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Messaggi - Eutidemo

#376
Citazione di: Phil il 26 Agosto 2024, 10:52:18 AM@Eutidemo

Probabilmente ti inganna il punto di partenza: tu dici «ho 5 euro» e poi procedi, ma non consideri che questi 5 euro sono coinvolti in un'operazione (x) e poi in un risultato (=). Nel momento in cui metti i 5 euro sul tavolo, hai già fatto 5 x 1 = 5, ossia «ci sono 5 euro». Invece 5 x 0 significa: «metto 5 euro sul tavolo 0 volte; quanti euro ci sono sul tavolo (=...) ?».

P.s.
Se vuoi farla più "filosofica": mentre gli altri moltiplicatori quantificano una presenza , il «x 0» indica un'assenza, seppur specificata: «0 volte qualcosa» è empiricamente uguale a «0 volte qualcos'altro», ossia un insieme vuoto; se sul tavolo metto 0 volte 5 euro oppure 0 volte 5 sterline, rimane sempre il tavolo vuoto (infatti 0 = 0).
Hai ragione: nel momento in cui io metto i 5 euro sul tavolo, è come se dicessi "ci sono 5 euro"!
Ma, se non ci fossero, come diamine farei a moltiplicarli?
Non si può moltiplicare qualcosa che non c'è; si può moltiplicare soltanto ciò che già è!
***
Un cordiale saluto!
***

#377
Citazione di: iano il 26 Agosto 2024, 08:10:49 AMDire che io "[moltiplico il numero  cinque  per tre",  significa dire che io "moltiplico il cinque  per tre volte"; il che equivale a dire, sformando la moltiplicazione in addizione, che io  aggiungo dieci  al cinque  iniziale.
5 x 3 = 5 + (5+5) = 15
o, altro esempio
 5 x 0 = 5 + (0+0) = 5
Questa è una definizione legittima di moltiplicazione.
Una definizione alternativa parimenti legittima è:
5X3= tre volte cinque= 5+5+5=15
5x0=  cinque volte zero = 0+0+0+0+0 = 0
Due definizione pienamente legittime, tralasciando la  ortodossia, per la forma non generale in cui le abbiamo espresse, che andrebbero perciò meglio riscritte, ma appare chiaro comunque ciò che si voleva dire.
Dove sta dunque il problema?
Ti sorprende forse il fatto che le due definizioni diano risultati diversi?
Perchè dovrebbe sorprenderti?
 Se  diverse sono le definizioni di moltiplicazione ciò che dovremo aspettaci e che diversi in generale saranno i risultati.
La definizione alternativa non mi convince.
Ed infatti mi può stare bene 5X3= tre volte cinque= 5+5+5=15
Ma non mi convince affatto 5x0=  cinque volte zero = 0+0+0+0+0 = 0
***
Un cordiale saluto!
***
#378
Ciao Niko e Iano. :)
Vi rispondo insieme poichè credo che la mia seguente risposta possa valere per entrambi; anche se, stavolta, Iano mi rimprovererà perchè ho messo "un piede in due scarpe" ;D
***
Dire che io "moltiplico i miei cinque euro per tre", a me sembra che significhi esattamente la stessa cosa che dire che io "moltiplico i miei cinque euro per tre volte"; il che equivale a dire, trasformando la moltiplicazione in addizione, che io  aggiungo dieci euro ai miei cinque euro iniziali.
5 x 3 = 5 + (5+5) = 15
O no?
***
Per cui, dire che io "moltiplico i miei cinque euro per zero", a me sembra che significhi esattamente la stessa cosa che dire che io "moltiplico i miei cinque euro per zero volte".
***
Ma se sono vere le premesse di cui sopra, ne consegue, almeno secondo la logica ed il senso della lingua italiana, che, se io "moltiplico i miei cinque euro per zero volte", ciò equivale a dire che io "non li moltiplico affatto"; per cui mi rimangono in tasca i cinque euro di partenza, e basta.
Ma quelli non spariscono mica, solo per il fatto che non ne ho aggiunti altri. ;)
***
Ed infatti, se è vero che qualsiasi moltiplicazione è trasformabile in una addizione, avremo che:
- se 5 x 3 = 5 + (5+5) = 15
- allora 5 x 0 = 5 + (0+0) = 5
***
Almeno, io continuo a vederla così!
***
Un cordiale saluto ad entrambi! :)
***
.
P.S.
Quanto al "borsellino magico" di Niko, io, purtroppo, non ce l'ho; ed infatti nel mio "borsellino" i cinque euro o ci sono o non ci sono.
Per cui:
- se ci sono, e sono fortunato, moltiplicandoli per tre volte, potrò mettere nel borsellino altri dieci euro;
- se, invece, ci sono, ma sono sfortunato, moltiplicandoli per zero volte, potrò mettere nel borsellino solo altri zero euro, per cui resterò con i cinque euro iniziali!



#379
Ciao  Bobma e Phil. :)
Sicuramente avete ragione voi, però io non riesco a trovare alcun vizio logico nel mio ragionamento.
Ed infatti, in ogni caso, vi garantisco che i miei 5 euro moltiplicati per "zero", in effetti  sempre 5 euro restano, e non spariscono nel nulla!
