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Messaggi - doxa

#361


Diego Velàzquez, Cristo crocifisso, olio su tela, 1632 circa, Museo del Prado, Madrid.
 

 Notare in cima alla croce il "titulus crucis" in tre lingue: ebraico, greco e latino, secondo il Vangelo di Giovanni.
 
 In realtà l'esatta composizione delle parole è dubbia, in quanto la condanna è riportata in modo differente dai quattro Vangeli canonici.
 
 

Il titulus sarebbe stato apposto sopra la croce per indicare la motivazione della condanna, prescritta dal diritto romano, ma non in tre lingue.
 
 Inoltre, la colpevolezza di un condannato veniva proclamata mediante una targa appesa al collo o portata davanti a lui per umiliarlo pubblicamente prima della sua morte.
 
 L'apposizione del titulus in cima al crocifisso è menzionata solo nel Nuovo Testamento e solo nel Vangelo di Giovanni.
 
 Il teologo cristiano Raymond Brown evidenzia che storicamente quel titulus non è vero. L'aggiunta giovannea ha finalità teologica, non è un fatto storico, infatti gli altri tre vangeli non lo citano.
 
 Per quanto riguarda il dipinto, da notare l'essenzialità con cui il pittore è riuscito a evidenziare la sofferenza di Cristo in croce, senza aggiungere altri segni della Passione e senza il paesaggio circostante, ma solo lo sfondo scuro. C'è solo Gesù sulla croce, sorretto da quattro chiodi, uno per ogni arto.
 
 Sottili rivoli di sangue scendono dalle ferite nelle mani e nei piedi poggiati sulla mensola, macchiando di rosso il legno della croce. Altro sangue scende dal fianco destro della ferita sul costato inferta da Longino con la lancia.
 
 La testa, cinta dalla corona di spine, è reclinata in avanti , il volto appare in ombra. Quasi impercettibili sono le gocce di sangue sul capo.
 
 La luce che illumina il corpo di Gesù crea un'atmosfera di religioso silenzio e di meditazione.
 
 Chi era Longino ? Secondo la tradizione cristiana è il nome del soldato romano che trafisse con la propria lancia il costato di Gesù crocifisso per accertare che fosse morto: "... ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua" (Gv 19, 34).
 
 Il nome di quel soldato non c'è nei quattro vangeli canonici, invece è presente negli "Atti di Pilato", testo allegato al Vangelo apocrifo di Nicodemo.
#362
Si può ipotizzare che:
la scritta è in ebraico perché è la lingua del sinedrio,
in greco perché è la lingua "internazionale" dell'Oriente, un po' come l'inglese oggi,
in latino perché è la lingua degli occupanti, i Romani.

Cosa dice Gesù sulla croce in lingua aramaica ?

Dal Vangelo di Matteo: "Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: 'Elì, Elì, lemà sabactàni?' " (27, 46), che significa: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato ?

Dal Vangelo di Marco (15, 34): "Alle tre Gesù gridò con voce forte: 'Eloì, Eloì, lama sabactàni ?' " (= Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?)

Secondo  l'evangelista Luca, invece, le ultime parole furono "Padre nelle tue mani consegno il mio spirito" e per Giovanni, presunto testimone oculare, "Tutto è compiuto", ma non è precisato in che lingua. Giusto per aumentare la confusione.
#363
Nel post n. 2 ho fra l'altro scritto

Secondo l'evangelista Giovanni il "titolo" sulla croce della condanna di Cristo era scritto in ebraico,  in greco e in latino.

"Pilato compose anche l'iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: 'Gesù il Nazareno, il re dei Giudei'. Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco" (Gv 19, 19 – 20).
 
Nel terzo capoverso del post n. 3 il cardinale Ravasi dice [... come maestro che parlava alla massa dei contadini, dei pescatori e degli artigiani giudei comuni, Gesù ricorreva alla loro lingua quotidiana che era l'aramaico.

Gesù  con gli apostoli  parlava in aramaico. E' ovvio che conoscesse l'ebraico.
 
Allora perché Pilato fece comporre il "titolo" (INRI), da collocare sulla croce soltanto "in ebraico, in greco e in latino e non in aramaico, che era la lingua parlata dalla popolazione e che Jesus frequentava e ammaestrava ?
 
