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Messaggi - donquixote

#361
Citazione di: Phil il 23 Luglio 2016, 19:05:36 PM
Sottolineando come ho fatto allusione al "corpo umano"(cit.) e non all'uomo nella sua totalità, e premettendo che non sono affatto esperto in materia, suppongo che gran parte di queste domande abbiano, o possano avere, risposta in ambito genetico o, in generale, scientifico... e se così non fosse, credo bisognerà accontentarsi, per onestà intellettuale, di uno schietto "non si sa ancora" (per quanto l'imperituro fascino di ipotesi solo plausibili possa prenderci per mano...).

Accontentarsi di uno schietto "non si sa ancora" significa semplicemente essere vittima del pregiudizio di coloro che ritengono che le cose sono spiegabili solo attraverso il "metodo scientifico". Questa è tutto meno che "onestà intellettuale", che presupporrebbe da un lato la consapevolezza di tale pregiudizio, dall'altro l'ammissione della incapacità della scienza di raggiungere qualunque tipo di verità a causa dei suoi metodi d'indagine e quindi la necessità di accontentarsi di "verità" potenzialmente false, e infine che vi possano essere spiegazioni diverse da quelle scientifiche che coloro in possesso degli schemi mentali strutturatasi attraverso il "pregiudizio scientifico" non sono in grado di comprendere.

Citazione di: Phil il 23 Luglio 2016, 19:05:36 PMChiedersi chi ha programmato questi "programmi biologici" significa farsi ingannare dalla metafora che ho, in assoluta buona fede, proposto: perché dovrebbe esserci un "chi" e non un "cosa"? Soltanto perché ho usato una metafora antropomorfica non significa necessariamente che, fuor di metafora, la risposta debba essere anch'essa antropomorfica (o antropocentrica...). Probabilmente è un esempio inadeguato, tuttavia, invitando a non guardare il dito ma la luna, ciò di cui voleva essere esempio era un ordine immanente come (azzardo un altro paragone sperando in maggior fortuna :) ) la composizione dell'acqua H2O che non è stata "decisa" da qualcuno o qualcosa di trascendente (ribadisco, parlo fuori dall'ottica religiosa-divina).

Bene, allora se non va bene il chi uso il "cosa": Cosa ha programmato questo ordine biologico immanente? Se ne fai una questioni di pronomi mi spieghi chi guarderebbe il dito e chi la luna?

P.S. la composizione dell'acqua H2O è un'invenzione umana, non un fatto oggettivo indipendente dall'uomo. L'acqua è semplicemente quello che è, e se la scomponi (ammesso che si possa farlo) semplicemente non è più acqua, non diventa "acqua scomposta".
#362
Citazione di: Phil il 23 Luglio 2016, 17:22:26 PML'ordine presuppone sempre un ordinatore trascendente (che sia divinità o Senso)? Per questo parlavo di "antropomorfizzazione" o di inganno linguistico: l'ordine può anche essere immanente a ciò che è ordinato (basti pensare al corpo umano: nessuno lo mette in ordine o lo tiene in ordine, è "biologicamente programmato" per essere ordinato in quel modo... il che non significa che sia autosufficiente, ma che il suo ordine non ha un "garante" esterno all'essere tale del corpo, non c'è nulla di trascendente).

Sono passati quattro secoli e siamo ancora alla ghiandola pineale o qualcosa di simile? Dove sarebbe questo "programma biologico" che dato che è "immanente" e non trascendente dovrebbe trovarsi all'interno del corpo umano? E visto che questo programma biologico non solo si occupa di controllare tutte le funzioni del corpo umano ma sovrintende anche tutte le più complesse operazioni mentali dovrebbe essere in qualche modo la "centralina" dell'uomo, ovvero la sua parte più importante. Ma dov'è? Possibile che la scienza moderna che ha sezionato l'uomo fin nei più minimi particolari e riesce quasi a costruirne uno da zero mettendone insieme i pezzi come il dott. Frankestein non sappia dov'è e cos'è ciò che rende un uomo "quell'uomo" e non un altro o un semplice assemblaggio di organi appiccicati gli uni agli altri? E dove sta il programma biologico che consente a qualunque animale di essere "quell'animale" e non un altro simile, o quello delle piante, o quello delle cellule di carbonio "biologicamente programmate" per diventare diamanti mentre altre non lo diventano? E chi ha elaborato tutti questi "programmi biologici" uno differente dall'altro però ognuno adatto all'ente cui è stato destinato?
#363


Prego Giona2068 e jsebastianB di non esprimere giudizi o consigli "ad personam" all'interno di un topic ma limitarsi a discutere dell'argomento trattato

grazie
#364
Attualità / Re:Migranti
22 Luglio 2016, 09:10:41 AM
Citazione di: Aniel il 14 Luglio 2016, 10:14:32 AMCome sempre, ogni opinione dipende dal punto di visita in cui lo si osserva,sul tema migranti,francamente, lo trovo molto complesso e ce ne possono essere molti... Se chiedo a mio figlio di 25 anni la sua opinione mi risponde che il concetto di 'CONFINE' e' superato, in una 'MENTE LIBERA' non esiste, considerando che i poteri forti di 'sempre' hanno creato i cosi' detti confini per tenerci rinchiusi in territori al fine di poterci piu' facilmente manipolare e controllare. Come poter dargli torto: ,La mia impressione e' che siamo abbastanza messi male e un altro conflitto mondiale non e' da escludere (speriamo di no) ....condivido sul fatto che le grandi migrazioni di massa, come la storia insegna, non aiutano e destabilizzano parecchio, ma rafforzano ancora di piu' i vari poteri 'forti', imperiarismi e integralismi, anche se spesso sanno mascherarsi sotto false sembianze... Secondo me fino a che la coscienza globale dell'uomo non si evolvera' verso valori piu' elevati sara' sempre la solita minestra...brodaglia della storia che si ripete...scusate lo sfogo...

I cosiddetti "poteri forti" hanno invece tutto l'interesse ad eliminare i confini, creando masse enormi di disadattati che non si riconoscono tra di loro ed è così più facile dominarli e piegarli ai propri interessi. Il mondo globalizzato tendenzialmente senza confini è il mondo dove trionfa il "divide et impera" perchè nulla è più divisivo dell'esaltazione dell'individualismo, dell'ideologia del "siamo tutti uguali", del concetto distorto di "cittadino del mondo", che si può sviluppare solo nelle megalopoli di milioni di abitanti in stati da centinaia di milioni. E controllare e dominare una massa di singoli è molto più semplice che controllare e dominare gruppi di persone unite che condividono una cultura, una visione del mondo, un modo di vivere e di organizzare la propria comunità.

La sapienza antica è  l'unica che ha avuto una parola definitiva  su tutti i temi che riguardano l'uomo, fra cui questo, e il Tao infatti afferma:

Piccoli regni con pochi abitanti:
arnesi da lavoro in luogo d'uomini
(sian dieci o cento) il popolo non usi.
Tema la morte e fuori non emigri.
Se anche vi son navigli e vi son carri,
il popolo non tenti di salirvi;
se anche vi son corazze e vi son armi,
mai e poi mai le tiri fuori il popolo.
E ritorni ad usar nodi di corda;
e trovi gusto in cibi e vesti suoi;
ed ami la sua casa, i suoi costumi.
Se stati vi vedessero vicini
tanto che cani e galli se ne udissero,
invecchino così, fino alla morte
quei due popoli: senza alcun contatto.
#365
Attualità / Re:Essi Vivono
19 Luglio 2016, 08:13:02 AM
Citazione di: Phil il 18 Luglio 2016, 16:00:47 PMCapisco la tua prospettiva, ma ricorderei che le regole vengono fatte anche in base ai fabbisogni: le esigenze strutturali orientano le regole tanto quanto le qualità degli uomini che le decidono...

Chi decide quali sono le "esigenze strutturali" e i "fabbisogni" se non le persone? E in base a cosa qualcosa viene definito "fabbisogno" se non in base ad un intimo desiderio umano?

