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Messaggi - iano

#3886
Citazione di: Phil il 09 Gennaio 2022, 00:17:45 AM
Per capire quale sia la paradossalità della storiella, non bisogna guardarla con occhi geometrici né etologici, ma basta pensare ad ogni volta che siamo indecisi fra due situazioni che ci sembrano equivalenti (la morale della favola non è che l'asino muore di fame...).
Per una lettura in chiave più contemporanea e meno metaforica si può dare un'occhiata qui e qui.

P.s.
Per gli anglofoni, suggerisco questo.
Esiste un esito diverso dal fare una scelta o non farla?
Uno è quello di fare subito una scelta per poi ritrattarla entrando in un loop senza fine.
Si potrebbe dire che quest'ultimo caso equivalga ad una non scelta, ma si tratta comunque di un caso che tiene conto del fatto che l'equilibrio fra le due opzioni non viene percepito in modo istantaneo, perché avendo la percezione una durata si valuta inevitabilmente prima una situazione  e poi l'altra.
Io insisto nel dire che ci troviamo in una situazione ibrida , mezzo teorica e mezzo reale.
C'è però' un esperimento percettivo che riesce a riprodurre questa ibridazione.
In questo esperimento si disegna una semisfera concava immaginando che la luce venga da sinistra, tratteggiando quindi una ombreggiatura sulla destra.
Quello che si vedrà sarà' dunque ciò che si è disegnato.
Ma se disegnamo una semisfera cava con la luce che viene da destra, faremo lo stesso identico disegno, percependola però questa volta come cava. Come è possibile?
È evidente allora che un pregiudizio decide la nostra percezione, cioè il sapere cosa abbiamo disegnato.
Ma cosa succede se ci troviamo di fronte al disegno senza averlo fatto noi?
Questo esperimento è stato fatto è il risultato è sempre lo stesso.
Percepiamo alternativamente una cosa e poi l'altra..
Quindi facciamo una scelta, ma allo stesso tempo non la facciamo.
In un problema di scelta reale non si può escludere l'intervento del caso, magari sotto forma di un pregiudizio.
Si può escludere il caso solo in una situazione puramente teorica, ma non possiamo poi metterci dentro un ente teorico che faccia una scelta libera.
Il libero arbitrio è in parte una astrazione. Esso infatti sarebbe veramente tale in assenza di pregiudizi , se facessimo cioè una scelta in prima assoluta, senza averne fatta mai una prima che ci abbia potuto porre un pregiudizio.
Prima di porre le due balle davanti l'asino, dove si era posta la sua singola balla il giorno prima?
E se magari prima gliela si è posta sempre allo stesso posto, non è che l'asino muore invece perché va' dritto li e non vi trova alcuna balla, senza neanche vedere quelle che gli hanno posto davanti, perché si sa' bene che gli asini per pregiudizio fanno sempre la stessa strada.



Seppure si possa ipotizzare una situazione perfettamente equilibrata fra due possibili scelte , chi sceglie però non rientra dentro a questa perfetta simmetria e anche solo ciò può ipotizzarsi come causa della sua scelta.
Questo è un classico esempio in cui si fanno i conti senza l'oste.
Come se l'osservatore potesse astrarsi dal teatro dell'estrazione.
La meccanica quantistica ci conferma che ciò non è possibile.
#3887
Se l'asino muore di fame, non è perché le due balle siano perfettamente uguali e perfettamente alla stessa distanza, ma perché imperfettamente esso le valuta come tali.
Ci troviamo quindi di fronte a una situazione che non è perfettamente equilibrata nella realtà , ma che l'asino per suoi limiti valuta tale.
Ciò che conta è che egli la percepisca come equilibrata, e in tal senso la situazione non è solo teorica, ma potenzialmente reale.
Occorre però che nel tempo che occorre perché l'asino spiri non intervenga nulla che comprometta la percezione di equilibrio da parte del l'asino, il quale infatti non solo vede le balle come uguali ed equidistanti , ma ne percepisce anche l'odore, per cui occorre che non ci sia alcun vento che porti l'odore di una balla piuttosto che l'altra è si sa' che il vento non manca mai , perché al minimo vi è quello determinato dalla rotazione terrestre, mi pare di 2km l'ora, e che spira sempre in un senso.