 Quel messaggio era rivolto soltanto a chi lo voleva morto ? Perché ?
#364
ci sono domande che rimangono senza risposte ed aperte alle congetture.
 
Quando Gesù a Gerusalemme, nel tempio, parlò con i Greci quale codice linguistico usò per comunicare con loro ?
 

 
E con il prefetto della Giudea, Ponzio Pilato, di lingua latina ?

#365
Per chi volesse saperne di più, v'informo che da ieri, 10 ottobre, nelle librerie è in vendita il libro del cardinale Gianfranco Ravasi titolato "L'alfabeto di Dio", edit. San Paolo, pagg. 320, euro 20. :)
#366
 Il cardinale Gianfranco Ravasi in un suo articolo titolato: "La lingua parlata da Gesù", pubblicato sul quotidiano Il Sole 24 Ore (inserto "Domenica") dell'8 ottobre scorso ha scritto:

"L'ebraico subì un declino dopo l'esilio babilonese, sostituito nell'uso comune dall'aramaico, la lingua più comune nell'antico Vicino Oriente di allora. Tuttavia, non si estinse mai come lingua scritta (oltre che come lingua liturgica), secondo quanto è attestato dalle famose scoperte di Qumran, presso il Mar Morto.

L'ebraico era una lingua colta, usata nelle discussioni esegetico-teologiche e dai gruppi elitari di ebrei rigorosi e zelanti, come appunto quelli di Qumran. Gesù, probabilmente, lo imparò nella scuola sinagogale di Nazaret per poter leggere le Scritture. Al massimo potrebbe aver usato parzialmente l'ebraico nelle controversie teologiche con gli scribi e i farisei riferite dai Vangeli. Tuttavia, come maestro che parlava alla massa dei contadini, dei pescatori e degli artigiani giudei comuni, Gesù ricorreva alla loro lingua quotidiana che era l'aramaico.

Uno studioso tedesco, Joachim Jeremias, escludendo nomi propri e aggettivi, contava 26 parole aramaiche attribuite a Gesù dai Vangeli o da fonti rabbiniche. E identificava l'aramaico di Gesù come una versione galilaica dell'aramaico ufficiale, tant'è che, durante il rinnegamento di Pietro, gli astanti accusano l'apostolo così: "È vero: anche tu sei uno dei discepoli di Gesù il galileo. Infatti, il tuo modo di parlare ti tradisce" (Mt 26,73).

Gesù, poi, sapeva leggere e scrivere? Tenendo conto del rilievo che nell'antico Vicino Oriente aveva la cultura orale, per rispondere al quesito ci sono tre passi evangelici da verificare. Nel Vangelo di Giovanni si ha questa osservazione dei Giudei di Gerusalemme: "Come mai costui conosce le Scritture, senza avere studiato?" (7,15). Di per sé l'espressione "conosce le Scritture" in greco (grámmata ói-den) potrebbe anche significare semplicemente: "sa leggere". In realtà, però, l'obiezione è rivolta contro Gesù come un'accusa – insegnare in pubblico – senza aver frequentato la scuola di uno dei vari rabbí o maestri importanti di allora. La dichiarazione, quindi, vorrebbe solo affermare che Gesù aveva un livello sorprendente di cultura teologica.

Che egli sapesse leggere appare chiaramente dal testo già citato di Luca (4,16-30): a Nazaret, di sabato, "si alza a leggere il rotolo del profeta Isaia, aprendolo al passo dov'era scritto: Lo Spirito del Signore è sopra di me..." (Is 61,1-2). Al termine, "arrotola il volume, lo consegna all'inserviente" e inizia a tenere quell'"omelia" che susciterà una forte reazione tra i suoi compaesani. Cristo, dunque, sapeva leggere. Ma riusciva anche a scrivere? Le due cose non erano necessariamente connesse: spesso l'apprendimento nella scuola sinagogale avveniva secondo il metodo orale, ricorrendo alla fertile vitalità della memoria, soprattutto semitica.