Citazione di: Phil il 18 Luglio 2016, 16:00:47 PMSecondo me, la differenza fra i due approcci culturali ha una base quantitativa (prima che qualitativa): le culture-comunità che
Citazione di: donquixote il 18 Luglio 2016, 08:11:36 AMritengono l'equilibrio e l'armonia della comunità e quello più complessivo del mondo un valore imprescindibile da salvaguardare.
solitamente, come ricordavo, non hanno popolazioni particolarmente numerose e strutture economiche particolarmente complesse, mentre le culture-comunità che
Citazione di: donquixote il 18 Luglio 2016, 08:11:36 AMnegano e rifiutano questo equilibrio per perseguire un "progresso" indefinito, senza nemmeno peraltro affermare dove questo "progresso" dovrà mai portare, e sfruttano tutte le risorse possibili per alimentarlo ignorando totalmente le conseguenze
comprendono, ma posso sbagliarmi, gran parte di tutti i paesi più industrializzati e popolosi, e non solo nel famigerato occidente... che sia una mera coincidenza storica? Oppure c'è del "sintomatico"? Considerando ciò mi è nato il sospetto (ma non la certezza) che ci sia un legame fra difetti sociali (chiamiamoli così) e quantità della popolazione e complessità economica... per cui rimproverare al grande di non avere i pregi del piccolo, o lodare il piccolo perché non ha i difetti del grande, rischia di sottovalutare la differenza fra "grande" e "piccolo" (sociologicamente, antropologicamente, economicamente, etc.). Se poi dovesse nascere una superpotenza economica con un miliardo di abitanti che rispetta l'ambiente, tutela i deboli più dei forti ed è un esempio di virtù ("parolaccia" comunque opinabile), ne sarei ben lieto :)


La Cina e L'India hanno una popolazione complessiva di circa due miliardi e ottocento milioni di persone, attualmente, mentre lo stato europeo più popoloso ne ha poco più di 80 milioni, però l'India e la Cina fino al 1989 erano considerati praticamente paesi del "terzo mondo", ovvero economicamente e tecnologicamente sottosviluppati. Si può ragionevolmente supporre che la proporzione fra il numero di abitanti di India e Cina e quello dei paesi europei fosse più o meno la stessa anche qualche secolo fa, quando l'Europa si era già completamente mercantilizzata e quasi completamente industrializzata, mentre India e Cina mantenevano un certo equilibrio che durava da tempo immemore e hanno incominciato a "corrompersi" in maniera evidente con l'invasione britannica l'una e le guerre dell'oppio l'altra; quindi il numero c'entra molto relativamente. Certo nel "piccolo" è più semplice mantenere un equilibrio (e sia l'India che la Cina erano formati da tanti "piccoli" che condividevano una comune visione del mondo e poi ognuno si organizzava come meglio riteneva opportuno), ma la decisione (perchè è una decisione) di farsi "grande" è già sintomo di cambiamento e corruzione, quindi di sopravvenuto squilibrio nella visione del mondo. Finchè è la natura a dettare i ritmi e l'uomo vive in campagna in comunità ristrette è più facile mantenere l'equilibrio, ma se l'industrializzazione porta a costruire megalopoli intorno alle fabbriche che diventeranno sempre più numerose e grandi allora ogni equilibrio andrà perduto, e decidere in un senso o nell'altro è sempre opera umana, non di qualche alieno venuto da chissà dove.
Non può esistere una "superpotenza economica" con un miliardo di abitanti che rispetta l'ambiente, perchè questo è un evidente ossimoro: possono esistere un miliardo di persone che rispettano l'ambiente, ma non saranno mai superpotenza economica. E la tutela "dei deboli più dei forti" è un ideale anch'esso del tutto moderno e occidentale (per quanto disatteso) che non trova alcun riscontro nelle culture a cui io mi riferisco e non è affatto sinonimo di virtù.
#366
Attualità / Re:Essi Vivono
18 Luglio 2016, 08:11:36 AM
Citazione di: Jacopus il 17 Luglio 2016, 23:30:56 PMQuesta discussione e' diventata l'arena fra due partiti: il partito plautiano, secondo il quale l'uomo e' sempre lo stesso avido, arraffatore, corrotto di sempre e il partito marcusiano che vede nell'uomo occidentale ogni male e sventura. Vorrei promuovere un terzo partito: il partito adorniano che ritiene l'uomo occidentale fautore di meccanismi di pensiero nello stesso tempo positivi e negativi. Lo sviluppo tecnologico ha permesso un livello di vita mai raggiunto prima. Sto ora scrivendo davanti ad uno smarphone a proposito di questioni che duemila anni fa erano riservate ad una ristretta elite. Cio' che ha funzionato per me, pero' non funziona per la maggioranza del mondo. L'uomo occidentale ha fallito il suo obiettivo universalistico, da raggiungere sulla terra, sia nella versione liberale che in quella marxista. Resta l'opzione religiosa che infatti mostra segni di rafforzamento. La scommessa allora potrebbe essere quella di riattivare quella vena sotterranea del pensiero occidentale che pure esiste, che antepone gli interessi collettivi agli interessi individuali. Sono attualmente in Francia, una Francia rurale ma comunque altamente occidentalizzata. Le differenze di relazione fra gli individui si notano, cosi' come la differente ripartizione fra luoghi pubblici e privati. Paragone tutto a favore della Francia ovviamente. Come al solito il modello manicheista "tutto egoismo/tutta generosità" non e' reale. Le societa' sono un po' egoiste ed un po' generose e tendono a decadere quando la parte egoista tende a sopprimere la parte generosa. La pericolosita' della situazione attuale e' la globalizzazione e la mancanza di modelli alternativi al capitale. Anzi un modello pseudo-alternativo c'e' e si chiama radicalismo religioso ma si cadrebbe dalla padella alla brace.
Citazione di: Phil il 17 Luglio 2016, 23:51:44 PMA scanso di equivoci: per ora ho parlato solo di vizi e "difetti di fabbrica" dell'uomo, perchè il discorso è partito da una critica all'uomo moderno, e volevo ricordare come tali pecche fossero tipiche dell'uomo tout court; ma non per questo ritengo che l'uomo sia solo un ricettacolo di impulsi negativi, iniqui o sconsiderati, ci sono indubbiamente anche potenzialità positive (disperse nella massa), e non solo quelle che hanno alimentato lo sviluppo tecnologico...

Non ci sono affatto due partiti. o almeno io (e credo anche acquario69) non appartengo né al partito plautiano nè a quello marcusiano. Il discorso è molto più semplice ma siccome  è forse noioso rileggere e comprendere quel che si è scritto provo a riassumere schematizzando:

- l'uomo ha in sé sia qualità positive che negative (senza star qui ad elencarle) e questo lo si sa da migliaia di anni
- fra le qualità negative vi è l'egoismo, la corruzione e la volontà di sopraffazione (come raccontato anche nella Bibbia nel capitolo dedicato al peccato originale)
- queste caratteristiche non sono presenti nella medesima percentuale in tutte le etnie umane e nemmeno negli uomini della medesima etnia considerati in epoche diverse
- vi sono comunità umane che valorizzano le qualità positive e limitano quelle negative, facendo prevalere gli interessi comunitari a scapito di quelli individuali
- vi sono altre "culture" che invece ritengono positivo l'egoismo e la sopraffazione ed esaltano gli interessi individuali negando nel contempo quelli collettivi, organizzando la propria società sulla base di questi "valori".
- Vi sono comunità umane che ritengono l'equilibrio e l'armonia della comunità e quello più complessivo del mondo un valore imprescindibile da salvaguardare.
- Vi sono altre "culture" che negano e rifiutano questo equilibrio per perseguire un "progresso" indefinito, senza nemmeno peraltro affermare dove questo "progresso" dovrà mai portare, e sfruttano tutte le risorse possibili per alimentarlo ignorando totalmente le conseguenze a cui questo potrà portare.

Sono entrambe uguali e intercambiabili, o con differenze trascurabili, oppure non sono, queste due organizzazioni sociali, una l'opposto dell'altra? E se le regole delle società le fanno gli uomini è così sbagliato affermare che gli uomini che hanno dato vita ad un certo tipo di comunità sono sostanzialmente (e non superficialmente) diversi da quegli altri?

