Menu principale
Menu

Mostra messaggi

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i messaggi inviati da questo utente. Nota: puoi vedere solo i messaggi inviati nelle aree dove hai l'accesso.

Mostra messaggi Menu

Messaggi - iano

#3646
Citazione di: viator il 31 Marzo 2022, 16:59:31 PM
  • (hardware, inteso come sistema operativo).........quindi un sistema operativo (SO per gli intimi) a tuo parere farebbe parte dell'"hardware".



Il computer è una macchina e c'è stato un tempo in cui in una macchina non si distingueva fra software e Hardware.
Un esempio è il telaio per tessere, che a null'altro serve che tessere.
Se voglio svolgere una altra operazione dovrò costruire un altro tipo di macchina, ad esempio se voglio macinare il grano.
Sarebbe bello se potessi utilizzare la stessa macchina per tessere una tela e macinare il grano, modificando facilmente alcune sue parti allo scopo.
Sarebbe una macchina più complessa, e più complessa sarebbe la sua descrizione, e un modo possibile di descriverla è distinguere fra software e Hardware, dove l'hardware è ciò che nella trasformazione rimane e il software ciò che della macchina cambia.
Questa descrizione applicata al computer è diventata fuorviante, in quanto si intende che non cambia ciò che è materiale, hard, essendo il software, immateriale, ciò che cambia.
E' meno fuorviante considerare il telaio/mulino come un unica macchina, quindi tutto hard, con due possibili stati funzionali.
Il computer è un unica macchina con molti stati funzionali possibili, e ogni volta che introduci un programma stabilisci che macchina vuoi che sia al momento, se un telaio o un mulino. abbiamo quindi sempre a che fare con hardware, ma secondo il software che vi introduciamo decidiamo di volta in volta con che hardware avere a che fare, se con un mulino o con un telaio.

Il primo sistema per introdurre software dentro un hardware è stato il nastro perforato che per la prima volta è stato usato nei telai, per rendere flessibile il loro compito, e non a caso ho preso il telaio ad esempio.
In un mulino immagino sia sufficiente sostituire le macine asseconda di cosa devi macinare e ciò equivale ad avere tutto un altro hardware.
Non costruisci un mulino per macinare il grano e una altro per macinare altro.
Hai un mulino, ma è come averne tanti.
Il software è immateriale quanto immateriale è l'operazione di sostituire una macina.
Nel momento in cui una macchina funziona, una volta che abbiamo deciso che macchina usare, è solo hardware, sistema operativo compreso.
La versatilità dei computer, detti perciò macchine multipurpose, è che è facile, e non cervellotico, trasformare un telaio in un mulino, perché sono costituiti da unità che possono assumere diversi stati, e il mutare questi stati è molto facile.
Il limite degli attuali computer è di essere basati su unità a due stati, seguendo quindi una logica binaria ( Boole).
Nei futuri computer quantistici il numero di stati si moltiplica a dismisura.
#3647
@ Green Demetr
L'etere è nato come pezza per mantenere l'ipotesi di azione locale, messa da Newton in discussione, e resuscitata poi da Einstein, ma in forma di spazio- tempo, con automatico ripristino dell'azione locale.
Quello che a noi dovrebbe interessare però non è se esiste l'etere o lo spazio-tempo, l'azione locale o non locale, ma quali di queste ipotesi sintetizzino al meglio, e in senso operativo la nostra esperienza di sperimentatori.
In tal senso l'etere ha fallito finora, ma visti i giri e rigiri della scienza, non si può escludere che un giorno venga resuscitato.
Al momento però nessuno scienziato, che voglia dirsi tale, non ha sentito ancora il bisogno di farlo, e se mai lo facesse non lo risusciterebbe, al modo di Einstein, nella sua originale forma.
Sul quel tipo di etere direi che ci possiamo mettere una pietra tombale, almeno finché la velocità della luce continuerà a mostrarsi costante, per quanto...mai dire mai. ;D
#3648
Cosa altro aggiungere a ciò che ha scritto Jacopus? In effetti poco.
Aggiungerei solo che possiamo coltivare l'illusione di trovare risposte razionali solo se crediamo che la ragione stia fuori di noi, come intelaiatura del mondo, e non invece come nostra parte, che in quanto tale non può spiegare, non esaurendolo, il tutto che siamo, un tutto che oltretutto nasce da una percezione che ad altro non equivale se non ad apparenza, che quando và bene è una apparenza funzionale, cioè non gratuita, per quanto potenzialmente tale, ma derivata dalla nostra interazione con la realtà.
Se una evoluzione c'è stata in noi è che le nostre percezioni non si limitano più a seguire, condensandole in un quadro, le esperienze, ma vanno oltre le esperienze, per confrontarsi poi a ritroso con la realtà, e ciò è consentito dalla gratuità della ragione, una volta che di ciò abbiamo acquisito consapevolezza.

