Menu principale
Menu

Mostra messaggi

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i messaggi inviati da questo utente. Nota: puoi vedere solo i messaggi inviati nelle aree dove hai l'accesso.

Mostra messaggi Menu

Messaggi - maral

#361
Attualità / Re:Migranti
13 Febbraio 2017, 23:45:41 PM
Citazione"Tra il dire e il fare c'è di mezzo e il mare" afferma un detto popolare. Staremo a vedere come risolveranno l'assorbimento di oltre mezzo milione di persone giunte sul nostro territorio negli ultimi tre anni da diverse provenienze.  Sono individui da accogliere con atti di effettiva integrazione o da respingere.
Confindustria ha valutato che in previsione del costante calo di natività per mantenere un livello di crescita sufficiente a garantire l'attuale stato di benessere l'Italia deve prevedere un saldo positivo di circa 300000 immigrati l'anno, quindi 500000 in tre anni sono pochi, insufficienti anche per limitare il calo per invecchiamento della popolazione. In ogni caso il problema dell'integrazione di sicuro c'è, tenendo presente che l'integrazione per riuscire in qualche misura dovrà comunque essere reciproca. La domanda è quindi come è possibile una reale integrazione reciproca?
I richiedenti asilo devono essere comunque valutati caso per caso sulla base del diritto internazionale vigente, non si può certo respingere a priori, sperando che le terribili esperienze vissute in Europa nel secolo scorso non si ripetano nella follia demenziale delle "piccole patrie" ognuna chiusa nel suo muro dietro il quale illudersi di sopravvivere intonsa.
#362
Citazione di: sgiombo il 12 Febbraio 2017, 21:26:27 PM
Non capisco il senso di queste parole (mi sembrano contraddittorie).
Ciò che è reale si può conoscere ("si conosce solo ciò che è reale" per quanto di fatto limitatamente, "pensandolo in modo almeno un po' diverso dal suo essere leale") oppure no (("non si può conoscere il non essere esattamente come non si può conoscere l'essere (l'essere così com'è di qualsiasi cosa) in nessun caso"))?
Inoltre il non essere (di qualcosa; cioè che qualcosa non sia reale) si può ben conoscere; per esempio il non essere reali dei soliti ippogrifi.[/quote]
Il senso della frase è che conoscendo non si conosce ciò che è, poiché ciò che è viene sempre tradito nell'atto stesso del conoscerlo dicendolo. L'essere "reali" dei cavalli contrapposto all'essere "irreale" degli ippogrifi, non consiste nel fatto che qualcosa come un cavallo lo possiamo toccare, vedere, misurare, mentre qualcosa come un ippogrifo no, al massimo sognare, ma che mentre qualcosa che significa "cavallo" ha un posto nella rappresentazione che ci si dà nel mondo, qualcosa come un ippogrifo no, ove la rappresentazione che si dà del mondo non è una rappresentazione assoluta. ma partecipa del nostro esserci noi stessi rappresentati come soggetti che vedono cavalli e non ippogrifi.

Scusa Sgiombo, ma tutto il resto della risposta l'editor lo ha tagliato, questo thread si va intasando troppo :) . Peccato, lo riprenderò un'altra volta, insieme con il discorso con Apeiron sull'aletheia (ah questa tecnologia!)

#363
CitazioneIl problema è che il "tu" di "adesso" è una pura astrazione. Ciò che fonda il mio "io" è la "somma" delle mie scelte passate, delle mie emozioni, delle relazioni umane ecc. In sostanza preferisco pensare alla mia identità come un qualcosa che pur cambiando rimane indentica. Non sono nemmeno la somma delle mie esperienze interiore ed esteriori perchè non sono un libro ma sono un essere umano vivente. Proprio il fatto che io sia vivente implica che io ogni istante cambio ma ogni istante "conservo" la mia identità (motivo per cui un fiume viene chiamato con lo stesso nome nel tempo anche se ogni istante il suo contenuto cambia). Si può pensare in questo modo se si comprende che si è più simili a processi che a sostanze fisse. La teoria dell'atman indiana (Adviata Vedanta a parte) e della sostanza aristotelico-platonica è problematica perchè vuole trovare un qualcosa di immutabile. Infatti ad ogni istante io cambio in "toto".
L'io di adesso è qualcosa che solo adesso accade e in cui accade, sempre e solo adesso, una storia. Il (mio) passato è solo adesso che accade, come ogni cosa che accade essa accade sempre e solo ora. E in questo presente accadere che qualcosa accade e appare come io e accadendo come io accade adesso e solo adesso come un io che ha un passato da cui immagina il dover accadere di un (suo) futuro. Solo l'adesso accade, tutto il resto ne è parte.
#364
Tematiche Filosofiche / Re:La giustizia e il caso
13 Febbraio 2017, 21:28:40 PM
La pena non è vendetta, ma sostituisce la vendetta e questo è vero da sempre, è vero da quando esiste una società umana ed esisterà finché esisterà una società umana. La pena è il risarcimento pubblico (non privato) di un debito contratto con l'azione delittuosa, per questo essa non può essere che proporzionale al danno che si è arrecato. Se così non fosse, se fosse solo espressione di un principio etico per cui ciò che importa è la violazione della norma in sé, la disgregazione sociale sarebbe inevitabile ed estremamente violenta.
Per questo è del tutto assurdo pensare di fissare una pena equivalente per non avere rispettato, come nell'esempio introdotto, un semaforo rosso indipendentemente dal fatto che quell'atto abbia provocato o meno vittime, il debito contratto è enormemente diverso e su questa diversità di valore la pena deve essere commisurata, non sul principio astratto di un atto assoluto, scisso dagli effetti sociali che determina.
 