L'unico cenno, in verità molto vago, alla capacità di scrivere di Gesù lo si ha in un terzo passo. Nel Vangelo di Giovanni si ricorda che, davanti all'adultera e ai suoi accusatori, Gesù "si era chinato e scriveva in terra col dito" (8,6). Si sono sprecate le ipotesi su quelle scritte misteriose. C'è chi ha pensato alla ripresa di testi biblici. Altri hanno ipotizzato un'anticipazione delle sue parole successive: "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». La soluzione più probabile, però, potrebbe essere quella di ritenere che Cristo tracciasse solo linee o lettere casuali. Non si avrebbe, quindi, neppure qui una precisa e diretta attestazione su una capacità di scrittura da parte del Gesù storico.

È una avventura curiosa la conoscenza delle lingue originali della Bibbia. L'aggettivo "curioso" ha alla base il latino cura che implica impegno, tensione, preoccupazione e affanno. È un "prendersi cura". La fede comprende anche un sapere che esige studio e apprendimento, persino faticoso. Il grande traduttore della Bibbia dall'ebraico e greco in latino, san Girolamo, confessava: "Ogni tanto mi disperavo, più volte mi arresi, ma poi riprendevo con l'ostinata decisione di imparare".
#367
Quali lingue parlava Gesù?
 
La questione si pone per le quattro lingue che erano in vigore nella Palestina di allora: il greco, l'ebraico, l'aramaico e il latino.
 
Secondo l'evangelista Giovanni il "titolo"  (INRI) sulla croce della condanna di Cristo era scritto in ebraico, in latino e in greco.
 
"Pilato compose anche l'iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: 'Gesù il Nazareno, il re dei Giudei'. Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco" (Gv 19, 19 – 20). 
 
Sicuramente Gesù imparò l'ebraico nella scuola sinagogale di Nazaret per poter leggere le Scritture.
 
Il latino era quasi esclusivamente usato dalle forze di occupazione romane.
 
Il greco veniva usato nell'Impero romano come lingua franca, una specie di inglese di allora.  A Gerusalemme era conosciuta dalle persone colte, usata soprattutto per le transazioni commerciali; il popolo si accontentava dell'indispensabile per comunicare con gli stranieri presenti in Palestina.
 
Forse anche Gesù  conosceva la lingua greca, usata poi per il Nuovo Testamento per una comunicazione più universale.

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#368
La lingua greca la conosceva anche Gesù di Nazaret ? Questo quesito può emergere quando nel Vangelo di Giovanni si narra che Jesus aveva incontrato un gruppo di greci nel tempio di Gerusalemme, forse nel cosiddetto "Cortile dei gentili", dove potevano entrare anche i pagani.
 
"Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c'erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: 'Signore, vogliamo vedere Gesù'. Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù.
Gesù rispose loro: 'È venuta l'ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l'anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest'ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome'. Venne allora una voce dal cielo: L'ho glorificato e lo glorificherò ancora!"
(Gv 12, 20 – 28).

Ed ancora, quando Gesù parlò col governatore Ponzio Pilato durante il processo, quale codice linguistico usarono per dialogare ?
"Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: 'Sei tu il re dei Giudei?'. Gesù rispose: 'Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?'. Pilato disse: 'Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?'. Rispose Gesù: 'Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù'. Allora Pilato gli disse: 'Dunque tu sei re?'. Rispose Gesù: 'Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce'. Gli dice Pilato: 'Che cos'è la verità?' " (Gv 18, 33 – 38).

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#369
Percorsi ed Esperienze / Re: Labor
07 Ottobre 2023, 18:23:16 PM
La filosofa e scrittrice francese Simone Weil (1909 – 1943) scelse di lasciare l'insegnamento per sperimentare il lavoro come operaia. La Weil voleva capire se e come ci potesse essere l'emancipazione della donna tramite il lavoro.


Simone Weil
A Parigi, il 4 dicembre 1934 la venticinquenne insegnante di filosofia venne assunta come manovale nelle fabbriche metallurgiche. Avendo scarsa dimestichezza coi macchinari, più volte subì bruciature e tagli alle mani, patendo l'indifferenza e il licenziamento.
 