Da un punto di vista razionale possiamo solo dire, a mio parere, che il libero arbitrio se non ci fosse bisognerebbe inventarlo, come produttore di soluzioni a caso,  il quale, se la ragione non ha una risposta, può però scegliere fra quelle proposte dal caso, che diversamente dalla ragione che prova a rispondere  per esclusione, propone al contrario ogni risposta possibile.

Infine, chiamare amore col nuovo nome di stato affettivo, non sembra un gran progresso, ma invece lo è, nei limiti in cui si può usare ragione, perchè una formulazione diversa, per quanto logicamente equivalente, non è perciò operativamente equivalente, aprendo nuove prospettive.
Con la ragione non possiamo pretendere di fare altro che riguardare le stesse cose da un diverso punto di vista, ma questo riguardare non è privo di conseguenze fattive.

L'essere come ciò che è, è operativamente accettabile finché si ha a che fare con un numero limitato di cose.
Ma siccome l'essere in quanto tale contiene in sé la spiegazione di ogni cosa, la quale è in quanto tale, quando le cose si moltiplicano con l'esperienza si moltiplicano le loro definizioni, perché ogni cosa si autodefinisce dentro un elenco che si allunga sempre più.
Si presenta quindi la necessità di una sintesi, e la ragione ci dice allora che ciò si può fare, cosa su cui insiste Alberto Knox, ridefinendo le cose attraverso le loro relazioni.
Così funziona la ragione, riformulando le stesse cose in diverso, ma equivalente modo.
#3649
@Bobmax.
Credo anche io che sia quasi un girare a vuoto cercare una motivazione razionale al nostro agire, ma non del tutto, perché attraverso questa ricerca , se non riusciremo mai a dare la risposta, riusciamo ad escludere le risposte sbagliate.
Così ad esempio oggi possiamo escludere ciò che tu sostieni, che siamo cioè una memoria che si possa riportare allo stato iniziale, cancellandone i contenuti, dove l'hardware fa la parte del ''ciò che il computer'' è, uno stato a cui si può sempre risalire. Il computer, mutando il software, è in grado di compiere operazioni diverse, pur restando sempre lo stesso computer.
A noi esseri viventi questa reversibilità non è concessa, perché nello svolgere i nostri compiti non è sufficiente introdurre conoscenza, perché in noi l'hardware non si distingue dal software, e introdurre conoscenza , software, equivale a modificare l'hardware.
Possiamo dunque escludere di essere ciò che siamo, un hardware come nocciolo di base, e quindi la ricerca delle cause del libero arbitrio, se esiste, continua per esclusione, escludendo che noi siamo come un computer, il quale in effetti è ciò che è, come da progetto del suo costruttore, che nel costruirlo può anche averci messo tanto amore, ma del quale nel computer non vi è traccia.
Se dunque noi amore conteniamo non è perché siamo quel che siamo.
Seppure la ragione non riesce ad andare oltre nel restituire di noi una analogia inadeguata quanto ''macchinosa'', seppure macchine fossimo, nasciamo già collegate alla rete, il che rende relativo stabilire quali siano le macchine collegate, perché la rete nella sua interezza la si può declinare in diverse unità funzionali.
La soluzione , se c'è, deve quindi tenere conto del fatto che queste macchine comunicano, e che questo è il fil Rouge da seguire, come tu stesso più volte hai sottolineato.
Per quanto mi riguarda una domanda che sembra priva di soluzione è sempre una domanda sbagliata.
E' sbagliato chiedersi se un soggetto comunicante possa applicare libero arbitrio, perché il soggetto è relativamente definito dall'essere comunicante.
Lo sbaglio, ben scusabile, nasce dal nostro percepirci come ciò che siamo, essendo invece parte relativa di una rete.
Più in generale nasce dall'illusione di poter aver un accesso diretto alla realtà, per cui siamo portati a credere che ciò che parciamo sia, e quindi in particolare che noi siamo ciò che siamo, siccome ci percepiamo a quanto pare.
Potremmo dire la stessa cosa del libero arbitrio, usando la stessa logica, che esso è ciò che è, perché in effetti se ne parliamo è perché lo percepiamo.
Siccome però questa eccessiva confidenza fra soggetto ed oggetto stride ci inventiamo un intermediario che dia una parvenza di significato a un costrutto logico che ne è del tutto privo....chiamiamolo, Mammolo, Pisolo, oppure Amore.