#365
In fondo da sempre l'umanità ha camminato tra macerie, resti di momenti di grazia. Il problema ora è che il cammino si è reso più veloce e le rovine paiono subito non lasciare tracce, questo ci fa pensare di procedere più liberi e spediti senza pagare tributi, ma nello stesso tempo ci fa sentire continuamente angosciati e dispersi, non c'è luce, non c'è dove andare e le nostre rovine restano mute nel loro così rapido sbriciolarsi.
#366
Citazione di: donquixote il 10 Febbraio 2017, 12:22:21 PM
Curioso che continui a raccontare (a modo tuo ovviamente), episodi di storia europea mentre io confrontavo i popoli europei (e in parte anche quelli mediorientali) con altre etnie che non hanno la stessa natura aggressiva. Gli europei si sono sempre combattuti fra loro anche quando la religione era la medesima (e la nascita del Cristianesimo riformato è stata una ulteriore scusa per combattersi ancora più ferocemente) e il fatto che in quei secoli in Europa si sia svolto uno scontro costante fra chi sosteneva la supremazia dell'imperatore e chi invece quella del papato significa che non si è mai compresa la corretta gerarchia dei poteri e delle autorità e quindi non si è mai raggiunta una vera stabilità. Ma se questi sono problemi peculiari dell'Europa e degli europei (che si sarebbero presi a mazzate qualunque fosse la cultura dominante) il modello culturale che l'Europa ha acquisito, sviluppato e poi consolidato dopo la fine dell'impero Romano e fino al cosiddetto "Rinascimento" era molto più aderente al concetto di cultura come modello di senso in cui riconoscersi e all'interno del quale poter rendere ragione dei fenomeni del mondo, della sofferenza umana, della vita e della morte.
Bè, la storia è sempre stata raccontata nel modo in cui ogni epoca l'ha interpretata (dacché la "storia ha avuto un senso, la qualcosa è piuttosto recente). In genere comunque si può osservare che ovunque (non certo solo in Europa) i popoli meno aggressivi o sono stati cancellati da quelli più aggressivi, oppure se la loro civiltà era più complessa e organizzata, è stata assimilata almeno per certi elementi per dar vita e vigore a una nuova forma di civiltà, spesso più aggressiva e organizzata. Oggi il problema è più complesso, perché essendosi ridotte le distanze, la cosa non coinvolge più solo realtà locali tra loro lontane, ma il mondo intero, un mondo in cui, che lo vogliamo o no, siamo già tutti vicini ed è proprio nella vicinanza, non nella lontananza, che l'aggressività si manifesta nei suoi modi più distruttivi.  

CitazioneL'accusa di mentire rivolta a coloro che proclamano l'assoluto fondamento è solitamente l'opinione di chi non riesce a comprenderlo, e anzichè ammettere il proprio limite lo vuole indebitamente estendere a chiunque,