***
E' vero che se ho 5 euro, e li moltiplico per 1 , resto comunque con 5 euro;  ma, se io li moltiplico per 0, non posso che avere lo stesso risultato, poichè, in effetti, non li moltiplico affatto (se non in modo puramente formale).
Ed invero, moltiplicare per 1 ( o per zero) oppure non moltiplicare affatto, in effetti è esattamente la stessa cosa!
***
"Principia mathematica" a parte, ovviamente!
***
.
***
Un cordiale saluto! :)
***
#380
A mio parere, moltiplicare un primo numero per un secondo numero, al fine di ottenerne un terzo, equivale a sommare al primo numero tanti altri numeri uguali ad esso, quanti ne indica il secondo numero meno uno (cioè, meno il primo numero).
Ad esempio:
5 x 3 = 5 + (5 + 5) = 15
***
Ed invero, se io ho un capitale di 500.000 euro, e un "broker" mi promette "moltiplicarlo per tre" in un anno, io mi aspetto di ritrovarmi, alla data designata, con un capitale di 1.500.000 euro; ovviamente, ammesso e non concesso che io possa credere a promesse del genere!
***
Cioè, in via di esempio teorico:
Mio capitale base                500.000 +
Capitale aggiunto promesso 500.000 +
Capitale aggiunto promesso 500.000 =
Presunto capitale finale        1.500.000
***
Se l'"operazione finanziaria" riuscisse, io potrei tranquillamente dire di avere moltiplicato per tre il mio capitale iniziale; e, ciò, tramite una '"operazione matematica", risultante dalla quantità di denaro pari a 500.000 euro che già avevo,  sommato a 500.000 euro +  500.000 euro che speravo di ottenere.
***
Se invece "broker" mi fa guadagnare 0 euro, resto con il capitale iniziale.
Mio capitale base                500.000 +
Capitale aggiunto promesso            0 +
Capitale aggiunto promesso            0=
Presunto capitale finale        500.000
.
***
Però, se fosse vero (come io sostengo) che moltiplicare un numero per un altro numero, equivale a sommare tante volte al primo numero lo stesso primo numero, quante ne indica il secondo numero meno uno (cioè, meno la volta corrispondente al  primo numero), allora qualsiasi numero moltiplicato per zero non dovrebbe essere uguale a zero, bensì a se stesso.
Ed infatti:
5 x 0 = 5 + (0 + 0) =5
***
.
***
Di solito, a tale mio ragionamento (che non è accettato da nessun matematico), si replica quanto segue:
.
1)
Secondo tutti i manuali di matematica , la "moltiplicazione" è l'operazione che fa corrispondere a due numeri un terzo numero, ottenuto eseguendo l'addizione di tanti addendi uguali al primo, quanti ne indica il secondo
Per cui, se il secondo numero è uguale a zero, devono essere uguali a zero tutti e tre gli addendi, compreso il primo.
E cioè:
5 x 0 = 0 + 0 + 0 = 0
Sarà pure così, ma a me sembra illogico equiparare a zero anche il primo numero "addendo" (ovvero "moltiplicando"); ciò in quanto il presupposto di tutto il ragionamento, è che tale numero è diverso da zero.
Ed infatti se io ho in tasca 5 euro, essi non spariscono sicuramente, come per magia, se li moltiplico per un numero zero di volte; sempre 5 euro restano. ;)
Ed infatti:
5 x 0 = 5 + (0 + 0) =5
***
.
2)
La seconda replica che mi viene fatta, è  che 5 moltiplicato per 0 è come dire zero insiemi di 5, quindi 5 x 0 = 0.
Ma, almeno secondo me, 5 moltiplicato per 0 è come dire che un insieme di 5 non viene moltiplicato e/o addizionato nessuna volta (visto che i suoi addendi sono 0 + 0); per cui resta 5, ma l'insieme di partenza non diventa certo 0.
***
.
***
Tuttavia, considerata la mia profonda incompetenza in ambito matematico, non dubito che, quello che a me sembra un "ragionamento perfettamente logico", è, invece, un "ragionamento completamente fallace"; quindi  "corrigetemi" liberamente! :-[
***
#381
Varie / Rastislav e l'enigma del 5 e del 15
24 Agosto 2024, 11:45:11 AM
Rastislav  entra nella cella di un prigioniero, e gli consegna una penna ed un foglio di carta,  sopra il quale è disegnato un quadrato diviso in nove quadratini (3 x3), il centrale dei quali reca il numero 5:
***
Poi gli dice:
- Ora tu dovrai scrivere, negli 8 quadratini vuoti intorno a quello centrale che contiene in numero 5, altri 8 numeri che sommati tra di loro in tutti i sensi possibili (il 5 centrale compreso), cioè in orizzontale, in verticale e in diagonale, diano sempre come somma dei tre addendi il numero 15.
***
Però:
a)
Nelle otto caselle vuote, puoi scrivere qualsiasi numero tu voglia, purchè:
- non sia ripetuto lo stesso numero in più di due caselle:
- se ripetuto lo stesso numero nel massimo di due caselle, queste non siano contigue:
b)
Nelle otto caselle vuote, puoi scrivere anche il numero 5, purchè non sia ripetuto in più di due caselle vuote; se ripetuto il numero 5 nel massimo di due caselle vuote, queste non devono essere contigue.
