Credo che le categorie 3A-3B-3C siano in verità le più popolate. Anche i più fortunati presto o tardi dovranno farne i conti con l'avvicinarsi della morte, che subiranno (a meno di vederla come liberazione).
Nella 3C, ovvero in coloro che vivono in equilibrio sopra un palo aspettandosi da un momento all'altro l'esecuzione della pena, mi sembra di poter inserire il buon Kafka.
D'altra parte la contemplazione del mondo, probabilmente, non nasce dalla meraviglia, ma dalla coscienza del supplizio a cui ci si sente destinati da un mondo incomprensibile.
Dunque in un modo o nell'altro l'uomo nobile deve essere inizialmente un impalando (volendo utilizzare la terminologia di Viator), per poi finire nella contemplazione (magari con qualche escursione nella categoria 1, nell'illusione di poter cambiare il mondo).
L'ultimo passaggio, quello in punto di morte, è da 4C a 4A.
Nella 3C, ovvero in coloro che vivono in equilibrio sopra un palo aspettandosi da un momento all'altro l'esecuzione della pena, mi sembra di poter inserire il buon Kafka.
D'altra parte la contemplazione del mondo, probabilmente, non nasce dalla meraviglia, ma dalla coscienza del supplizio a cui ci si sente destinati da un mondo incomprensibile.
Dunque in un modo o nell'altro l'uomo nobile deve essere inizialmente un impalando (volendo utilizzare la terminologia di Viator), per poi finire nella contemplazione (magari con qualche escursione nella categoria 1, nell'illusione di poter cambiare il mondo).
L'ultimo passaggio, quello in punto di morte, è da 4C a 4A.

La vita sembra avere più ombre che luci, spesso queste ombre ce lo creiamo da soli o sono create dalla società in cui viviamo. Spesso la vita non ci basta perché vogliamo sempre di più. Vogliamo quello che non ci può dare. Vogliamo che non passi mai, vogliamo non soffrire mai. Se però accettiamo che la vita è "quel tanto, e non di più" e lasciamo andare il nostro attaccamento a tutte le idee preconcette che abbiamo su di essa, possiamo lasciar andare anche questa disperazione, che è solo un altro autoinganno... quel che Leopardi, in fin di vita, nell'ultima lettera indirizzata all'amico Monaldo, dopo avergli rivelato di essersi confessato e comunicato, definisce come "l'assuefazione al piacere fremebondo della disperazione"...