Potremmo metterci allora, per tagliare la testa al toro, in una situazione teorica, in cui non spiri alcun vento, e dove non intervenga comunque il caso, se non fosse che gli asini, e non per loro limiti, decidono solo in pratica e non in teoria.
Dobbiamo quindi necessariamente restare in una situazione reale nella quale , noi ben lo sappiamo , nessun asino è mai morto, magari proprio perché nel tempo che impiegherebbe a spirare interviene a salvarlo il caso che alza un alito di vento il quale porta l'odore di una delle due balle, se non proprio una folata che la sposti tutta intera.
Possiamo dunque star certi che di fronte a due uova fritte non potremmo morire che per le complicanze a seguito dell'averle mangiate.😅
#3888
Citazione di: Kobayashi il 08 Gennaio 2022, 18:21:02 PM
Leggendo gli ultimi post mi è tornato in mente il lungo brano 55 della "Volontà di potenza" di Nietzsche.
Più o meno ecco il suo ragionamento.

Ogni morale, ogni concezione religiosa, servono a rafforzare coloro che hanno meno potere e sono quindi più soggetti alle ingiustizie. In certi periodi della storia dell'umanità la miseria e la disperazione sono state così intense che l'unico modo per sopportare l'esistenza era quello di attaccarsi a idee estreme, ardite, impossibili.
C'è in questa creatività qualcosa di notevole. Ma questa creatività ha la stessa natura della forza che spinge i più forti a combattere per predare e appropriarsi di ciò che desiderano: sete di dominio, volontà di aumentare la propria potenza.
Cosa rimarrebbe alla vittima se smettesse di sentirsi dalla parte della giustizia, del bene comune, e si rendesse conto invece di non essere su un piano diverso da quello dei potenti, fino a quel momento giudicati come i malvagi per eccellenza?
Sarebbe annientata. Esposta al pericolo di forze che non può dominare vedrebbe l'esistenza solo come un nauseante ed eterno processo privo di senso.
Per questo motivo la tendenza rimane quella di difendersi tramite le idee di morale e religione.
Oppure ci si difende attaccandosi alle proprie piccole sicurezze, alle proprie abitudini, al proprio benessere. A parole si è scettici, nichilisti, nel concreto si è piccoli uomini, uomini di paglia.
Ma chi riuscirà a dire sì alla vita senza cadere nella tentazione di morale e religione (nelle forme più diverse come quelle del progresso, dello scientismo etc.), o in quella del rimpicciolire l'esistenza?
L'uomo capace di ammettere, anzi accettare con gioia che nella vita ci sia una bella componente di casualità, assurdità, non senso.

Ora, il mio dubbio: un uomo del genere è stato veramente messo alla prova nel dolore? Non si tratta semplicemente di un uomo fortunato, che quindi può permettersi di affrontare le sfide della vita con una certa leggerezza e con il gusto per l'esperimento?

L'oltre-uomo nietzscheano è un'immagine limite che ha la funzione di aiutarci a non indietreggiare per cercare conforto nelle idee di morale e religione, e di spingerci a perseverare nel tentativo di dire sì alla vita.
Da questo punto di vista Nietzsche stesso ha dovuto, in un certo senso, estremizzare il suo ruolo di filosofo, l'importanza per se stesso della conoscenza, per poter sopportare la sua di vita, per poter dire sì al suo di destino, per non essere travolto dalla nausea.
Un sotterfugio, una maschera, diciamo così...
Bello il brano e belli i dubbi in chiusura.
Direi che F.N. ci invita a prendere coscienza dei meccanismi cui siamo soggetti per poter andare oltre, ma mi chiedo io cosa può esserci oltre se non meccanismi diversi ma simili?
Prendere coscienza di questi meccanismi, come morale e religione, equivale a criticarli, senza poterli sostituire contemporaneamente con altri, da cui l'accusa di nichilismo.
Nella misura in cui questa critica resta un opinione personale, si fa' un passo oltre restando isolati, prendendo così  coscienza del confort sociale in cui si viveva, e che davamo per scontato, per chiedersi se il conformismo non avesse poi il suo perché.
Il passo però non è reversibile, e capisci come si possa dissipare in poco tempo una reputazione costruita in una vita.
Noi lo sappiamo  che i lupi non aspettano altro che si faccia un passo per andare oltre il gregge.
Ma se abbiamo fatto il passo è perché abbiamo il coraggio di affrontarli .Però' quello che ci farà più male sarà il constatare che quelli che ci stanno azzannando sono pecore, le stesse che fino a ieri reclamavano giustizia e pene severe per i lupi.
#3889
Un piccolo passo di un filosofo per  un grande passo dell'umanità.
Se questo è un nichilista...

