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Messaggi - iano

#3676
Tematiche Filosofiche / Re: La malafede
14 Marzo 2022, 18:10:47 PM
Citazione di: bobmax il 14 Marzo 2022, 16:49:34 PMCioè la mancanza di fede consiste nel convincimento che non esista alcun assoluto, che il relativo sia l'essenza della realtà.

Per me la realtà è assoluta, ma si manifesta a noi in modo relativo.
Il relativismo quindi è un limite insuperabile di cui bisogna fare virtù.
Ogni rappresentazione  della realtà è fatta in ''malafede'', perché la assumiamo come fosse la realtà, con diverso grado di ingenuità, al fine di rapportarci con essa, sapendo però che non lo è.
Che male ci vedi in ciò?
Io non lo capisco.
Avremo sempre una rappresentazione falsa della realtà, ma funzionale, e il fissarsi sulla sua falsità altro non fa che minarne la funzione.
Dubitare della rappresentazione della realtà non è neanche una opzione, perché con certezza sarai portato a dubitarne quando conosci la genesi di quella rappresentazione, e ciò è utile perché ti consente di modificarla alla bisogna.
Non puoi invece dubitare, e quindi non puoi modificare una rappresentazione, di cui ignori la genesi.
Non puoi dubitare quindi di ciò che ti appare evidente di per sé, ma ciò non implica la sua verità, ma solo la tua ignoranza.
Perché mai dovrebbe essere vero ciò che a te appare evidente?
Chi ti ha concesso questo privilegio?
La ragione dovrebbe quindi suggerirti di dubitare di tutto, anche se non perciò è necessario e/o conveniente doverlo fare.
Non è sbagliato, ma neanche saggio ad esempio dubitare di ciò che vedo, anche se ciò che vedo è una rappresentazione relativa della realtà di cui, a differenza delle rappresentazioni scientifiche, io non ne conosco la genesi. Se dubitassi in continuazione di ciò che vedo, senza avere una buona ragione per farlo, non farei altro che rendere inefficace una utile rappresentazione della realtà che ho ricevuto gratuitamente, in eredità.
#3677
Tematiche Filosofiche / Re: Cosa vuol dire Logos?
14 Marzo 2022, 11:19:09 AM
@Bobmax
Occorre un criterio ben definito, per quanto stabilito in modo arbitrario, per distinguere fra vita e materia, e il logos è un buon candidato in tal senso.
Alle cause materiali è relativo un orizzonte temporale limitato, che la fisica si impegna a definire mentre il logos amplia questo orizzonte senza che se ne possa precisare bene il limite.
Ciò fa' si che, anche se il libero arbitrio non fosse tale, sarebbe impossibile determinare le cause di una scelta, di modo che essa ci appaia comunque arbitraria, e questo effetto di fatto è cosa da non trascurare. Il libero arbitrio potrebbe non esistere, ma agisce come se esistesse a tutti gli effetti, allo stesso modo che il lancio di un dado non è casuale, ma i risultati del lancio a tutti gli effetti come tale ci appaiono.

Una guida sicura per chi, pur con evidenti limiti cerca di capire, è sicuramente quella indicata da Jacopus, di non spacciare faziosamente la quantità per qualità.
Il fatto stesso che, come a me pare, non ci si impegni a stabilire un criterio, per quanto ripeto arbitrario, al fine di distinguere fra vita e materia in modo operativo, è indice di questa faziosità, che ha come contraltare una discriminazione verso la materia.
A volte non si sà bene di cosa stiamo parlando perché ci rifiutiamo di definire bene, per quanto in modo arbitrario, di cosa stiamo parlando, preferendo darlo per scontato.
Ma di scontato, di ovvio, di evidente, per quanto questa percezione possediamo, non vi è nulla.

Riassumendo, non è una buona idea, che aiuti capire, distinguere fra vita e materia senza precisare un criterio operativo di distinzione.