Le domande più che pretendere una risposta qualificano chi le pone, e quando troviamo non la risposta, ma il motivo per cui non vi è risposta, significa che chi quella domanda ha posto è cambiato, e sente perciò il bisogno di riformulare la domanda.
Non c'è dunque mai una risposta, se escludiamo che la risposta giusta sia che la domanda è sbagliata, mia c'è una una madre di ogni risposta, e siamo noi.
Una domanda formulata secondo logica, può proporre al massimo una sua equivalente riformulazione, spacciandola per risposta, ma che risposta non è.
Trovare una diversa formulazione della domanda non è però cosa banale, perché ci dice che chi la formula è cambiato.

#3650
Citazione di: bobmax il 28 Marzo 2022, 18:00:36 PM
Citazione di: ricercatore il 28 Marzo 2022, 09:32:49 AMmi verrebbe da rispondere di "no" ad entrambe le formulazioni:
non è possibile non essere spontanei.
non è possibile esser qualcosa di diverso da ciò che si è.

Tuttavia vi è il male...

E qualunque male è l'assolutamente inaccettabile.

Mentre le nostre decisioni derivano da ciò che siamo, non da ciò che conosciamo. E nulla possiamo su ciò che siamo.

La conoscenza ci fa però inoltrare nel mondo e in noi stessi. In quello stesso male che noi siamo.

Ecco l'inferno!

All'inferno siamo al sicuro. Dannati per sempre, ma al sicuro.

Lì Dio è certo.

Il figlio non può salire al Padre, ne è indegno.

Ma può amarLo.

Fino ad annullarsi in Lui.


Citazione di: bobmax il 28 Marzo 2022, 18:00:36 PMMentre le nostre decisioni derivano da ciò che siamo, non da ciò che conosciamo. E nulla possiamo su ciò che siamo.






Mi pare tu escluda che ciò che conosciamo sia parte di noi.
Che l'acquisizione di conoscenza dunque non ci modifichi.
Come se ogni nostra esperienza fosse un girare a vuoto che non ha alcun effetto sul nostro essere.
Se ci rifletti bene la tua posizione ti apparirà non poco contraddittoria. O no? :)
Il ''siamo ciò che siamo'' dura un istante.
Che le nostre scelte derivino da libero arbitrio oppure no, non si può però negare che ci cambino.


