'assimilazione progressiva di conoscenze. Ma perchè si assimili dovranno già esserci nell'intelletto delle regole di coerenza interne, così come a livello biologico un organismo tende ad adattarsi all'ambiente con comportamenti innati. Vedi gli animali e l'istinto
CitazioneConcordo.Però preciserei che per me si tratta solo di "potenzialità comportamentali" che si attuano in seguito a esperienze e non di vere e proprie "nozioni" o conoscenza di già presenti (innate) in noi: di innato c'è la capacità di ragionare secondo certe regole , l' "intelligenza", se vogliamo, cioè la capacità di sapere non qualche nozione o conoscenza "già pronta a priori" indipendentemente dall' esperienza: se si muore in tenera età non si fa a tempo a tradurre in atto tali potenzialità" e ad avere conoscenze, che dunque non sono, propriamente parlando, "innate".
Credo che il tuo discorso ruoti molto intorno al concetto di percezione, che però mi pare che tu veda come un qualcosa di fondante, come una sorta di monade di verità, dove io invece trovo che la percezione sia un fenomeno strutturato al cui interno agiscono la coscienza, i sensi, la realtà fisica, l'intelligenza. Le convinzioni di fondo di un soggetto possono cambiare la sua percezione di un dato fenomeno. Ad esempio percepisco X come una gran bella persona, poi vengo a sapere che ha commesso azioni immorali, allora la mia percezione di X cambia. Per me questo basta per dire che la percezione è si un fenomeno importantissimo, ma non una monade di significato con cui sovvertire la conoscenza tradizionale che parte dalla coscienza, come mi pare abbia fatto Hume. E quindi non credo che la realtà possa esaurirsi nelle percezioni fenomeniche, perchè manca un elemento fondamentale: la psiche che sa di avere un ruolo attivo sulle stesse. La percezione è un fenomeno passivo, l'intelligenza è attiva. Se la realtà si esaurisse con le percezioni fenomeniche, noi saremmo solo degli esseri passivi, ma l'intelligenza e il sentimento ci portano spesso ad agire contro le nostre percezioni, come nel caso dell'autocontrollo.
#363
Mi sorge un dilemma: che differenza c'è fra Diogene e un punkabbestia? Entrambi sono per l'anarchia, vivono di espedienti in condizioni simili ad animali, disprezzano le convenzioni sociali, sono scabrosi, insultano chi non la pensa come loro o non gli da ciò che chiedono. È per me come un rompicapo, perché io stesso nutro ammirazione per Diogene e repulsione per i punkabbestia? Forse perché il primo è un'idealizzazione di un uomo vissuto duemila anni fa in condizioni particolari e questi me li ritrovo nel presente fra i piedi e devo evitarli perché mi irritano profondamente? Ammetto di sentirmi un po' confuso al riguardo. Forse perché il primo aveva una posizione ideologica e il secondo è invece più interessato all'aspetto pratico della sua condizione, che gli consente di vivere come un parassita. È ciò che è stato contestato ai cinici successori del movimento che proprio per questo si estinse, venendo relegato ad "arte di masturbarsi in pubblico".
Però faccio fatica a fare una netta distinzione, probabilmente perché qualcosa mi sfugge.
#364
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
23 Novembre 2016, 15:51:35 PM
Citazioni da sgiombo
Citazione La realtà fenomenica é costituita dalle "nostre" rappresentazioni (sensibili, coscienti, ovvero, per l' appunto, fenomeniche) e le "nostre" rappresentazioni fenomeniche costituiscono la "nostra" coscienza.

Ma ciò che si manifesta a noi lo fa per mezzo delle nostre rappresentazioni. Si possono dare diverse rappresentazioni del medesimo oggetto, ma dovrà pur esistere anche l'oggetto che si manifesta in quanto percepibile. Può essere che ci siano percezioni e nulla di percepibile?
CitazioneIn quanto tale essa (la realtà fenomenica) non può essere considerata oggettiva: se esistiamo (oltre ai "nostri" fenomeni coscienti, anche) noi (ciascuno di noi) in quanto soggetti (in sé, noumenici) di essi, allora la realtà fenomenica é ciò che noi come soggetti di coscienza percepiamo; al di fuori della nostra coscienza (se e quando, allorché la realtà fenomenica costituente la nostra coscienza non c' è, non accade) allora essa non è nulla (questa è addirittura una tautologia).