Tendenzialmente penso alla realtà come una continuità in cui si possono introdurre arbitrarie discontinuità, ma queste vanno precisate quando introdotte, e cercate quando le si è inconsapevolmente introdotte.
Quale discontinuità abbiamo introdotto, senza sapere, se la realtà unica sembra così divisa fra materia e vita?
#3678
Tematiche Filosofiche / Re: Cosa vuol dire Logos?
14 Marzo 2022, 01:26:59 AM
Il logos è solo uno strumento di condivisione.
Quando impropriamente lo esaltiamo oltre il dovuto, affascinati dai simboli, ricadiamo nel pensiero magico. a dimostrazione che esso non ci ha mai del tutto abbandonati.
Come si dovrebbe sennò interpretare la convinzione di poter trovare la teoria del tutto, la quale non sarebbe altro che una sequenza finita di simboli a cui la realtà dovrebbe obbedire?
Ma quella sequenza ha un senso solo se ha un corrispondente operativo, e non possiamo mettere su un piatto della bilancia la nostra operatività limitata sulla realtà, e sull'altro l'intera realtà nella sua ''verità''.
Non basta pronunciare una presunta verità, perché la realtà si prostri ai nostri piedi.
Il logos come principio è l'inizio di una nuova storia, quella documentabile, ma non l'inizio della storia in assoluto, e forse ciò che chiamiamo arche è ciò che ci trasciniamo della vecchia storia, di impronunciabile , perché in quella storia  il logos ancora non c'era, e siccome quella storia non è documentata è come se non fosse mai stata, e che l'arche non abbia una nascita.

#3679
Tematiche Filosofiche / Re: Cosa vuol dire Logos?
14 Marzo 2022, 00:39:48 AM
Citazione di: Ipazia il 13 Marzo 2022, 19:41:09 PMQuelle nobili istituzioni culturali che sono i dizionari si occupano di dare ad ogni parola il significato corrente e, i più accurati, pure il passato nell'uso.

I referenti materiali sono più condivisibili di quelli concettuali e questo non è un mistero, ma significa la funzione esatta della parola (logos). Se dico "gatto", tutti gli italofoni con un livello culturale basico capiscono di cosa si tratta e questa evidenza dimostra il successo della comunicazione. E pure della rappresentazione semantica, al netto di ogni nebbia metafisica.

Se dico "anima" la faccenda si complica, perché si passa dal materico al concettuale, laddove la meta-fisica imperversa, e i significati variano secondo gli orizzonti ideologici di riferimento. I quali vanno esplicitati al fine di evitare l'insuccesso della comunicazione.

Arkè è l'origine di un processo, naturale o storico. Che gli antichi sapienti abbiano posto il linguaggio all'origine dell'avventura evolutiva della nostra specie mi trova concorde. Certo, anche la tecnica. Ma una tecnica incomunicabile nasce già morta, non ha futuro. Ovvero non ha il suo necessario tempo evolutivo.









