Riprendendo la tua ultima considerazione, direi che sfondi una porta mai nemmeno montata se evidenzi i limiti sociali quantitativi dell'uomo, ricordando che la sua cerchia di "branco relazionale" non può mai essere esteso come una macro-comunità urbana e anche se può agevolmente videochiamare in Giappone, avere followers in Sudafrica e collaborare in smart working con la Norvegia, alla fine dei conti le persone con cui interagisce direttamente e significativamente, saranno al massimo un centinaio. Magari è una micro-comunità delocalizzata in ogni continente, una "comunità touchless" (a prova di Covid, se mi passi la battutaccia), che non si è mai toccata e per i compleanni condivide spumante e torte solo con le emoticons, ricca di dialogo interculturale e proficui scambi di vedute, ma alla fine, come dice il saggio, «cento vale cento» e cento non è una macro-comunità.
Questo per me è il limite delle dinamiche, come il dono o il sacrificio, che sono "condannate" dalla loro "natura" a non poter diventare veramente politiche, restando "solamente" morali nel giudizio altrui e piuttosto individuali nella pratica (il che comprende anche fenomeni come la filantropia, l'eroismo, etc.): quanto più la polis è estesa, tanto più elevare a legge la consuetudine della micro-comunità è secondo me fallimentare, per limiti non spaziali, né temporali, né tecnologici, bensì antropologici (il suddetto relazionarsi "a base cento", con il 101mo che è già meno significativo in quanto "borderline" della nostra "comunità affettiva"; d'altronde, come recita più o meno l'antico adagio, «templi e maiali dei paesi natali», anche se tale "paese" è dislocato nel "villaggio globale").
Ha senso rimpiangere la micro-comunità con i suoi vantaggi (non che sia priva di difetti, ovviamente), ma ne ha molto meno proporla come modello politico (quindi non solamente come buon esempio) scalabile per macro-comunità. La mia osservazione era derivata (in tutti i sensi) da quella di Gramsci che parlava infatti di «tutta la società»(cit.), intendendola come macro-comunità, da cui il mio ritenere insensato rimpiangere il baratto anche se, come mi hai giustamente segnalato, non può davvero esser rimpianto non essendo mai stato forma egemonica (almeno non da quello che possiamo verificare; il che, a pensarci bene, sarebbe perfettamente compatibile con l'egemonia del baratto, soprattutto se inteso in modo "asincrono"; tuttavia non voglio competere con gli storici; ubi maior minor cessat).
Questo per me è il limite delle dinamiche, come il dono o il sacrificio, che sono "condannate" dalla loro "natura" a non poter diventare veramente politiche, restando "solamente" morali nel giudizio altrui e piuttosto individuali nella pratica (il che comprende anche fenomeni come la filantropia, l'eroismo, etc.): quanto più la polis è estesa, tanto più elevare a legge la consuetudine della micro-comunità è secondo me fallimentare, per limiti non spaziali, né temporali, né tecnologici, bensì antropologici (il suddetto relazionarsi "a base cento", con il 101mo che è già meno significativo in quanto "borderline" della nostra "comunità affettiva"; d'altronde, come recita più o meno l'antico adagio, «templi e maiali dei paesi natali», anche se tale "paese" è dislocato nel "villaggio globale").
Ha senso rimpiangere la micro-comunità con i suoi vantaggi (non che sia priva di difetti, ovviamente), ma ne ha molto meno proporla come modello politico (quindi non solamente come buon esempio) scalabile per macro-comunità. La mia osservazione era derivata (in tutti i sensi) da quella di Gramsci che parlava infatti di «tutta la società»(cit.), intendendola come macro-comunità, da cui il mio ritenere insensato rimpiangere il baratto anche se, come mi hai giustamente segnalato, non può davvero esser rimpianto non essendo mai stato forma egemonica (almeno non da quello che possiamo verificare; il che, a pensarci bene, sarebbe perfettamente compatibile con l'egemonia del baratto, soprattutto se inteso in modo "asincrono"; tuttavia non voglio competere con gli storici; ubi maior minor cessat).