Menu principale
Menu

Mostra messaggi

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i messaggi inviati da questo utente. Nota: puoi vedere solo i messaggi inviati nelle aree dove hai l'accesso.

Mostra messaggi Menu

Messaggi - iano

#3661
La mela cade per gravità (Newton) o segue il suo percorso naturale (Einstein).
Il legno si divide in parti con la sega o con un cuneo e un martello?
In un modo o nell'altro lo si divide.
Un modo o l'altro funziona, ma il legno non è segaiolo né cuneoso.
La ragione non giunge al mistero, ma lo può solo elaborare, partendo da esso.
Io posso contestare filosoficamente l'essere in sé, considerandolo un mistero che si accetta solo per fede, ma solo per sostituirlo con un altro mistero, che la ragione è sempre in grato di elaborare , senza però andare oltre, e la cosa funziona, come funziona un cuneo e una sega.
Il problema è che, se si confonde la sega col legno, si fissa il tipo di interazione che si può avere con la realtà e non si riesce ad andare più oltre la sega.
Se per duemila anni la geometria non ha avuto evoluzioni è perché abbiamo creduto che la geometria Euclidea fissasse la realtà,
L'idea che essa fosse solo uno strumento che ci permette di interagire con la realtà ha faticato perciò ad affermarsi.
Ora che lo abbiamo compreso abbiamo una rastrelliera piena di geometrie, le quali potenzialmente, ma non necessariamente, useremo per diversificare la nostra interazione con la realtà.
Nessuna di quelle geometrie corrisponde alla realtà, per quanto possano mostrarsi utili alla nostra interazione con essa.
La matematica e la ragione fanno parte sicuramente della realtà, al minimo perché noi ne siamo parte, ma non andrei oltre nel congetturare che perciò vi sia ragione e matematica nella natura in assenza di noi, e che quindi quella ragione ci ha generati, se ragionevoli siamo.
La natura non è un libro scritto in caratteri geometrici, ma siamo noi a scrivere libri di istruzione con quei caratteri su come fare interagire con la natura, e diventiamo sempre più bravi farlo prendendo sempre più coscienza degli strumenti che usiamo.
Ma, ''più bravi'', magari me lo rimangio.
Diciamo che abbiamo diversificato la nostra interazione con la realtà, e non possiamo essere noi a dire se ciò sia un bene oppure no.
In qualche modo però credo siamo condannati a spendere i nostri talenti, e tanto vale spenderli bene facendo buon viso alla sorte.
#3662
Citazione di: Alberto Knox il 23 Marzo 2022, 23:33:36 PMSe il mondo è razionale, almeno in gran parte, qual'è l'origine di quella razionalità? non può sorgere unicamente dalla nosta mente , perchè la nostra mente riflette ciò che già c'è. Il nostro successo nello spiegare il mondo tramite il rigore della scienza e della matematica è solo un caso ? oppure è valida la mia tesi secondo cui è inevitabile che gli organismi biologici che sono emersi dall ordine cosmico debbano riflettere quell ordine nelle loro facoltà conoscitive?
La realtà sembra sufficientemente coerente perché noi ,esseri razionali, di essa parti, vi si possa interagire effettuando previsioni.
Dire perciò che la realtà è razionale sarebbe come dire che il legno è segaiolo.
Ma cosa ci dice la sega del legno?
Che, per un falegname, in modo scusabile, il mondo è fatto di seghe?













#3663
Tematiche Filosofiche / Re: Cosa vuol dire Logos?
23 Marzo 2022, 16:18:13 PM
Citazione di: daniele22 il 23 Marzo 2022, 15:55:12 PMTutte fanfalucche ben disposte con linguaggio accademico. Il vostro errore, o mia cara filosofia, l'abbiamo visto sul passaggio dalla cosa in sé alla cosa per noi. Dovevano emergere delle critiche più accurate in seno a questo delicato passaggio. Voi però non accettate.
...............omissis................ Giusto?
Giusto,purtroppo.
#3664
Tematiche Filosofiche / Re: Cosa vuol dire Logos?
23 Marzo 2022, 16:15:26 PM
Sulla spiegazione etica/morale un grazie anche da parte mia a Ipazia. :)
#3665
Considerare il logos principio costitutivo del mondo mi sembra cosa impropria, mentre mi sembra proprio caratterizzare attraverso la sua evoluzione, derivante da fattori accidentali, la specie umana.
Semmai il logos è il principio del mondo come ci appare, apparenza attraverso la quale ci rapportiamo alla realtà, da non intendere quindi in senso negativo, e questa apparenza muta con la sua evoluzione.