Si, però quando io dico 'gatto', o più in genere 'animale' la comunicazione consiste nel richiamare una esperienza pregressa  condivisa, e già codificata dentro un vocabolario. Se io non possiedo quella esperienza precisa, il vocabolario mi aiuta mettendo in relazione l'esperienza 'gatto' con esperienze simili che me la possono  richiamare, e se non me la richiamano, il vocabolario resta per me lettera morta.
Non è questione di riferimenti materiali piuttosto che concettuali, ma di condividere esperienze che dopo perciò possono essere formalizzate, ad esempio dentro un vocabolario.
Ciò che caratterizza il simbolo, il verbo, prima ancora dell'aver un significato, è la sua pubblicità e la sua diffondibilità e quindi il poter essere condiviso in se' prima, e poi eventualmente come etichetta di riferimento apposta a qualcos'altro in modo convenzionale.
La materia è una esperienza condivisa ''consolidatasi'' nel tempo, della cui condivisione si è persa memoria, mentre della nascita del concetto di anima possiamo congetturare ancora la nascita in termini di storia recente relativamente documentabile, con una storia quindi ancora in divenire, meno 'consolidata'.
Se siamo umanità, e facciamo presto a capirci, è perché condividiamo una storia comune più o meno ''consolidata''.
La conoscenza ha un senso quando diventa condivisione che ci permette di agire insieme come un solo individuo, e in ciò consiste il vero potere della scienza, alla cui base è bene precisare non stanno propriamente i fatti, come si dice per amor di semplicità, ma la loro ripetibilità, e quindi la possibilità di condividerli.
#3680
Tematiche Filosofiche / Re: Cosa vuol dire Logos?
13 Marzo 2022, 18:50:59 PM
Citazione di: Alberto Knox il 13 Marzo 2022, 17:52:25 PMll significato della parola sta nel modo in cui è usata nel contesto. Per esempio la gente si scervella sulla natura di ciò che chiama "anima" e questo è possibile solo perchè confondono significati diversi della parola in relazioni a contesti diversi nei linguaggi su di essa. Le parole con le quali ci scambiamo informazioni vanno bene per la vita pratica ma quando si passa a temi più profondi e più complessi le persone si confondo, smettono di capirsi.  Se il linguaggio ci darebbe veramente un quadro , un immagine , allora queste incomprensioni non dovrebbero esserci no?.. ad es. io non ho capito cosa intendete quando dite Archè. O se lo intendete non lo state usando secondo il suo vero significato mi pare.
Che il significato della parola risieda nel contesto in cui viene usta è cosa condivisa, ma allo stesso tempo è un affermazione forte quanto indimostrabile.
O meglio, è facile dimostrare il contrario.
Basti dire che il contesto in cui si inserisce la parola è a sua volta un insieme di parole, per cui ci ritroviamo con un affermazione circolare.
Ma, se è vero che la stessa parola non a tutti richiama lo stesso significato, mi sembra significativo invece notare che a volte sembra essere vero il contrario, e come ciò possa avvenire sembra un mistero.
A fondamento di un possibile significato direi che vi è una condivisione, una esperienza comune vissuta in diretta, o codificata in memoria ed ereditata.
Se così è c'è da aspettarsi che il significato delle parole cambi nel tempo e nello spazio.
Quindi perché si stabilisca un significato, inteso come cosa condivisa, occorre che vi sia una relazione, relazione che quando và a buon fine diventa significato.
Non è dunque nella relazione fra le parole che bisogna cercare il significato, ma nella relazione dei soggetti che usano il linguaggio per accordarsi. Ma che vi sia accordo lo si può dimostrare non in teoria, ma nei fatti, quando a quell'accordo segue una azione coordinata.
La conoscenza non è conoscenza della realtà , ma metodo possibile di un azione coordinata che ci rapporta coerentemente con la realtà.
Agiamo in modo coordinato se condividiamo la stessa visione, e la bontà della visione non è legata direttamente alla realtà, ma al possibile rapporto che insieme teniamo con essa.
Quindi se proprio devo sottostare alla moda filosofica, io direi che tutto è condivisione , la quale sottende  la condizione necessaria di una relazione fattiva, che a posteriori può essere formalizzata, ma la formalizzazione in sé, fuori dal fattivo contesto di riferimento, non ha alcun significato.

Come tu ben dici senza una immagine non vi è significato, e io intendo per immagine ciò che si condivide al fine di un azione.
Non è importante se ciò che vediamo non corrisponde alla realtà, se questa apparenza, come suo succedaneo, ci permette di relazionarci con la realtà.
Però siccome il nostro rapporto con la realtà cambia, perciò confondendo le apparenze con la realtà, tendiamo ogni volta a porre a fondamento della realtà un sempre nuovo taglio di vestito, che tutti tendiamo per convenzione ad indossare.

Infine cosa è l'arche, ancora lo devo capire, ma sospetto sia una ammissione di ignoranza mascherata.
#3681
Tematiche Filosofiche / Re: Cosa vuol dire Logos?
13 Marzo 2022, 18:14:48 PM
Scienza e tecnologia dettano le mode filosofiche, così che tutto oggi è relazione, mentre appena ieri tutto era informazione.
Se queste mode filosofiche nel loro susseguirsi fossero state documentate da fotografie, a guardare quelle vecchie foto probabilmente oggi proveremmo un senso di ridicolo.
Così rivestiamo la realtà ogni volta con abiti diversi, nessuno dei quali però fa il monaco, perché l'abito in sé non sarà mai fondamentale, ma è l'apparenza con cui di volta in volta si presenta la realtà.
L'abito dice poco di chi lo indossa, se non che tende ad adeguarsi alle convenzioni, ma dice molto del sarto che ogni volta lancia la moda.