Poi se volete discutiamo altrove della tecnologia che avrà anche introdotto alcune comodità ma nel contempo ha rincretinito l'uomo e l'ha reso sempre più ignorante e dipendente dalle macchine. Come si faccia a definire "positivo" il fatto che un tempo l'uomo bastava a se stesso per tutto quello di cui aveva bisogno e ora dipende in maniera totale da apparecchi che egli stesso ha inventato e che dunque gli sono "inferiori"? Come si fa a definire intelligente uno che si fida più di una macchina (che fra l'altro nel 99% dei casi non solo non saprebbe costruirla, ma non sa nemmeno come funziona) che di un proprio simile? Ma questa è un'altra questione.
#367
Se Dio è "tutto ciò che è", lo Spirito che dà vita al mondo, il creatore del cielo e della terra che senza di Lui non esisterebbero, non vi può essere ragione più alta e nobile per uccidere, e ovviamente anche per morire, se non per compiere la Sua Volontà: la stessa Bibbia racconta che Abramo stava per immolare il figlio Isacco per fare la volontà di Dio, mentre Gesù Cristo immolò se stesso per la medesima ragione.
Trovo infatti alquanto ipocriti e sommamente falsi gli anatemi di coloro, a cominciare ovviamente dal pontefice, che urlano "Non si può uccidere in nome di Dio!"; bene: e allora in nome di cosa sarebbe lecito uccidere? O si afferma in generale che non è lecito uccidere sempre e comunque, ed è un conto, o altrimenti la precisazione "in nome di Dio" lascia intendere che per ragioni sicuramente più meschine (l'esportazione della democrazia, il petrolio, gli interessi commerciali di un qualche stato) sia invece lecito ammazzare.
Dunque per coloro che hanno ancora una minima nozione di Dio nulla può essere maggiormente motivante dell'uccidere (e morire) nel Suo nome. Ovvio che il discorso si sposta quindi di necessità sull'interpretazione della "volontà di Dio", e qui si entra in un ginepraio in cui è meglio non avventurarsi di questi tempi, ma in linea generale e soprattutto in questa era non mi sembra così campato per aria ipotizzare che la "volontà di Dio" venga perlopiù utilizzata strumentalmente per ammantare di un velo di nobiltà ragioni che nobili non sono affatto. Del resto non solo i mandanti dei terroristi islamici si fanno scudo della volontà divina per convincere la gente ad uccidere ed uccidersi, ma a suo tempo anche G. W. Bush ordinò la guerra in Iraq affermando nel consiglio di guerra, come i vecchi crociati, "Dio lo vuole!". Sono sempre gli uomini ad uccidere, non certo Dio, e per convincerli a farlo bisogna dare loro delle motivazioni in cui credono, delle ragioni che li convincano che stanno facendo "la cosa giusta". Molti uomini hanno ucciso e sono morti in nome della patria, della libertà, dell'indipendenza, della gloria e di chissà quanti e quali altri motivi; nessuno di questi può però essere più convincente dell'adempimento di una missione "universale" come il compimento della volontà di Dio.
La somma ipocrisia però è quella che anima un mondo come quello attuale in cui la "vita umana" e la sua salvaguardia hanno preso il posto della "volontà di Dio" sulla scala dei valori, poi però anzichè prenderne atto e non spezzare altre vite umane si sono inventati tutta una serie di strumenti per poter uccidere senza alcun rischio di essere a nostra volta uccisi. I "valori" che animano il mondo moderno sono talmente deboli e miseri che più nessuno sarebbe disposto a morire per difenderli, mentre invece siamo ancora disposti ad uccidere per farlo, e abbiamo appaltato questo compito alle macchine che non hanno bisogno di ragioni perchè basta pigiare un bottone.
#368
Citazioneil borghese inventa l'idea secondo cui si è sulla terra per essere « felici » e questa idea ben presto sembrerà la più naturale del mondo Quanto alla felicità, essa viene concepita prima di tutto come un benessere materiale dipendente dalle condizioni esteriori, sulle quali, appunto, si può agire. Si sarà dunque più felici quando la società sarà "migliore". L'ideologia della felicità fa dunque il paio con quella del progresso, che le offre una giustificazione.

Questa citazione mi pare assai significativa, perchè il diritto alla ricerca della felicità è davvero del tutto moderna, inserita per la prima volta nella dichiarazione d'indipendenza americana. La felicità come obiettivo umano da perseguire su questa terra non trova precedenti nella cultura occidentale se si eccettua la filosofia di Epicuro che però è alquanto differente da come la si intende al giorno d'oggi, e la concettualizzazione del paradiso situato nell'aldilà come premio per le sofferenze cristianamente subite in questo mondo ne è una delle dimostrazioni più palesi. Tutte le culture che io conosco (tranne ovviamente quella occidentale moderna) hanno sempre messo al primo posto, fra gli obiettivi che ogni uomo si deve porre nella sua vita, il "dovere" (ancora fino a pochi decenni fa si diceva "prima il dovere e poi il piacere" identificando quest'ultimo con la moderna "felicità") e ancora Kant, filosofo principe della modernità, diceva "il cielo stellato sopra di me, la legge morale in me" auspicando il compimento del "dovere per il dovere". Nietzsche, che "camminava sulla testa" di Kant, diceva "forse che io miro alla mia felicità? Io miro alla mia opera!" Gesù Cristo disse forse di essere venuto sulla terra per essere felice? Disse invece "Sono venuto a compiere la volontà del Padre mio". Si è dunque sulla terra per compiere il proprio dovere, ed eventualmente è in tale adempimento che può risiedere la felicità terrena, ma questo può accadere solo quando il proprio "essere" coincide con il "dover essere", ovvero quando ognuno realizza se stesso e si esprime compiutamente per ciò che è (cosa fra l'altro sempre più rara nel sistema di pensiero attuale).
Non so se l'idea che si venga al mondo per essere felici nasca dalla borghesia, ma sicuramente nasce in un'isola in cui la borghesia mercantile aveva già acquisito un grande potere (ad esempio con la Compagnia delle Indie Orientali), un'isola in cui non a caso è nata la Rivoluzione Industriale, molto probabilmente condizionando i "pensatori" del luogo e dell'epoca che l'hanno poi teorizzata. Poi i filosofi dell'Illuminismo  hanno convinto gli uomini che non esiste nessun "aldilà", per cui la loro felicità e il loro benessere poteva essere realizzato solamente "aldiquà"; la conseguenza è stata che siccome nell' "aldiquà" esiste solo la materia è in essa, nel suo possesso e nel suo sfruttamento, che  necessariamente la felicità deve risiedere. In tal modo hanno potuto avere la meglio coloro che nella materia avevano investito più di chiunque altro, i mercanti appunto, che hanno velocemente colonizzato l'idea di felicità di chiunque e la sfruttano ai loro fini.
#369
Attualità / Re:Essi Vivono
16 Luglio 2016, 20:38:47 PM
Citazione di: Phil il 16 Luglio 2016, 16:52:54 PMTemo che quel calciatore e, soprattutto, quel mercante, se esistono, siano una esemplare ed encomiabile minoranza ad un passo dall'estinzione... e magari si estingueranno definitivamente prima che tu finisca di leggere queste righe... Sperare che un giorno la maggioranza sia così saggia, morigerata ed altruista, è senza dubbio legittimo, ma forse un po' utopico... se l'umanità attuale non lo è, ricorderei anche che, per quel che so, non lo è mai stata finora (per cui non si può colpevolizzare l'uomo moderno di colpe che ha avuto anche l'uomo medievale, l'uomo antico, etc.).

Citazione di: Phil il 16 Luglio 2016, 16:52:54 PMP.s. Chiarisco che non voglio affatto fare l'apologia dell'uomo moderno, ma solo sconsigliare di avere nostalgia di un passato edulcorato dalla distanza storica, quando, in fondo, alcuni tratti essenziali dell'uomo si sono solo trasformati, ma il loro nucleo essenziale è rimasto, per me, lo stesso da sempre...