#3890
Allora , caro Aspirante Filosofo, vedi bene che noi "perfetti" prendiamo dieci a scuola, ma solo perché copiamo, senza capirci mai veramente nulla. Ora il punto è, in che modo trasferiamo la tua individuale esperienza del riorganizzare diversamente le tue parti, all'umanita', di cui noi siamo parti?
La filosofia sembra ben prestarsi in quanto "inutile" esercizio del pensiero laddove nulla fosse mai da cambiare.
Stranamente però la storia della filosofia si caratterizza nella ricerca dei perfetti assoluti, di ciò che è e che perciò non può cambiare.
#3891
Citazione di: Aspirante Filosofo58 il 07 Gennaio 2022, 12:31:12 PM




Crescendo mi sono imbattuto in barriere architettoniche e anche mentali a 360 gradi, ho lottato per quelli che a mio avviso erano i miei diritti ( e lo sono tuttora, e non solamente per me). Quindi ho iniziato a pensare (si dice che le difficoltà aguzzino l'ingegno) alle soluzioni ai vari problemi che dovevo affrontare, stupendomi del fatto che altri non ci avessero pensato.



Diciamo che la perfezione, se così si può dire ( ma io preferirei non dire) ha a che fare con la non coscienza del come facciamo le cose, perché dover pensare a ciò che facciamo rende l'azione non fluida.
Così, se ci viene chiesto il segreto che sta dietro a ciò in cui eccelliamo , non sappiamo cosa dire.
Questa ignoranza ci condanna quindi ad essere dei perfetti automi.
Metti che meccanismi simili possano trasferirsi per analogia all'umanita'.
Se riteniamo che in noi ci sia qualcosa che non va' occorrerebbe prendere coscienza di questi meccanismi, per poterli diversamente riorganizzare, che è quello che tu hai dovuto fare per te, e che vorresti trasferire all' umanità .
Nessuno pensa a certe cose finché non è costretto a farlo, a meno che non si ponga come priorità filosofica la conoscenza di se', e che non consiste quindi nello scoprire la verità, perché come dice bene Daniele essa contiene sempre un quanto di fede, ma nello scovare le nostre fedi nascoste, per poterle eventualmente cambiare.
Dunque possiamo dire che la tua imperfezione consiste nel non poterti astenere dal pensare a come fare ciò che fai?
Si, se non fosse che poi questo esercizio di pensiero può avere i suoi vantaggi, che è quello di non dare mai per scontato ciò che si fa', e che nin c'è un solo modo di fare le cose e che può essere utile a volte  considerarli tutti.
Ma allora perché dici che gli altri sono perfetti se poi nin sembrano pensare a ciò che fanno, comportandosi da perfetti incoscienti, ti chiederei provocatoriamente?
Insomma, si fa' presto a parlare di perfezione.
Quello che sembra perfetto è il risultato di una scelta ottimizzata in un dato contesto , e poi "dimenticata" come data per ovvia, per scontata e quindi perfettamente decontestualizzata.
Ciò impedisce di cambiarla , e diventa allora imperfetta quando il contesto cambia.
Ciò non succede a chi deve sempre pensare a ciò che che fa', adeguando l'azione al contesto in tempo reale.
Ma non sarà allora lui quello perfetto?
Direi al minimo che questo concetto di perfezione è un po' imperfetto.😅



Diciamo che l'umanità "esiste" in analogia con l'esistenza di un individuo, se al pari di un individuo, sbagliamo tutti insieme, ma anche eventualmente impariamo insieme dagli errori e ci correggiamo.
L'analogia fallisce quando proviamo a deviare , correggere il percorso dell'umanità , perché la sua inerzia non è paragonabile a quella del singolo individuo.
Così , certo si può fare tutto e non c'è cosa che non si possa ripensare e rivedere, e questo tu ci testimoni bene, ma qualcuno qui ti chiede di dirci come, e questo è più difficile da fare.
#3892
@Eutidemo.
Molto interessante.

