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Messaggi - iano

#3856
Citazione di: Ipazia il 15 Gennaio 2022, 13:58:33 PM
Tanto l'errore che la menzogna lasciano dietro di sé scie di morte e crudeltà. L'errore è eticamente più scusabile. La $cienza non ha scusante alcuna.
Se la scienza non ha scusanti allora l'uomo non ne ha, se la scienza e l'uomo, ma tu evidentemente pensi che sia altro da lui.
Si può falsificare solo ciò che si può porre, e non c'è cosa che si possa porre che non si possa falsificare, ma allora porre sarebbe un errore?
#3857
Io sono un dilettante allo sbaraglio., Daniele.
La falsificabilita' presuppone che vi sia una verità, ma io vedo più le teorie fisiche in parallela evoluzione con l'uomo, dove l'evoluzione si adatta agli ambienti accidentali, o modificati, laddove l'uomo prova ad adattare gli ambienti a se' stesso.
Il tuo discorso presuppone che vi sia una verità.
Quindi posso chiudere qui la mia partecipazione al discorso dicendo che non esiste alcuna verità.
Al massimo posso provare , come ho fatto, a delineare l'origine del concetto di verità, che io al pari di tutti posseggo., a partire dal concetto di evidenza, ma nel farlo evidentemente sono andato fuori argomento.  :D
Abbandono quindi la discussione , ma non senza averti regalato uno spunto di riflessione.
Una volta che tu fossi giunto alla verità come faresti ad accorgertene?
Nel momento in cui ciò mi fosse chiaro, allora anch'io mi metterei a cercarla, per tacere del fatto che una volta trovatala non ho al momento idea di cosa ci dovrei fare.
Non escludo che un giorno io possa sopprimere un mio simile, ma escludo che possa farlo in nome di una verità.
E se domani qualcuno decidesse di sopprimermi in nome della verità, lo prego di non dirmelo, perché  mi ucciderebbe due volte.
Se poi la maggior causa di soppressione della vita fosse la verità , pensa che fortuna se tutti si convincessero che non esiste.
Confesso che temo tutti quelli che credono di possedere una verità, perché so' cosa possono fare in suo nome, come da tema della discussione.

L'unico modo in cui riesco a giustificare il loro agire e' che credono di agire per legittima difesa, perché credono che mettendo in dubbio quelle verità si metta indubbio la loro stessa
esistenza che loro credono fondata su quelle verità.
Con questa chiave possiamo leggere l'intera storia passata fatta di massacri, ma è triste che ancora lo si possa fare.
È evidente che a chiunque creda di possedere una verità, non avendone prove, altro non gli resta di fare che costruirle provando a sopprimere "la realtà " se quella mostra di non essere prova della sua verità.
C'un solo modo di costruire una società umana basta su una verità Daniele, per esclusione.
#3858
Il fiume Cassibile che scorre nella Cava Grande si apre a un certo punto in un laghetto dove l'acqua sembra salire.
#3859
In sostanza Daniele io credo che le verità sepolte dentro noi smettono di essere tali quando riusciamo a farle emergere, perché solo così le possiamo confutare.
Quando però le verità portate fuori di noi, dandogli un colore, magari nero su bianco, pretendiamo che restino tali, che ancora siano cioè inconfutabili, questo è il tipo di verità che lascia morti sul campo, rivolgendo la nostra ira funesta a chi volesse confutarle.
Se è pur vero che ci tocca prender partito, che a volte ci viene semplicemente assegnato, come quando nasciamo, occorre però sapere che può essere cambiato, e questo ci consente sempre di metterci nei panni dei nostri avversari, sapendo che l'appartenenza è un fatto convenzionale.
Pensare che la pace possa realizzarsi se si dimostra che siamo tutti uguali è una strada impraticabile, perché non è vero che siamo tutti uguali. È vero che ognuno possa anche solo momentaneamente "confutarsi" cosciente della relatività del proprio essere e diventare l'altro, il diverso da se'.
La diversità in se' è una ricchezza, quindi non va' annullata.
Discuto con gli altri non per farmi le mie ragioni, ma per potermi immedesimare negli altri, e affermo me nella discussione perché gli altri in me possano immedesimarsi.