Prova a fare qualche ricerca sulla vita quotidiana e l'organizzazione sociale e vedrai che ad esempio il mercante, anche in Europa, era considerato fino a qualche secolo fa ad un livello infimo poichè speculava sul lavoro altrui senza metterci niente del proprio, così come il banchiere che era assimilato all'usuraio. Se si vive in un quadro di riferimento culturale che esprime riprovazione nei confronti di certe professioni, di certi comportamenti, di certi stili di vita è più difficile che questi si espandano, e senza alcun bisogno di interventi dall'alto. Se una comunità esalta l'onestà ognuno tenderà ad essere onesto e reprimere le pulsioni delinquenziali; se una comunità esalta il coraggio e lo spirito di sacrificio il vile e l'ignavo se ne staranno nascosti; se una comunità esalta la sobrietà e l'equilibrio come stile di vita il riccastro esibizionista verrà deriso e non certo lodato; se una comunità esalta il possesso di doti spirituali e nel contempo disprezza quello di oggetti materiali nessuno tenderà a "produrre" più dello stretto necessario perchè non avrà a chi venderlo; se una comunità disprezza e condanna i debitori nessuno tenderà a contrarre debiti. Se invece, come nell'era moderna, si santifica il commercio e il profitto, in qualunque maniera questo venga conseguito,  allora  i mercanti e gli usurai saranno i più invidiati ed emulati; se conterà più il possesso di beni materiali che spirituali allora si dovrà produrli in misura sempre più massiccia consumando le risorse della terra; se non conterà essere onesti e svolgere al meglio il proprio mestiere ma invece solo avere fama e successo allora tutti i mezzi saranno leciti per raggiungere l'obiettivo; se sarà nota di merito avere alti debiti allora spunteranno usurai da ogni angolo e chiunque cercherà ogni occasione possibile per contrarre prestiti o accendere mutui; se l'equilibrio non sarà più un punto di riferimento ma questo sarà sostituito dalla crescita economica progressiva perseguita con ogni mezzo allora bisognerà ribaltare il rapporto domanda/offerta facendo prevalere quest'ultima con la creazione di bisogni fittizi in modo che la gente acquisti sempre più oggetti di cui non saprà che farsene, e via elencando. Non mi sembra così complicato comprendere che il contesto sociale è determinante nello sviluppo della personalità umana. La stessa persona in contesti diversi si comporterebbe in maniera totalmente diversa, poichè nonostante sia sempre la stessa il contesto consentirà di esaltare determinate qualità e reprimere o controllare determinati difetti, e viceversa. Se quindi una persona è inscindibile (o quasi) dal contesto culturale di riferimento come si fa ad affermare che

Citazione di: Phil il 16 Luglio 2016, 16:52:54 PMUna comunità animata da uno spirito comunitario così spontaneamente virtuoso è dipinta solo nelle epoche d'oro di un passato mai esistito (mitologia taoista e altre...)

 Basta leggere qualche testo serio di antropologia per vedere come vi sono (o vi sono stati, prima che arrivassimo noi) popoli che da svariate migliaia di anni vivevano nello stesso identico modo: molti popoli dell'Africa, gli Aborigeni australiani, le tribù indiane d'America, gli indios sudamericani, gli eschimesi e gli Innu del Labrador, molte popolazioni asiatiche... e ovunque in maniera spontanea e senza soldati agli ordini di un qualche tiranno che controllavano i cittadini 24 ore su 24. Se l'uomo è sempre uguale dappertutto (e comunque non lo è) come si spiega questo se non con il contesto culturale? E il contesto culturale lo creano gli uomini: ma se gli uomini sono sempre gli stessi come mai i contesti sono così diversi o addirittura opposti? Come si spiega che i cinesi che migliaia di anni fa erano in possesso di innovazioni tecnologiche che noi nemmeno ci sognavamo hanno abbandonato il loro sviluppo per privilegiare una cultura basata sull'equilibrio con la natura e non sulla sua aggressione? E lo stesso hanno fatto poi i greci e successivamente anche gli arabi? Come si spiega che gli indiani hanno vissuto per migliaia di anni secondo le regole della cultura vedica nonostante i vari dominatori che si susseguivano nelle loro terre? E se l'uomo è sempre uguale a se stesso come si spiega che nel giro di tre/quattro secoli l'uomo occidentale ha impresso una accelerazione tecnologica al mondo che non è nemmeno paragonabile a quella avvenuta da quando l'uomo è apparso sulla terra fino all'anno domini 1600?


Se non vuoi fare l'apologia dell'uomo moderno allora hai del tempo da perdere, perchè far finta di non vedere per poi dire "l'uomo di duemila anni fa è più o meno lo stesso uomo di adesso" mi sembra davvero una frase scritta tanto perchè non avevi di meglio da fare. Se i romani di allora fossero stati come quelli di adesso perchè mai non hanno inventato tutte le diavolerie tecnologiche odierne in modo da dominare il resto del mondo ancora fuori dal loro controllo? Considerando anche il fatto che per farlo avrebbero avuto a disposizione un numero di anni almeno doppio di quelli che son serviti a noi per arrivare dove siamo arrivati, e possedevano conoscenze tecniche tali da permettergli ad esempio di costruire ponti o acquedotti tuttora funzionanti mentre noi costruiamo cose che al massimo durano poche decine di anni.


Citazione di: Phil il 16 Luglio 2016, 16:52:54 PM[corsivo mio; non a caso, hai scritto "mettendo", non "lasciando che ognuno si metta naturalmente" al posto che gli compete... lapsus freudiano?] "Aspirazioni personali"(cit.) inserite nei "criteri totalmente sbagliati"(cit.)... "la accendiamo o chiediamo il parere del pubblico"? Gerry Scotti a parte, è un'associazione sintomatica del lapsus di cui sopra? Il talento e la predisposizione naturale devono infatti fare i conti con la libera scelta: una valutazione delle competenze mi rivela che sono molto portato per la matematica, ma personalmente preferirei fare l'avvocato... a questo punto, ho vado ad intasare l'albo dei principi del foro, oppure qualcuno me lo proibisce, di forza (ed ecco il rischio del potere "invadente"), perché non sono adatto e non ce n'è bisogno... la libera scelta dei singoli non può coincidere mai con l'effettivo fabbisogno di uno stato numeroso e complesso (è come sperare che ad ogni concorso ci sia coincidenza esatta fra numero di candidati e posti disponibili...).

Non è affatto un lapsus il "mettendo", come anche inserire le aspirazioni personali nei criteri sbagliati, perchè per "aspirazioni personali" si intende la ricerca della fama e del successo. In ogni tempo e luogo vi sono professioni che più di altre assicurano fama e successo, e sono anche quelle più ambite, ma se uno non è adatto a svolgerle anzichè conseguire fama e successo andrà incontro a insuccessi e frustrazioni perchè sarà sempre sopravanzato da quelli più bravi e talentuosi di lui. Se tu hai il talento del ragioniere ma vuoi fare a tutti i costi l'avvocato pur non essendone portato perchè assicura più guadagno e più successo  accumulerai povertà e fallimenti oltre a causare un doppio danno alla comunità che oltre a ritrovarsi un avvocato inutile si sarà dovuta privare di un ragioniere di talento. La tua vita sarà dunque infelice e ricca di rimpianti. Il potere che tu chiami "invadente" è quello dei genitori, degli insegnanti, della gente che ti sta intorno dunque quello della comunità nel suo complesso (non certo quello di un poliziotto che ti obbliga con la forza a far qualcosa o a non farla) che ti aiuterà a scoprire le tue predisposizioni e a svilupparle ai massimi livelli, in modo tale da fornire senso alla tua vita poichè farai ciò che sarai più adatto a fare e la comunità potrà avvalersi di una persona che nel suo ambito è in grado di dare il meglio di sé e te ne sarà riconoscente, mentre sarà pronta a disconoscerti se ti dimostrerai un avvocato meno che mediocre. Questo discorso ovviamente è da considerare inserito nel contesto "comunitario" di cui parlavo prima e non ha più alcun senso nelle attuali condizioni di caos e confusione nelle quali nessuno è più in grado di valutare il talento o la bravura di nessuno ma tutti faranno riferimento esclusivamente all' "immagine" che ognuno è in grado di fornire di se stesso, tanto è vero che io conosco avvocati di scarsissima levatura che hanno gran successo mentre altri veramente molto bravi faticano a sopravvivere.
#370
Attualità / Re:Essi Vivono
16 Luglio 2016, 10:02:16 AM
Citazione di: Phil il 15 Luglio 2016, 16:40:10 PMConcordo che il "dare a ciascuno il suo" sia un'ideale normativo di giustizia (la cui "quantificazione" pone come sempre non pochi problemi di opinabilità...), ma si scontra comunque con la realtà in cui "ciascuno fa il suo"; per cui i mercanti fanno i mercanti, i politici fanno i politici, i calciatori fanno i calciatori, i criminali fanno i criminali, etc... per evitare che ciascuno persegua "il suo (interesse)" occorrerebbe una potere centrale molto invadente e direttivo, ma siamo sicuri che si rivelerebbe poi sempre un saggio padre con adeguato ed integerrimo senso della misura? Anche questa impostazione ha una sua casistica storica (e rimpiangerla ha pur sempre una sua dignità politica...).