#3651
Presentazione nuovi iscritti / Re: Saluto
31 Marzo 2022, 00:45:52 AM
Allora ti aspettiamo. :)
#3652
Una possibile conclusione parziale tira in ballo l'asimmetria, descritta nel post precedente in termini di irreversibilità, di un registratore che non si può cancellare, se non annullandolo, la quale però senza ulteriori specifiche non si può dire che caratterizzi la vita.
L'asimmetria infatti sembra caratterizzare anche la materia con la legge di entropia, che esclude il poter tornare a un possibile stato di default iniziale, ciò da cui sembra derivi la nostra percezione di un tempo che scorra in una direzione sola, seppur la logica non vieti il contrario.
La vita  è caratterizzata pure da una asimmetria, ma che sembra aver preso la direzione opposta, come un parassita che si alimenta della trasformazione entropica irreversibile dell'energia da una forma all'altra.
#3653
Ciò che appare come indeterminato non necessariamente lo è, ma non è vero il contrario.
 Il determinismo, non so' se siete d'accordo, sembra avere un vantaggio logico sul caso, perché si può pensare il primo in modo esclusivo, al di là di ciò che appare, ma lo stesso non si può fare per il secondo.
La vita per non ridursi a materia necessita del libero arbitrio come equivalente a tutti gli effetti del caso, oppure è sufficiente una incontrollabile complessità di cause che lo simulino?
Le cause sono da considerare non del tutto controllabili, e complesse in genere, e quindi quando le cose ci appaiono determinate è perché riusciamo a isolarne una parte significativa, dando oltretutto forse con faciloneria per scontato di avere isolato il soggetto, come con faciloneria pensiamo di aver isolato tutte le cause, oltre le sole significative.. Se riusciamo a pensare alla materia come composta di elementi ultimi fondamentali, prescindendo dalla loro disposizione e funzione, non possiamo pensare la vita se non come organizzazione funzionale di una moltitudine di parti che rendono relativa la definizione stessa del soggetto.
Ma le cause che insistono sulla vita sono certamente più complicate, perché gli effetti sulla materia vivente, in quanto registrati, diventano a loro volta cause che agiscono in differita. La vita quindi se entra nel gioco delle cause e degli effetti, lo fa svincolandosi dallo spazio-tempo , facendo viaggiare le cause, quelle registrate, nello spazio e nel tempo, come monete riposte  apparentemente da spendere  a piacere,
Quindi, prima ancora che il libero arbitrio, ciò che caratterizza il vivente è che esso è un registratore di effetti e quindi un moltiplicatore di cause che includono quelle registrazioni.
Ciò fa si, che anche se la vita fosse soggetta in modo esclusivo al determinismo, non è da sperare di poterne isolare in modo sufficiente le cause, come riusciamo a a fare con la materia.
La registrazione degli eventi, in un modo e nell'altro, sembra essere fondamentale per distinguere vita da materia, e l'organizzazione delle parti che compongono un individuo è prima di tutto da vedere quindi in questa funzione, cioè quella di registrare.
Quindi, in sostanza l'anello logico mancante è come facciano queste registrazioni ad attivarsi come cause.
il libero arbitrio equivale allo spendere questa moneta, che può essere poca o tanta, asseconda della complessità organizzativa dell'essere individuato in modo funzionale come vivente, ma non è questa complessità da richiamare in modo logico a giustificarlo.
Un altro punto da annotare è che l'essere che applica eventualmente il libero arbitrio spendendo la sua moneta cambia in funzione di quanta ne possiede, ma con la complicazione che non è un semplice borsellino, perché ogni volta che l'essere vivente acquisisce moneta, da quella viene ridefinito, perché una informazione registrata equivale a ridefinire il registratore.
Non è una registrazione che puoi cancellare riportando il registratore allo stato precedente, di modo che se ne possa individuare, seppure in modo arbitrario, uno stato fondamentale, uno stato di default.
Questa irreversibilità dà conto della moltiplicazione delle specie e degli individui, seppure definibili in modo relativo funzionale.
Il paradosso quindi è che ogni individuo funziona come un dado truccato, senza però che vi sia un modello standard di dado.
#3654
Il maggior indiziato è Bobmax. ;D
Non siamo figli del caso, ma è interessante capire perché lo pensiamo.
Un motivo è che affermare di essere figli del determinismo, esclusa l'ipotesi divina, non sembra  sostenibile, perché il determinismo non si inventa nulla di nuovo, posto che un origine vi sia stata, cosa del che sia tu che io dubitiamo.

Il caso invece si può sostenere, perché per quanto la vita sia improbabile può sempre verificarsi, anche se poi per sostenersi deve ripresentarsi in modo determinato attraverso, questa volta, nota filiazione, perché dire che siamo figli del caso equivale a dire che abbiamo diritto a un nome pur essendo figli di nessuno.
In questi casi se ne scelgono di graziosi e ben auguranti, al posto di quelli ingiuriosi, essendoci di buono che non ereditiamo così  colpe e  ingiurie, ... e vai quindi con erbabuona (mio collega), belfiore (mia nonna) e cicciobello ( mio compagno di scuola), quando dovremmo fare invece tutti di cognome caos.