L'oggettività dipende dalla posizione dell'osservatore. Dallo stesso punto di osservazione una interpretazione di un fenomeno fisico, al netto della psicologia, dovrebbe, credo, valere per tutti
CitazioneLa componente "esteriore" o materiale (e non quella "interiore" o mentale) di essa può essere considerata (e creduta, ma non dimostrata, né mostrata) essere non uguale (concetto che applicato ad essa non ha senso, nessuno potendo "sbirciare nelle coscienze altrui" per confrontarne i contenuti con quelli della propria e stabilire se e in che misura essi siano uguali o meno), bensì poliunivocamente corrispondente fra le diverse esperienze coscienti: ciò che intendo io dicendo che qui davanti c' é un bell' albero di Cedro del Libano dal fogliame verde cupo può (e deve, se adeguatamente interpellato) dire di vederlo (lo deve vedere) chiunque (non cieco, né daltonico o affetto da altri difetti di vista) si collochi nella mia stessa posizione e guardi nella stessa direzione (ma cosa o come siano i quali detti "verde cupo" nell' ambito delle coscienze di ciascuno di essi non posso nemmeno immaginarlo: posso solo pensare che quando chiunque abbia vista sana e sia nelle condizioni opportune dice di vedere qualcosa di verde cupo, allora io nelle stesse condizioni percepisco -o percepirei, se il caso fosse ipotetico- quel determinato quale che chiamo "verde cupo" e non quello di alcun altro colore; e viceversa).
 
Ogni dimostrazione parte da assiomi non dimostrabili, quindi ogni dimostrazione è preceduta da un prender per vero. Su questo, se è questo che intendi, siamo daccordo
Citazione Ma oggettivo (cioé indipendente dalle -eventuali- sensazioni soggettive di chiunque, tale che é così com' é, che sia fenomenicamente percepito da qualcuno o meno) può essere solo qualcosa di reale in sé, congetturabile (noumeno) ma non sensibile, non apparente (non fenomeno), ma casomai biunivocamente corrispondente a fenomeni intersoggettivamente percepibili nell' ambito delle esperienze fenomeniche coscienti di chiunque abbia le facoltà sensibili appropriate (noi non possiamo udire tridimensionalmente, contrariamente ai pipistrelli, nè udire ultrasuoni percepiti dai cani); cioè tali che allorchè i soggetti di esperienza cosciente sono in determinati rapporti con determinati enti/eventi in sé, allora sono in condizioni tali che nelle rispettive esperienze coscienti "di ciascuno loro" accadono certe determinate sensazioni "extensae" e solo quelle, e non altre, tutte in reciproca corrispondenza poliunivoca nell' ambito di tali diverse esperienze coscienti (in tali circostanze,) e ciascuna in corrispondenza biunivoca con tali determinati enti/eventi in sé oggettivi.
Certo è una delle tesi scettiche che non percepiamo tutti in modo identico. Però esistono delle convenzioni. Se si stabilisce che una determinata barra di metallo è un metro, e con essa si misura l'altezza o la larghezza del tuo cedro in modo corretto, tale misura è da considerarsi oggettiva. Ovviamente non tutto è misurabile (anche se qualcuno non  è d'accordo) e così facilmente oggettivabile. Azzardo a dire che secondo me, stringi stringi, la realtà oggettivabile non è che una parte minore del reale, benchè in taluni ambiti la si reputi la sola
CitazioneConcordando che La realtà noumenica, infine, è kantianamente inconoscibile e ritenendo che l' oggettività sia propria solo di essa e non della realtà fenomenica, l' oggettività non (ci) é per me (fenomenicamente) attingibile, ma la parte "esteriore" materiale delle diverse esperienze fenomeniche coscienti é comunque "intersoggettiva" nel senso di "poliunivocamente corrispondente" fra tutte quelle di ciascun soggetto (affermazione peraltro indimostrabile, né men che meno empiricamente mostrabile, constatabile).
Faccio un pò fatica ad assimilare il concetto "poliunivocamente corrispondente" ma forse è lo stesso che penso io. 
CitazioneInfine non trovo alcuna necessità di conoscenze a priori, anche se la realtà mentale (esattamente come quella materiale) consiste unicamente di sensazioni o "rappresentazioni": per spiegare il fatto di comunicarci verbalmente e condividere intersoggettivamente conoscenze circa la parte materiale dei fenomeni "basta" (anche se mi rendo conto che è una credenza infondata non da poco! Ma non più di quella in conoscenze a priori comuni a tutti) postularne la corrispondenza biunivoca con la realtà in sé o noumeno, e transitivamente la corrispondenza poliunivoca fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti.