Non sono affatto d'accordo con la necessità di un potere molto invadente e direttivo, che avrebbe tra l'altro l'effetto opposto a quello auspicato. In un contesto culturale corretto, sensato e giusto l'interesse di un mercante, come quello di un calciatore, sarà quello di fare al meglio il proprio mestiere e guadagnare quel che basta per mantenere la propria famiglia, e non certo quello di scalare posizioni di potere o guadagnare quel che basterebbe per far vivere nel lusso le sue prossime 5 generazioni, anche perchè così facendo priverebbe i propri discendenti della possibilità di mostrare il loro valore ed essere utili alla propria comunità rendendoli pigri e apatici, quindi procurando loro un danno esponendoli alla riprovazione sociale. Le imposizioni "per legge" sono sempre deleterie, poichè è nel quadro culturale di riferimento animato dallo spirito comunitario che ognuno dovrà trovare naturalmente il proprio ruolo, e se questo gli viene in qualche modo imposto tenderà a rifiutarlo. Per quanto riguarda il criminale questo verrà isolato ed escluso dalla comunità ancor prima che le forze dell'ordine possano accorgersi di lui, per cui la sua carriera sarà sicuramente breve.



Citazione di: Phil il 15 Luglio 2016, 16:40:10 PMLa proclamazione di uguaglianza (egalitè, fraternitè, libertè) credo resti semplicemente una proclamazione ornamentale, un motto demagogico, ma in pratica, se non erro, questa uguaglianza non si concretizza spesso: davvero tutte le persone (oggettivamente diverse) ricevono le stesse "cose"(cit.)? Le disparità sociali sono piuttosto palesi (e quasi addirittura tutelate), privilegi e discriminazioni abbondano, e "la legge è uguale per tutti" suona come una frase da Bacio Perugina... Soprattutto se si parla di diritti, terrei d'occhio il modo concreto in cui questi aulici diritti si inseriscono nella società, spesso mortificando, nell'innestarsi, tutta la loro universalità e favorendo una sterile dissipazione di possibilità:

Se l'uguaglianza non si concretizza, e non potrà mai farlo, è semplicemente perchè è totalmente contronatura: la scuola è (più o meno) uguale per tutti, ma se tu insegni le stesse cose a persone diverse loro le elaboreranno in modo diverso per cui le conseguenze saranno naturalmente differenti e creeranno disparità sociale. La disparità sociale non è un male in sè, lo è nel momento in cui ti trovi un numero sterminato di persone che hanno le attitudini a fare tutt'altro che ricoprirono ruoli non adatti a loro perchè assegnati con criteri totalmente sbagliati (il mercato, le aspirazioni personali, la smania di successo, la truffa in qualche concorso pubblico, la raccomandazione sbagliata di qualche potente eccetera) e quindi saranno disfunzionali alla comunità nel suo complesso, mentre se tale disparità verrà attuata mettendo ciascuno al posto che per attitudine gli compete (e tale attitudine verrà inoltre sviluppata con adeguata educazione) allora sarà anche più semplice rendersi conto che se uno ricopre un determinato ruolo (magari di particolare prestigio) è perchè merita di farlo, e questo diminuirà di molto l'invidia sociale che non può che aumentare vedendo sempre più emeriti cretini in posizioni di potere: il privilegio e la discriminazione non stanno nelle prebende o negli oneri  che questi comportano, ma nel fatto che tali prebende e tali oneri siano assegnati a persone che non li meritano.


Citazione di: Phil il 15 Luglio 2016, 16:40:10 PMQuesto è appunto un caso in cui l'uguaglianza formale è fuorviante e, cozzando con la realtà, viene filtrata dalle reali esigenze, per cui anche se, di diritto, tutti possiamo essere farmacisti o militari o avvocati, di fatto, solo alcuni "diseguali", ed in numero necessario/richiesto, troverà collocazione (con tutte le ripercussioni degli "scartati" che aumenteranno ulteriormente la disuguaglianza sociale: disoccupazione e affini...).

Io parlo di uguaglianza sostanziale, che poi si ripercuote anche in quella formale (che però è perlomeno equivoca), come proclamata dal preambolo della dichiarazione dei diritti umani del 48. In ogni caso se questa, tenendo presente quanto ho scritto qui sopra a proposito delle esigenze della comunità e dei ruoli che in essa dovranno essere coperti, è fuorviante, lo è ancora di più la sua proclamazione in linea di principio poiche non potendo mai essere realizzata in quanto innaturale la sua mera enunciazione creerà nella mente delle persone una sorta di alienazione poichè i molti si sentiranno in qualche modo "discriminati" pur magari senza esserlo affatto.

Citazione di: Phil il 15 Luglio 2016, 16:40:10 PMCome accennavo nel post precedente, non sottovaluterei la socialità "etologica" dell'essere umano: la solitudine dell'individualità non ha mai affascinato la massa (che pur contiene le debite eccezioni-minoranze), e una società di "superuomini (o oltreuomini) nietzschiani" mi pare improbabile, così come quella formata in maggioranza da misantropi solipsisti... magari si tratterà di appartenere ad una collettività dispersa nel territorio (e riunita dalla tecnologia), per cui il vicino-di-casa non sarà anche vicino-di-visione-del-mondo, ma la ricerca del collettivo, del branco, del gruppo, credo sia un istinto atavico inestirpabile (seppur alienabile, contestualizzabile, rivisitabile...). Ma non voglio insistere troppo...

L'individualismo ha ben poco a che fare con la solitudine: si può essere estremamente individualisti pur senza essere per niente asceti o misantropi. La tendenza è ad essere da un lato il più possibile indipendenti e autonomi e sfruttare l'altro per soddisfare le proprie esigenze, poi vi saranno innumerevoli occasioni di condivisione che però saranno sempre e solamente di una superficialità assoluta (il tifo per la medesima squadra, la condivisione di una passione o magari un "interesse" comune da perseguire) che non identificheranno mai gli appartenenti ad una comunità ma caratterizzeranno una massa di singoli individui senz'altra cosa in comune che quella condivisione in quel dato, singolo, momento. E comunque si sa che spesso uno si sente più solo in mezzo a un milione di persone che magari seduto solitario il poltrona con un bel libro fra le mani.

Citazione di: Phil il 15 Luglio 2016, 16:40:10 PMQuesta parabola storica (sviluppo interno unitario, espansione esterna, soppressione della diversità/esportazione dei modelli, ampliamento-dispersione, implosione-frammentazione), converrai, non è tipica solo della società contemporanea: è esattamente quella di ogni impero (leggendola mi è subito venuto in mente l'impero romano); alcune caratteristiche di cui viene colpevolizzato l'uomo moderno, quasi fosse una forma corrotta dell'uomo dei secoli precedenti, credo siano piuttosto tipiche dell'uomo in quanto tale (praticamente i famigerati sette peccati capitali), da almeno duemila anni ad oggi; anche se, inevitabilmente, sono cambiate le forme, gli spazi e i tempi, con cui l'uomo asseconda i propri vizi...

Per quanto vi siano delle similitudini sono più importanti e cogenti le innumerevoli differenze, di cui elenco solo quelle che mi paiono decisive. Ai tempi dell'impero circa l'80% della terra non sapeva chi fossero i romani, mentre ora l'invasione (sia pur non strettamente militare ma "culturale") ha coperto la totalità del globo. In secondo luogo la tecnologia a disposizione dei romani di allora poteva provocare danni alquanto limitati, per nulla paragonabili all'oggi. In terzo luogo i romani non esportavano un "way of life" basato sul consumo delle risorse terrestri ma si limitavano a saccheggiare le (limitate) ricchezze altrui o a schiavizzare gli abitanti per le loro esigenze. Se il mondo ha potuto serenamente sopravvivere al crollo dell'impero romano (e gran parte di esso nemmeno se n'è accorto) non potrà certo farlo in questa occasione. L'uomo moderno è sempre l'uomo corrotto che viene descritto nel racconto biblico del peccato originale con la differenza sostanziale, e decisiva, che se l'uomo antico ne era consapevole e cercava in qualche modo di limitarsi quello moderno considera invece come positive queste sue caratteristiche e le esalta fino a corrompere, complice anche l'abnorme aumento della popolazione, l'intero globo.
#371
Attualità / Re:Essi Vivono
15 Luglio 2016, 10:31:34 AM
Citazione di: Phil il 14 Luglio 2016, 23:25:31 PMMi/ti chiedo: può esserci un tempo storico "giusto"? Si può uscire dal relativismo etico(-politico), oppure il "non-giusto" è soltanto un giudizio personale... probabilmente, per chi ha il potere, i tempi sono più che giusti...