La spiritualità ha a che fare con individui fra loro in comunicazione, come suggerisce Vincent, comunicazione che si può spingere fino a produrre una comunione che metta in discussione l'individuo stesso come cosa separata, suggerendone una definizione convenzionale, per quanto noi lo percepiamo in modo immediato.

Quello che mi sorprende della vita animale è, che pur sbranandosi gli individui a vicenda, stando quindi sempre in allerta, non escludono però mai una possibile collaborazione, per la quale poi eventualmente trovano sempre il modo di comunicare, istituendo al momento e all'occasione un logos interindividuale, che si costruisce quindi all'occorrenza.

Io suggerisco che la vita si divida in individui in modo convenzionale, e il logos ci richiama questa convenzione ricucendo la vita nella sua interezza.
Come dice il poeta, e come Jacopus ha richiamato in una recente discussione, '' contengo moltitudini''. L'io contiene moltitudini e sua volta è elemento di moltitudini.

La domanda è, se la definizione dell'individuo è una convenzione funzionale, è possibile immaginarne una definizione che non implichi al contempo comunicazione, oppure, per dirla alla Marzullo, che vi sia comunicazione è una condizione necessaria alla sua definizione?
E in sostanza, ciò che suggerisco, è che la spiritualità dell'individuo è ciò che suggerisce la sua convenzionalità. La mia percezione come individuo si accompagna sempre a un disagio spirituale che mette in dubbio la mia percezione.
La vita, per quanto non sia scontato trovarne il confine esatto, è una unità che si può declinare in moltitudini individuali dei quali , ancora, non sono da dare per scontati gli esatti confini.
Non esiste solo la possibilità di ingoiarsi a vicenda per ridefinire nuove integrazioni individuali.
#3666
Tematiche Filosofiche / Re: Cosa vuol dire Logos?
23 Marzo 2022, 01:14:54 AM
Riassumendo, il logos, esternalizzando, in una progressione che sembra inarrestabile, i nostri processi mentali, sembra un potenziale veicolo di alienazione, ma sta solo a noi decidere se ciò che sembra diventare sempre più altro da noi, siamo ancora noi.
Non è un decisione facile perché comporta una riconsiderazione dell'io, il quale forse è stato sopravvalutato.
Parlando di intelligenza ad esempio noto che ''IO'' non controllo la mia intelligenza più di quanto non controlli quella artificiale, senza che perciò mi senta alienato.
In che senso quindi io sono intelligente? Non è ben chiaro.

In principio era il logos e il logos era alienazione.
Per ricomporre questa alienazione che viene da lontano, occorre ridefinire l'io, cosa per niente facile, perché è quella cosa che più di ogni altra diamo per scontata, tanto che alcuni testi sacri ne prefigurano l'eternità.
Il logos però sembra minacciare questa eterna unità, con il suo farsi altro da noi.
#3667
Tematiche Filosofiche / Re: Cosa vuol dire Logos?
23 Marzo 2022, 00:31:29 AM
Citazione di: Jacopus il 18 Marzo 2022, 09:09:57 AMLe parole nascono da due organi umani o insiemi di organi. Il primo è il sistema laringe, bocca, palato o sistema oro-laringeo. Il secondo è il cervello. Se non avessimo la laringe e la bocca fatta in un certo modo, non saremmo in grado di parlare con la complessità che ci contraddistingue. Una complessità simile è stata scoperta solo fra certi cetacei come le orche, che attraverso i loro fischi sottomarini hanno creato un vocabolario molto articolato e addirittura suddivisibile in vari idiomi, per cui è possibile identificare un orca come appartenente ad un gruppo in base al tipo di fischi che emette, come per gli esseri umani. La specie umana però ha affinato l'uso delle parole in virtù di dell'ingombrante contenuto della ns scatola cranica. Dai primi grugniti che avvisavano del pericolo o coordinavano la caccia di gruppo, ad un certo punto e progressivamente abbiamo iniziato a nominare le cose e gli animali, esattamente come fa Dio in Genesi. La domanda quindi diventa in realtà: "perché abbiamo, come specie, sentito il bisogno di nominare il mondo?". Continuerò il discorso appena possibile.
Discorso interessante e attendo la sua continuazione.Per intanto direi che abbiamo usato e sviluppato  ciò di cui l'evoluzione ci ha accidentalmente dotati, che se non ricordo male è una conseguenza  dell'aver assunto una posizione eretta, la quale, come si dice in altra discussione sul forum, ha pure i suoi inconvenienti.
Non credo quindi che si sia seguito un bisogno, e credo che anche un grugnito animalesco equivalga a nominare a suo modo il mondo.
Come qualcuno ha detto in altra discussione, forse tu stesso, non bisogna confondere la quantità con la qualità.
Parlando di logos mi sembra fondamentale distinguere fra la sua versione orale e scritta, e quest'ultima versione, non grugnita, mi sembra maggiormente fondativa dell'umanità, producendo testi ai quali, a distanza di millenni si fà ancora sostanziale riferimento, come a testi sacri alla cui stesura noi abbiamo fatto solo da tramite.
E' come se il logos, in quanto scritto, e quindi esternalizzato, abbia iniziato ad assumere una sua autonomia, dotandosi di attributi magici e sacri, e comunque come altro da noi. in una progressione di alterità che si coniuga oggi in termini di intelligenza artificiale.