Però le caselle che erano vuote, e nelle quali hai inserito (al massimo 2 volte) il numero 5, possono essere contigue al 5 centrale, sia in verticale, sia in orizzontale sia in diagonale.
Se risolverai l'enigma entro stasera, ti renderò la libertà; altrimenti morirai!-
***
.
***
Come se la cava il prigioniero?
***
#382
Citazione di: Alberto Knox il 23 Agosto 2024, 19:33:59 PMNell anno 399 avanti Cristo Socrate fu accusato di introdurre nuovi dei e di portare i giovani alla perdizione. Avrebbe sicuramente potuto invocare la grazia e se avesse accettato di lasciare Atena perlomeno si sarebbe salvato . Tuttavia, se lo avesse fatto, non sarebbe stato Socrate.
Socrate non fu l'unico nel corso della storia a lottare e a morire per le propie convinzioni. Possiamo infatti trovare strette analogie fra Socrate e  Yehoshua ben Yosef (detto Gesù). Vorrei evidenziarne alcune; Sia Socrate che Gesù  vennero considerati personaggi enigmatici dai loro contemporanei. Nessuno dei due mise per iscritto il propio messaggio (la conoscenza che noi abbiamo di queste due figure si basa esclusivamente sull immagine che ci è stata data dai loro seguaci o allievi) è sicuro comunque che entrambi furono maestri nell arte del parlare e che dai loro discorsi si poteva percepire una precisa consapevolezza, una lucidità che poteva affascinare, ma anche irritare.
Entrambi ritenevano di parlare in nome di qualcosa più grande di loro e sfidavano i detentori del potere , criticando ingiustizie e abusi. E infine questo modo di agire costò loro la vita. Anche i processi contro Gesù e contro Socrate hanno tratti in comune. Entrambi avrebbero potuto invocare la grazia , e quasi certamente si sarebbero salvati . Eppure sentivano di non poter venir meno alla missione che avevano intrapreso, anche a costo di pagare con la vita. Così, propio perchè affrontarono la morte a testa alta raccolsero molti seguaci anche dopo la morte.
Vorrei precisare che non ho fatto questo parallelismo per affermare che erano uguali. Ma ho voluto sottolineare il fatto che tutti e due avevano un messaggio per il mondo , e che tale messaggio non può essere separato dal loro coraggio personale.
Sono d'accordo su tutto, meno che sullla denominazione "Yehoshua ben Yosef"; la quale è perfettamente corretta in "ebraico", ma non in "aramaico", e, cioè, nella lingua che si parlava in Palestina all'epoca di Gesù.
In "aramaico", infatti, il nome di Gesù era ""Yeshua bar Yosef"; da non confondersi con "Yehoshua bar Yosef", uno scrittore nato il 29 maggio 1912 e morto il 7 ottobre 1992.
#383
Per capire se l'affondamento della Bayesian e la morte di Lynch siano stati il frutto di un incidente, oppure di un piano criminale, secondo me (tra le altre circostanze) occorrerà verificare principalmente:
.
1)
Come mai (a quanto sembra) sul panfilo sarebbero state assenti le "guardie del corpo" che  Lynch  si portava sempre dietro, anche quando andava al gabinetto?
A mio parere, salvo una congrua spiegazione di tale circostanza, ciò potrebbe significare che:
- sia stato loro impedito, in qualche modo, di salire sul panfilo;
- ovvero che, essendo state corrotte, abbiano partecipato al delitto (e poi se la siano squagliata su un motoscafo venuto appositamente a prelevarle, dopo il provocato incidente).
In effetti, se si è trattato di un delitto, chiunque sia stato a perpetrarlo, ha provocato l'incidente solo quando era sicuro che la/le vittima/e erano nelle loro cabine; ed infatti, in tal modo, era pressochè certo che non avrebbero avuto scampo.
***
.
2)
Come mai, almeno che io sappia, non è stata ancora resa nota la posizione della "chiglia retrattile"?
Ed infatti se la "chiglia retrattile" della Bayesian, che aveva un "range" da circa 4 a oltre 9 metri e mezzo,  risultava "sollevata" , è evidente che l'incidente non è stato dovuto a "colpa", bensì a "dolo"; questo in quanto sollevare la  "chiglia retrattile" di un natante lungo 56 metri, e con un "albero" alto oltre 72 metri dalla linea di galleggiamento, significa che si vuole "intenzionalmente" far "scuffiare" (cioè "capovolgere") la barca, condannando a morte certa chi si trova nelle cabine.
***
Ovviamente ci sono molte altre "circostanze", e "coincidenze" molto sospette, da veriificare.
Ad esempio:
a)
La morte di Stephen Chamberlain, ex vicepresidente delle finanze di Autonomy (coimputato per frode assieme a Lynch), investito da un'auto mentre faceva "jogging" nella contea inglese del Cambridgeshire, da un auto che non ha lasciato traccia di frenata sull'asfalto della strada.
b)
II misteriosi rapporti che Lynch aveva il MOSSAD,  a cui Lynch avrebbe ceduto sistemi informatici di localizzazione utilizzati da Tel Aviv per colpire gli alti gradi di Hamas.