Si però se tutto ciò che sappiamo lo abbiamo appreso, da qualche parte dovrà pure iniziare l'intelligenza. La quale è, secondo me, un'assimilazione progressiva di conoscenze. Ma perchè si assimili dovranno già esserci nell'intelletto delle regole di coerenza interne, così come a livello biologico un organismo tende ad adattarsi all'ambiente con comportamenti innati. Vedi gli animali e l'istinto
#365
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
22 Novembre 2016, 13:05:41 PM
Stando a Kant, la rappresentazione è indefinibile, perché non si può definire una rappresentazione se non con un'altra rappresentazione. La realtà fenomenica è - mi azzardo a dire - l'oggettivazione delle nostre rappresentazioni, in quanto prima avvertiamo che qualcosa è, poi cerchiamo di dire che cos'è quel qualcosa, oggettivandolo (mi azzardo anche a dire che il solipsismo deve essere un tentativo di oggettivazione di un proprio sentire interiore, non credo che un solipsista aspiri realmente a non essere compreso da nessuno). La realtà noumenica, infine, è kantianamente inconoscibile in quanto alla natura evanescente della rappresentazione. Se tutta la realtà mentale consistesse solo di rappresentazioni, sarebbe assai difficile o impossibile per noi avere delle salde fondamenta che ci permettano di imbastire dei ragionamenti. Perché qualsiasi rappresentazione, persino le più chiare ed evidenti, in quanto astrazioni tendono a svanire. Dunque l'esistenza di conoscenze a priori non mi pare cosa balzana.
#366
Nel senso che l'individualismo alimenta l'ego, la brama di possesso. Libido in questo senso e non come pulsione sessuale.
#367
Nell'antichità la dialettica era anche considerata l'arte di condurre l'uno (la natura) al tutto (le individualità, le cose particolari) e il tutto all'uno . Si potrebbe pensare che, come avviene nel contemporaneo, il conformismo abbia un po' rotto gli equilibri di questo gioco. Perché se è vero che da un lato l'uomo è sempre più individualista, è anche vero d'altra parte che il suo individualismo sfocia poi nel conformismo. Quindi, cercando di spiegarmi, l'individualismo si manifesta come libido, volontà di possesso non solo materiale. Però resta un generale appiattimento dei valori per cui si è contemporaneamente ribelli e conformisti. Nel senso che siamo subito pronti a ribellarci alla volontà dell'altro, ma si è incapaci di proporsi in maniera realmente differente, di indicare un diverso e convincente punto di vista che giustifichi questa ribellione. Quindi è falsato il passaggio dai molti all'uno e viceversa. Perché i molti non capiscono ciò che li rende differenti l'uno dall'altro, quindi si perde il senso della necessità del ritorno all'uno (natura).
Ci sarebbe da riflettere sulle considerazioni di Smith sulle conseguenze della diversificazione del lavoro e sul taylorismo (organizzazione scientifica del lavoro). La nostra società è divenuta troppo omogenea per avvertire se stessa come organismo, come un insieme di esseri eterogenei facenti parte di un tutto. Il conformismo ci ha rimbambito, non comprendiamo più il significato della natura. Ma il problema è solo dentro di noi, perché la natura è sempre la stessa.
#368
Attualità / Re:Migranti
20 Novembre 2016, 14:32:21 PM
Certo sembrerebbe fin troppo semplice dire che, siccome abbiamo le carceri intasate da criminali irregolari (strana combinazione di parole), mettiamo tutti i delinquenti clandestini su un aereo destinazione casa loro e facciamo posto a chi ha voglia di vivere onestamente e non cerca pretesti per legittimare i reati. Poi immagino che la cosa non sia così facile, soprattutto perché scandalizzerebbe la chiesa e parte dell'opinione pubblica. Però, anche se nessuno ha scritto in fronte onesto o farabutto, si potrebbero escogitare metodi per premiare o punire la condotta sul nostro territorio. D'altronde se è vero che non si parla più di bastone e carota, nondimeno si considera uno dei principi fondamentali dell'economia che gli individui reagiscono agli incentivi. Non è forse un restyling più elegante del bastone e carota?