Ma il logos, nella sua più alta espressione attuale, quella matematica, si sta progressivamente spogliando di ogni significato predeterminato, potendo assumere così ogni possibile significato.
Il modo in cui viene attribuito un significato al logos oggi ce lo mostrano gli scienziati con li loro lavoro.
#3668
Tematiche Filosofiche / Re: Caso e necessità.
20 Marzo 2022, 00:44:29 AM
Ci tengo comunque a sottolineare che la mia posizione filosofica non vuole essere né gratuita da un lato, né tanto meno dall'altro lato vuole affermarsi come una verità che si possa più o meno raggiungere girandoci attorno.
Essa pretende di essere funzionale alla comprensione della realtà, non in quanto verità, ma in quanto progresso nella nostra relazione con la realtà.
Non è dunque che io voglia togliere solidità all'essere in quanto tale perché mi sia venuto ad uggia, ma perché toltoci il fardello del metafisico concetto di solidità, non avremo difficoltà a dare patente di comprensibilità ad un essere che tale solidità non mostra di avere.
Un essere per il quale, volendo mantenere un attributo di solidità, siamo però costretti ad assegnarli una duplice identità, come un onda, si, ma anche una particella.
Ma non si tratta ne' di un onda , né di una particella, ma di un nuovo essere che nasce insieme alle sue nuove relazioni, da una nostra rinnovata interazione con la realtà.
Un essere che non ha in se' nessuna necessità, essendo il prodotto di una interazione relativa.

Ma come ci dice la fisica, che a suo fondamento pone le misure e la ripetitività, sappiamo che ogni volta che reitereremo la stessa interazione con la realtà, essa ci restituirà sempre gli stessi oggetti.
E' ben comprensibile quindi come abbiamo fatto a sviluppare l'idea di un essere in quanto tale, finché monolitico è rimasto il nostro tipo di interazione con la realtà. L'essere era in quanto tale perché non esistevano alternative da considerare.
Ma, nel momento in cui con la pratica scientifica il nostro rapporto con la realtà si è diversificato esso ha iniziato a produrre sempre nuovi oggetti, che però non sono da considerare inammissibili, se non per la nostra mancata confidenza ancora da acquisire con essi.
Perché alla fine in cosa consiste la comprensione se non nella confidenza e nella intimità con gli oggetti, che nascono dall'abitudine a trattarli?
Perché è con l'uso che li facciamo nostri, comprendendoli.
#3669
Tematiche Filosofiche / Re: Caso e necessità.
20 Marzo 2022, 00:10:25 AM
Non è che hai spiegato in modo chiaro a cosa sto girando attorno, Alberto. I tuoi discorsi restano un pò vaghi, e da essi traspare per lo più solo un sano e promettente entusiasmo.
Il denominatore comune del nostro discorso, ciò su cui convergiamo, sembra essere un ''relazionismo'' che immagino deriviamo entrambi  dal lavoro fatto dai fisici nel cercare di mettere d'accordo MQ e Relatività attraverso la teoria della Gravità Quantistica.
Però lo schema filosofico che tu ne derivi mi pare sia rimasto sospeso a metà strada, perché, se da un lato promuovi il relazionismo,  dall'altro sembra tu voglia mantenere il vetusto essere come cosa in se'.
Ma come ho provato a suggerirti le due cose da un punto di vista logico collidono.
L'essere in quanto tale è tradizionalmente la premessa necessaria di una relazione, che per essere tale prevede però almeno una minima molteplicità , mentre l'essere in quanto tale non implica necessariamente una relazione, in quanto esso si giustifica da solo, nella sua possibile unicità.
Il problema diventa allora come un essere considerato necessario perché' possa esservi una relazione, senza però implicarla già in se', possa diventare poi il soggetto di questa relazione.
Io ho provato a spiegarla mettendo sullo stesso piano oggetto e relazione, nell'essere  insieme il risultato della nostra interazione con la realtà.
L'essere quindi nasce dalla nostra interazione con la realtà già comprensivo delle sue relazioni, in un parto gemellare.