Per "giusto" intendo ovviamente "conforme a giustizia": e cos'altro è la giustizia se non "dare a ciascuno il suo"? (suum cuique tribuere) Al di là di tutte le altre considerazioni che si possono fare la proclamazione, in questo tempo, dell'uguaglianza di tutti gli esseri umani è esattamente l'opposto della giustizia, perchè chiunque può accorgersi che ognuno è diverso (sotto molteplici aspetti) da chiunque altro, e un'idea che afferma che bisogna dare le stesse cose a persone diverse persegue l'ideale dell'ingiustizia. Un tempo storico "giusto" (per quanto non assolutamente ma solo relativamente, come del resto tutto ciò che accade nel mondo del divenire) è dunque quello che persegue tendenzialmente l'ideale opposto a quello attuale. Per fare l'esempio legato all'attualità "dare a ciascuno il suo" significa non consentire che i "mercanti" possano determinare le sorti di un popolo, poichè essendo essi più di altri mossi dall'avidità e dalla ricerca del profitto non potranno certo perseguire l'interesse comune, anche magari a scapito del proprio.

Citazione di: Phil il 14 Luglio 2016, 23:25:31 PM
P.s. Tutto questo per chiederti di spiegare meglio a cosa alludi con "cultura divisiva e distruttiva"...

Ferdinand Tonnies, nel famoso saggio Gemeinschaft und Gesellschaft  scriveva:



"La teoria della società riguarda una costruzione artificiale, un aggregato di esseri umani che solo superficialmente assomiglia alla comunità, nella misura in cui anche in essa gli individui vivono pacificamente gli uni accanto agli altri. Però, mentre nella comunità essi restano essenzialmente uniti nonostante i fattori che li separano, nella società restano essenzialmente separati nonostante i fattori che li uniscono"



Le aggregazioni umane moderne, basate sulla teoria del "contratto sociale" che chiunque può sottoscrivere e che da quel momento lo consacra appartenente alla "società" di riferimento sono fondate sull'idea che il singolo individuo (libero, indipendente, autonomo ed eguale) sia più importante di tutto, e che l'unione sia solamente temporanea e strumentale al soddisfacimento di determinate esigenze dei singoli; nessuno quindi dovrà "sacrificarsi" in nome della società se non nella misura stabilita dal "contratto" sottoscritto. Tale idea, che parte dalla considerazione dell'individuo, dei suoi diritti e della sua libertà come elaborata nel XVII e XVIII secolo e codificata in opere quali quelle di Benjamin Constant (La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni)  e Stuart Mills (saggio sulla libertà) e portata ad esaltazione nei tempi recenti da autori influenti come Stirner (L'unico e la sua proprietà), ha depotenziato il ruolo della comunità umana rendendolo funzionale alla mera espressione individuale. Le moderne costituzioni degli stati affermano in pratica che "ciascuno è libero di esprimersi come vuole a patto che ciò non impedisca in qualche modo l'espressione di un altro" che significa poi che ognuno è libero di elaborarsi una propria filosofia di vita, una propria morale, un proprio schema di giudizio sui fenomeni eccetera, e di condividerlo o meno con altri. Dunque mentre nelle comunità l'individuo poteva esprimersi solo al loro interno e siccome esse sono animate da una visione "organica" del mondo (vedi ad esempio il famoso apologo di Menenio Agrippa), ognuno doveva mantenere il proprio ruolo compatibilmente con le proprie attitudini e capacità e la comunità stessa si occupava di riconoscerlo e valorizzarlo come funzionale al benessere complessivo della medesima. Nelle società moderne, dominate invece da una visione meccanicistica ed egualitaristica ove tutti sono fungibili come ingranaggi di un meccanismo, ognuno, indipendentemente dai talenti individuali, può "scegliere" autonomamente quale ruolo ricoprire, scontrandosi quotidianamente con la realtà di una società che necessita di 1000 persone adatte a ricoprire un certo ruolo e magari gli aspiranti sono 1.000.000, e con l'estrema concorrenza di altri che anzichè puntare sui propri talenti (che non hanno) punteranno invece sul "fascino", sul "carisma", sulla "capacità di comunicazione" e su altre "doti" del tutto aleatorie e totalmente disfunzionali al ruolo ricoperto, quindi nel complesso deteriori per l'intera società. In una aggregazione umana che non postula principi di unità su cui basarsi e riconoscersi come appartenenti a quella data aggregazione (la nostra è fondata sul "lavoro": ma che cosa significa? il lavoro è un mezzo: ma qual è il fine "sociale"? Quella tedesca è fondata sulla "dignità umana": altra locuzione che non significa nulla)  poichè ognuno è libero di organizzarsi la vita come crede e lo stato deve garantire tale diritto è facile immaginare come tendenzialmente ognuno potrà avere come punto di riferimento solamente il proprio ego e le sue esigenze, che si scontrerà quotidianamente con le esigenze degli ego altrui. Anche l'idea, anch'essa del tutto moderna, di "salvaguardia delle minoranze (culturali o addirittura di altro genere)" in quanto tali,  contribuisce per parte sua ad aumentare la confusione intellettuale perchè una società dovrebbe avere come riferimento una "verità", o ciò che crede essere tale e che deve essere condivisa dai propri appartenenti, ma il conferimento alle minoranza di una dignità intellettuale pari a quella della maggioranza non fa che contribuire ulteriormente alla distruzione culturale e allo spezzettamento della "maggioranza" in minoranze sempre più esigue che via via non avranno più alcuna "verità" come punto di riferimento ma solo i propri interessi egoistici.

Per divisione dunque intendo l'enunciazione di "principi" che esaltano l'individualità a scapito della comunità, che inevitabilmente porteranno al non riconoscimento del proprio vicino come appartenente alla stessa collettività, anche se si parla la stessa lingua. Per "distruttiva" intendo invece una "cultura" che esaltando le pulsioni umane più deteriori (perseguimento degli interessi personali o di casta a qualunque costo, mancanza totale di rispetto verso visioni diverse dalla propria, esaltazione dell'avidità, dell'invidia e della competizione poichè funzionali al "mercato") e impostata com'è sull'idea di "crescita" esponenziale, di progresso infinito, di totale rifiuto di ogni e qualsiasi equilibrio  avrà buon gioco a distruggere in breve tempo tutte quelle culture che hanno impiegato secoli per trovare un proprio equilibrio educando i propri appartenenti a rendersi consapevoli che loro non sono i padroni del mondo e che devono rispettare le leggi della natura a cui loro si devono sottomettere e che non vanno piegate ai propri desideri. E dopo aver distrutto tutte le altre culture non potrà che distruggere se stessa, perchè nel frattempo i conflitti interni saranno diventati talmente numerosi e pervasivi da farla esplodere.

Tutto quanto sopra, coniugato con il "materialismo" di cui dicevo nel messaggio precedente, realizzerà anche la distruzione del mondo fisico; tuttavia questo si può considerare in qualche modo un epifenomeno, anche se in definitiva sarà probabilmente quello che darà il colpo di grazia alla tanto esaltata "modernità".
#372
Citazione di: sgiombo il 14 Luglio 2016, 10:32:37 AMMi dispiace dovere reintervenire in questa discussione (la tipica ricorrente provocazione dei fondamentalisti antidarwiniani, che secondo me sarebbe stato preferibile continuare a ignorare). La teoria dell' evoluzione biologica é scientifica e non ideologica. Un indebito (scientificamente) uso ideologico né é stato e ne é fatto da varie correnti di pensiero tutte più o meno reazionarie ("darwinismo sociale", "sociobiologia", scientismi vari). Fra questi ideologi reazionari (non tanto in buona fede, nelle distorsioni antiscientifiche che hanno preteso di apportare alla teoria: geni pretesi "egoisti", ecc:) vi sono di fatto anche scienziati. Gli strali antiscientifici dei fondamentalisti religiosi, secondo me più o meno altrettanto reazionari, ci sarebbero comunque stati (quando Copernico e Galileo hanno riproposto l' eliocentrismo l' hanno fatto premurandosi di prevenire accuratamente interpretazioni antireligiose, ma ai fonfamentalisti religiosi non é certo bastato...).