Poi si potrebbe dire (riguardo alla nostra non candida coscienza): chi siamo noi per giudicare i buoni e i cattivi? Il problema è che lo abbiamo già fatto. L'Isis non è che l'esercito di Saddam Hussein rimasto senza guida, un'accozzaglia di soldati professionisti disoccupati, riunito e assoggettato ad un pazzo furioso. Il genio che si presentò all'Onu con la celebre provetta non aveva certo previsto questo. Quindi se prendiamo in esame la questione altro che buoni e cattivi, ci vuole la maschera antigas per resistere alla puzza di sto schifo. Ma così è il mondo e bisogna pur dargli qualche calcio per continuare a farlo girare. Del resto la Germania pare abbia già messo le mani avanti per accaparrarsi gli stranieri più qualificati.
#369
Attualità / Re:Migranti
20 Novembre 2016, 08:35:09 AM
L'articolo di Caperna è una buona disamina della situazione attuale. Però, pensiamoci bene, noi stiamo condannando gli orizzonti della società della tecnica, e lo stiamo facendo discutendo con identità virtuali, in un luogo virtuale, linkando articoli o video, consultando enciclopedie multimediali. Acquario dice che che il mondo esterno è un riflesso di quello interno, ma è vero anche il contrario. Nel momento in cui critichiamo l'empietà della tecnica, continuiamo a servircene, a dedicarle gran parte del nostro tempo. Cerchiamo di uscire da una buca tirandoci per il colletto. Lanciamo anatemi alla civiltà della tecnica, non gettando alle ortiche Smartphone e pc, ma continuando ad usarli. In definitiva è il principio di necessità che ci guida. Anche condannando questa realtà, la necessità ci impone di usare i mezzi più efficienti per farlo. Ma è quella stessa necessità che quando la decrescita non sarà più un'opzione ma appunto una necessità (magari faremo appunto in tempo a morire prima), allora fra necessità ed efficienza non ci sarà nemmeno confronto. Ma ancora non avvertiamo la necessità. Come per i migranti, finché la situazione non congestiona, si continua a sottovalutarla. Ma non basterebbe il buon vecchio metodo bastone e carota? Cioè accogliere a braccia aperta i virtuosi e a calci nel sedere i delinquenti.
#370
Citazione di: maral il 19 Novembre 2016, 21:40:12 PM
Continuo a non capire come può la natura non essere in conflitto e l'uomo esserlo palesemente. L'uomo non è un elemento di natura, un'espressione della natura? O cos'altro si pensa che sia?
Non è.che la natura non sia in conflitto, la natura comprende tutte le parti (i contendenti) del conflitto. L'uomo è in conflitto in quanto prigioniero della propria individualità. Ma il dilemma è se l'individualità è un valore o un disvalore. Ed essendo, secondo me, entrambe le cose, è qui che si gioca per il senso dell'esistenza.
#371
Attualità / Re:Voglio una pistola
18 Novembre 2016, 16:35:03 PM
Scusate, ma il solo fatto che sia passata una discussione dal titolo "Voglio una pistola" non vi sembra già una prova di pazienza sufficiente da parte dei moderatori?
#372
Citazione di: Apeiron il 17 Novembre 2016, 18:21:09 PM
cvc, non posso "provare" la mia opinione su di Eraclito e su Anassimandro ma i due mi danno un'idea molto diversa.
Il primo (di cui abbiamo molti frammenti) dice espressamente che "giustizia è contesa" e rende molto l'idea che "tutto è manifestazione di Dio", anche le guerre più orribili. Detto questo certamente lo si può interpretare come uno stoico, ma allora perchè non ci è venuto un frammento in cui esalta ad esempio la virtù della non-violenza oppure uno in cui dice "purtroppo il mondo è così, quindi dobbiamo combattere"?
Giustificazionismo= dire appunto che "tutto è giusto".

Per Anassimandro mi ricordo anche io che parla di necessità però dice espressamente che gli opposti fanno ingiustizie e inoltre postula l'esistenza dell'Apeiron come "condizione iniziale" che molto probabilmente è pacifica.

Detto questo entrambi sono deterministi come Hegel (simile a Eraclito...) e Schopenhauer (simile ad Anassimandro...). Però eh non mi pare che questi ultimi fossero d'accordo sul dire che "tutto è giusto...". Entrambi cioè possono essere deterministi ma essere in disaccordo sul fatto che le cose siano "giuste".