***
#384
CONCLUSIONE
In conclusione, almeno secondo me, Socrate "voleva" essere giustiziato.
Ed infatti:
1)
Una volta riconosciuto colpevole (sebbene, a mio avviso, ingiustamente), se Socrate avesse proposto come sua pena l'"esilio", sicuramente l'avrebbe ottenuto in luogo della "pena capitale".
Però lui lo rifiuta dicendo: "Dovrei proporre l'esilio? 
Forse è questa la pena  che voi considerereste adatta a me!  
Ma, cittadini ateniesi, dovrei davvero essere posseduto da una gran voglia
di vivere, se fossi così sconsiderato da non saper vedere che voi, pur essendo miei concittadini, non
siete riusciti a sopportare il mio  modo di vivere e i miei discorsi e vi sono diventati tanto oppressivi ed odiosi che ora cercate di liberarvene: altri, forse, li sopporteranno più facilmente?"
***
In pratica rivela chiaramente che vuole morire!
Ed infatti, più avanti, lo ammette espressamente:
"Mi è chiaro
che ormai per me morire ed esser liberato dal peso dell'azione era la cosa migliore!"
***
.
2)
Una volta condannato a morte, se Socrate avesse accettato di fuggire, come fece Anassagora e come gli avevano proposto i suoi amici, si sarebbe potuto salvare lo stesso.
Ma lui si rifiuta per rispettare le leggi della città!
Scusa, che, secondo me, non regge, in quanto lui, le leggi della città, le aveva già violate proponendo per sè un "premio", invece di una "pena".
(NOTA 1)
Per Davidson il decreto venne usato  solo per Anassagora, ma non per Socrate né per Protagora, come invece sostengono Morrison e Parker; per la cui tesi io propendo, considerata la somiglianza tra il decreto di Diopite e l'accusa di "empietà" ("ἀσέβεια") di Meleto.
#385
LA DECISIONE DEI GIUDICI RIGUARDO ALLA "MISURA DELLA PENA"
Però il processo, in caso di condanna, così come oggi (sia pure in modo diverso), si concludeva con due giudizi diversi:
- uno riguardante la "colpevolezza" dell'imputato;
- l'altro riguardante la "pena" da applicare all'imputato;
***
Ad esempio la legge italiana prevede che per tutti i processi penali celebrati in Corte d'Assise o in Corte d'Assise d'Appello, il collegio giudicante sia formato da due giudici togati e da sei giudici popolari; questi ultimi sono cittadini italiani, non necessariamente esperti di diritto, chiamati a sorte a formare le Corti insieme ai giudici togati.
***
Però, ai sensi dell'art.527 CPP, un po' come ai tempi dell'antica Grecia,  il processo, in caso di condanna, si conclude con due giudizi diversi:
- uno riguardante la "colpevolezza" dell'imputato;
- l'altro riguardante la determinazione della "pena" e/o della  "misura di sicurezza" da applicare all'imputato.
Se nella votazione sull'entità della pena o della misura di sicurezza si manifestano più di due opinioni, i voti espressi per la pena o la misura di maggiore gravità si riuniscono a quelli per la pena o la misura gradatamente inferiore, fino a che venga a risultare la maggioranza; in ogni altro caso, qualora vi sia parità di voti, prevale la soluzione più favorevole all'imputato (un po' come accadeva nell'antica Grecia).
***
Tuttavia, per quanto riguarda la "determinazione della pena", sussiste una notevole differenza tra quanto avviene oggi e quanto, invece, avveniva nell'antica Grecia.
Ed infatti:
.
A)
Attualmente, una volta stabilita la "colpevolezza" dell'imputato, sono i giudici ad "applicare" la sanzione penale tra il minimo ed il massimo "comminato" dalla legge (anche se spesso i due verbi vengono erroneamente considerati sinonimici).
.
B)
Ai tempi di Socrate, invece, una volta stabilito giudiziamente che era stato consumato il reato ascritto all'imputato,  tanto il processato quanto l'accusato:
- dovevano ciascuno proporre la pena che ritenevano più appropriata per il delitto (che ora si dava per scontato come commesso);
- tali proposte venivano sottoposte al voto del collegio giudicante, che aveva già emesso il verdetto di colpevolezza.
***
Socrate, proponendo una "pena" per la sua persona, provoca il tribunale chiedendo come "pena" di essere mantenuto a spese dello stato nel pritanèo; onore concesso alle personalità più illustri di Atene.
Proposta, questa, giuridicamente inammissibile, poichè, ovviamente, la pena deve consistere:
- in una punizione;
- non certo in un premio.
***
Dopo tale "boutade", Socrate  considera le altre possibili, più realistiche, opzioni:
- il carcere;
- l'esilio.
Però Socrate non considera accettabili nessuna delle due punizioni!
Suggerisce allora, sempre provocatoriamente, la sanzione di una "mina d'argento"; il che  costituiva una cifra irrisoria (almeno come sanzione penale), in quanto una "mina d'argento" valeva cento dracme, ed una medimma di grano – circa 40 chili – costava circa 3 dracme.
I suoi amici, Platone, Critobulo, Critone e Apollodoro, si rendono conto che Socrate sta rischiando la pelle, in quanto prospetta delle pene non certo adeguate al "delitto giudizialmente accertato con previa sentenza"; per cui si offrono di integrare l'ammenda a 30 mine.