 L'esperienza di otto mesi di lavoro nelle officine Alstom, Carnaud e Renault le permisero di scoprire che il lavoro in fabbrica è monotono, oppressivo. L'attività alla catena di montaggio le si rivelò come un modo per abbrutirsi, come subordinazione dell'individuo ai macchinari e non come realizzazione della persona. "Non sono fiera di confessarlo... Mettendosi dinanzi alla macchina, bisogna uccidere la propria anima per 8 ore al giorno, i propri pensieri, i sentimenti, tutto... Questa situazione fa sì che il pensiero si ritragga".
 
 Di quei mesi scrisse un diario e delle lettere, che confluirono nel suo saggio titolato: "La condizione operaia".
 
 La Weil parteggiava per la classe operaia, frequentava i circoli sindacali già durante il periodo della sua vita dedicato all'insegnamento, s'impose di vivere nelle loro ristrettezze in una specie di comunione spirituale, praticando digiuni, trascorrendo l'inverno senza riscaldamento convinta che anch'essi non lo possedessero (in realtà non era così), organizzava manifestazioni antifasciste che le costarono la segnalazione alle autorità scolastiche e i conseguenti trasferimenti; ospitò per breve tempo il leader comunista antistalinista Trotzkij.
 
 Nel 1938 si avvicinò al misticismo e al cristianesimo, alla parola di Cristo ma non alla Chiesa. Criticò la struttura di potere, l'ambiguità del Vaticano nei confronti del nazismo e del fascismo ed anche la struttura gerarchica della Chiesa.
 
 Nell'autunno del 1941 nuova esperienza di lavoro come operaia agricola nell'azienda del "filosofo contadino" Gustave Thibon, che la assunse nella propria fattoria a Saint-Marcel-d'Ardèche.
 
 La ragazza preferì alloggiare in una casetta semidiroccata. Si nutriva di legumi, cotti col fuoco della legna che raccoglieva nel bosco, beveva l'acqua che attingeva da una vicina sorgente e dormiva in terra. Ogni mattina al suo risveglio recitava il testo greco del "Padre nostro", che aveva imparato a memoria. Scrisse: "Da allora mi sono imposta, come unica pratica, di recitarlo ogni mattina [...]. Talvolta anche, mentre recito il Padre nostro oppure in altri momenti, Cristo è presente in persona, ma con una presenza infinitamente più reale, più toccante, più chiara, più colma d'amore della prima volta in cui mi ha presa".
 
 Malata di tubercolosi, morì nel 1943 all'età di 34 anni.
 
 
#370
Percorsi ed Esperienze / Re: Labor
07 Ottobre 2023, 18:18:39 PM


Giuseppe Pellizza da Volpedo, Il quarto stato, olio su tela, 1898 – 1901, Galleria d'Arte Moderna di Milano

"Il quarto stato" raffigura un gruppo di braccianti che a Volpedo marcia in segno di protesta in piazza Malaspina. Il lento avanzare del corteo non violento suggerisce la loro vittoria sindacale.

Era intenzione di Pellizza dipingere "una massa di popolo, di lavoratori della terra, i quali intelligenti, forti, robusti, uniti, s'avanzano come fiumana travolgente ogni ostacolo che si frappone per raggiungere luogo ov'ella trova equilibrio".

In primo piano ci sono tre persone, due uomini e una donna con un bambino in braccio.

La ragazza che Pellizza dipinse era la moglie, Teresa: è a piedi nudi, e invita con un eloquente gesto i manifestanti a seguirla.

Alla sua destra c'è un "uomo sui 35 anni, fiero, intelligente, lavoratore" ( scrisse Pellizza) che, con una mano nella cintola dei pantaloni e l'altra che regge la giacca appoggiata sulla spalla, procede in avanti. Accanto a lui, un altro uomo che cammina con la giacca poggiata sulla spalla sinistra.

I manifestanti dietro di loro camminano guardando in diverse direzioni. Alcuni poggiano la mano sugli occhi per ripararli dal sole.