I cristiani questo, almeno a scritti e a parole, lo hanno capito, se pure Dio negli altri, cioè  in noi , si è immedesimato.
#3860
Citazione di: daniele22 il 14 Gennaio 2022, 10:49:00 AM
Iano ha detto che una buona definizione di verità è "ciò che non si può confutare". Nulla toglie però al fatto che una grande verità affermata (sistema tolemaico) sia stata in certo senso confutata. Amplierei quindi l'affermazione di Iano dicendo che la verità può venir confutata solo dal suo oblìo nelle nostre menti.

In effetti il sistema tolemaico è confutabile ,ma solo per sostituirlo con qualcosa di altrettanto confutabile.
Esso stesso si è affermato come confutazione di altro sistema, e per lo stesso motivo può essere confutato.
Dire che il sole sta al centro, oppure la terra , sono due non verità .
Si tratta di pure esigenze descrittive, per cui necessariamente bisogna scegliere un inizio del racconto, o un punto su cui centrarlo, restringendo arbitrariamente il numero dei protagonisti, scegliendoli fra i tanti possibili.
Il vero oblio interviene quando ci convinciamo che solo uno dei due può essere vero, perché dei due ci appare evidente quale sia quello vero.
Quello che hanno in comune i due sistemi è che ognuno vale come la confutazione dell'altro.
Vero è che una descrizione può mostrarsi più utile di un altra, ma allora la verità avrebbe a che fare con l'utilità di qualcuno. Sarebbe proprio quello il tipo di verità che tanti lutti addusse agli Achei, e a quelli che vennero dopo.


Ciò che non possiamo confutare sono le convinzioni sedimentate dentro di noi, e non possiamo confutarle solo perché non le conosciamo.
Chiediti quale convinzione è sepolta dentro di te da farti dire che il sistema tolemaico è vero, perché se ci rifletti bene tu non sai dire il perché.
Sono questi i casi in cui per salvarci facciamo richiamo all'autorita' di altri : Tolomeo, Galilei dixit.
#3861
Citazione di: daniele22 il 13 Gennaio 2022, 12:23:44 PM

Qual è il motivo per cui nella nostra società si dà, almeno apparentemente, così tanta importanza alla verità? E questo sembra innegabile quando si assistono a varie polemiche tra individui nei quali il motivo del contendere poggia sul determinare la verità di un fatto.
Diciamo che se la personalità di un individuo poggia sulle sue verità , è comprensibile che discutendo di verità quando questa personalità si sta formando, il far prevalere una verità sull'altra diventa una questione di affermazione personale.
#3862
Citazione di: daniele22 il 13 Gennaio 2022, 21:16:04 PM
Volevo fare una disambiguazione. Quando parlo di falsità, sia che si tratti di falsità linguistiche o di costume, parlo di falsità inconsapevoli. Nel momento in cui ci si rende conto della falsità si penetra nei territori della menzogna. Come disse qualcuno : "E' difficile sapere una cosa e far finta di non saperla", però se si fa finta di non saperla ...
Nel momento in cui ci si rende conto della falsità inconsapevole, si è sostituita una presunta verità con una verità assoluta. Ma da cosa dovremmo riconoscere che quella nuova verità non sia un altra inconsapevole falsità?
Inconsapevole falsità sarebbe una buona definizione di sincera fede nella verità.
La verità è figlia dell'ignoranza, in un certo senso, perché se è vero ciò che non si può falsificare, non si può falsificare solo ciò che si ignora.
Noi quindi siamo fatti di molteplici verità inconsapevoli, che hanno conseguenze sociali forti quando altrettanto inconsapevolmente condivise.



La verità ha una forte conseguenza sociale. Senza verità condivise non vi sarebbe società, ma l'anarchia totale, non sapendo ognuno mai cosa aspettarsi dagli altri.
In una società  così ordinata la menzogna serve a renderci imprevedibili.
Non è tanto che mentendo stiamo affermando una falsità, ma stiamo cercando di confondere le aspettative che gli altri hanno su di noi.
#3863
Citazione di: daniele22 il 13 Gennaio 2022, 12:23:44 PM