L'accusa di mentire è da parte di chiunque vede solo il proprio fondamento assoluto e non riconosce quello altrui (giacché per tutti è sempre l'altro che mente, non io). La proclamazione dell'assoluto mete sempre proprio perché nessuno, proprio in quanto lo pretende assoluto, quindi per tutti, non intende assolutamente riconoscerne il limite che si manifesta nel momento stesso in cui in qualche modo lo si definisce con la volontà che valga per tutti.  
E' chiaro che nel momento in cui qualcosa appare come principio assoluto in quel qualcosa ci si crede e da quel qualcosa si può anche procedere per via deduttiva in merito alle conseguenze regolatrici dell'esistenza, ma è altrettanto vero che la via deduttiva non può avere di per sé alcuna validità quando quel principio a priori non si manifesta e, se non si manifesta, è del tutto inutile evocarne con grandi rimpianto i modi in cui si è manifestato in passato. Una volta che Dio è morto (per dirla alla Nietzsche), è morto, riproporlo per come era significa solo esporne il cadavere mummificato esigendo ubbidienza.
Ogni assoluto muore, ogni vessillo prima o poi diventa solo un pezzo di materia inerte più o meno colorata, non perché gli uomini sono stupidi o cattivi, ma semplicemente perché questo è il destino dell'assoluto, è sempre una parzialità in atto che si disgrega incontrando prima o poi la sua verità che c'è prima di ogni sua pretesa.
Il meccanismo induttivo non nasce in contrasto con quello deduttivo, ma per tentare di puntellare il principio da cui si procedeva per deduzione quando questo barcolla, ristabilire una corrispondenza, ma ovviamente non serve a nulla poiché la disgregazione comunque procede, proprio in virtù della verità che sta sotto di essa. Non c'è altro modo che seguire questa disgregazione fino in fondo, convivere con l'angoscia e il terrore che genera l'opacità fondamentale dell'esistenza, poiché dopotutto si è sempre in cammino e solo in questo essere in cammino è la verità che a volte inaspettatamente si manifesta per poi subito dileguarsi, lasciando tracce discontinue di un percorso che si è compiuto, ma che sempre, in qualche modo, continua a compiersi nelle nostre esistenze.
#367
Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 14:20:43 PM
Il problema è l'abuso della stessa. Ad esempio pensare di essere un "ente" e ritenere che per noi funzioni il principio di non-contraddizione aristotelico. Invece secondo me la nostra facoltà di scegliere e di cambiare ci conduce a ritenere vere le seguente proposizioni:
"io sono lo stesso di 10 anni fa"
"io non sono lo stesso di 10 anni fa"
Ma questo NON è dovuto al fatto che ci sia una substantia, un atman che non cambia, dentro di noi. E qui si arriva ad una metafisica "paradossale" secondo la quale una cosa cambiando rimane se stessa. Come si può vedere anche pensando in termini di enti e ritenendo che esista una realtà oggettiva è possibile progredire (d'altronde ci può essere progresso, se tale progresso non ha un fine?) nella nostra comprensione della realtà.
Il problema in termini non contraddittori si può risolvere così:
Io sono adesso e adesso accade pure il mio pensare di me stesso 10 anni fa. ossia quel qualcosa che non sono io adesso, ma che nella storia che sto adesso pensando appare, per astrazione, come se fosse sempre me.
#368
Citazione di: sgiombo il 11 Febbraio 2017, 16:28:50 PMLa realtà non è necessariamente "pensanda"; cioè si può pensare essere reale ciò che è reale ma anche ciò che non è reale e si può pensare non essere reale ciò che non è reale ma anche ciò che è reale.
Se per "accidentale" intendiamo questo ("non necessariamente pensanda essere così com' è; pensabile non essere anziché essere, ovvero essere diversa da ciò che è, da com' è") allora sì, la realtà è accidentale.
Ma inoltre la realtà è realmente (per definizione) necessariamente ciò che è (così com' è), sebbene sia pensabile diversamente): può essere pensata essere ma non realmente essere diversa da come è, da ciò che é.
E allora se per "accidentale" intendiamo quest' altro ("non necessariamente accadente  realmente - così come accade", ma anche altrimenti" ma casomai solo non necessariamente pensabile accadere realmente -così come accade, ma anche altrimenti- allora no, la realtà non è accidentale
Se intendiamo quel pensare nel senso di conoscere (un conoscere che sempre un po' pensa, ossia che in qualche misura sa di sapere), si conosce solo ciò che è reale, e sempre in un modo almeno un po' diverso dal suo essere reale e non si può conoscere il non essere esattamente come non si può conoscere l'essere (l'essere così com'è di qualsiasi cosa) in nessun caso. L'essere così com'è lo si vive, ma non si può conoscerlo, il conoscerlo in qualche modo lo tradisce, sempre, sia che appaiano cavalli che ippogrifi. Quello che si può dire è che accade di pensare cavalli e di pensare ippogrifi (qualcuno li pensa) e che nel pensarli capita che qualcosa si presenti come immagine di un cavallo o di un ippogrifo, ma questo presentarsi non dipende da noi come soggetti pensanti, ma dipende dal nostro essere soggetti viventi (da quel vivere e saper vivere in cui siamo sempre e che sempre vuole essere conosciuto, quindi tradito per poterlo riconoscere).
Se non si ammette questo, pensando così di non far confusione, si rischiano errori enormi ove l'errore più grosso è quello di credere che l'oggetto del nostro conoscere sia (o possa essere) la realtà stessa o che, al contrario, si possano conoscere (pensare) cose non aventi alcuna realtà.
CitazioneUn soggetto (oltre che oggetti) delle sensazioni, in aggiunta ad esse, potrebbe benissimo non esserci (come pure esserci).