***
A questo punto, i giudici ateniesi si trovarono a dover scegliere se accettare:
- la pena proposta dall'accusa,  cioè condannare a morte Socrate-
- ovvero la multa non molto elevata da quest'ultimo proposta.
***
Secondo Diogene Laerzio (II, 42) vi fu uno scarto di altri 80 voti rispetto a quelli con cui fu era già stata giudizialmente accertata la commissione del reato; pertanto 140 a favore della proposta di Socrate e 360 a favore della proposta dell'accusa.
Cioè, la "condanna a morte"!
***
.
IL DUBBIO!
Fatti i conti della serva, in effetti, sembra un po' un controsenso che molti di coloro che, in precedenza, avevano votato per l'assoluzione di Socrate, successivamente abbiano poi votato per la sua condanna a morte, invece che per una semplice sanzione pecuniaria.
Ma, almeno secondo me, le cose non stanno esattamente così.
***
Ed infatti l'"oggetto del giudizio sulla colpevolezza dell'imputato", è  completamente diverso dall'"oggetto del giudizio" sulla misura della pena da applicare nel caso in cui costui venga riconosciuto colpevole.
***
Ad esempio, poniamo che (in un ipotetico sistema giurisdizionale in cui valga la maggioranza semplice dei voti, come in Grecia antica), venga processato un soggetto imputato di omicidio premeditato; e che, in una giuria di 10 persone 6 votino per la colpevolezza, e 4 per l'innocenza.
Una volta così stabilita la colpevolezza dell'imputato, la stessa giuria di 10 persone deve decidere se applicargli la pena di vent'anni oppure quella dell'ergastolo.
Ora, a mio avviso, sarebbe erroneo ritenere che i 4 soggetti che hanno votato per l'"innocenza", siano poi  necessariamente indotti a votare per la "pena minore" (vent'anni); ed infatti, se lo facessero, vorrebbe dire che non hanno affatto compreso che l'oggetto del giudizio che devono emettere sulla "misura della pena", non ha niente a che vedere con l'oggetto del giudizio che hanno già emesso sulla "colpevolezza dell'imputato".
***
Ed infatti:
- per decidere se l'imputato sia colpevole o innocente del "reato ascrittogli", bisogna limitarsi ad esaminare le prove pro e contro di lui, e condannarlo solo se la maggior parte dei giurati ritiene che tali prove siano sufficienti a concludere che ha effettivamente commesso il fatto criminoso;
- una volta deciso collegialmente che è colpevole, invece, bisogna limitarsi a stabilire quale sia la pena più adeguata per il crimine "giudizialmente accertato", senza che abbia più alcuna rilevanza che quattro giurati lo avessero ritenuto innocente (ed infatti, il "merito" della controversia, riguardante la sua colpevolezza, deve ritenersi ormai "superato" dalla prima decisione).
***
Nel caso di Socrate, è ovvio che lui si riteneva innocente anche una volta emessa la sentenza che lo aveva ritenuto colpevole; ma non poteva certo aspettarsi che i 220 giudici che avevano votato a favore dell'assoluzione, votassero allo stesso modo anche riguardo alla misura minima della pena.
Ed infatti, come sopra esemplificativamente spiegato, si trattava di due giudizi aventi "oggetto" e "natura" diversi!
***
Se, poi, parte dei 220 giudici che avevano votato a favore dell'assoluzione, abbiano successivamente votato per la pena di morte non perchè la ritenessero la più adeguata al delitto deciso in sentenza, ma soltanto perchè irritati dalle provocazioni di Socrate (come è molto probabile), allora, secondo me, il loro comportamento è senz'altro reprensibile e criticabile; poichè un giudice deve sempre decidere "sine ira ac studio", sia quando deve stabilire se l'imputato sia colpevole o innocente, sia quando deve stabilire se l'imputato sia meritevole di una pena oppure di un'altra.
***
Però, a parte questo, è fuori di dubbio che il "primo giudizio", riguardante la colpevolezza o meno dell'imputato, non deve minimamente influire sul "secondo giudizio", concernente la "misura della pena"; ed infatti, almeno sotto il profilo del diritto e delle deontologia giuridica, anche chi aveva votato per l'assoluzione, nel decidere la "misura della pena" non dovrebbe più lasciarsi influenzare dalla sua precedente votazione, ma dovrebbe sempre partire dal presupposto della colpevolezza dell'imputato (ormai giudizialmente accertata a maggioranza)!
***
Ovviamente, è naturale che chi aveva votato per l'assoluzione sia psicologicamente indotto a votare anche per l'applicazione della pena minima; ma, sebbene tale comportamento sia psicologicamente comprensibile, tuttavia, sotto il profilo dell'"etica giuridica", deve considerarsi assolutamente "errato"!
***
Ad ogni modo, nel caso in esame, Socrate, in quanto "positivista giuridico" (secondo una moderna terminologia) è caduto in contraddizione con se stesso.
Ed infatti:
a)
Una volta emessa la sentenza di condanna, la "legge" ateniese gli consentiva di proporre ai giudici la "pena" che lui riteneva più appropriata al delitto "giudizialmente deciso" (a prescindere dal fatto che lui si ritenesse innocente o meno).