Faccio un esempio.
Se dal nostro rapporto con la realtà nasce la fisica Newtoniana, la massa e la forza di gravità, come relazione fra le masse, nascono insieme, e non prima le masse come essere, che giustificano poi la loro relazione di gravità dentro la descrizione di un tempo e uno spazio assoluti.
Nuove interazioni con la realtà sortiscono poi nuove teorie dove la relazione è descritta dentro uno spazio e un tempo relativi , ma dentro uno spazio-tempo assoluto e cambia il tipo di relazione, dove adesso la relazione  fra masse è lo stesso spazio-tempo.
Da tutto ciò derivo l'idea di oggetti la cui esistenza non sia slegata dalle loro relazioni, perché quando cambia la relazione fra gli oggetti non possiamo dire a rigore che stiamo parlando ancora degli stessi oggetti. Anche se continuiamo a dare lo stesso nome agli oggetti, c'è però una bella differenza fra masse che producono forze e masse che producono invece spazio-tempo.
Hanno lo stesso nome, ma sono oggetti diversi.

Tu ti limiti a dare maggiore importanza alle relazioni di quanto finora si sia fatto, avendo  noi sottolineato fino ieri invece l'importanza primaria dell'essere.
Quindi, se non ti offendi, direi che ci stai girando attorno alla questione, ma ancora non ci sei, secondo me.
#3670
Ultimo libro letto / Re: Aramis e d'Artagnan
18 Marzo 2022, 23:49:34 PM
Io conosco una persona veramente unica nel suo genere, priva di ogni maschera. e potendovisi quindi guardare chiaramente dentro non si puo' fare ameno di criticarlo,  ma senza risultato, essendo anche alle critiche ripetute impermeabile.
Non porta la maschera perché la sua mancanza non ha su di lui conseguenze.
Ma ciò comporta che, pure avendo esso una forte tensione a socializzare, viva di in un mondo tutto suo, secondo criteri che  sembrano predeterminati quanto immutabili.
Qualunque critica gli si faccia alla lunga torna sempre indietro verso chi gliela fa', come persona, ciò che alla fine sei costretto a realizzare, informata sui fatti.
Sarà anche strano, ma è la persona più ecologica che conosca.
Non ha il frigorifero e gira sulla stessa bici da trent'anni , pur potendosi permettere una Ferrari, anche coi prezzi della benzina attuali.
Io penso che non sia normale, ma se fossimo tutti come lui la terra ci ringrazierebbe.
Mi chiedo cosa viva a fare, come se invece io lo sapessi perché vivo, a che fare.

Quindi, alla fine ho realizzato che portiamo maschere per una nostra mancanza, non essendo in grado di sopportare le critiche di chi ci guardasse dentro.
Allo stesso tempo chi critica non lo fa per malevolenza, ma perché non sopporta, guardando dentro chi è trasparente, di specchiarsi in lui, e perciò non smette di criticarlo, il che vale ad un ripetuto invito ad indossare una maschera, inutile nel caso del mio amico.
Quando indossiamo una maschera non stiamo forse assecondando il ripetuto invito che a vicenda ci facciamo?
#3671
Concordo sul fatto che la vita vada vissuta, ciò su cui Ipazia saggiamente insiste, e credo che la conoscenza sia funzionale a ciò, e non ad altro.
La discussione perciò si può ridurre a cercare l'origine del nostro ricercare il senso della vita, perché che vi sia questa tensione non si può negare.

