Io vedo nell'esigenza di verità l'esigenza di tener ferma una convinzione per un tempo sufficiente, meglio se dandone una definizione, per valutarne le conseguenze. E' di fatto questo il modo che abbiamo di interagire con la realtà, mandando avanti l'immaginazione. È un processo non necessariamente cosciente, per cui non sempre si possiede una chiara definizione, senza che ciò ne impedisca la condivisione. Quando funziona, ciò che abbiamo immaginato diventa ciò che vediamo espellendo la coscienza dal processo perché lo appesantirebbe inutilmente, di modo che la visione ci appare immediata,fin quando non si presenterà l'esigenza di disvelare nuovamente il processo per poterlo rivedere.
Quando ci confermiamo a vicenda una certa cosa, dicendo che è vero che etc..., significa che condividiamo qualcosa, anche quando non sappiamo dire come.
L'aleteia greca , come disvelamento, mi sembra perciò appropriata a descrivere la verità, ma non si tratta propriamente di togliere un velo una volta per tutte, ma di prender relativa coscienza del processo di condivisione che ci fa' concordare su cosa sia vero, quando è scaduto il tempo in cui tener ferma la cosa, perché mandando avanti l'immaginazione noi proseguiamo.
L'impresa scientifica, ma più in generale quella umana, è prima di tutto un percorso comune, perché è l'azione comune stessa a definire l'umanità, e non il suo aspetto esteriore, che eventualmente per conseguenza dell'azione comune si conformerà. Ma questa azione comune può aversi solo in base ad un accordo, che tanto più somiglia a verità, quanto più facile è raggiungere l'accordo, perché è tanto più facile quanto meno lo si è potuto discutere e sviscerare.
Cosi' nel procedere ci sembra di passare da una verità all'altra, ma si passa da un accordo ad altro , ognuno tenuto fermo un tempo sufficiente da non rendere del tutto incerto l'andare.
Si può ben provare soddisfazione nell'andare insieme tenendo fermo un percorso, che somiglia al piacere di contemplare una verità, perché non si può ben procedere pensando sempre un passo alla volta, per cui poi meglio si procede quando ogni passo sembra venire da se', come una verità.
Quando ci confermiamo a vicenda una certa cosa, dicendo che è vero che etc..., significa che condividiamo qualcosa, anche quando non sappiamo dire come.
L'aleteia greca , come disvelamento, mi sembra perciò appropriata a descrivere la verità, ma non si tratta propriamente di togliere un velo una volta per tutte, ma di prender relativa coscienza del processo di condivisione che ci fa' concordare su cosa sia vero, quando è scaduto il tempo in cui tener ferma la cosa, perché mandando avanti l'immaginazione noi proseguiamo.
L'impresa scientifica, ma più in generale quella umana, è prima di tutto un percorso comune, perché è l'azione comune stessa a definire l'umanità, e non il suo aspetto esteriore, che eventualmente per conseguenza dell'azione comune si conformerà. Ma questa azione comune può aversi solo in base ad un accordo, che tanto più somiglia a verità, quanto più facile è raggiungere l'accordo, perché è tanto più facile quanto meno lo si è potuto discutere e sviscerare.
Cosi' nel procedere ci sembra di passare da una verità all'altra, ma si passa da un accordo ad altro , ognuno tenuto fermo un tempo sufficiente da non rendere del tutto incerto l'andare.
Si può ben provare soddisfazione nell'andare insieme tenendo fermo un percorso, che somiglia al piacere di contemplare una verità, perché non si può ben procedere pensando sempre un passo alla volta, per cui poi meglio si procede quando ogni passo sembra venire da se', come una verità.