Alcuni anni fa sono andato a Volpedo insieme ad altri ed ho avuto la possibilità di vedere la piazza dove è stata ambientata la scena. Una bravissima guida locale ci ha fatto visitare la casa dell'artista e ci ha raccontato la sua dolorosa vita, con l'esito finale del suicidio. S'impiccò nel suo studio artistico a Volpedo il 14 giugno 1907 dopo l'improvvisa morte della moglie alcuni mesi prima.


Veduta aerea di Volpedo, in provincia di Alessandria.
#371
Percorsi ed Esperienze / Re: Labor
07 Ottobre 2023, 18:16:49 PM

Nella seconda Lettera ai cristiani di Tessalonica, agitati da fremiti apocalittici settari sull'imminente fine del mondo (si consideravano dimissionari nei confronti dei loro impegni professionali e sociali), l'apostolo Paolo li ammonisce e dice loro di continuare a lavorare, invita gli oziosi ad assumersi le loro responsabilità nella vita comunitaria. Inoltre li esorta a lavorare per guadagnarsi il pane. Chi non lavora per il proprio mantenimento diviene un peso per la comunità. L'apostolo li incoraggia all'impegno concreto presentandosi come modello di lavoro anche manuale:

"Sapete infatti come dovete imitarci: poiché noi non abbiamo vissuto oziosamente fra voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato con fatica e sforzo notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi. Non che non ne avessimo diritto, ma per darvi noi stessi come esempio da imitare. E infatti quando eravamo presso di voi, vi demmo questa regola: chi non vuol lavorare neppure mangi. Sentiamo infatti che alcuni fra di voi vivono disordinatamente, senza far nulla e in continua agitazione. A questi tali ordiniamo, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, di mangiare il proprio pane lavorando in pace. Voi, fratelli, non lasciatevi scoraggiare nel fare il bene. Se qualcuno non obbedisce a quanto diciamo per lettera, prendete nota di lui e interrompete i rapporti, perché si vergogni; non trattatelo però come un nemico, ma ammonitelo come un fratello" (2 Ts 3, 7 – 15).

"Chi non vuol lavorare, neppure mangi" : pochi sanno che questa norma paolina è entrata nella Costituzione sovietica del 1918 e nell'inno popolare Bandiera rossa: "E noi faremo come la Russia: chi non lavora, non mangerà!".
 
#372
Percorsi ed Esperienze / Re: Labor
07 Ottobre 2023, 18:15:10 PM


 
 Tre aforismi dedicati al lavoro:
 
 "In fin dei conti il lavoro è ancora il mezzo migliore di far passare la vita" (Gustave Flaubert).
 
 "Il lavoro mi piace, mi affascina. Potrei stare seduto per ore a guardarlo" (ovviamente il lavoro altrui): così ironizzava uno dei protagonisti descritti nel romanzo "Tre uomini in barca (per tacer del cane)" scritto da Jerome K. Jerome e pubblicato nel 1889.
 Risalendo la corrente del fiume Tamigi, i tre amici Jerome ("J." voce narrante), Harris e George, accompagnati dal cane Montmorency, viaggiano per giorni sulla loro imbarcazione, sfilando lungo le campagne inglesi dove vivono inattese avventure.
 
 "Eravamo in tre e lavoravamo come un sol uomo: due di noi guardavano". Lo scrisse l'attore comico statunitense Julius Henry Marx, noto con il nome d'arte "Groucho Marx.
#373
Percorsi ed Esperienze / Re: Labor
07 Ottobre 2023, 18:13:11 PM
 

 

 
 "Lavorare stanca" è il titolo della raccolta di poesie dello scrittore Cesare Pavese, pubblicata nel 1936. Nella terza sezione ci sono 19 testi che evidenziano l'ideologia e l'impegno politico dell'autore, che descrive la fatica quotidiana dei contadini e degli operai:
 
 
"I lavori cominciano all'alba. Ma noi cominciamo/ un po' prima dell'alba a incontrare noi stessi/ nella gente che va per la strada... La città ci permette di alzare la testa/ a pensarci, e sa bene che poi la chiniamo".
 