Infatti soggetti e oggetti delle sensazioni (con le sensazioni che li collegano), mentre semplicemente si vive, non ci sono. Non ci sono proprio perché si vive e si sa vivere senza sapere di vivere, soggetti e oggetti sono figure del conoscere, che solo nel conoscere si danno e si sottraggono.
Citazione di: Angelo Cannata il 11 Febbraio 2017, 16:50:02 PM
L'ultima proposta di Sariputra mi somiglia ai vari tentativi che tutt'oggi si fanno di salvare la metafisica ribadendo che comunque non ne possiamo fare a meno, oppure che in forme moderate può essere accettata e si può anche rivelare utile.
La metafisica è implicita in ogni processo di conoscenza (e non vi è nulla di più metafisico del negarla mentre si pensa di conoscere le cose come stanno, la scienza esprime comunque una posizione metafisica a priori, di stampo in larghissima parte ancora aristotelico tra l'altro), in questo Sari ha ragione, ma se la conoscenza, che costruisce il sapere di sapere, vuole tornare alla vita (al saper vivere di cui è espressione e da cui per saper di sapere se ne allontana), è necessario che si decostruisca, che ammetta cioè un non saper di sapere in tutto ciò che viene conoscendo.
Quando si conosce, si conosce la maschera in cui ciò che è mentendosi si rivela, a quel punto è necessario cominciare a decostruire la maschera, così da poter tornare (euforicamente) verso il saper vivere che sempre ci sta sotto.
#369
Sgiombo, capisco e condivido pure la tua esigenza di non confondere il reale con il pensato, ma ribadisco che il reale e il pensato non sono separabili, non sono cose che appartengono a mondi diversi e l'uno "il reale" al mondo duro e puro, mentre il "pensato" solo alle fantasie più o meno realistiche e arbitrarie che stanno dentro a una testa (reale? pensata? mah!).
Il reale è sempre e solo qui e ora e in questo qui e ora c'è pure l'accadere di pensare, in questo qui e ora c'è pure l'ieri che è pensato come "ieri" solo adesso, poiché l'ieri (che non c'è e non può esserci) accade di pensarlo e solo perché accade ora in un modo che è del tutto evidente, l'ieri è reale.
La storia che collega ieri a oggi e poi a domani, in realtà è solo oggi, adesso, che c'è ed è perché adesso c'è e appare nel suo essere pensata che è reale.
Il problema che tu temi e per cui ti vuoi premunire, affinché giustamente non ci siano inganni, il problema di non confondere i cavalli con gli ippogrifi, non è per nulla messo in discussione da questa, a tuo avviso, indebita e confusionaria sovrapposizione tra realtà e immaginazione. Realtà e immaginazione restano distinti dal modo in cui adesso si presenta (ci appare) qualcosa, nel suo esserci in quanto venir pensata e viceversa. E' il modo dell'esserci e contemporaneamente il pensarlo che ci permette, nei modi e non nelle essenze, di distinguere cavalli e ippogrifi, di credere alla realtà dei primi e alla non realtà e solo "immaginabilità" dei secondi. E questi modi non siamo noi a sceglierli arbitrariamente da fuori, perché questi modi siamo noi stessi, siamo noi che accadiamo proprio qui e ora, in questo preciso istante e in questi modi con cui sperimentiamo e facciamo le cose esistendo.
Il mondo è reale, per questo è pensabile in modi diversi e solo poiché è pensato esso si presenta (agli umani, agli altri non so) in modo reale, sempre oltre il nostro pensarlo e quindi sempre ancora ripensabile, senza fine, ossia senza che mai sia nulla.
#370
Citazione di: sgiombo il 05 Febbraio 2017, 21:11:47 PM
"Essere1" = esistere (accadere) realmente: predicato verbale.
"Essere2" = intendersi (pensarsi): copula.
Si può vederla così e distinguere l'uso esistenziale da quello copulativo del verbo essere, ma non è necessario: "essere" afferma sempre ciò che è, quindi si può partire dal valore esistenziale. L'essere da "intendersi come ...", ossia "l'essere da intendersi come se fosse", ovviamente non è, altrimenti non sarebbe da intendersi come. In quanto è qualsiasi cosa è quello che è, non è un "da intendersi come".

CitazioneEsempi:

[/font][/size][/color]
Ieri c' era1 (=esisteva realmente) un pezzo di legno; dire che non c' era1 (non esisteva realmente) è sensato e falso; (pretendere di) dire che era2 (da intendersi come) un mucchietto di cenere è contraddittorio, insensato.
Qui sorge un primo dubbio. Va bene "ieri c'era un pezzo di legno" non è certo autocontraddittorio, ma il punto è, se ieri significa quella giornata di ieri, che ora non c'è più, quindi non c'è, come possiamo dire che c'era un "ieri" (ove si trovava un pezzo di legno) che non c'è? Possiamo vederla in due modi, o pensare che quell'ieri che c'era, ma non c'è è diventato oggi, ma qui il mistero si infittisce (come fa un ieri che non è oggi in nulla a diventare, ossia a venire a essere, oggi?) o possiamo dire che c'è oggi e non c'è ieri, ma che quell'oggi che solo c'è contiene una traccia che sembra essere un ieri reale a sé stante, ma in effetti è solo qualcosa che fa parte dell'oggi che è. Ogni ieri (proprio come ogni domani) è sempre e solo nell'oggi che si presenta e sempre e solo nell'oggi si presenta pure quel pezzo di legno che ci appare un contenuto della giornata di ieri.
Se tutto quello che accade (realmente) accade solo oggi (che è la sola cosa che c'è) e fa parte solo di oggi, cosa intendiamo dire davvero quando diciamo che quel pezzo di legno di ieri oggi è bruciato per diventare oggi cenere, quel mucchietto di cenere che c'è qui davanti a me? cosa è davvero bruciato tra ieri e oggi, dato che ieri non c'è? Quello che sembra essere bruciata è solo la mia idea di oggi di un pezzo di legno che, sempre nella mia idea attuale, proprio e solo di oggi, lo faccio pre esistere all'oggi in cui solo realmente si trova. Questa idea è quello che è diventato cenere, ma come può questa idea attuale di un pezzo di legna di un ieri che non c'è, diventare quella cenere che ho qui davanti? Se tutto quello che accade è solo oggi che accade (e non vedo come possa essere altrimenti) è chiaro che questo è impossibile, un'idea non diventa cenere, ma è vero che un'idea può presentarsi (può apparire) come idea di una storia: c'era una volta un pezzo di legno, poi quel pezzo di legno diventa cenere e tutti vivranno felici e contenti accanto al caminetto, mentre fuori infurierà la tempesta. Una bella storia che sembra avere un tempo di svolgimento tra passato e futuro che non sono, ma in realtà accade tutta in un solo istante, proprio adesso.

#371
Attualità / Re:La rivolta dei migranti
09 Febbraio 2017, 23:56:52 PM
Come è noto infatti la Costa d'Avorio è un vero paradiso, tranquillo e sereno, megli delle Seichelles (che sono pure a rischio cambiamento climatico) e nessuno rischia la vita in guerre, rivoluzioni, ribellioni o robe simili:
http://www.internazionale.it/tag/paesi/costa-davorio
Dunque chi scappa da lì, altro che richiedente asilo, non può che essere un avventuriero o un delinquente della peggior specie, a priori ovvio. chi non lo capisce.
Anzi io proporrei di aprire la Costa d'Avorio all'emigrazione dei nostri pensionati. Là troverebbero un ambiente naturale e sereno in cui passare tranquilli gli ultimi anni di vita, meglio che in Riviera, poi con pensioni che in Italia sarebbero sempre più miserabili là si vivrebbe di sicuro da nababbi. Magari si potrebbe pure fare uno scambio: tot pensionati italiani là, tot giovani ivoriani qua, che qui da noi più non si procrea (figuriamoci che la Confindustria già ha fatto sapere che se vogliamo andare avanti abbiamo bisogno di 300 mila immigrati l'anno nel Bel Paese! e finora, purtroppo per noi, una quota simile non è mai stata raggiunta.)
Chissà, magari poi, con lo scambio, vivremo tutti tranquilli, felici e contenti!
#372
Citazionecon l'ideologia gender che non ha né capo né coda, non si basa su nulla di scientificamente appurato, ammesso che si debba avere una fede assoluta nella scienza, anzi, negli scienziati, che è diverso.
La scienza sta già trovando il modo di far nascere individui umani da una cellula epidermica del corpo umano, indifferentemente maschio o femmina. A quel punto te lo saputo il papà e la mamma, anche il transgender è già superato!
CitazioneQuindi dobbiamo rieducare la donna a sentire quel sentimento interiore della maternità. Dobbiamo rieducare l'uomo ad essere "padre", non l'amico o chissà cosa.
E chi rieduca? Tu? Io? cosa significa educare a fare il padre e la madre in una società come l'attuale dove tutti sono tenuti a sentirsi eterni bambinoni che così consumano di più, che il mercato "maternamente" provvede? Basta guardare la pubblicità, in TV, sui giornali, su internet, ovunque. Quella sì che educa e sistematicamente, altro che noi! E' già tanto, ma tanto davvero, se un pochino riuscissimo ancora a educare noi stessi, ma quello in genere ci risulta molto, troppo faticoso, meglio educare gli altri. Quali altri poi, dato che siamo già la maggioranza ed è ora che le "sinistre" minoranze siano messe a tacere dalla grandi maggioranze destre e già tanto ben educate, pronte come noto a sfornare a breve a coppia, appena natura consente, se non 10 o 12 come ai bei tempi, almeno un bel 3 o 4 pargoli a coppia che siam davvero troppo pochi! Le maggioranze in Europa e soprattutto in Italia, come noto, non aspettano altro, oltre che a riprendersi cura dei propri anziani, come giusto, come usava nei bei tempi andati, quando le massaie si occupavano doverosamente e con obbedienza dei suoceri, sapevano ancora fare la sfoglia la domenica e andavano al canale con il cesto del bucato, mentre il marito durante il giorno si rompeva la schiena al lavoro e alla sera, da buon padre di famiglia, spendeva le serate all'osteria! Che bei tempi quelli!
#373
Citazione di: donquixote il 06 Febbraio 2017, 23:11:21 PM
Io non ho mai espresso il pregiudizio della non violenza. La violenza ha sempre fatto parte della storia non solo dell'uomo ma della natura in generale. La natura si sviluppa attraverso i conflitti ("Polemos è padre di tutte le cose" diceva Eraclito) e quindi la guerra non è, per me come per chiunque nella storia tranne l'occidente odierno, un tabù, ma spesso l'aggressività e la violenza venivano ritualizzate, controllate, canalizzate attraverso forme simboliche. Poi quando c'era la guerra vera la si faceva, ma anche in quella vi era un'etica, una moralità, che con la modernità sono andate perdute. Abbiamo letteratura epica di ogni parte del mondo che racconta di guerre memorabili, e anche il più grande poema dell'induismo, testo sacro di uno dei popoli meno guerrafondai della storia, utilizza la storia di una guerra per raccontare Dio, l'uomo e il mondo. Ora la guerra, che ha perso ogni caratteristica etica, romantica, eroica, epica, umana,  si fa sparando missili coi droni controllati da diecimila chilometri di distanza contro uomini armati di machete, e il bello è che questi ultimi non sono solo i nemici, come sono sempre stati, ma sono anche i "cattivi" ai quali non si può concedere l'onore delle armi ma bisogna processare se li si fa prigionieri. Solo uno come Kant poteva scrivere, del resto, un libretto intitolato "Per la pace perpetua", che ricorda tanto il "riposo eterno".
E' vero che combattere con le spade e i bastoni è diverso che combattere con i missili e i droni teleguidati, è vero che la guerra non sappiamo più cosa sia, tanto da chiamare missioni di pace le guerre che si fanno altrove, ma questo non toglie che anche un tempo le guerre non fossero balletti simbolici. Né i Romani né i Barbari o i Mongoli (ma neanche Greci, Persiani e Ittiti) quando si combattevano e devastavano le città inscenavano rappresentazioni simboliche della violenza, la praticavano con gusto e ferocia. I Crociati fecero un massacro orrendo a Gerusalemme e così i cavalieri teutonici con le croci sul petto nelle loro crociate contro gli Slavi. Ci furono battaglie in passato dove furono massacrate intere legioni e migliaia di combattenti anche se solo con picche, spade e coltellacci. E' vero piuttosto che in passato la guerra era celebrata come una specie di grande festa crudele in cui l'elemento simbolico era sempre presente e forse questo fa la differenza principale, ma l'elemento simbolico non tramuta la violenza in rappresentazione, l'esatto contrario, almeno finché il simbolo vive e vivere per un simbolo significa annunciare l'assoluto che dirompe, altrimenti anche una croce è solo una X, letteralmente niente. L'uomo dei tempi andati non era di certo migliore di quello attuale in termini di violenze e i pii e buoni contadinelli e pastorelli di un Arcadia felice stanno solo nei sogni.  