Peccato che la "scienza" moderna e occidentale, in qualunque maniera la si intenda, è sempre ideologia. La scienza è un metodo per leggere, spiegare e catalogare i fenomeni, ma gli stessi possono essere letti in più modi diversi. Ci potranno essere degenerazioni o corruzioni di questa ideologia, come del resto di tutte le ideologie, ma anche nella sua estrema "purezza" la scienza non ha nulla di "assolutamente oggettivo".
Un sasso che cade è un sasso che cade, e questo lo può vedere chiunque, ma quando ti metti ad ipotizzare le cause o addirittura le ragioni di questa caduta ricadi nel campo delle ideologie, ovvero degli schemi mentali umani che si utilizzano per descrivere e comprendere il mondo. Si tratta quindi, in questo caso, di giudicare la plausibilità e la verisimiglianza o meno delle teorie scientifiche che vogliono spiegare fenomeni molto ampi e complessi come quello del cambiamento e dell' "evoluzione", e non basta definirle "scientifiche" per assimilarle alla verità. Chi dice che una cosa è vera perchè l'ha detto la scienza è assimilabile a coloro che qualche secolo fa dicevano che una cosa è vera perchè l'ha detto la chiesa.
#373
Attualità / Re:Essi Vivono
14 Luglio 2016, 15:32:26 PM
Avevo visto questo film a suo tempo con un occhio ovviamente diverso da oggi, ma riguardandone qualche spezzone mi sentirei di porre solo in subordine la tesi di fondo delle lobby più o meno occulte che dominano la terra e quindi una critica alle oligarchie. Da che mondo è mondo ci sono sempre stati (almeno fra gli umani) i dominatori (pochi) e i dominati (tanti), per cui il fatto che ora si verifichi la stessa situazione non cambia di una virgola la storia. Tutt'al più si potrebbe notare che ora si vive nella ributtante ipocrisia dei dominatori che dominano facendo credere ai dominati di essere loro a comandare, ma per quanto interessante non mi sembra questo l'argomento da sottolineare.

Secondo me la questione "filosofica" più importante del film è stata appena accennata da alcuni frammenti di "prediche": i valori spirituali sono morti, sostituiti da quelli materiali; la caduta dell'uomo dal "cielo" alla "terra" si è ormai compiuta, e l'illuminismo filosofico è stato l'espressione di un "segno dei tempi" che si poteva già notare chiaramente nei secoli precedenti. Quest'ultimo, forse anche a dispetto dei "philosophes", è stato il grimaldello intellettuale che ha consentito l'acquisizione del potere temporale alla casta dei mercanti, che se ne sono serviti successivamente per colonizzare sempre di più l'immaginario collettivo ai propri fini.

Se il materialismo trionfa e se addirittura si pensa che la materia sia l'unica "sostanza" esistente è ovvio che l'uomo debba trovare la propria "felicità" in essa, ovvero nell'acquisizione e nel consumo di quanti più oggetti materiali possibile, e siccome la materia non può essere contemporaneamente di proprietà di tutti ma solo di qualcuno chi ne possiederà in quantità maggiore (o possiederà in quantità maggiore il denaro per acquisirla) avrà anche il potere sulla "felicità" degli uomini che dipenderanno da loro per poterla conseguire.

Essendo gli oggetti materiali limitati e corruttibili (ovvero si rovinano e devono essere sostituiti) non potranno mai placare in modo definitivo il bisogno umano di "felicità", e quindi l'uomo sarà costretto a trovare il modo di procurarsene sempre di ulteriori, oltre a sostituire quelli che non fanno più il loro "dovere" ovvero non procurano più "felicità" ma sono magari venuti a noia, aumentando in tal modo il potere di coloro che ne detengono il controllo e anche, nel contempo, l'infelicità umana.

L'unione fra il concetto di "felicità" dipendente da beni materiali e la loro disponibilità limitata crea inoltre le condizioni per aumentare nell'uomo una delle sue caratteristiche naturali più deteriori, l'avidità, o come si diceva una volta la "concupiscenza": questo genera uno spirito competitivo di "tutti contro tutti" che a poco a poco annulla completamente lo spirito cooperativo, perché come si nota anche nel film se ti distrai o ti rilassi un attimo c'è sempre il vicino pronto ad occupare il tuo posto.

Altri due concetti moderni da considerare e che rendono esplosiva l'attuale situazione sono la "morte di Dio" e l'affermazione dell'uguaglianza sostanziale degli uomini. Il primo porta a pensare che se Dio non esiste (o è morto, quindi non esiste più) allora l'uomo è padrone del mondo e di se stesso, per cui i bisogni umani saranno considerati prevalenti rispetto a qualunque altra considerazione ("se Dio non esiste tutto è permesso"); il secondo invece conduce all'ideologia dell'individualismo e alla conseguente ipertrofia dell'ego: se tutti siamo uguali e nessuno può essere superiore (o inferiore) a qualcun altro allora ognuno si sentirà naturalmente "più uguale" degli altri, proprio perché non ha altri punti di riferimento all'infuori di se stesso, e i riferimenti alla "legge", o alla "solidarietà", o all' "uguaglianza" o ad altri pseudovalori di questo genere hanno una presa talmente debole da crollare nel giro di pochi decenni.

Tutte le culture tradizionali avevano ben presenti i pericoli dell'esaltazione dell'ego umano e dal porre la volontà di ognuno al servizio dei propri capricci, dei propri desideri, delle proprie passioni più deteriori, e cercavano di creare un quadro per porvi un limite proponendo valori spirituali i quali, contrariamente a quelli materiali, non essendo quantificabili e divisibili possono essere teoricamente posseduti da chiunque nella massima misura senza togliere nulla a nessuno. Ma certo ci vuole fatica per reprimere i più retrivi istinti umani e far prevalere un equilibrio che ci consenta di vivere in maniera sensata e serena, e ce ne vuole molto meno invece per assecondare tali istinti. La modernità come ideologia (che comprende il materialismo, il liberalismo, l'individualismo e tutta questa serie di "ismi") ha fatto proprio questo, e per questa ragione nel giro di pochi decenni ha potuto corrompere praticamente tutto il mondo conosciuto.

Si tratteggia quindi il ritratto dell'uomo moderno: materialista, egoista, ipercompetitivo, avido, tutto teso all'accaparramento e all'accumulo, e coloro che (giustamente) si lamentano delle elite che detengono il potere e li sottomettono sono nella quasi totalità dei casi persone che al loro posto farebbero altrettanto. Sono insipienti e corrotti non meno delle elite, solo più deboli, più vigliacchi, e anziché rischiare qualcosa (o tanto) per affermare non dico un'idea di giustizia, che non conoscono, ma anche solo se stessi preferiscono "pretendere" l'elemosina di coloro che hanno, e sono ben disposti ad esaltare e idolatrare chi concede loro esplicitamente anche solo le "briciole" del tanto che hanno sottratto in maniera subdola.

Il tempo che stiamo vivendo non è ingiusto per il fatto che ora pochi hanno il potere e molti lo subiscono, ma per il fatto che innanzitutto tale potere è diventato talmente pervasivo da permeare il mondo intero, e soprattutto perchè essendo quella moderna una cultura divisiva e distruttiva (l'individualismo e l'egocentrismo spinti all'eccesso porteranno ciascuno ad avere proprie regole, una propria morale, una propria visione del mondo eccetera) e non costruttiva non potrà avere niente che le si possa opporre fino alla distruzione completa, e non sarà certo un cambio della guardia nella cabina di comando a cambiare la direzione al mondo.
#374
Tematiche Spirituali / Re:pentimento ed espiazione
12 Luglio 2016, 11:34:40 AM
Citazione di: sgiombo il 12 Luglio 2016, 09:05:25 AMIntanto Renato Vallanzasca mi sembra un (pessimo) esempio di criminale efferato che l' ha fatta in gran parte franca, riuscendo a sottrarsi al carcere a vita (e duro!) che avrebbe ampiamente meritato (invece in uno stato che seguisse i tuoi principi non l' avrebbe certamente fatta franca perché sarebbe stato condannato a morte). Oltre che malvagio e moralmente spregevole si é inoltre rivelato grettissimo, meschinissimo e maldestrissimo (un preteso "superuomo" che, armato di tutto punto, uccide spietatamente persone inermi -capirai la difficoltà dell' "impresa"!-,ma "ad armi pari" non é nemmeno capace di rapinare un supermercato di periferia! Un miserabile, malvagio omuncolo, fra l' alto (oltre al peggio!) molto più meschino di un ladro di polli! Inoltre non vedo alcuna malafede nel pentirsi di avere ceduto alla tentazione di fare il male e nel cercare di rimediarvi per quanto possibile ed autopunirsi. Malafede sarebbe casomai fingere di pentirsi per alleggerire le condanne penali.