 Nella poesia "Crepuscolo di sabbiatori" mette in evidenza la fatica e i pensieri che passano nella mente dei sabbiatori per renderla accettabile:
 
"I barconi risalgono adagio, sospinti e pesanti:/ quasi immobili, fanno schiumare la viva corrente./ ... Nel crepuscolo, il fiume è deserto. I due o tre sabbiatori/ sono scesi con l'acqua alla cintola e scavano il fondo,/ Il gran gelo dell'inguine fiacca e intontisce le schiene".

Un altro scrittore, Primo Levi nel 1978 pubblicò il romanzo "La chiave a stella", in cui racconta le avventure di Tino Faussone, un montatore di gru, strutture metalliche, ponti sospesi, impianti petroliferi.

"Amare il proprio lavoro è, per Faussone, la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra: ma questa è una verità che non molti conoscono". Un privilegio riservato a pochi, certo, perché la realtà è un'altra e il montatore girovago lo sa bene: prima di partire all'avventura per costruire ovunque, è stato relegato alla catena di montaggio della FIAT.
#374
Percorsi ed Esperienze / Labor
07 Ottobre 2023, 18:12:12 PM



"E Dio vide ogni cosa che aveva fatto, ed ecco, era molto buona. E la sera e il mattino erano il sesto giorno" (Genesi 1, 31).
"Così i cieli e la terra erano finiti, e tutto l'esercito di loro. Allora Elohim  nel settimo giorno  terminò il lavoro che aveva compiuto e si riposò nel settimo giorno da ogni suo lavoro. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso  si era riposato da ogni lavoro che  aveva creato e fatto" (Genesi 2, 1 – 3).
 
 Egli "creò" il cielo e la terra, ma subito dopo, non sapendo che farsene, "Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino dell'Eden perché lo coltivasse e lo custodisse" (Gn 2, 15). Adesso mi è chiaro perché il Dominus creò l'homo faber: gli serviva la manodopera dedita all'agricoltura.
 
 Non basta, "E il Signore Dio disse: 'Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile'. Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l'uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l'uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l'uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile". Adam come homo technicus impose il nome agli animali, in cambio il dominus creò Eva per dargli compagnia, soprattutto nel lavoro dei campi. (Gn 2, 18 – 20)
 
 Si configurano, così, questioni come il linguaggio, la proprietà, il tempo, lo spazio, la morte, la deformazione del lavoro in fatica.
 
 Per di più nel terzo capitolo della Genesi, quello del "peccato originale", c'è la distorsione dell'ordine divino nell'Eden, descritto nel secondo capitolo.
 
 "... maledetto sia il suolo per causa tua ! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l'erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai" (Gn 3 , 17 – 19)
 
 Eppure Adam non gli aveva chiesto di nascere. Il Dominus (nella sua infinità bontà e amore ?) egoisticamente lo creò per farlo lavorare nella sua grande "tenuta agricola" denominata "Eden". La sua ira funesta costrinse quel povero uomo e la sua compagna, Eva, a mangiare "spine, cardi ed erba campestre".
 
 Comunque, anche in questa dimensione di dura fatica, il lavoro ha un aspetto costruttivo: produttività, procreazione, cultura.
 
 Due verbi ebraici classificano il lavoro: "abad" e "shamar" (= coltivare e custodire), di per sé sono i termini religiosi della pratica dell'alleanza tra Israele e Dio, col significato di "servire" (culto) e "osservare" (la legge divina).
#375
Riflessioni sull'Arte / Re: Arte e denari
02 Ottobre 2023, 15:45:16 PM


Tracey Karima Emin, I've got it all, anno 2000, foto Polaroid ingrandita.  

In questo ilare selfie si vede lei seduta su un pavimento color rosso ruggine; indossa un abito scollato della stilista inglese Vivienne Westwood;   ha le cosce e le  gambe divaricate mentre le banconote escono (o entrano ?) dalla vagina.

Tracey Karima  Emin, la controversa artista britannica nata nel 1963 è nota  per le sue dissacratorie opere d'arte contemporanea.

Fa parte del movimento Young British Artists, che ha iniziato a esporre  alla fine del 1980.

Nel 2007, Emin ha rappresentato la Gran Bretagna alla 52/esima Biennale di Venezia. 

Esprime la sua arte con mezzi diversi: disegno, pittura, scultura, fotografia, film.