Sembra che Aspirante Filosofo ci stia dicendo che qualcosa ne ha fatto di queste recenti nostre capacità.
Io aggiungo che, bene o male, queste capacità vanno usate, perché su di esse abbiamo pesantemente investito.
#3893
@ Viator
E i pesci iniziarono a pensare nel loro profondo mare, come è profondo il mare...
L'anno nuovo che sta arrivando fra un anno passerà, e questa è la novità...
A proposito degli stupendi sogni che sa' fare l'umanità, e colgo l'occasione per farvi i più sentiti auguri di buon anno che ancora non vi avevo fatto, per quanto gli anni e noi stessi siamo i convenzionali protagonisti di una possibile storia, che però, ha ragione Aspirante Filosofo, sembra avere un senso solo se immaginata insieme.
Ma se l'uomo è imperfetto essendo parte di ciò che possiamo immaginare potenzialmente perfetta, l'umanità, come possiamo allora immaginare ciò di cui l'umanità è parte, se la perfezione c'è la siamo già impegnata?
#3894
Una tensione alla perfezione in chi racconta una storia sarebbe quella di provare a limitarsi a raccontarla.
Darwin ci ha provato, e questa è la novità.
#3895
@AspFil.
Ma come si fa' a dimostrare che l'evoluzione abbia avuto un inizio?
Noi riusciamo a raccontarne la storia e quel racconto ha necessariamente un inizio , ma non necessariamente lo ha ciò che viene raccontato .
Che ogni cosa abbia avuto un inizio o che non lo abbia avuto, non sono una necessità, ma ciò che si può porre  per fede.
Tu ti riferisci all'unanimità e non all'uomo, e non è la stessa cosa, perché a seconda dei personaggi che si scelgono per la storia, cambia la storia.
Però la storia dell'evoluzione che ha raccontato Darwin non ha come personaggi principali ne' l'uomo ne' l'umanità .
La vera rivoluzione di Darwin è non mettere l'umanità al centro della storia, e non tutti gli uomini glielo hanno ancora perdonato, come se i veri divi fossero loro.
#3896
Ciao AspFil
Complimenti per la bellezza dei tuoi post.
Sono sostanzialmente d'accordo, ma va' fatta qualche precisazione.
C'è stato un tempo in cui noi eravamo perfetti.
Allora, con la nostra acutezza visiva attuale, ci avrebbero considerati ipovedenti.
Vivevamo sugli alberi ed a quell'ambiente eravamo perfettamente adattati.


Chi è in qualche modo perfetto però non ha bisogno degli altri perché possiede tutto ciò che gli serve, se non quando arriva il momento di riprodursi.
Ma per la teoria dell'evoluzione non esistono perfetti ed imperfetti, ma adattati e disadattati che provano a riadattarsi, e quest'ultimo è il caso coronato da successo , diciamo così, dell'umanità.


Scesi dagli alberi ci siamo trovati perfettamente disadattati, da perfettamente adattati che eravamo.
Si può ben dire che abbiamo vinto una sfida impossibile, ma forse non è un modo corretto di dirlo.
In questa lotta , di tanti ominidi, siamo rimasti solo noi.
Ma ognuno di noi superstiti se confrontato con ogni altro animale risulta imperfetto in qualcosa.
Per gli scimpanzé noi siamo ciechi. Per i lupi siamo sordi.
Ma in realtà la forza evolutiva non ha una specie prediletta ne' un organo specifico in cui palesarsi, e una grande perdita come è' successo agli ominidi può diventare una grande occasione.
Così la perdita della vista si è fatta cannocchiale e microscopio, alla faccia degli scimpanzé'.


Ciò che non ti ammazza ti fortifica, esplicitando le tue capacità e riorganizzandole.
Così ci capiterà di scoprire divenendo ciechi che l'udito è il nostro senso migliore, che però lavora sotto traccia , lontano dai riflettori.
Al buio noi diventiamo ciechi, ma i ciechi no , e lo zoppo sulle spalle del cieco, quando viene notte,, scende e cammina a piedi dando la mano al cieco, facendo conto sulla sua umanità.


Ora, se capisco bene il tuo pensiero, credo tu voglia dire,
perché'  non fare di proposito ciò che facciamo solo per necessità?


Si potrebbe rispondere che sarebbe antieconomico, come fare un investimento oneroso quanto incerto, se non fosse che questo tocca fare a chi ha rinunciato a "tante perfezioni" in cambio di una "perfetta coscienza".
Cioè quell'investimento noi lo abbiamo già fatto, e tu fai bene a sollecitarci di farlo fruttare, avendone sperimentato i meccanismi dal tuo particolare punto di osservazione, accidentale, ma che non dovrebbe essere solo tale.