Se non possiamo essere figli del determinismo, se figli dobbiamo essere, lo saremo necessariamente del suo contrario.
C'è però anche la possibilità che figli non siamo.
#3655
Citazione di: Jacopus il 27 Marzo 2022, 11:23:18 AMLa libera scelta esiste come soluzione ai condizionamenti dell'ambiente, naturale e sociale, della singola conformazione cerebrale e del caso. L'essere umano ed anche i primati superiori si sono svincolati dai comportamenti istintuali ed hanno così accesso a pensare le "alternative", a partire da precondizioni date. Libera scelta non significa certo poter fare qualsiasi cosa. La vita non è un Luna-Park, ma non è neppure un flusso inevitabile di azioni già predeterminabili. Il determinismo di tipo fisico-scientifico non può essere applicato all'uomo in quanto "zoon politikon" e se lo si prova a fare, spesso vi è una sottesa ideologia alla homo homini lupus o derivante da mistiche da "eterno ritorno", orientali o post-illuministiche.
Io non dò attributi alla realtà, se non con parsimonia.
Però abbiamo a che fare con descrizioni relative della realtà in cui facciamo entrare caso e necessità in modo funzionale.
In senso operativo , perché sempre funzionali sono le nostre descrizioni della realtà, e casuale è ciò che non riesco prevedere a tutti gli effetti, e in tal senso casuale è il risultato di una mia scelta perché io stesso non posso prevederla.
Prediligo però la narrazione deterministica perché essa riesce ad inglobare il caso a tutti gli effetti come risultato di ignoranza delle cause, tanto è vero che noi stessi siamo in grado di riprodurre eventi a tutti gli effetti casuali, mettendoci nelle condizioni di non voler controllare le cause, pur potendolo in teoria fare, come quando costruiamo e lanciamo un dado.
Possedere le conoscenze relative per programmare le nostre azioni non sembra però essere una soluzione completa per la nostra sussistenza, perché le conoscenze derivano da fattori ambientali che mutano e alle quali dobbiamo perciò adattarci, possibilmente senza fare la fine dell'asino di Buridano, senza poter fare più riferimento completo alle conoscenze possedute, cioè in un modo non del tutto determinabile a priori, procedendo per tentativi ed errori.
Nella misura in cui facciamo scelte finalizzate all'azione, come ben dici, abbiamo un numero di alternative limitate, ma il libero arbitrio comporta scelte che all'azione non sono finalizzate.
Sto cercando così di descrivere lo schema Darwiniano in atro modo, per sottolineare che all'evoluzione adattativa non serve il puro caso, ma condizioni che l'individuo in evoluzione non sia in grado di controllare.
Per l'evoluzione dunque sembra essere importante il non completo  controllo delle cause, o almeno fin qui lo è stato.
Quindi il controllo delle cause, determinismo, è importante quanto la sua mancanza, caso.
Volendo attribuire caso e determinismo alla realtà, a me uno appare più assurdo dell'altro.
Il libero arbitrio a tutti gli effetti equivale a lanciare un dado, e anche se nelle scelte di un individuo riscontriamo costanze, come se un individuo fosse un dado truccato, questa coerenza si perde quando esaminiamo le scelte di una molteplicità di individui indipendenti, che non si influenzino a vicenda, come dadi in diverso modo truccati.
La conoscenza, e le capacità di controllo sulla realtà, hanno dei limiti, e ciò sembra essere essenziale alla vita per quanto le capacità di controllo sulla realtà caratterizzino la vita stessa distinguendola dalla materia.
Ammettere il puro caso a me sembra inaccettabile proprio perché salta così del tutto una possibile distinzione fra vita e materia.
La materia non è libera di produrre scelte a cavolo, perché non possiede un controllo sulla realtà, né completo, né parziale come quello posseduto dalla vita.