Da un punto di vista filosofico sarebbe arrivato il momento di smettere di dire che tutto è questo o quello, per dare un giudizio di insieme sul susseguirsi storico di questo e quello, possibilmente diverso dal solito mantra della ricerca della verità che viene sempre più approssimata, perché una sequenza finita di simboli, al di là del significato più o meno univoco che di volta in volta gli diamo, non potranno mai rappresentare la teoria del tutto.
Questa affermazione dovrebbe apparire banale, e significativo è il fatto che tale a più non appaia, per cui dovremmo riflettere se non porla consapevolmente a fondamento della riflessione filosofica.
Dovremmo indagare se nel susseguirsi delle mode vi sia una tendenza generale, e a me sembra di vederla in un crescente carattere astratto di ciò che ogni volta proponiamo come fondamentale, unita quindi ad una crescente difficoltà di comprensione, perché le analogie possibili alla nostra comprensione si fanno sempre più latitanti.
Emerge così vincente sempre più, come molti lamentano, il linguaggio principe dell'astrazione, la matematica, sfrondata nel tempo ormai da ogni riferimento al senso del reale.
Un linguaggio privo di un preciso significato, che si presta perciò ad ogni possibile significato, secondo le mode del momento, asseconda di come usiamo interagire con la realtà.
#3682
Citazione di: bobmax il 12 Marzo 2022, 21:12:25 PM
Citazione di: Alberto Knox il 12 Marzo 2022, 13:52:44 PMpenso che il libero arbitrio ci sia e che lo utilizziamo costantemente , ma possiamo tradurre libero arbitrio con "libera scelta" . quando una scelta ci rende Liberi?  le condizione di civiltà in cui ci troviamo ci offrono determinate opzioni su cui scegliere. Non possiamo fare tutto quello che vogliamo , esiste un etica da rispettare , esiste il bene che si impone come valore universale sulla vita dei giusti. Le scelte possono essere o in accordo con la legge morale universale oppure no. Possiamo scegliere di aiutare oppure infierire sui deboli. E in questa antinomia che si celano le scelte libere . Fra odio e amore, fra guerra e pace, fra amicizia e inimicizia, fra lealtà e falsità , fra Dio e il contrario di Dio. E a volte può capitare questa antinomia schiacci come un peso sulla vita dell uomo e quando questo accade l'uomo naufraga.

Tutto quello che avviene, così come tutto quello che c'è, deve avere una causa oppure... essere dovuto al caso.

Quindi o il caso o la necessità.

Una qualsiasi scelta non può che rientrare in una di queste due possibilità.

Una eventuale libera scelta dovrebbe perciò essere casuale...

È questo il libero arbitrio?

Se non vogliamo attribuire le nostre scelte all'effetto del caso, dobbiamo accettare che non esiste alcun libero arbitrio.

Che non esista, totalmente, è comunque richiesto dall'Etica.

Ciao Alberto e benvenuto.