Socrate, invece, per prima cosa propose che gli venisse assegnato un "premio" in luogo di una "pena"; il che, a parte la provocazione, era una proposta palesemente contraria alla "legge" ateniese.
b)
Successivamente, invece, una volta emessa la sentenza di "condanna a morte", per non violare la "legge"ateniese, si rifiutò di fuggire.
***
.
#386
PREMESSA
Socrate per ben due volte aveva già rischiato la pena capitale:
- quando si era opposto alla condanna dei dieci strateghi della battaglia delle Arginuse;
- quando si era rifiutato di partecipare all'arresto di Leonte di Salamina.
Ma quelle due volte gli andò bene!
***
.
LA DECISIONE DEI GIUDICI RIGUARDO ALLA SUSSISTENZA DEL "REATO DI EMPIETA'" COMMESSO DA SOCRATE
La terza volta, invece, gli andò male; ed infatti fu accusato sulla base di un decreto di epoca periclea, approvato su proposta di Diopite (NOTA 1); il quale,  almeno secondo Plutarco (Pericle, 32.1) sanciva quanto segue:
" Sono passibili di denuncia e vanno processati coloro che non credono negli dei e insegnano dottrine sulle entità celesti."
***
Tale decreto venne a suo tempo concepito per colpire:
- direttamente il filosofo Anassagora di  Clazomene;
- indirettamente Pericle, che era suo allievo.
Però, con l'aiuto di quest'ultimo,  Anassagora "prese l'erba fumaria"; e, quindi, nessun ateniese riuscì a mettergli le mani addosso.
***
Però, almeno a mio parere, anche se gli Ateniesi fossero riusciti ad "arrestarlo", con molta probabilità Anassagora sarebbe stato assolto; ed infatti, coloro che su proposta dell'indovino Diopite avevano concepito il decreto in questione, si erano però dimenticati di fissare  un "Canone di Ortodossia" (come poi, invece, fecero i Cristiani con il "Credo").
***
Pertanto, in mancanza di tale canone di riferimento, qualunque "Dike Asebeias" ("Procedimento per Empietà"), almeno sotto il "profilo giuridico",  avrebbe dovuto portare quasi sempre ad una assoluzione; ed infatti sarebbe riuscito davvero molto arduo per l'accusatore, riuscire a dimostrare che la condotta dell'imputato, ancorchè comprovata, potesse "configurare la fattispecie del reato" (in quanto quest'ultimo non era definito in base a nessuno specifico canone).
***
Non a caso, nel processo a Socrate, solo per poco Meleto (e con lui Anito) evitarono il rischio di dover pagare loro una multa per accusa temeraria, anziché ottenere la condanna di Socrate.
***
Ed infatti, i capi d'accusa contro Socrate erano due, o, a seconda delle varie versioni, tre:
- Socrate non crede negli dei della città;
- Socrate crede in altre e nuove divinità demoniche;
- Socrate corrompe i giovani.
***
Ma si trattava di accuse molto "stiracchiate", in quanto il "daimon" socratico era un elemento di autocoscienza morale e di riflessione interiore, piuttosto che come un essere divino.
***
Però, come detto, non vigendo in Atene alcun "Canone di Ortodossia", ed anche grazie all'eccellente autodifesa dell'imputato, su 500  votanti, Socrate venne trovato condannato per soli "30 voti".
Ed infatti, pur essendoci stati "220 voti" a favore dell'assoluzione, e "280 voti" a favore della condanna, se soltanto "30" membri giudicanti in più fossero stati a favore dell'assoluzione, il giudizio si sarebbe risolto in un "250 a 250"; per cui, secondo la legge Ateniese di quel tempo, in caso di parità, non vi sarebbe stata nessuna condanna.
***
#387
P.S.
Oppure è anche possibile che la modella fosse la stessa; ma che Leonardo, dopo aver cominciato a ritrarla con i capelli raccolti, abbia preferito che si sciogliesse i capelli.
Chi lo sa! ::)
#388
E' a tutti noto il famoso dipinto di Leonardo "LA DAMA CON L'ERMELLINO", la quale ha  i capelli castani raccolti in un velo dello stesso colore, e tenuti fermi con un laccio nero che spicca molto nitido sulla sua fronte.
In tutte le rappresentazioni della "GIOCONDA" di Leonardo da Vinci che ho trovato su INTERNET, ho notato che, sulla sua fronte, si nota a malapena una analoga traccia scura molto sbiadita, che poi prosegue, semicircolarmente, a destra della figura, " oltre " la sua capigliatura nera (laddove, però, assume un colore castano).
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Trattandosi chiaramente di due donne diverse,  considerata la notevole differenza di connotati (chiunque essere fossero), mi è venuto il sospetto che, "forse", Leonardo, ha cancellato o interrotto il ritratto dell'una, per trasformarlo nel ritratto dell'altra; però non è riuscito a cancellare del tutto il laccio nero, perchè lo aveva già tratteggiato troppo nitidamente (come nell'altro quadro). :(
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D'altronde, nel dipinto della "GIOCONDA" , il "laccio raccogli-velo" non avrebbe avuto alcun senso, in quanto la modella portava i "capelli sciolti".