Scusa ma se uno crede che esista un Dio, mi pare naturale che gli attribuisca anche la qualità di giusto e, di conseguenza, ammetterà che discendendo tutte le cose da Dio, trovi anche una giustificazione, un senso al tutto. Ma non credo che questo sia un giustificazionismo ipocrita volto a difendere dei propri interessi materiali o spirituali o di pensiero.
#373
Citazione di: Apeiron il 17 Novembre 2016, 17:15:17 PMChiaramente più interpretazione dell'eremita di Efeso sono possibili ma davanti a frammenti del tipo:
benché infatti tutte le cose accadano secondo lo stesso lógos (frammento 1)
Bisogna però sapere che la guerra è comune, che la giustizia è contesa (frammento 80)
Per il dio tutto è bello, buono e giusto, gli uomini invece ritengono giusta una cosa, ingiusta l'altra.
(frammento 102)
dio è giorno notte, inverno estate, guerra pace, sazietà fame, e muta come il fuoco, quando si
mescola ai profumi e prende nome dall'aroma di ognuno di essi.
(frammento 67)

Dio è TUTTO per Eraclito: ergo tutto è da "venerare". Non puoi in sostanza non riconnoscere che anche la guerra più atroce è manifestazione di Dio. Più giustificazionista di così (forse non è nichilista ma dire "tutto è perfetto" non mi pare un'etica).

Poi eh anche Eraclito ha molte cose positive ma  questo suo lato mi rabbrividisce.

Il tuo Eraclito mi sembra più un Anassimandro:
"Principio degli esseri è l'Apeiron ... da dove infatti gli esseri hanno origine, ivi hanno anche la dissoluzione secondo necessità: poiché essi pagano l'uno all'altro la pena e l'espiazione dell'ingiustizia secondo l'ordine del tempo" Qui si riconosce che la contesa è una parte molto importante della natura ma comunque non la si chiama "manifestazione di Dio". Tra l'altro Anassimandro sembra essere il primo a fare una interpretazione morale del mondo: la sofferenza nasce dalla tensione degli opposti, dopo che questi si sono "staccati" dall'Apeiron. Una sorta di "caduta"....
Non capisco cosa intendi per giustificazionista, non intendeva certo Eraclito che uno fa la guerra per i suoi
comodi e poi si giustifica dicendo che la guerra è un principio universale. Semmai questa è stata una deviazione
di certo darwinismo sociale in voga agli arbori delle grandi guerre mondiali. Non dice infatti che tutto è perfetto,
semmai che "tutto avviene secondo necessità" (e se non sbaglio mi pare lo dica pure Anassimandro). Certo è compito
non da poco stabilire quando la guerra è necessaria, e che si presta alle più svariate manipolazioni. Però come
suggerisce il titolo del tuo tropic, se abbiamo dei dubbi sul cristianesimo o altro, significa che ci sono delle
contese in atto dentro di noi, opinioni divergenti e contrastanti. La contesa non è solo quella delle spade e dei cannoni.
Anche l'essere più pacifico della terra discute per far valere le sue ragioni sull'altro, per non essere sopraffatto
#374
Citazione di: Apeiron il 17 Novembre 2016, 14:38:21 PM
Citazione di: cvc il 17 Novembre 2016, 13:14:47 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 17 Novembre 2016, 12:32:12 PMPer me il ricercare non è altro che un aspetto del divenire, il "tutto scorre" espresso da Eraclito. Cioè, che lo vogliamo o no, mi sembra che tutto si muove, si trasforma. In questo contesto, per me il ricercare è partecipare a questo divenire, che già è in natura, aggiungendoci la nostra partecipazione attiva, consapevole, critica. Per quanto riguarda l'approdo, per me ha senso cercarlo solo in un contesto di limitatezza umana, non in un qualche senso assoluto. Così, per me va bene ad esempio che una persona ricerchi perché vuole migliorare nella propria capacità di amare il prossimo; oppure nella propria formazione culturale, o nel saper suonare uno strumento. Sono scopi che mi vanno bene perché sono storici, adattati a quella persona specifica. Non esiste invece per me un approdo che si possa stabilire per ogni persona di ogni tempo e ogni luogo. Di conseguenza, se vogliamo parlare di ricerca in sé, indipendentemente da chi è la persona specifica di cui stiamo parlando, non è possibile definire alcun approdo. L'impossibilità di definire un approdo universale ha per me una conseguenza importante: una risposta a mio parere ottima che il tizio nella giungla potrebbe dare è questa: "Cerco perché per me cercare è vita, quale che sia ciò che si cerca, o anche senza alcun bisogno di avere qualcosa da cercare". Quante volte ci accade, durante una ricerca, di trovare qualcosa che non è ciò che stavamo cercando, eppure si rivela importante, a volte ancor più di ciò che cercavamo? Da ciò deduco che non c'è alcun motivo di considerare senza valore un cercare senza scopo. Anzi, proprio lo scopo potrebbe renderci ciechi: uno potrebbe fissarsi in mente di cercare per terra una monetina e non accorgersi di un diamante che gli passa sotto gli occhi, solo perché ormai tutta la sua mente si è fissata su quella monetina e non riesce ad accorgersi di nient'altro. In questo senso trovo molto valido cercare anche ciò che non esiste: può benissimo accadere che la mia ricerca mi riveli che ciò che pensavo inesistente invece esiste; oppure viene portato all'esistenza proprio dal mio cercare.