Non sappiamo se esiste il caso.
Sappiamo solo che è utile ipotizzarne l'esistenza.
Non sappiamo se la causa di una scelta sia il caso, ma sappiamo che gli effetti di una scelta hanno risultati apparentemente casuali e che queste apparenze si possono giustificare dentro un mondo ipotizzato come esclusivamente deterministico, mentre credo che non si possono giustificare le apparenze deterministiche dentro un mondo ipotizzato esclusivamente come casuale.
Da un punto di vista logico quindi il determinismo sembra segnare qualche punto a suo favore.
Detto ciò però il determinismo non mi convince  non meno del caso, e credo che non esistano entrambi, se non come strumenti attraverso i quali ci rapportiamo con la realtà.
Se il caso e il determinismo non esistessero, considerando la loro utilità, bisognerebbe inventarli, e infatti li abbiamo inventati.
A simulare il caso siamo bravi.
Sappiamo come fare, come quando lanciamo i dadi.
Ma siamo certi che nello scovare le leggi deterministiche della fisica parimenti non simuliamo?
Parliamo infatti di leggi universali, ma che con certezza sappiamo valgono solo dentro la porzione di universo limitata, il ''laboratorio'', in cui le abbiamo sperimentate.
Allo stesso modo attribuiamo l'arbitrio ad un individuo inteso come sistema isolato, che però isolato non è mai, e, a dirla tutta, neanche ben determinato. 
#3683
Tematiche Filosofiche / Re: La malafede
12 Marzo 2022, 07:46:12 AM
Al fine di prevenire le sempre gradite e puntuali critiche di Ipazia, voglio specificare che la mancanza di solidità/evidenza degli enti creati dalla scienza, io ho imparato a vederla come un pregio e non come un difetto.
Non esiste alcun essere se non come astrazione che facciamo della realtà attraverso la nostra interazione con essa, e l'essere è dunque il mediatore di questo rapporto.
Se questa consapevolezza rischia di farci perdere il senso di realtà necessario all'azione, la scommessa è appunto quella di potenziare, piuttosto che no, la nostra azione, anche in mancanza di una inamovibile e univoca narrazione della realtà entro cui vivere.
Questo secondo me è il nostro attuale nodo evolutivo da sbrogliare.
Il problema di fatto si potrebbe considerare risolto se limitassimo la comunità degli uomini a quella degli scienziati, se non fosse che il vero potere della scienza sta nella condivisione al fine di un agire comune, e la ricerca della verità se va bene, funziona solo come movente, e in tal senso è la benvenuta, per quanto in se' insensata.
L'unico vero impedimento ad andare avanti, e il pensarsi già avanti, per intercessione dello spirito santo.
Non che abbiamo un preciso punto verso il quale avanzare.
Andare avanti non è una espressione felice in effetti, ma in qualche modo bisogna che andiamo, senza paura di sbagliare strada, perché sono molte le strade che percorriamo insieme, ed è importante continuare a farlo insieme.
Non possiamo fare a meno del punto di vista di Bobmax come di quello di Iano,di Daniele o di Jacopus, perché la soluzione non è mai univoca ed è già implicita nella plurale diversità.
#3684
Tematiche Filosofiche / Re: La malafede
12 Marzo 2022, 07:02:23 AM
Ciao Bobmax.
Non solo ha senso chiedersi cosa siano la verità e l'essere, ma io ho provato a dare anche delle risposte.
Il dubbio sulle nostre convinzioni è inevitabile , più che possibile, quando ne conosciamo l'origine. Impossibile esercitare il dubbio invece quando non la conosciamo.
Non possiamo scegliere se dubitare, ma possiamo scegliere di mettere in luce l'origine dell'essere, da cui poi segue inevitabile il dubbio, e la possibilità stessa di esercitare il dubbio è indice del buon fine della nostra ricerca. La ricerca in se' però non è necessaria.
L'indubitabilità ha origine nell'ignoranza della genesi dell'essere, per cui esso ci appare in quanto tale, e ci appare tanto più solido/indubitabile/evidente quanto maggiore è la nostra ignoranza su quella genesi.
Il risvolto positivo di questa ignoranza è di non vivere dentro un continuo dubbio, ciò che sarebbe impossibile fare, perché il dubbio è nemico dell'azione.Ecco perché i filosofi non sono uomini di azione, ma di pensiero.
Ma la pluralità degli individui, con i loro diversi punti di vista, ci consente a un tempo di essere uomini di azione e di pensiero.

La verità la si può possedere solo per fede, e la fede è il punto a partire dal quale si esercita la ragione.
Se possiamo ragionare è perché possediamo, sia quando lo sappiamo, sia quando non lo sappiamo, una fede.
Ma la vera fede, cioè quella fede che coincide con la verità, quella che più attrae la mia attenzione, non è quindi quella dichiarata, e la mia indagine filosofica è volta a scovarla.
Perché?
Perché mi piace farlo. Perché è la mia attitudine.
Ma una volta trovata la genesi dell'essere il dubbio segue in automatico. Ti appare evidente allora che ciò che è avrebbe potuto diversamente essere, e questo viene esemplificato dagli enti costruiti dalla scienza, con la loro mancanza di solidità/evidenza, dei quali, potendo dubitare, inevitabilmente dubiteremo.

Se ci sono dunque cose sulle quali affermi di non poter dubitare, posto che non sia un dovere il dubitare, io ho provato a spiegarti il perché non puoi dubitarne.