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Ma questa, più che un'"ipotesi", è solo una mia molto "fantasiosa illazione"; ed infatti non mi risulta  che una simile "congettura" sia mai stata prospettata da alcun serio critico d'arte (salvo che la cosa mi sia sfuggita)!
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#389
IPOTESI
Al riguardo esistono varie ipotesi (vedi Tom O'Hare, della University of Texas, F.Lanese ed altri), riassumendo ed integrando le quali, ritengo di poter esporre quanto segue:
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a)
La distanza tra le ruote delle carrozze (e poi dei treni) di 4 piedi (1219,2 mm) e  8,5  pollici (216 mm) = 1.435 mm, fu principalmente dovuta al fatto che, per tutto il medioevo e fino al 1820, quando l'ingegnere britannico John Loudon McAdam non realizzò una  pavimentazione stradale più moderna, per le lunghe percorrenze le carrozze continuavano ancora a percorrere le vie consolari romane; e quindi, considerati gli antichi solchi lasciati nella pietra dalle carrozze romane, se una carrozza medievale o rinascimentale o moderna avesse percorso tali strade con un diverso scartamento tra le ruote, avrebbe rischiato di spaccarsi gli "assali".
Cosa che, puntualmente, accadde anche a mio zio; il quale, nel 1938, percorrendo con la sua Balilla una antica strada romana, ne spaccò il "semiasse"!
Per cui i costruttori dei treni e delle prime automobili, si attennero a tale antichissimo STANDARD tradizionale riguardante la distanza tra le ruote!
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b)
E' tuttavia comprovato che i romani usavano diverse tipologie di carri, e non un solo genere; per cui sembra logico supporre che, così come le nostre automobili, furgoni, camion ecc. hanno ruote distanziate in modo diverso, a seconda del tipo, dell'uso  e della marca, così dovesse essere anche nell'antica Roma.
Ma non è esattamente così!
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Ed infatti le nostre automobili, furgoni, camion ecc., facendo tutti uso di pneumatici, non lasciano certo i solchi delle loro ruote sulle autostrade; per cui non si pone affatto, al riguardo, il problema di uno "standard" uniforme nella distanza tra le ruote.
I carri romani, invece, di qualunque genere fossero, non usavano certo pneumatici; per cui, la circostanza che, alla lunga, tutti lasciavano profondi solchi nelle strade, impose uno "standard" uniforme nella distanza tra le ruote.
Come ho detto, infatti, in un certo senso, le strade romane erano un MIX delle nostre attuali ferrovie e delle nostre attuali autostrade
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Al riguardo giova ricordare le seguenti principali tipologie di carriaggio antico:
a)
Il "plaustrum", per il trasporto di merci, era caratterizzato da ruote piene anziché con raggi; ed era trainato da buoi, muli o asini.
b)
Il "serracum", per il trasporto di carichi pesanti, era caratterizzato da  ruote piene, ma più basse e resistenti.
c)
Il "carrus", un carro da trasporto militare di origine celtica, veniva utilizzato per il trasporto di persone ammalate o anziane.
d)
Il "cisium", un leggero e veloce calessino a due ruote, era usato per viaggi rapidi e senza bagagli; veniva quasi sempre noleggiato dai "cisarii", i vetturini ed i tassisti che operavano alle porte della città.
e)
L'"essedum", ispirato ai carri da guerra galli e britanni a due ruote, era un tipo intermedio tra il "cisium" e la più robusta "raeda" a quattro ruote.
f)
Il "carpentum", un elegante carro a due ruote di design italico, tirato da due mule e utilizzato esclusivamente dalle donne della famiglia imperiale nelle città; il quale è ben rappresentato su monete imperiali femminili.
g)
La "raeda" era il carro più comune per il trasporto di persone o merci.
h)
Il "petorritum", di origine gallica simile alla raeda, in origine era probabilmente un carro di parata, che divenne comune verso la fine dell'Impero.
i)
Il "pilentum", simile al "carpentum" ma più grande, era inizialmente riservato alle sacerdotesse e alle matrone durante le feste, ma col tempo divenne di uso generale.
l)
La "carruca", nota per il suo comfort, permetteva addirittura di dormirci dentro, oltre a essere ornata finemente e relativamente veloce, rendendola un vero e proprio lusso su ruote.
ecc. ecc.
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Ebbene, nonostante tale varietà, sia di dimensione che di tipologia di ruote, lo scartamento di queste ultime era pressochè STANDARD; e, cioè, poco più o poco meno, di 1435 mm, come lo STANDARD dei treni moderni.
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Ed infatti le ruote dei carri erano in "legno" e quasi sempre cerchiate in "metallo", per cui applicavano carichi elevati "concentrati" ed "incidenti" sulla pavimentazione stradale; per quanto robusta essa fosse, come quella romana, che continuò ad essere comunemente usata per circa duemila anni.
Per cui, in tutti i paesi dell'Impero Romano, dai confini della Scozia a quelli del Sahara e dall'Atlantico al Mar Nero, su quasi tutte le strade appare una coppia di tracce dove scorrevano le ruote, simili a due rotaie; pressochè quasi tutte con lo stesso identico "scartamento".