Quello che voglio in tal modo sottolineare è che, ben vengano le discussioni sulla esistenza di un libero arbitrio, se queste non fanno passare in secondo piano la fondamentale importanza per la vita di avere un controllo sulla realtà che non sia però completo, ma parziale, ciò che si può dedurre direttamente dal fatto che noi ne siamo una parte, con buona pace delle nostre pretese di conoscenza totale e  universale, la quale equivarrebbe ai fini comportamentali una sua completa mancanza, condannati a comportarci in modo potenzialmente determinato a guisa di materia, la quale non prevede alternative folli da abbracciare.
Saremmo perfetti allora come la materia. Saremmo materia.
#3656
Citazione di: Alberto Knox il 27 Marzo 2022, 13:52:05 PM
Citazione di: iano il 27 Marzo 2022, 12:35:43 PMse tu continui ancora a propugnare una corrispondenza biunivoca fra equazioni e realtà, per cui noi paradossalmente, in quanto parte della realtà, siamo anche parte di quelle equazioni, prodotti dell'ordine matematico da cui sono nate.
In questo modo di vedere le cose vi è ancora un residuo di pensiero magico, secondo il quale il logos agisce come causa, obbedendo la natura al pronunciamento di una formula.
Sono ben lontano dal dire che noi siamo il risultato di u calcolo matematico sfornato da una macchinetta che usa un alfabeto di 4 lettere.
Quando tu affermi "siamo figli del caso" hai ragione solo a metà.
Non lo affermo. Mi confondi con Ipazia. ;)
#3657
@Alberto.
Noi ci limitiamo a descrivere, attraverso la matematica in particolare, la nostra interazione con la realtà, e dal fatto che ciò sia possibile possiamo effettivamente provare a indurre indirettamente la natura della realtà.
Notiamo ad esempio che quando sollecitiamo la natura in un modo reiterabile essa risponde secondo una buona corrispondenza, e in conseguenza di ciò possiamo programmare il nostro agire, ma la descrizione di questa corrispondenza è solo funzionale.
La legge della gravità non è universale, perché non c'è un modo univoco di descrivere la relativa corrispondenza. Nella descrizione fatta da Einstein di questa corrispondenza la gravità non viene neanche richiamata.
Noi siamo un prodotto della realtà, e non un prodotto della nostra descrizione della realtà in termini di ordine o di altro. Il logos non è in principio, ma lo incontriamo per strada.
Quando tendenziosamente taciamo la funzionalità delle ''nostre'' leggi, che sono relative alla natura quanto a noi, attribuendole esclusivamente alla natura, incontriamo poi serie difficoltà a definire con precisione i concetti che usiamo.
Ci rendiamo allora conto che non sappiamo definire con estrema precisione concetti come ordine e altro, anche se ciò non ci impedisce di usarli.
La legge fisica non mi dice come è fatto il mondo, ma descrive un modo in cui io vi possa agire, in differita, e che altri hanno già sperimentato, di modo che la possibilità di imparare dai nostri simili grazie al logos non si riduca alla sola osservazione di ciò che fanno e quindi ad agire poi per imitazione.
L'astratto logos non acquisisce, parimenti in astratto il suo significato, ma attraverso la nostra azione coordinata, perché reiterabile, interagendo con la realtà.
Il logos matematico, tolto dal contesto delle nostre azioni, è svincolato da ogni significato, anche se questa possiamo considerarla una conquista recente, ma forse non ancora compiuta, se tu continui ancora a propugnare una corrispondenza biunivoca fra equazioni e realtà, per cui noi paradossalmente, in quanto parte della realtà, siamo anche parte di quelle equazioni, prodotti dell'ordine matematico da cui sono nate.
In questo modo di vedere le cose vi è ancora un residuo di pensiero magico, secondo il quale il logos agisce come causa, obbedendo la natura al pronunciamento di una formula.
#3658
@Alberto.
Io ribadisco la mia posizione filosofica, per cui le cose nascono insieme alle loro relazioni come apparenza prodotta dal nostro rapporto con la realtà, già comprensive quindi, le cose,  di logos secondo l'etimologia  che hai illustrato.
Non c'è nessun mistero e nessun principio assoluto che possiamo trarre da queste apparenze. Non c'è neanche alcun enigma da risolvere, se non quelli che noi stessi necessariamente creiamo inconsapevolmente come punto di partenza su cui applicare la ragione.
Possiamo solo far evolvere il nostro rapporto con la realtà affinando il logos come strumento di condivisione che determina un rapporto coordinato con la realtà, e in ciò è il potere della scienza, e non nella ricerca della verità o di un principio universale in forma di mistero.
In questa condivisione si innesta la spiritualità, il potersi riconoscere nelle altre forme di vita, l'essere elementi di un insieme che a sua volta è insieme di elementi che non si definiscono in assoluto, ma secondo le loro relazioni.
Non possiamo in generale definire un insieme nominando i suoi elementi.
Usare il logos in tal modo non porta lontano.
Conviene attraverso esso definire un insieme in base alle relazioni esistenti fra i loro elementi, e bastano così poche parole per nominare gli elementi di un insieme che può essere infinito, diversamente innominabile.
Da ciò si comprende che, anche quando le cose, in quanto elementi di un insieme, abbiano carattere certamente astratto, non li si può definire nel loro insieme se non attribuendogli  relazioni.
La matematica si presta così bene a descrivere il mondo , solo se noi lo crediamo, secondo i dettami di un  realismo ingenuo che mi pare ti si attagli.
La matematica descrive bene i prodotti della nostra interazione con la realtà, che sono cose, elementi, far loro in relazione, perché , persino nella loro astrazione, non potrebbero nascere se non già relazionati, pena il non poterli nominare, rendendo impotente il logos come strumento di descrizione prima, e poi di condivisione, ciò che ci permette di condividere uno spirito che insieme ci anima nell'azione.
#3659
Citazione di: bobmax il 26 Marzo 2022, 11:47:06 AMIn effetti il pensiero razionale, per il quale vi è un "mistero", non è neppure del tutto razionale...