Da un punto di vista filosofico io sono il tuo alter ego, e mi sembra di comprenderti bene, ma dubito che tu mi comprenda.


#3685
Tematiche Filosofiche / Re: La malafede
11 Marzo 2022, 13:53:34 PM
Ciò che è vero non è ciò che appare, ma ciò che produce quella apparenza che chiamiamo essere.
Quindi Bobmax, quella che per te è una uguaglianza, verità=essere, per me è una perfetta diseguaglianza, per cui l'essere non è la verità, ma ciò che riusciamo a derivarne in modo relativo e funzionale a ciò che oggi siamo e che domani non saremo.
L'ingenuità ha luogo  quando le necessarie semplificazioni attraverso le quali interagiamo con la realtà non sono note, o vengono dimenticate, posto anche che dimenticarle a bella posta, o meglio non averle costantemente presenti, sia una necessità.
Un esempio di semplificazione è rifarsi all'uomo come qualcosa di immutabile. Questo essere se stessi per l'eternità è il premio che ci promettono le religioni, ma in soldoni si tratta della necessaria semplificazione logica, che nasce terra terra, del tenere fermo un soggetto che fermo non è, espansa fino alla gloria dei cieli.
#3686
Tematiche Filosofiche / Re: La malafede
11 Marzo 2022, 13:09:30 PM
Essere=verità è un equazione, Bobmax, che aiuta solo a comprendere il tuo pensiero , che a me però appare ingenuo.
L'ingenuità io la vedo nel confondere le apparenze che derivano dalla realtà con la realtà.
La tua equazione si può applicare solo alla realtà la quale "è vera", ma con la quale abbiamo un rapporto indiretto, mediato.
Non si può invece applicare a ciò che è in quanto ti appare.
Le cose che ci appaiono sono già  comprensive di relativa relazione reciproca, per cui ad esempio nulla ci appare senza implicare il suo opposto, la sua negazione, come tu stesso hai ben spiegato altrove.
L'unica verità è la realtà la quale per esistere non implica il suo opposto, la non realtà.
Ma per noi rimane solo una ipotesi necessaria logicamente, che per essere tale non deve contraddirsi.
Ma tutto ciò che ne deriva, che ci appare, ammette il suo opposto, la sua negazione.
La realtà è come una retta, che tu puoi pensare solo se ne possiedi già una descrizione, e in base a quella descrizione che possiedi essa ti appare, e quindi non c'è un modo univoco in cui essa ti può apparire, perché ogni descrizione non è univoca.
Puoi descriverla ad esempio come discontinua, quantizzata, o, a piacere come continua.
in effetti è quello che abbiamo sempre fatto, scegliendo una descrizione o un altra in funzione del nostro agire, cioè del modo in cui ci rapportiamo con la realtà.
La verità esiste, ma è il punto di partenza e non di arrivo.
Non è da cercare, perché c'è già.
Ma essa non è, perché l'essere  deriva da essa come apparenza.
l'ingenuità consiste nel credere che, laddove non ci appaia la mediazione che produce l'essere, allora la mediazione  non c'è.
Quando ignoriamo la mediazione che a partire dalla realtà produce l'essere, confondiamo l'essere, nel suo apparirci immediato, come solida e indubitabile realtà.
Ma quando siamo noi in modo cosciente, coscienti della mediazione usata, a produrre l'essere, che siano i quanti della meccanica quantistica, o i campi magnetici della teoria elettromagnetica, allora la loro solidità viene meno.
Ma questi fantasmi, che sembrano sospesi a metà strada fra l'esistenza e la non esistenza, esistono non meno di ciò che ci appare solido, evidente, ma solo a causa della nostra ignoranza dei processi che li generano.
#3687
Tematiche Filosofiche / Re: La malafede
11 Marzo 2022, 10:58:30 AM
La materia certamente possiede la verità, non mente e non è mai in malafede.
Ma noi ci vogliamo davvero ridurre a questo?
Per la materia l'etica, la sua etica, la sua legge, viene prima di tutto, per il motivo che essa non l'ha scelta.
Può esistere qualcosa di paragonabile per un soggetto vivente capace di fare scelte?
La coerenza della realtà appare a noi come materia e la sua incoerenza come vita.
