Non fingerò di conoscere nella mia ignoranza chi fosse Josef Pieper ma mi sono imbattuto nel lavoro di questo filosofo tedesco di metà secolo in particolare perchè attratto dalla definizione in titolo "lavoro totale", forse non la più originale ma comunque non molto frequente trovata cosi linguisticamente condesata. E' forse una mia idea ricorrente che nell'idea di lavoro moderna ci sia un forte elemento totalitario, perciò è naturale che ne sia stato attratto per rinforzare le mie convinzioni, tuttavia ho apprezzatto l'esposizione (seppur non ne possa fare un riassunto completo e rimando in caso a ricerche)
Le condizioni che definiscono il "lavoro totale" possono tuttavia essere cosi riassunte.
- Centralità del lavoro come baricentro del quotidiano, programmazione della propria vita in funzione del lavoro
- Subordinazione di ogni altra attività al lavoro, dove ogni attività diventa in funzione del lavoro
- Similitarità lavorativa, dove tutte le attività non connesse al lavoro in un modo o nell'altro cominciano ad assomigliare al lavoro.
E' importante notare che a queste tre condizioni si applicano a tutti gli eventi, anche quelli strettamente biologici come mangiare, dormire etc. Per questo è giusto parlare di "totale".
Pieper continua e traccia da questa fondamentale mutazione "dell'individuo in lavoratore totale" una serie di conclusioni riguardo il posto della filosofia nella cultura (famoso argomento dell'utilità - non servilità), e collega questa mutazione alla scomparsa graduale ma inesorabile di ogni forma di arte. Scrive, suppongo in maniera correlata, anche delle festività e della loro posizione "consolatoria", ma non ho avuto maniera di approfondire anche se suppongo si possa immaginare quale sia la linea argomentativa.
Ora mi aspetto già che arriverà il commento contro il "capitalismo sfruttatore e deumanizzante", ma non posso che notare che il "proletario" è nato in altri lidi, non mi sembra che la cultura occidentale moderna abbia realmente considerato ne mai sviluppato una ideologia alternativa* all'alienzione umana del "lavoro totale" da una parte e dall'altra del (rimpianto? Sgiombo?) muro di Berlino. Quindi mi pare ci sia spazio per la riflessione, la creatività, al di la dell'esistente e del pensato. Qual'è la valida alternativa al lavoro totale?
*L'obiezione futuristica sarebbe che il lavoro comunque è destinato a scomparire grazie alla robotizzazione etc. Ma questo in realtà è vero solo in parte, finchè il lavoro sarà il mattone della nostra società, in maniera cosi totale come Pieper descrive, potremmo invece ritrovarci a lavorare per il lavoro stesso, in quello che già oggi viviamo con un terziario inverosimilmente espanso dove si continuano a inventare le professioni più assurde pur di mantenere il lavoro stesso, e potremmo ritrovarci a voler diventare una schiera di burocrati che regolano i robot pur di mantenere il lavoro in funzione del sistema, scavare buche e riempirle di nuovo e scavarle ancora, pur di mantenere l'elemento totalitario del lavoro, solo e solamente perchè incapaci di immaginare una società altra.
Le condizioni che definiscono il "lavoro totale" possono tuttavia essere cosi riassunte.
- Centralità del lavoro come baricentro del quotidiano, programmazione della propria vita in funzione del lavoro
- Subordinazione di ogni altra attività al lavoro, dove ogni attività diventa in funzione del lavoro
- Similitarità lavorativa, dove tutte le attività non connesse al lavoro in un modo o nell'altro cominciano ad assomigliare al lavoro.
E' importante notare che a queste tre condizioni si applicano a tutti gli eventi, anche quelli strettamente biologici come mangiare, dormire etc. Per questo è giusto parlare di "totale".
Pieper continua e traccia da questa fondamentale mutazione "dell'individuo in lavoratore totale" una serie di conclusioni riguardo il posto della filosofia nella cultura (famoso argomento dell'utilità - non servilità), e collega questa mutazione alla scomparsa graduale ma inesorabile di ogni forma di arte. Scrive, suppongo in maniera correlata, anche delle festività e della loro posizione "consolatoria", ma non ho avuto maniera di approfondire anche se suppongo si possa immaginare quale sia la linea argomentativa.
Ora mi aspetto già che arriverà il commento contro il "capitalismo sfruttatore e deumanizzante", ma non posso che notare che il "proletario" è nato in altri lidi, non mi sembra che la cultura occidentale moderna abbia realmente considerato ne mai sviluppato una ideologia alternativa* all'alienzione umana del "lavoro totale" da una parte e dall'altra del (rimpianto? Sgiombo?) muro di Berlino. Quindi mi pare ci sia spazio per la riflessione, la creatività, al di la dell'esistente e del pensato. Qual'è la valida alternativa al lavoro totale?
*L'obiezione futuristica sarebbe che il lavoro comunque è destinato a scomparire grazie alla robotizzazione etc. Ma questo in realtà è vero solo in parte, finchè il lavoro sarà il mattone della nostra società, in maniera cosi totale come Pieper descrive, potremmo invece ritrovarci a lavorare per il lavoro stesso, in quello che già oggi viviamo con un terziario inverosimilmente espanso dove si continuano a inventare le professioni più assurde pur di mantenere il lavoro stesso, e potremmo ritrovarci a voler diventare una schiera di burocrati che regolano i robot pur di mantenere il lavoro in funzione del sistema, scavare buche e riempirle di nuovo e scavarle ancora, pur di mantenere l'elemento totalitario del lavoro, solo e solamente perchè incapaci di immaginare una società altra.