Mi fa piacere che citi Eraclito, ultimamente il mio pensiero torna spesso a lui. Mi ricorda l'ineluttabilità della guerra, della tensione fra gli opposti in cui siamo immersi. Non si intende il senso della vita se si pensa solo alla vita, ma se si confrontano le riflessioni sulla vita con quelle sulla morte: solo così si può comprendere o intuire un'armonia, solo dall'armonia si può trarre un senso. Che senso può avere la mia vita se la rapporto solo a me stesso o alle cose in cui non incontro difficoltà? Sono le mie battaglie (piccole o grandi che siano) il sale della mia vita, della mia esistenza. Ma non è facile come a dirsi accettare questa condizione, perché occorre avere lo stomaco per digerire l'effetto ributtante di questo continuo conflitto, di questo incessante divenire. Non si tratta qui dell'orgoglio del vincitore, ma del senso di liberazione derivante dall'accettazione del contrasto e del divenire come elemento universale di tutte le cose. Che non perché divengono non sono, ma sono in quanto e nella misura in cui vengono valutate dalla nostra ragione. La quale conosce la libertà e la sua vera natura solo quando non si oppone al mutare dell'universo. "Grande è l'anima che si abbandona al destino, ma meschina e vile è se lotta contro di esso e disprezza l'ordine dell'universo e preferisce correggere gli dei piuttosto che se stessa".


Eraclito... Mi ero dimenticato quanto ha influenzato anche me. Tuttavia ritengo lui l'apice di quel tipo di filosofia che potremo definire "nichilismo". Per lui non è l'armonia ma la guerra e la lotta a dominare il mondo. Ma da "bravo" precursore di Nietzsche ha identificato il fine ultimo della vita nel sostenere questa lotta: in loro non si vede un accenno di compossione. Credo che con lui si era giunti al culmine del "giustificazionismo" ancora peggio di Hegel e Nietzsche. Motivo: Hegel vedeva una progressione nella storia, Eraclito invece santificava la lotta. Almeno per Nietzsche non era "un dio".

E tuttavia è proprio la "gravità" della sua scoperta di vedere il mondo come lotta, come distruzione, come sofferenza che mi ha fatto "tremare". Proprio grazie ad una visione come la sua, quando si comprende quanto sia dolorosa e insoddisfacente si ha lo stimolo a "trascendere il mondo".
La sua glorificazione della lotta mi fa rabbrividire. Diciamo che sto filosofando per "provare che ha torto", per confutarlo. Rifiuto ancora di credere nel profondo che sia la lotta la condizione dell'esistenza.

Un appunto: probabilmente l'aforisma "non si può toccare due volte lo stesso fiume" non è suo. Il suo sembra essere: a coloro che scendono negli stessi fiumi diverse e ancora diverse acque affluiscono. Il nucleo del suo pensiero era appunto la "lotta-armonia degli apposti" e non il divenire.
Non vedo come Eraclito possa essere nichilista dato che nei suoi frammenti sono
frequenti i suoi richiami a Dio, alla ragione, alla virtù. Nemmeno Eraclito come 
precursore di Nietzscthe è plausibile, sebbene Nietzsche ne avesse ammirazione, i suoi 
temi sono ben altri. Non si tratta di santificare la guerra, ma di riconoscere nella contesa
un principio di verità. La contesa che lo si voglia o no è presente in tutte le cose, ma questo
non significa affatto compiacersene. Piuttosto come dice il vecchio saggio adagio romano: si vis pacem, para bellum.