La morte, dici bene , andrebbe affrontata con dignità, ma ciò spesso non succede perché nessuno strumento è perfetto e anche la coscienza ha i suoi effetti collaterali, per quanto ben usata.
#3897
Per trovare qualcuno che lo abbia detto forse, bisogna tornare ai Pitagorici, i quali stessi però arrivarono a dimostrare che le loro convinzioni erano false, scoprendo l'incommensurabilità della diagonale di un quadrato di lato unitario.
Essi infatti credevano che il mondo fosse fatto di numeri, che il numero fosse cioè il suo costituente fondamentale, e che perciò ogni cosa possedesse la sua misura. I pitagorici credevano che che ogni cosa fosse fatta di elementi finiti e in numero finito. Si sbagliavano.
Se volessimo mantenere l'assunto dei pitagorici che il numero sia il costituente fondamentale del mondo dovremo ammettere che il mondo è molto più vario e ricco di come i pitagorici lo vedevano , essendosi nel frattempo i numeri moltiplicati per tipi.
Così oggi si ammettono i numeri irrazionali come radice di due, così che si possa dire che anche la diagonale del quadrato di lato unitario ha la sua misura.
Se c'è una cosa che io non capivo a scuola era proprio questo trucco usato dai matematici.
Quando qualcosa non aveva misura, quando non vi era cioè un numero che vi corrispondesse, si inventavano numeri nuovi ad hoc perché nulla restasse senza misura. Il risultato era che nuovi tipi di numero nascevano a dismisura.
Questa non è cosa facile da capire per chi crede che i numeri non hanno da essere inventati, ma solo scoperti, in quanto, seppur in un mondo platonico a parte, esistono già .
Così, ammettendoinvece che quel mondo non esiste finché noi stessi non lo creiamo, tutto mi è diventato chiaro.
Non ho più alcuna difficoltà, posto che ne abbia la voglia, di comprendere ogni nuovo tipo di numero.
O, diciamo meglio, le difficoltà rimangono, ma è sparito il blocco mentale che mi rendeva impossibile capire.
Tutto cio' ha comportato una generalizzazione sempre più spinta del concetto di numero, così come in parallelo è avvenuto per i concetti geometrici, e in questa generalizzazione le stesse distinzioni fra le diverse branche della matematica si fanno labili, e la matematica diventa sempre più omogenea, convergendo in una le sue tante storie.
Già Cartesio delle distinte storie della aritmetica e della geometria ne aveva fatta una sola con i suoi assi cartesiani.
È la storia di un processo di astrazione  che non sembra avere limiti , senza la quale astrazione nulla ci è dato capire, anche quando ciò non ci appare, come se non possa mai esserci stato un tempo in cui sia stato necessario capire ciò che evidente oggi ci appare.
#3898
Citazione di: Phil il 03 Gennaio 2022, 13:23:20 PM
@Eutidemo