Citazione di: maral il 05 Febbraio 2017, 23:50:37 PM
Quando è iniziato il colonialismo delle americhe il Cristianesimo era già in declino, in Europa, da un paio di secoli almeno, e nessun sovrano europeo (nemmeno il Papa) ha mai armato degli eserciti con l'obiettivo di esportare il cristianesimo, anche se al seguito degli eserciti andavano i missionari a distruggere (sia pur in buona fede, al contrario dei soldati) ciò che le armi avevano risparmiato.
Prima, molto prima e proprio nel cuore dell'Europa. I Sassoni pagani furono quasi sterminati dai Franchi cristiani che godevano dell'amicizia e dei solleciti papali, per non parlare degli Slavi pagani, cacciati come bestie dai cavalieri teutonici, per non parlare dei "Dio lo vuole!" pronunciati da pii fondatori di ordini monastici, per non parlare delle feste con rogo e torture in piazza, per non parlare dei Catari e degli Albigesi, per non parlare di vescovi e papi che non solo sobillavano e tramavano, come di antico uso tra ecclesiasti, ma che indossavano pure mazze e armature (e ben venga!). Certo, la religione era spesso un pretesto, ma quel pretesto forniva il simbolo e il simbolo che rappresenta il Dio unico e salvifico per tutti ha sempre diviso nel modo più feroce, scatenando gli odi più devastanti. Perché il simbolo o è tutto o è nulla. Quando si rimpiangono i vecchi valori, le sacrosante tradizioni, si ha una minima idea del prezzo pagato in sangue e dolore che quei valori e tradizioni portano con sé?