Se la conoscenza è uno strumento credo che l'origine del nostro cercare stia nella non completa conoscenza del mezzo che usiamo.
Cioè in una sua imperfetta definizione, o meglio in una sua definizione in divenire.
Non abbiamo una perfetta comprensione del mezzo che usiamo, ma ciò non ci impedisce di usarlo, perché anzi la comprensione del mezzo aumenta proprio con l'uso.
Se ci volessimo avventurare in una definizione della vita è propriamente la conoscenza che dovremmo tirare in ballo per distinguerla dalla materia.
Ma , per quanto sembra che la conoscenza non possa non tirarsi in ballo quando volgiamo definire la vita, ogni possibile definizione rimane pur sempre arbitraria.
Non posiamo quindi conoscere il senso della vita, perché, se va bene, è per l'uso della conoscenza che  possiamo provare a definirla e quindi a distinguerla, a meno che ingenuamente non vogliamo affermare trattarsi di una ovvia evidenza.
Il dispiego indiscriminato di scontate evidenze, anche quando tali appaiono, non ci aiuta infatti certo a capire.

Al di là della questione se il libero arbitrio esista o meno, quello che di cui siamo certi è che esista una materia in qualche modo organizzata, che presumibilmente in virtù di questa organizzazione , non si limita a sottostare a cause esclusivamente impersonali, ma ad informazioni che in quella organizzazione vengono implementate, fatte persona, capaci di agire come cause con tempistiche non definibili da una legge fisica che si possa anche solo immaginare.