Se vuoi la pace, preparati alla guerra.
#375
Citazione di: Sariputra il 17 Novembre 2016, 13:04:12 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 17 Novembre 2016, 12:32:12 PMPer me il ricercare non è altro che un aspetto del divenire, il "tutto scorre" espresso da Eraclito. Cioè, che lo vogliamo o no, mi sembra che tutto si muove, si trasforma. In questo contesto, per me il ricercare è partecipare a questo divenire, che già è in natura, aggiungendoci la nostra partecipazione attiva, consapevole, critica. Per quanto riguarda l'approdo, per me ha senso cercarlo solo in un contesto di limitatezza umana, non in un qualche senso assoluto. Così, per me va bene ad esempio che una persona ricerchi perché vuole migliorare nella propria capacità di amare il prossimo; oppure nella propria formazione culturale, o nel saper suonare uno strumento. Sono scopi che mi vanno bene perché sono storici, adattati a quella persona specifica. Non esiste invece per me un approdo che si possa stabilire per ogni persona di ogni tempo e ogni luogo. Di conseguenza, se vogliamo parlare di ricerca in sé, indipendentemente da chi è la persona specifica di cui stiamo parlando, non è possibile definire alcun approdo. L'impossibilità di definire un approdo universale ha per me una conseguenza importante: una risposta a mio parere ottima che il tizio nella giungla potrebbe dare è questa: "Cerco perché per me cercare è vita, quale che sia ciò che si cerca, o anche senza alcun bisogno di avere qualcosa da cercare". Quante volte ci accade, durante una ricerca, di trovare qualcosa che non è ciò che stavamo cercando, eppure si rivela importante, a volte ancor più di ciò che cercavamo? Da ciò deduco che non c'è alcun motivo di considerare senza valore un cercare senza scopo. Anzi, proprio lo scopo potrebbe renderci ciechi: uno potrebbe fissarsi in mente di cercare per terra una monetina e non accorgersi di un diamante che gli passa sotto gli occhi, solo perché ormai tutta la sua mente si è fissata su quella monetina e non riesce ad accorgersi di nient'altro. In questo senso trovo molto valido cercare anche ciò che non esiste: può benissimo accadere che la mia ricerca mi riveli che ciò che pensavo inesistente invece esiste; oppure viene portato all'esistenza proprio dal mio cercare.

Quindi si tratta di un cercare relativo, in vista di risultati relativi e soggettivi, autogratificanti . E' questa soggettività della ricerca che trovo estremamente pericolosa perchè la nostra mente già indirizza la ricerca prima ancora che ci mettiamo in cammino. L'uomo nella giungla non troverà nulla se non quello che il suo desiderio vuole trovare. Pensare di districarsi nella giungla, senza una mappa tracciata da chi già conosce tutte le insidie della giungla, necessita di una capacità di controllo sulla mente tipica di un Buddha. Che si accetti o no il divenire non ha alcuna importanza in senso ultimo, in quanto si diviene inevitabilmente lo stesso al di là di qualunque posizione filosofica sul divenire stesso. Un cercare senza scopo non è senza valore o senza senso, è solo un cercare assurdo ( è questo il motivo della mia obiezione). Viene semplicemente a mancare lo scopo del cercare stesso se non ottenere, per l'appunto, piccole , effimere, passeggere autogratificazioni. A questo punto , anzichè perdersi in una ricerca che si ritiene già relativa e che non porterà che a parziali, a volte insignificanti, obiettivi, tanto vale librare alto i calici, bere in compagnia e goderci la vita con giovani fanciulle, ché il tempo è breve e presto , delle nostre piccole ricerche "spirituali", l'abile vasaio farà vasi impastandole con l'argilla... ;D
Ma se a te basta, non ho alcuna obiezione... ;D ;D
È ovvio che non si potrebbe nemmeno percepire il divenire se non ci fosse un'anima che permane nel tempo perlomeno il tempo necessario per scorgere questo fluire intorno a se. E il suo scopo più alto è quello di comprendere che di tutte le cose che gli girano intorno, nessuna è degna di turbare la sua quiete, il suo stare al centro invece che affannarsi inutilmente in tutte le direzioni.