Intanto non capisco questo tuo astio nei confronti di Vallanzasca che nel caso di specie è totalmente ingiustificato e fuori tema considerando che si sta parlando di questioni di principio e non di casi personali. Visto che più volte ti sei autodefinito un "filosofo" dovresti poter concettualizzare e razionalizzare gli esempi proposti e non giudicarli secondo un metro che pare più "sentimentale" che razionale. Comunque il punto non è se Vallanzasca sia o non un criminale, certo che lo è (e sarebbe stato opportuno che a suo tempo fosse stato eliminato dal consesso sociale e non mantenuto a nostre spese per oltre 40 anni) ma che questo criminale si è assunto la responsabilità delle proprie azioni, non si è mai dichiarato in qualche modo "vittima", non ha negoziato veri o falsi pentimenti per riceverne qualche beneficio e ha accettato la pena (o le pene) che lo stato ha ritenuto di infliggergli, al contrario di molti altri che per motivi di convenienza fanno finta di "pentirsi" per lucrare benefici di un qualche genere.
All'inizio del topic hai citato le "sedicenti" Brigate Rosse: proprio costoro, che non erano meno criminali di Vallanzasca, hanno voluto scendere a patti addirittura con uno stato che non riconoscevano, a cui avevano dichiarato guerra. Se dichiari guerra a qualcuno e poi la perdi devi concedere al vincitore di poter fare di te quello che vuole, è sempre stato così. Se invece quando ti beccano ti dichiari "prigioniero politico" negando di fatto il diritto del vincitore a disporre del vinto e poi fai finta di pentirti negoziando con uno stato di cui dichiari di non riconoscere l'autorità una sorta di "collaborazione" in cambio di qualche sconto di pena o permesso premio allora non sei un uomo, ma come diceva Totò sei solo un quaquaraquà. Qui non sono in questione valutazioni morali (visto che la morale da queste parti manco più esiste) ma solo attributi che fanno di un uomo (anche un criminale, perchè essere criminale o meno dipende dalle leggi del paese in cui ti trovi, vedi Socrate) una persona in qualche modo rispettabile oppure solo un vigliacco. La rispettabilità di Socrate (come quella di Vallanzasca) non dipende da quello che uno ha fatto, ma da quello che uno è, e dalla capacità di ognuno di assumersi interamente la responsabilità delle azioni che compie.


Citazione di: sgiombo il 11 Luglio 2016, 19:17:23 PMLa giustizia può sbagliare in molti modi, ma ritengo che fra il rischiare di uccidere un innocente e assolvere un colpevole di regola sia preferibile scegliere la seconda possibilità di sbagliare. Concordo che sia più importante la salvaguardia degli interessi collettivi della società nel suo complesso a scapito eventualmente di un singolo (se inevitabile) e che non sia più importante ogni singolo individuo e non si possa quindi sacrificare a suo "beneficio" il benessere e l'equilibrio di tutti gli altri. Ma secondo me rischiare di sbagliare uccidendo un innocente nell' interesse sociale complessivo si può ammettere solo in condizioni eccezionali e drammaticissime (vedi i rari casi di condannati innocenti per tradimento nella Resistenza antinazifascista).


Per quanto riguarda la prima frase non è che si può scegliere se sbagliare in un verso o nell'altro, perchè appare ovvio che si cerca per quanto possibile di non sbagliare mai. Quindi anche qui è una questione di principio e nel merito colgo una contraddizione, infatti qui sopra leggo: la società è più importante del singolo solo in casi eccezionali e particolarmente drammatici; dunque in condizioni normali è più importante il singolo della società, che è esattamente l'opposto di quel che scrivi all'inizio del capoverso.
#375
Tematiche Spirituali / Re:pentimento ed espiazione
11 Luglio 2016, 22:40:18 PM
Citazione di: sgiombo il 11 Luglio 2016, 19:17:23 PMConcordo che si da il caso dell' obiezione di coscienza e dunque che la rettitudine morale può imporre di contravvenire una legge ingiusta, pagandone le conseguenze (ma eventualmente anche "facendola franca se possibile": non credo sia eticamente doveroso accettare pene ingiuste da leggi ingiuste). E anche Socrate forse ha accettato l' ingiusta condanna a morte non tanto per un feticistico e acritico attaccamento alla legge ad ogni costo ma piuttosto perché di fatto riteneva che sottrandovisi avrebbe inficiato gli insegnamenti impartiti ai concittadini (ma potrei sbagliarmi: non sono certo un buon esegeta di Platone e degli insegnamenti socratici). Non trovo invece differenze fra "pentimento" e "ravvedimento" (per come ne parli tu). Secondo me tutti si può sbagliare e anche compiere azioni malvagie (nessuno é perfetto!), e dirsi "ho fatto questa cosa e ora non la rifarei perchè ho capito che è sbagliata" (lo sapevo anche prima ma non ho avuto la forza d' animo di resistere alla tentazione, cosa che vorrei non aver fatto), cercare di rimediarvi se e per quanto possibile e infliggersi meritate e "proporzionate" punizioni consente di "riabilitarsi moralmente" innanzitutto di fronte a se stessi, e poi di fronte agli altri.

L'uomo è, diceva Aristotele, un "animale politico" (o, se vuoi, un "animale sociale"), e quindi non si può distinguere il suo ruolo disgiungendolo dalla società di cui fa parte (se escludiamo il caso degli asceti o degli eremiti che in quanto solitari non hanno leggi alle quali dover rispondere con tutto quel che ne consegue). Dunque è ovvio che una violazione (sul modello di quella di Socrate) delle leggi della società in cui uno vive (sempre ammesso che sia fatta in buona fede e secondo giustizia) deve comportare l'assunzione totale di responsabilità e quindi anche della pena che la società intende infliggergli secondo le proprie leggi. Questa assunzione di responsabilità può anche trasformarsi in un insegnamento per i propri concittadini, ma non è una conseguenza necessaria perchè l'onore e la dignità di un uomo non si misurano in base alla considerazione che di lui hanno gli altri, ma in base a quella che lui ha di se stesso: solo un vigliacco cerca di sfuggire alle conseguenze delle proprie azioni, una persona  degna ne rivendica il merito, qualunque esse siano (vedi come esempio Renato Vallanzasca).
Per come la vedo io non si può "sbagliare" in buonafede: lo sbaglio è  in malafede oppure lo è solo dal punto di vista "utilitaristico",  delle conseguenze che si pensava di trarre dalle proprie azioni; se uno compie un furto pensando di trarne dei vantaggi e poi questi non si verificano allora ha "sbagliato", ma se invece gli riesce e la fa pure franca allora dove sta l'errore? Non puoi dire di aver sbagliato quando ti hanno beccato perchè altrimenti non sei "pentito" ma solo un ipocrita. Se uno fa "la cosa giusta" quando mai dovrebbe sbagliare? Che poi la cosa giusta sia illegale o meno è un'altra questione. Poi uno con l'esperienza si può rendere consapevole che la "cosa giusta" era magari un'altra, ma nel momento in cui l'ha fatta la sua convinzione era tutto quello che contava: e dunque di cosa dovrebbe mai pentirsi? di aver fatto una cosa che nelle medesime condizioni rifarebbe mille volte? E se uno è convinto di aver fatto la cosa giusta quale punizione dovrebbe mai autoinfliggersi? Considero anche il fatto che per "cosa giusta" si possa intendere anche l'asservimento di un proprio istinto, di una propria tentazione: se però si sapeva anche prima che tale cedimento avrebbe comportato un'azione malvagia o ingiusta allora si ritorna al caso della malafede: e se uno agisce in malafede come potrà mai pentirsi o addirittura autoinfliggersi delle punizioni se non per "compiacere" la vittima o la società in termini di "captatio benevolentiae"? Sarebbe solo un comportamento doppiamente ipocrita e non certo da elogiare.

Citazione di: sgiombo il 11 Luglio 2016, 19:17:23 PMPerò la giustizia può sbagliare; e comminando la pena di morte si metterebbe nelle condizioni, per me inaccettabili, di potere sbagliare gravissimamente (di compiere un' efferato delitto) senza possibilità di rimedio.

La giustizia può sbagliare anche nel senso inverso, ovvero mandando assolto un colpevole che magari reitera i propri delitti. Bisogna mettere in conto che questi errori esistono, ma bisogna innanzitutto considerare se è più importante la salvaguardia della società nel suo complesso (e quindi di tutti i suoi componenti) a scapito eventualmente di un singolo oppure se è più importante ogni singolo individuo e si può quindi sacrificare a suo "beneficio" il benessere e l'equilibrio di tutti gli altri.