Infatti, non è dalla ragione che nasce il senso del mistero, se è vero che i computer, dove la capacità di ragionare è stata isolata, quel senso non hanno.
La parte di noi che crea il mistero, ogni volta che questo si risolve, non prova alcuna soddisfazione , ma solo delusione, fino a rimpiangere che a una soluzione si sia giunti, perchè a quella parte di noi piace crogiolarsi nel mistero.
Ogni volta che troviamo una risposta, risulta che la domanda era mal posta, per cui di fatto la risposta è solo una domanda meglio posta.

Perché i corpi cadono? Sembra un mistero.
La risposta è che i corpi non cadono, e che  non era neanche ragionevole pensarlo.
Eppure, chi ama crogiolarsi nel mistero, se lo chiede ancora, per rinnovare il gusto del mistero.

Chi dice che in verità è la terra a girare attorno al sole, e non il contrario, come erroneamente si pensava, non  vuole trarre le estreme conclusioni razionali, che un centro non vi sia, se non convenzionale.
Non si rassegna al fatto che nulla cade e nulla gira e che non è il suo cuore a battere come un metronomo per dettare il ritmo all'universo.

Qual'è il mistero della vita e di Dio?
Diciamo che la domanda andrebbe posta meglio, se davvero una risposta si volesse trovare.
il vero problema, per quella parte di noi non razionale, è che non si può trovare la risposta senza perdere al contempo la domanda, senza perciò che quella parte di noi che ha formulato il mistero non ne esca scossa, rifiutando la soluzione, perché è come se ogni volta che vinciamo la medaglia olimpica ci fosse poi sempre un altro a ritirarla.
Cosa direbbero oggi i nostri antenati trogloditi che hanno vinto la gara evolutiva, se sapessero che la medaglia invece l'hanno data a noi?
#3660
Un cuore matrioska che ragioni non mi convince.
Saper coordinare cuore e ragione nell'azione è cosa saggia, difficile da riscontrare in una sola persona, ma viene in soccorso a tale mancanza la tolleranza come ciò in cui perseverare più che da professare, molto praticata, se Dio vuole ;D , in questo forum, la cui sola esistenza ci infonde speranza.
Un duro esercizio, in verità, come ognuno qui può constatare, ma che fa' bene al cuore, il saper convergere, l'immedesimarsi con gli altri, pur mantenendo le ragioni che etichettano il nostro io, perché ancor prima di una convergenza a priori, come un cuore dentro a un cuore, testimone di convergenze passate, ha valore possedere qualcosa da far convergere, e questo, parafrasando, è il cuore  della ragione.