Cosa può suggerire tutto ciò? La domanda che pongo infine è questa: Quale sarebbe il peso della falsità, quand'anche della menzogna, nel determinare le forme della nostra attuale realtà sociale?
Sono rimasto sorpreso da questa domanda, perché mi aspettavo chiedessi il peso della verità nel determinare le società, da cui poi si sarebbe potuto dedurre il peso della menzogna.
Per rispondere parto da una mia soggettiva opinione, che se da un lato posso criticare chi afferma di possedere la verità, dall'altro il fatto che la gente crede di possedere la verità mi rassicura, non nel senso che da essi mi aspetto del ben, ma nel senso che posso immaginare cosa aspettarmi, e quindi tenere in relazione a loro un comportamento consequenziale.
Chi crede di possedere una verità è più prevedibile, quindi potenzialmente meno pericoloso, così che è meno pericoloso un masso che rotola se esso possiede la verità gravitazionale di dove andrà a rotolare.
Le conseguenze sociali di una verità condivisa è quindi che gli individui rotolano insieme come fossero parti dello stesso masso.
Però ogni tanto una parte del masso tradisce la propria verità, per vedere che effetto fa' rotolare altrove.
La menzogna quindi è un espediente che ti fa' uscire dal solito tran tran, destabilizzando l'ordine sociale.
I giovani ad esempio non hanno altro modo di pesare l'importanza dell'ordine sociale se non derogandovi.
Penso che chi viva di menzogne sia un uomo camaleonte , che per difendersi rinuncia a una propria definita riconoscibile personalità. Mente l'uomo che non ha la forza di sostenere le proprie verità , o il giovane che ancora non le ha.

#3864
Citazione di: daniele22 il 13 Gennaio 2022, 12:23:44 PM

A complicarci le cose interviene che molte nostre affermazioni, da altri ritenute false, non possano essere confutate sul piano logico. Sarà vero?
È vero.

Direi che una buona definizione di verità è " ciò che non si può confutare", ma la conseguenza di questa definizione sarebbe che  ogni verità sia gratuita, cioè non c'è alcun buon motivo per cui la verità sia tale, e per questo non si trova un motivo per falsificarla.


Però ammetto che spiegare cosa sia la menzogna a partire da questa definizione di verità non sembra cosa facile.
Però mi sembra che possa mentire solo chi creda in qualche verità.
Chi mente quindi tradisce la propria fede.
#3865
Ciao Eutidemo.
Mi è allora chiaro il motivo della nostra relativa incomprensione.
La storia dell'asino di Buridano per me illustra la paradossalità della pretesa deterministica,  che volutamente viene messa in ridicolo già a partire dalla scelta del protagonista della storia. L'argomento della storia per me è proprio il determinismo
Concordo che non esiste una situazione perfettamente simmetrica, e infatti sono solo i nostri limiti percettivi che possono renderla di fatto tale.
Si può rompere la simmetria percettiva, affinando la percezione, come suggerisce Phil, facendo riferimento a chi possiede più esperienza, quindi in sostanza sensi più affinati dall'uso, o, al limite simulando il caso, che vale come soluzione indipendentemente dalla raffinatezza del sistema di simulazione usato, perché non si tratta qui di vincere una scommessa alla pari, ma di tirare a campare.


Fatto è che, grazie a questa bella discussione, sono riuscito a farmi un quadro coerente di tutte le mie idee filosofiche che prima mi apparivano in parte slegate, restando però in tema per come io lo ho interpretato.


Noi sappiamo fin dall'inizio che l'asino non muore, e ciò vale come un fatto assodato, che a posteriori vogliamo però illustrare nei vari suoi passi  giustificandoli in qualche modo, laddove una spiegazione che faccia ricorso al solo determinismo si dimostra però inadeguata.
Se applichiamo il solo determinismo, ci dice la storia,  l'asino muore, e quindi il determinismo non spiega il nostro fatto.
Quindi noi siamo giunti alla conclusione comune che il determinismo può essere usato per spiegare il fatto, ma solo a condizione di introdurre nella spiegazione anche il caso, cioè il suo contrario.