CitazioneIn Europa i Romani hanno prima acquisito volontariamente molta parte della cultura greca, poi si sono convertiti al Cristianesimo che ha una struttura dottrinale completamente diversa. Poi tutti i popoli del nord Europa si sono volontariamente cristianizzati. In Asia il Buddhismo è stato abbracciato volontariamente da numerose popolazioni senza essere imposto con la violenza. Se i simboli si impongono da sé significa che sono convincenti e funzionali, se invece vengono imposti con la forza sarà molto difficile integrarli in una cultura e la distruggeranno.
Il Cristianesimo si impose nell'impero, per ragioni politiche, oltretutto ai tempi i cristiani erano fortemente divisi in sette tra loro ostili, i Romani pagani erano disgustati dalla litigiosità rissosa di quelle sette che metteva di continuo a repentaglio l'ordine pubblico. Il Cristianesimo ecumenico era stata certamente un'idea geniale di Paolo (un rabbino ebreo), occorre riconoscerglielo e nel tempo finì con l'innestarsi sulla cultura ellenica, ma all'inizio non fu certo così. Teodosio, l'imperatore che per primo dichiarò il Cristianesimo religione di stato, chiuse definitivamente la scuola di Atene, non fu certo una fusione. Quanto ai barbari del Nord Europa il problema era corrompere e convertire i principi, i popoli si adeguavano, in caso contrario venivano massacrati dai loro stessi capi tribù o da altri barbari che non aspettavano altro, come fu il caso dei Sassoni. Soprattutto nelle campagne la conversione non fu certo facile né tanto meno pacifica.

CitazioneLe fondamenta ci sono, e sono immobili, e il fatto che il tempo sia lento o meno non conta visto che esse si trovano di là dal tempo e non sono condizionate da questo. Poi che le cose stanno come stanno, che sempre meno persone possono comprendere queste fondamenta e che la tecnica (e quindi l'ignoranza di cui è il sostituto) domini e dominerà il mondo sono cose che in sé non impediscono di vedere che si sta viaggiando veloci verso l'autodistruzione che già migliaia di anni fa era prevista e descritta da coloro che sapevano guardare lontano e non erano affetti dalla terribile miopia dell'uomo moderno.
Le fondamenta possono pure esserci, ma quali? E chi le proclama, chi proclama l'assoluto fondamento lo mente sempre, di qualsiasi assoluto si tratti e poiché qualsiasi assoluto è solo pretesa di assoluto (anche se fosse la pretesa di un relativo assoluto, o di una razionalità assoluta o di una scienza tecnica o etica assoluta) si rivela prima o poi menzogna e per sostenere la menzogna occorre la forza di una fede di violenza assoluta contro gli altri e pure contro se stessi. La miopia dell'uomo moderno non nasce di punto in bianco con l'uomo moderno, ha una storia e una necessità che viene da molto lontano, forse nasce con l'uomo stesso. Nessuno di noi ci vede più degli antichi e nessun antico in fondo vedeva più di noi. L'essere umano tramonterà, forse già non c'è più e nessuno se ne è accorto, forse stiamo cominciando ad accorgercene e questo ci getta nella più profonda angoscia: cosa siamo allora? Cosa possiamo essere ancora?
#374
Citazione di: donquixote il 05 Febbraio 2017, 09:38:49 AM
A parte il fatto che sono esistiti popoli che per migliaia e migliaia di anni hanno vissuto senza alcun contatto con culture aliene (avranno magari avuto dei vicini ma erano sicuramente molto simili a loro,
Questo non ha mai escluso che tra vicini ci si ammazzasse anche con più gusto che tra lontani. D'altra parte i Romani non dovevano certo attraversare continenti per incontrare i Germanici, come i Cinesi per incontrare i Mongoli e l'humus culturale di questi popoli era ben diverso, anche se erano vicini e spesso anche conviventi. Quanto a Sioux e Cheyenne non mi pare che, pur forse condividendo una cultura simile, non si prendessero a mazzate volentieri, non è che prima dell'arrivo dell'uomo bianco nelle Americhe regnasse la pace e l'armonia, basti pensare alla fine che facevano i nemici degli Aztechi catturati in battaglia (ragion per cui quelle popolazioni trovarono molto più conveniente unirsi a Cortez, come peraltro nell'America Settentrionale Francesi, Inglesi e Americani a turno seppero sfruttare molto bene gli atavici odi tra le popolazioni indigene di quelle regioni che pur condividevano culture simili). Ma è sufficiente anche considerare la storia patria per scoprire quanto tra vicini e parenti, cresciuti insieme al riparo delle stesse mura, ci si ammazzi e scotenni volentieri, la vicinanza aiuta a odiarsi molto più della lontananza.
Detto questo è indubbio che, soprattutto dopo l'affermarsi del cristianesimo in Europa l'uomo bianco si è sentito il portatore di un grande disegno salvifico (la prima grande scoperta dell'Occidente, da esportare urbi et orbi, è stato il disegno salvifico di un unico Dio per ogni individuo, che lo volesse o  meno),  oltre che di grandi interessi di sfruttamento commerciale e in ragione sinergica dell'uno con gli altri è partito alla conquista del mondo. Il disegno salvifico è proseguito sotto il segno della razionalità e del progresso tecnico senza che nulla di nuovo dovesse venire inventato, fino a diventare utopia di redenzione dalla barbarie, utopie presto trasformatisi in ideologie che hanno messo a ferro e fuoco il mondo intero. Si doveva stare a casa? Forse, diciamo noi oggi (dopo aver patito per primi le conseguenze terribili di quelle ideologie, soprattutto quando hanno assunto i colori nefandi dei nazionalismi e abominevoli delle razze), il fatto però è che la visione di questa parte del mondo implicava strettamente quella necessità. L'essere umano non è libero di agire indipendentemente dalla cultura e dalle pratiche in cui vive.
CitazioneUn conto è cambiare un simbolo o adottare una diversa manifestazione culturale perchè le si ritiene un'espressione migliore della cultura che si possiede, e farlo volontariamente, altro è invece subire l'imposizione violenta di culture "altre" (o di parti di esse) incomprensibili dal popolo e incompatibili con la visione del mondo e l'organizzazione sociale vigenti, che ovviamente non potranno arricchire ma solo disgregare una cultura. Inoltre è fondamentale considerare il tempo in cui tutto ciò avviene, che deve essere tale da consentire al popolo di assimilare le "novità" senza creare scompensi, salvaguardando così l'equilibrio interno.
Temo che siano stati ben pochi storicamente i casi di cambiamenti volontari di simboli di riferimento, se i simboli avevano ancora una valenza. E' vero che oggi non abbiamo più simboli, ma i simboli non si creano dal nulla a volontà, né si riprendono da quelli caduti in disuso. Sono loro che si impongono quando sorgono e il modo di imporsi può essere tutt'altro che piacevole. Oggi abbiamo piuttosto delle grandi illusioni tecniche da offrire e quelle funzionano benissimo, si impongono da sole nel bene che si vede subito, corrispondente alla comodità e al godimento, e nel male che non si vede, ma non tarda ad affiorare.