#3688
Tematiche Filosofiche / Re: La malafede
11 Marzo 2022, 10:18:48 AM
Lo scopo della comunicazione, Bobmax, non è far emergere la verità, ma condividere , accomunando diverse soggettività al fine di una possibile azione comune, ridefinendo di fatto sempre nuovi soggetti agenti.
Se la comunicazione fosse volta alla ricerca della verità il suo raggiungimento varrebbe la fine della comunicazione, e quindi la fine delle dinamiche che ridefiniscono le soggettività.
La verità per gli esseri viventi, una volta raggiunta, avrebbe l'effetto che le leggi della fisica hanno sulla materia, dove i soggetti materiali sono oggettivamente definiti una volta per tutte.
Non dovrebbe essere dunque una prospettiva desiderabile ridurre la vita di fatto ad inerte materia.
#3689
Tematiche Filosofiche / Re: Astrazione.
04 Marzo 2022, 23:24:03 PM
Pubblicata, rendendola altro da noi, e questo processo di alienazione non è mai terminato, ma meglio ci appare oggi, meglio oggi lo vediamo.
#3690
Tematiche Filosofiche / Re: Astrazione.
04 Marzo 2022, 22:48:41 PM
Citazione di: green demetr il 04 Marzo 2022, 21:00:12 PMquando parlo di problemi di astrazione intendo dire l'incapacità di non pensare a dati che non siano a 2 passi dal nostro naso.
Per poter fare astrazione bisogna avere la capacità di prendere la singolarità e portarla ad una universalità, l'universalità serve a rendere i processi congnitivi sempre più veloci.
Non è per esempio possibile stare sempre a distinguere di che albero si tratti, eppure per esempio per il disboscamento parliamo di re-introdurre alberi.
Certo oggi il problema di riferirsi a cose solo generali, si sta rivoltando contro di noi, che non siamo più capaci di vedere pure quello che abbiamo sotto vista e sotto tatto.
Un bel problema!
ciao Green.
I processi veloci li abbiamo ormai delegati alle macchine, e la generalizzazione quindi è un bene nella misura in cui agevola questa delega.
Non è tanto la generalizzazione in sé a non farci vedere quello che abbiamo sotto il naso, ma è il tipo particolare di generalizzazione che di volta in volta adottiamo, avendo carattere esclusivo, a rendere invisibile ciò che essa esclude.
Se la semplificazione è relativamente necessaria, non possiamo sviluppare un senso di realtà efficace, se continuiamo a considerare, cioè a vedere, ciò che abbiamo escluso per comodità.
Nel momento in cui per magia apparirà ai nostri occhi ciò che sempre vi era stato, significa che abbiamo mutato quella generalizzazione attraverso la quale intendiamo rapportarci con la realtà.
Che la terra è tonda è un fatto che è sempre stato sotto ai nostri occhi, ma che vantaggio ne avremmo tratto a vederla rotonda finché l'orizzonte della nostra realtà rimaneva limitato?
Così abbiamo trattenuto per lungo tempo, e qualcuno ancora lo trattiene, un senso di realtà piatta.
Che insegnamento possiamo trarre da ciò?
Io credo di poterne trarre il fatto che siamo condannati, se così si può dire, a vedere una realtà che se non è piatta è tonda, ma che non è tonda adesso così come non era piatta prima.

Alla realtà non è propria alcuna geometria, ma ogni geometria è un potenziale mezzo di interazione con la realtà.
La nostra capacità di comprendere però ormai si è fermata a una ''piatta'' geometria Euclidea la quale disegna uno spazio oltre il quale non riusciamo più vedere.
Questo sarebbe un problema insormontabile se la necessità di riuscire a vedere, o, se si preferisce, a comprendere, fosse prioritaria.
Nel nostro attuale concetto di conoscenza ciò sembra essere implicito, e perciò lo ritengo ormai inadeguato.
Nel mondo globalizzato possiamo considerare ancora la conoscenza come un fatto individuale?
Ma non è un fatto di modernità, ma un processo che parte nel momento in cui la conoscenza individuale è stata riversata sui sacri papiri. 
In un certo senso il peccato originale non consiste nella conoscenza, ma nell'averla pubblicata.