La morale filosofica da questa bella  storia ci aiuta a trarla Bobmax, secondo il quale non può esistere una cosa se non insieme al suo contrario, per cui caso e determinismo non esistono entrambi, oppure esistono insieme.
Noi appunto siamo riusciti a trovare la soluzione, o meglio a spiegare il fatto che l'asino non muore,  solo grazie al loro intervento contemporaneo.
#3866
Tematiche Filosofiche / Caso e necessità.
12 Gennaio 2022, 21:33:37 PM
Così come la sega non è il legno , ma l'attrezzo con cui tagliamo il legno in parti, così i nostri concetti sono strumenti per agire sulla realtà, esistendo essi solo in tale forma, ricavandone i cosiddetti oggetti "reali", o che più o meno ci appaiono tali, attribuendogli perciò un diverso grado di concretezza.
In particolare , determinazione e caso , non sono propriamente la realtà, come la sega non è il legno.
Ciò è più facile da vedere quanto più questi concetti sono astratti, perché appare meglio la loro arbitraria costruzione, il non avere cioè una esistenza in se', che si attualizza solo con la loro costruzione.
Ma è nostra esperienza che quanto più cerchiamo di indagare la natura degli oggetti cosiddetti concreti, tanto più essi ci mostrano il loro insospettato lato sfuggente, cioè la loro parte astratta.
In effetti non esistono oggetti che noi possiamo percepire o pensare che non abbiano natura astratta, ma questa meglio appare quanto  più ne abbiamo o prendiamo coscienza intima, al di là della illusoria intimità che ci sembra di avere con cioè che è evidente.
L'evidenza delle cose deriva da un grado massimo di incoscienza.
Di ciò  che è evidente quindi altro non possiamo dire che è in quanto tale, per il motivo che altro non potremo dire finché meglio non ci è possibile indagarlo. Vale come dire niente, che ciò che è, è per il motivo che è.
È evidente ciò che è , pur essendo astratto, è stato selezionato dall'evoluzione come adatto alla nostra interazione con la realtà. E in particolare adatto all'ambiente in cui insistiamo.
In una costruzione teorica sempre più consapevole che oggi ha portato alla moderna scienza fisica, non è dunque un caso che aumenti il livello di astrazione, o meglio, che sempre più esso appaia.
Del modo in cui vediamo il mondo attraverso i sensi nulla sappiamo, o quasi, è perciò ci sembra evidente cio 'che percepiamo, dando diritto di cittadinanza anche alle illusioni, per fare stare in piedi la baracca della percezione.
Ma mella misura in cui indagando questi meccanismi di percezione e meglio li conosciamo , siamo perfino in grado di modificarli attraverso la volontà, senza uso di droghe.
Siamo in grado cioè di modificare il nostro cervello, supporto fisico della percezione, solo volendolo, una volta noti i suoi meccanismi.
#3867
Ciao Eutidemo.
Io non credo nel puro caso, e dico puro per distinguerlo da quello che riusciamo a simulare lanciando un dado.
Perché bisogna che sia chiaro che l'esito del lancio di un dado non è affatto casuale, ma un evento determinato che noi volutamente congegniamo per non poter poi risalire alle sue cause.
Come Bobmax mi fa' notare però, se io non credo al puro caso , allora non dovrei credere al suo contrario, perché ogni cosa esiste insieme al suo contrario.
Su ciò io convengo e la storiella dell'asino di Buridano mi aiuta a non credere neanche nel determinismo, mettendolo in ridicolo con un racconto volutamente paradossale.
Essa ci dice infatti, guardate cosa succederebbe se il determinismo fosse cosa vera, che un povero asino abbia a morir di fame a un metro , non dicasi da uno, ma da ben due mucchi di paglia.


Ma allora, se ad essi io non credo, si pone qui un altro paradosso, del perché tutti, ed io compreso, ne parliamo e ne facciamo perfino uso mettendo su lotterie e fisiche teorie, vuoi per diletto che per pratica utilita'.
In qualche modo io credo che li usiamo per rapportarci con la coerente realtà, che perciò non è fatta ne' dell'uno, ne' dell'altra, se non nella misura in cui noi che li usiamo  parte ne siamo.
Il determinismo in sostanza è un espediente che a noi ci aiuta a vivere, e non a morire di fronte a un mucchio di paglia.
La storiella dell'asino di Buridano ci dice, ecco, guardate cosa succederebbe se dovessimo prendere alla lettera la verità del determinismo.


Si Eutidemo, lo vedo bene che diciamo la stessa cosa, ma è forse colpa mia se li tue storielle sono sempre così stimolanti?