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Quando si erano formate le tracce, infatti, chiunque transitasse con un carro avente distanza tra la coppia di ruote diversa da quella STANDARD, rischiava seriamente di non poterle percorrere; ed infatti, essendo la ruota da un lato nel solco creato, mentre l'altra non può essere nel proprio, il carro alla minima asperità rischiava di rovesciarsi.
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Apparve quindi evidente ai Romani (che erano tipi molto pratici, come gli Inglesi), che le distanza tra le ruote di tutti i carri dovesse essere sempre uguale.
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Ma a "che cosa" corrispondeva tale distanza?
Anche questo è controverso, in quanto:
- secondo alcuni corrispondeva alla larghezza di "due glutei di bue da tiro" affiancati o poco più (i glutei o natiche del bue sono le parti trasversalmente più ingombranti dell'animale);
- secondo altri, invece, corrispondeva alla larghezza di "due glutei di cavallo da tiro" affiancati o poco più (anche i glutei o natiche del cavallo da tiro sono le parti trasversalmente più ingombranti dell'animale).
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Tali ipotesi non sono però sperimentalmente verificabili, poichè i buoi ed i cavalli odierni hanno dimensioni diverse da quelli che erano allevati ai tempi dell'antica Roma.
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Tuttavia, sia oggi che allora, si trattava di uno scartamento STANDARD; il quale, in determinate situazioni ambientali, poteva, ovviamente, subire delle variazioni.
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Ed infatti, anche i carri romani potevano utilizzare diversi "scartamenti", in funzione delle strade situate in zone particolari: ad esempio, dalle parti di Villach, in Austria, ci sono parecchi sentieri nel bosco di Warmbad, nei quali i solchi dei carri, ancora ben visibili, sono piu' stretti di 1435mm (circa un metro),  in quanto la strada è situata  in una zona montuosa.
Vale a dire, che, così come nel caso del "Trenino delle Ande" (su cui ho viaggiato personalmente), anche i romani, per le linee difficili, ricorrevano allo "scartamento ridotto".
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#390
Riguardo alle ferrovie moderne, le scelte in questione le fecero gli anglosassoni: ed infatti furono loro ad inventare le prime ferrovie a lunga percorrenza.
Peraltro, circa le (controverse) motivazioni di tali scelte, si può osservare quanto segue:
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1) LA MANO SINISTRA
Ormai, salvo qualche eccezione, quasi tutti i treni "tengono la mano sinistra"; la quale è ormai divenuta una modalità "standard" in tutto il mondo.
E tale, fino a circa un secolo fa,  era, in tutto il mondo, anche la modalità di marcia "standard",  di tutte le vetture private:
e di quella pubbliche:
Ormai, invece, solo in U.K.
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Tale uso della "mano sinistra", tutt'ora in vigore per i treni (e ancora per le auto in Gran Bretagna), secondo la maggior parte degli storici, fu dovuta all'inveterata abitudine di cavalcare lungo "il muro di sinistra" nelle strade medievali e rinascimentali, per poter meglio snudare e difendersi con la spada in caso di aggressione.
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Di qui il modo di dire "tenere la mano sinistra"; ossia il lato sinistro della strada, con "la mano destra" pronta a difendersi!
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Inoltre, per un destrimano, era più facile montare a cavallo salendo dalla sinistra dell'animale; quindi, per questioni di comodità e di sicurezza, si saliva e scendeva dal proprio cavallo, e successivamente dalle carrozze, accostandosi al lato sinistro della strada, così da non intralciare il traffico.
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Tale modalità del senso di marcia, per tradizione, è stato tramandata fino al senso di marcia dei primi treni delle miniere inglesi, ed a quelli di trasporto merci e persone, e, infine, anche a quello delle prime automobili.
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2) LO SCARTAMENTO
Lo "scartamento ferroviario" è costituito dalla distanza tra i lembi interni del fungo delle due rotaie di un binario ferroviario o tranviario, misurata fino a 14 mm sotto il piano di rotolamento.
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Al riguardo, si tenga presente che:
a)
Lo "scartamento" di gran lunga più usato è quello di 1.435 mm, definito come "scartamento normale"; che, nei Paesi anglosassoni, corrisponde a 4 piedi (1219,2 mm) più  8,5  pollici (216 mm) = 1.435 mm.
b)
Gli altri "scartamenti", molto meno utilizzati, sono i seguenti:
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Personalmente, io ho quasi sempre viaggiato su treni a "scartamento normale" (1.435 mm), salvo in due casi:
- in Perù, sul "trenino delle Ande" (914 mm), trattandosi di un "treno d'alta montagna";
- in Russia (1.520 mm), trattandosi di una "precauzione strategica" per rendere più difficoltoso l'approvviggionamento logistico di un eventuale invasore.
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Ma la cosa davvero singolare, è che lo "scartamento normale" è pressochè identico a quello dei "solchi" lasciati dai carri su tutte le strade consolari dell'antica Roma.
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Circostanza, questa, confermata dalla distanza tra i varchi lasciati per il passaggio delle ruote dei carri, nei "passaggi pedonali" romani (le "strisce bianche" dell'epoca).
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In un certo senso, le strade romane erano un MIX delle nostre attuali ferrovie e delle nostre attuali autostrade; ma come si spiega tale sorprendente circostanza?
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