Non c'è un limite teorico alla complessità delle leggi fisiche, ma stranamente quelle che abbiamo trovato e che funzionano sono brevi e concise, e sotto sotto, anche se non lo diciamo, una tale concisione ci aspettiamo in una eventuale spiegazione del senso della vita. Come potremmo comprenderla diversamente, se ci atteniamo alla etimologia del verbo, se i più di noi non comprendono neanche quelle brevi?
Davvero è una bella pretesa la nostra.
#3672
Tematiche Filosofiche / Re: Caso e necessità.
17 Marzo 2022, 23:14:36 PM
E a proposito di molteplicità che implica una relazione, perché si possa parlare di moto, o meglio per poterlo misurare, quale minima molteplicità occorre secondo voi?
Questo è un quesito alla Eutidemo, ma di cui io dò subito la risposta.
Io credo tre, di modo che si può misurare il moto di C se assumiamo come unità di misura la distanza fra A e B, la quale perciò non è fissa, ma fissata, e fra fissa e fissata c'è una bella differenza. Se volessimo misurare la distanza fra A e B non possiamo usare come unità di misura AB, ma dovremo usare ad esempio un altra unità di misura, ad esempio BC.
Se le cose stanno così, e stanno in un modo ben diverso da come di solito le pensiamo, sembra proprio che queste unità di misura si dilatino e restringano proprio come nella relatività.
In effetti che una lunghezza si dilati sembra una magia, ma perché il gioco di magia possa riuscire bisogna che prima qualcuno vi convinca che la lunghezza esista come cosa in sé.
#3673
Tematiche Filosofiche / Re: Caso e necessità.
17 Marzo 2022, 22:43:32 PM
@Alberto.
Si usa dire che per esserci una relazione deve esserci prima qualcosa da relazionare, e da ciò nasce l'idea di un essere in quanto tale, ma se si accetta che l'essere è il prodotto della nostra interazione con la realtà, in quanto tale, esso nasce già con le sue relazioni. In quanto tali l'essere e le sue relazioni non sono necessari, in quanto relativa, mutevole e varia è l'interazione che li genera.
Quindi necessità e caso possono ben coesistere in quanto possibili concetti che servono a descrivere le relazioni fra gli esseri.
Il mio è uno schema filosofico che penso possa trarsi dalla descrizione della MQ, che usa allo stesso tempo caso e necessità.
Essa sembra suggerire appunto che non sono le cose ad essere misurate, ma che le cose sono il risultato di una misura.
Quindi non c'è bisogno di immaginare nessun caos primordiale da cui magicamente nasca il mondo, per potervi poi eventualmente ritornare.
Tutto ciò che ci appare è relativo alla realtà non meno che a noi stessi, quindi è relativo alla nostra particolare interazione con la realtà.
Se si accetta questo schema tante diatribe filosofiche si riducono a poca cosa, ma per contro l'essere assume la sostanza dell'opera d'arte e il logos la creta con cui plasmarla.
Si apre così un orizzonte di libertà che può disorientare e che ci porta trasferirci dentro ''realtà'' virtuali, ma in effetti non sono mai esistite apparenze della realtà diverse da quelle virtuali.
La novità è che oggi costruiamo queste realtà, mentre prima d'ora ci siamo limitati ad occupare realtà già edificate.
Ma come sempre ciò che comanda è il rasoio di Occam, quindi valutate voi se perciò lo schema filosofico che vi propongo alla luce di ciò  possa essere considerato.
Possiamo finalmente fare piazza pulita di archetipi, fare a meno di noumeni , di sostanze ultime, e di motori primi, perché nulla muove nulla, perché ogni cosa si produce già comprensiva di moto.
L'essere in quanto tale non necessita di molteplicità, mentre il moto invece si, in quanto relazione fra gli esseri che perciò ''non si muovono'', ma sono in moto, perché nascono fra di loro in relazione, e il moto è una di queste relazioni.
L'essere in quanto tale, nella sua possibile unicità, non sta né in cielo né in terra, perché non abbisogna di un luogo dove stare.
E' l'essere che, quando si produce nella sua molteplicità, nasce comprensivo di un luogo, perché la relazione è già insita nella molteplicità.
#3674
Ciao Alberto.
LW è stato profetico perché direi che oltre il tempo e lo spazio ci stiamo già andando con la nuova fisica, ma solo per approdare ad altro che come spazio e tempo però non ci aiuterà a capire il senso della vita.
Hai ragione, bisogna meglio specificare il senso di ''comprensione'', ma non per giungere a comprendere il senso della vita, ma per giungere alla conclusione che se lo cerchiamo è per una non perfetta comprensione di ciò che significa comprendere, e io, come tu ami fare, mi atterrei propriamente all'etimologia del termine.
#3675
Tematiche Filosofiche / Re: La malafede
14 Marzo 2022, 18:46:02 PM
Giusta lamentala la tua,Bobmax, ma io non riesco a capirti pur sforzandomi.
''Fede nella verità'' è una frase a cui non riesco a dare un senso, e riesco a tradurla solo in fede nella realtà intesa come materia su cui la ragione si esercita producendo le sue ''falsità'' funzionali, tese ad una interazione possibile con la realtà.
Per me la fede in qualcosa è il necessario punto di partenza, ma  tutto ciò che segue quel punto iniziale non abbisogna di alcuna fede per me, ma solo di esercizio della ragione, la quale in sé non è poi chissà quale gran cosa, ma è quello di cui disponiamo, e a me non resta altro da fare che esercitarla al meglio facendo lo slalom fra i tanti paletti metafisici di troppo.
banalmente è lo stesso esercizio che si prova afre in matematica quando si cerca di eliminare le ipotesi ridondanti e quindi non necessarie.
In tal senso io delle ipotesi di verità e di fede, ne tengo solo una, perché l'altra è di troppo.
Il tuo discorso non lo capisco, ma ne ricavo comunque una impressione di ridondanza circolare, che non saprei meglio precisare.
D'altronde se tu sei giunto alla fede nella verità per un tuo percorso personale sul quale non puoi darci precise istruzioni, siamo anche giustificati a non capire.
Comunque lo sforzo di capire il tuo punto di vista mi ha aiutato a meglio esplicitare il mio, coniando ex novo il termine ''falsità funzionali''. ;)

Detto in soldoni, il sapere che non esistono teorie fisiche vere, ma solo utili, mi consente di meglio padroneggiarle e io non credo di poter aspirare a più di questo. In questo modo cerco di fare del mio limite virtù, per quel che può valere.
Forse è una povera aspirazione, hai ragione tu, ma questa è la mia strada. Forse l'ingenuo sono io o forse sei tu. Chi può dirlo?
L'unica mia certezza è che diversi punti di vista sono meglio di uno solo.