Però un dubbio mi rimane, che tu creda davvero che il lancio di un dado non sia un evento determinato.


Possiamo provare come esercizio , dopo aver raccontato quella del robot di Buridano,a raccontare la  storia di un asino quantistico, nella quale il caso interviene non più per solo per darci diletto,, ma pretendendo di descriverci la realtà, per quanto in modo non determinato.
Qui davvero, come tu sostieni, l'asino si muove potendosi chiamare in causa la sola fame, perché non occorre rendere in più il conto per quale ulteriore causa, passaggio che ti ostini a ignorare, vada a destra piuttosto che a sinistra.
Infatti secondo la meccanica quantistica non è questa una scelta che l'asino ha da fare, percorrendo i due percorsi insieme, o come dicono i fisici in sovrapposizione.
Ma così siamo punto e a capo dentro una situazione perfettamente simmetrica che non ha soluzione fintanto che quella simmetria non rompiamo.
Secondo i fisici la simmetria si rompe quando noi andiamo a vedere dove sta veramente l'asino, il quale solo allora potrà' mangiare, avendo acquisito un diritto di località.😅

In sostanza in questa versione della storiella si mette in ridicolo invece la realtà del caso , perché essa ci dice intanto che un asino può magiare a condizione che prima esista in un luogo, ma che non può trovarsi in un luogo se noi prima li non ci andiamo a guardare.
#3868
Tematiche Filosofiche / Caso e necessità.
11 Gennaio 2022, 22:00:45 PM
Ciao Bobmax.
Giusto.
Il caso ha diritto di esistenza al minimo come contrario della necessità.
Ma concordo che il caso puro non può esistere, anche perché non è chiaro come potrebbe convivere fianco a fianco con la necessità.
L'unica soluzione sembra essere allora che non esistono entrambi.
Se riusciamo a descrivere la realtà in termini di necessità è perché essa e' coerente, e ciò esclude che in essa abbia luogo il caso. Ma esclude anche che esista la necessità se non come ciò che riusciamo ad estrarre dalla coerenza della realtà.
È semplicistico pensare che ogni effetto abbia una causa, perché è arbitrario pensare che esista un unica causa, anche se di fatto riusciamo ad isolarne a volte  una significativa al punto da ricavarne una buona capacità predittiva dentro un accettabile errore.
Però non è scontato che cio avvenga sempre.
Cosa succede se le cause significative sono tante e nessuna prevale sulle altre?
Non potrebbe essere così che si manifesta il caso?
Cioè come una manifestazione della realtà che non ci consente di risalire alla sua coerenza, e la necessità come il suo contrario , quando riusciamo a risalirvi.
In questo modo la contemporanea esistenza di caso e di necessità non mi sembra più contraddittoria , essendo due diverse manifestazioni della stessa coerente realtà.
Nessuno ci vieta dunque di immaginare anche casi in cui intervengono insieme caso e necessità.
Questo spiegherebbe l'apparente paradosso della attuale miglior prova della coerenza della realtà, la meccanica quantistica, che però non può essere descritta senza far ricorso al caso.