Corsivo mio:
Citazione di: Eutidemo il 02 Gennaio 2022, 15:53:05 PM
il punto (per unanime parere di tutti i matematici) è senz'altro un'entità geometrica "infinitamente piccola"
Citazione di: Eutidemo il 03 Gennaio 2022, 11:53:33 AM
Quanto alle "fonti" che mi hai chiesto, le quali definiscono il punto come "infinitamente piccolo", potrei citarti:
Daniil Charms, ("Casi" Adelphi Books):
O.Lagerkrantz ("Scrivere come Dio" Ed. Marietti):
G. Szpiro ("L'enigma di Poincaré" Odifreddi Ed.Apogeo):
E potrei continuare a lungo!
Gli autori che hai citato, Charms e Lagercrantz, sono, se non erro, poeti e scrittori, non matematici; il che mi fa sospettare che nella loro interpretazione "artistica" del punto non siano fedelissimi alla definizione matematica standard, come per altro schiettamente riportata da wikipedia e Treccani (oltre che, mi sbilancio senza nemmeno controllare, dai manuali di matematica).
Per quanto riguarda la citazione da G. Szpiro, non sono sicuro si tratti di una attenta definizione in ambito matematico; leggiamo il passo:
«Aveva una buona ragione per non amare molto il nome di famiglia: foneticamente, in francese, suona come "punto quadrato" e fin dal tempo degli antichi greci si sà che il punto é infinitamente piccolo e certo non quadrato. Quel suo "nome sbagliato" irritava notevolmente il futuro matematico».(cit.)
Se davvero hai altre fonti matematiche, non esitare a postarle... tutto il resto puoi già trovarlo nei manuali.
Eppure mi pare Eutidemo stesso abbia citato Euclide che definisce il punto come ciò che non ha parti, che è altro credo da ciò che è infinitesimo. Posto che Euclide abbia derivato il concetto di punto a patire da ciò che ha parti, togliendogliele, non si può dire che abbia così messo in campo un processo al limite.
Il risultato di una sottrazione può essere zero, ma zero non è un infinitesimo.
Euclide non assegna al punto  il compito di generare per successivi suoi assembramenti  gli altri enti geometrici aventi parti, diversamente non avrebbe definito gli altri enti in modo a parte, ma li avrebbe derivati a partire dal punto, e non mi risulta nemmeno che dopo Euclide qualcuno abbia provato a farlo.
A scuola hanno insegnato ad Eutidemo che una retta è fatta di infiniti punti e quindi il punto è l'ente fondamentale della geometria. Ma questo non è quello che ha detto Euclide e nessun altro matematico dopo di lui.
Infatti, posto che si possa dimostrare che la retta sia fatta di infiniti punti, occorre che prima siano definiti punto e retta, che perciò sono parimenti fondamentali.





#3899
Citazione di: Aspirante Filosofo58 il 04 Gennaio 2022, 16:11:06 PM
Buon giorno e buon anno a tutti! Dopo un periodo impegnativo, rieccomi... Come ho già avuto modo di raccontare, la mia situazione fisica (che chiamano disabilità) è dovuta alla mancanza di collaborazione tra alcune parti col resto del corpo; per cui ho iniziato ad accarezzare l'idea che l'insieme degli esseri umani imperfetti, possa portare alla perfezione dell'umanità.. E' un po' come in un puzzle, in cui i pezzi, tutti delle stesse dimensioni e forma (a parte quelli sul perimetro e quelli angolari) non siano realmente intercambiabili, ma abbiano un posto ben preciso da occupare. Diversamente non si riuscirebbe a comporre il puzzle correttamente. Vi risulta che qualche filosofo sia giunto a queste conclusioni?  In caso affermativo, mi dite quale filosofo? Grazie.
Sostituirei imperfezione con diversità , e perfezione con la ricchezza che ne deriva per l'insieme.
Un insieme di cose simili è ben povero infatti.
La sola condizione da rispettare è che i diversi comunichino.
#3900
Tematiche Filosofiche / L'infinito non c'è
03 Gennaio 2022, 04:20:56 AM
Voglio dire che potrei ricorrere all'estensione dell'anima se fosse necessario, ma finora non ho riscontrato questa necessità, e in genere comunque evito di sparare  a una mosca con un cannone, e sto cercando appunto di spiegare che l'infinito, per quanto fastidioso, nin è più grande di una mosca nella sua definizione.
Inoltre come cercavo di spiegare a Bobmax in altra discussione , l'infinito, e anzi gli infiniti, esistono se li puoi manipolare, senza bisogno di prenderli , limitandosi a porli.
Parliamo di oggetti teorici e nessuno pretende che vi sia una corrispondenza reale, ma ciò vale per tutti gli oggetti teorici, che in quanto tali non andrebbero discriminati per il fatto che di alcuni intuiamo e di altri no un possibile corrispondente reale. Ma che abbiano un corrispondente o meno sono essi già reali, se reali sono le idee, anche se non le possiamo pigliare col le mani, ma non perciò sono infinite.


In conclusione intendo  dire che gli infiniti sono  più povera cosa di ciò che a turno temiamo o che ci piace credere.
Infatti gli infiniti si possono formalizzare e con essi si può perciò operare, senza la necessità di prenderli, ma semmai limitandosi a  porli.
E una volta che li hai posti e vi hai applicato la ragione, riuscendovi cioè ad operare, allora sono reali, al netto di possibili ulteriori corrispondenze con la realtà.
Di sicuro, come è sorte di ogni realtà teorica, serve a rapportarci con la realtà, senza essere la realtà, se non in parte.