CitazioneDato che "panta rei" nessuno si sogna di auspicare una immobilità "pratica" (che peraltro viene perseguita più qui da noi che altrove con le nostre costituzioni e le nostre innumerevoli leggi scritte), ma ciò che è auspicabile (e fondamentale) è l'immobilità dei fondamenti (che se sono tali devono essere anche immobili).
Purtroppo non ci sono nemmeno fondamenta immobili, neppure se le si auspica è possibile trovarle, forse un tempo, quando il tempo marciava lento era ancora possibile crederci non vedendo a occhio nudo i piccoli slittamenti che avvenivano nelle fondamenta, finché il crollo non si manifestava. E purtroppo non si può nemmeno decidere cosa e come cambiare, si cambia, tutti insieme in modo diverso, ma si cambia sempre che lo si voglia o no. La tecnologia accellera enormemente questi cambiamenti, ci rende quindi sempre inadeguati ed è questo che ci angoscia terribilmente, siamo inadeguati a quello che facciamo e quello che facciamo non ci corrisponde più, ma questo non ha nulla a che fare con le altre culture (le poche che sopravvivono alternative alla nostra e di cui l'Islam è forse l'esempio più eclatante, ma anch'esso già ampiamente corroso).
Il difetto che tu vedi sta nella centralità dell'individuo, eppure questo è stato proprio il punto cardine da cui si è sviluppata la cultura occidentale, fondamentalmente antropologica (anche se oggi è proprio questa centralità antropologica che la scienza mette particolarmente in discussione), che certo pone una problematicità evidente che l'Occidente, già dai tempi di Parmenide, ha tentato di risolvere non ricorrendo a principi di assoluta trascendenza che impongono le leggi dell'assoluto, ma nel confronto pubblico, tra individui capaci di un dialogo razionale su cui sia possibile ragionare e convenire tra pari, dato che ogni presa di posizione in nome di superiori sapienze alla fine risulta sempre arbitraria a una critica razionale e se si abbandona questa critica non resta altro che farsi a pezzi in nome dei propri principi di riferimento trascendente che si esigono unici. Quei punti che tu indichi sono inscritti nella necessità della nostra storia che non possiamo abbandonare a piacere, essi derivano dal modo greco di pensare. Volerli sopprimere significa affidarsi ad altre storie culturali che purtroppo non ci sono più, dato che comunque, la cultura dell'Occidente ha conquistato l'intero pianeta e non possiamo di certo farci islamici per ristabilire la potenza di una trascendenza in cui è diventato sempre più impossibile credere (e anche gli Islamici, sedotti dalla potenza della tecnica, finiranno per crederci sempre meno, è inevitabile).
Poi ogni giudizio potrà essere lecito, ma non lascia che sogni nostalgici di visioni di armonie trascendentali che solo oggi si possono nutrire, alla luce delle esperienze che pratichiamo, non certo nei tempi e nei luoghi in cui il nostro bisogno e la nostra immaginazione le colloca.
#375
Sì è certamente interessante, è la posizione di chi sostiene un Divenire assoluto. Qui però dobbiamo dimenticarci dell'ente come essente, c'è piuttosto un continuo accadere che continuamente accade, una sorta di continuo senza momenti discreti. E lo stesso "Tutto" va inteso in questo modo, non come Essere, ma come trasformazione che continuamente si trasforma senza venire mai a definirsi in qualcosa che stia.