Perché in fondo cosa facciamo noi quando simuliamo  il caso con il lancio di un dado ?
Moltiplichiamo volutamente le cause equalizzandole inoltre senza che si possa così risalire ad una di queste significativa in particolare.
Lo stesso fa' la natura a volte , come se volesse simulare il caso.
Ma anche quando siamo costretti a saltare un passaggio il risultato complessivo non è mai casuale.
La curva di distribuzione dei lanci di un dado è la miglior prova di coerenza della realtà.
#3869
Citazione di: Eutidemo il 11 Gennaio 2022, 06:51:48 AM
Ciao Iano.
Non riesco proprio a capire come tu possa insistere su un assunto così "palesemente" fallace.
***
Ed infatti io posso benissimo:
a)
O scegliere, più o meno "(in)consciamente"  di disegnare il caso il caso B1, ovvero scegliere, più o meno "(in)consciamente"  di disegnare il caso il caso B2 (o anche entrambi).
b)
Però posso anche "scegliere" di lanciare i dadi, tirando a sorte; nel qual caso, il mio disegno B1 o B2 (ovvero anche entrambi) risulterà determinato dal puro caso.
***
Ti dò atto che, essendo munito di zoccoli, l'asino di Buridano potrebbe avere qualche difficoltà a tirare i dadi o a lanciare in aria una moneta;  però, se proprio non riesce a scegliere tra il mucchio A e il mucchio B, potrebbe comunque scegliere anche lui di affidarsi al puro caso.
E, cioè:
- se in cielo passa uno stormo di corvi da destra a sinistra, va verso il mucchio di sinistra;
- se, invece, in cielo passa uno stormo di corvi da sinistra a destra , va verso il mucchio di destra.
Non sapendo come scegliere, Romolo e Remo fecero una cosa del genere!
***
In questo modo il somaro non morirà sicuramente di fame, perchè lascerà da parte  la stupida "alternativa isostenica" di Buridano, optando per una molto più saggia "alternativa allostenica".
Non serve un genio, ci arriva pure un somaro!
***
Adesso tiro in aria una moneta:
- se viene testa scriverò "Zuzzurro";
- se viene croce scriverò "Zazzera".
***
Fatto!
***
Zazzera!
***
E adesso trovami il "lapsus freudiano" che mi ha inconsciamente indotto a scrivere"Zazzera" invece di scrivere  "Zuzzurro".
Non puoi, perchè io ho scelto di non scegliere, ma di far scegliere al caso!
***
Un saluto! :)
La storia non ci chiede come faccia l'asino a mangiare i due mucchi, ma come faccia a sceglierne uno, e tu illustri nel disegno un percorso per mangiare le due balle spacciandola per la soluzione.
Il problema non è se l'asino vive o muore, ma come fa' a scegliere supponendo che la causa della sua scelta debba stare nell'asimmetria della situazione.
La storia però ci presenta una situazione perfettamente simmetrica.
Se quella è l'unica causa possibile della scelta allora l'asino non può scegliere.
Ma che quella possa essere l'unica causa è riduttivo, perché non è possibile isolare una singola causa in modo esclusivo.
La storia ci presenta una idea ingenua del determinismo, perché non vi è mai una sola causa , ma tante, seppure possa esservene una preponderante, di modo che le altre con accettabile margine di errore si possano trascurare.
L'asino fa' una scelta cui convenzionalmente assoceremo una cause, fra le tante possibili quella preponderante, e questa non è certamente da ricercare nella simmetria della situazione.

Dire, come di solito diciamo, che se c'è un effetto allora ci sarà una causa, è un approssimativo modo di dire.
Le cause sono sempre multiple, fra quelle note che consideriamo o che trascuriamo, e quelle che non conosciamo.


Ora , io non so' se Buridano possedesse tale idea ingenua di determinismo , o se ci ha raccontato la teoria per illustrare la nostra idea ingenua di determinismo. Penserei la seconda.

#3870
Non bisogna confondere il puro caso che noi non abbiamo il potere di provocare (perché il caso non ha una causa e tantomeno noi possiamo essere quella causa) col caso impuro che noi possiamo produrre, impuro  perché simulato.
La storiella dell'asino di Buridano ci dice che l'asino potrebbe morire se per recarsi a uno o a entrambi i mucchi di fieno aspetta di prendere un bus che si chiama caso, perché non si sa' mai quando questo per sua natura possa passare.


Però io credo che la scelta dell'asino come protagonista della storia non sia "casuale", perché è inteso , per quello che ne sapeva Buridano, sbagliando, come animale non intelligente, quindi  incapace di simulare il caso, e perciò destinato a morire nella situazione di simmetria perfetta in cui si viene a trovare.
In un certo senso egli è simmetrico allo stesso modo della situazione in cui si viene a trovare.
Manca dell'asimmetrica intelligenza che contrapponendosi alla simmetria della situazione lo possa salvare.


Poi noi lo sappiamo che l'asino, al pari di noi è intelligente almeno per quel minimo che gli serve a campare, se al pari di noi possiede un cervello fatto di due parti che sarebbero simmetriche se non svolgessero una diversa funzione, e quindi operativamente  che è cio' che conta, e al di la' delle apparenze, possiede una perfetta asimmetria.
Anche l'asino, a suo modo, è bravo a simulare, riuscendo a rendere diverse due situazioni uguali.