PROSEGUE
3) LO ZERO METAFISICO
Lo "zero metafisico", in sostanza, almeno per come viene inteso dalla maggioranza dei filosofi, è puramente e semplicemente il "nulla".
Ed invero, lo "0" corrisponde alla prima lettera della parola "οὐδέν" ("niente"); e, cioè all'"omicron", che ha forma circolare, come, appunto, lo "zero"
***
Il che, però, innesca subito la cosiddetta "aporia del nulla" esposta per la prima volta da Platone nel "Sofista", il quale la formulò per bocca del "Forestiero d'Elea" con queste parole: "Amico, non ti rendi conto che, in base a quanto detto, <<ciò che non è">>, fa cadere in un vicolo senza via d'uscita anche chi ne nega l'esistenza? Ed infatti, ogni volta che uno tenti di negarne l'esistenza, finisce per essere costretto a esprimersi su di esso in modo contraddittorio."
Ed invero, ogni volta che che il "nulla" viene indicato come "esso", lo si identifica come "reale".
Il che, come abbiamo visto, vale anche:
- per lo "zero matematico", che viene utilizzato per effettuare delle operazioni:
- per lo "zero fisico", dentro il quale si agitano particelle e fluisce l'energia.
***
Ma, sotto il profilo semantico, il "nulla non è nulla" o il "nulla è nulla"?
Benchè "linguisticamente", almeno in italiano, la prima proposizione sia formalmente più corretta della seconda, tuttavia, in base al "principio di non contraddizione" (ammesso di volerlo recepire):
- la prima proposizione risulterebbe contraddittoria, perchè "A non può <<non essere>> A";
- la seconda proposizione, invece, risulterebbe corretta, perchè "A non può che <<essere>>, appunto, A".
***
Il problema è quando ad A corrisponde il "nulla".
***
Al riguardo, tuttavia, secondo me è bene distinguere tra:
1)
Il "nulla relativo".
Cioè, ad esempio, quando io, rivolgendomi ad un politico da strapazzo, gli dico "Guarda che la vera politica non è <<nulla>> di tutto questo".
2)
Il "nulla assoluto".
Cioè, ad esempio, quando io, affermo in astratto: "Secondo me, il <<nulla>> in sè e per sè, a mio parere, è un concetto intrinsecamente ambiguo".
***
Si tratta di due locuzioni di significato molto diverso, la prima delle quali, secondo me, non presenta particolari problemi, mentre la seconda sì!
***
Ed infatti, quando si discute di qualcosa, in generale, la prima cosa da fare sarebbe di "definirla"; ma come si fa a definire il "nulla"?
Dire che "il <<nulla>> è ciò che <<non è>>", in fondo, è solo una tautologia; perchè <<nulla>> equivale esattamente a dire <<ciò che non è>> (come dire che un quadrupede ha quattro zampe).
***
Peraltro, nel dire o pensare che "il nulla non è", secondo alcuni, come il "Forestiero d'Elea", lo si investe della realtà che gli si nega; innescando, appunto, la cosiddetta "aporia del nulla".
Si passa, cioè, dal pensiero "logico-semantico" a quello"ontologico".
***
Secondo Bergson, invece, si tratta di un termine "impredicabile"; cioè, di "una semplice parola", ovvero, di "una pseudo-idea".
Salvo che, come avevo premesso, non si tratti di una parola usata in senso relativo!
Cioè, per Bergson, quando io sto negando che una certa determinatezza competa al mio essere, alla mia identità, al mio volere, al mio pensare:
- non sto affatto affermando l'esistenza di una dimensione chiamata "nulla";
- sto solo affermando l'insussistenza di un certo stato di cose imputato a me o ad altra cosa a me nota.
Quindi, per il detto filosofo, si tratta solo di un "problema di linguaggio"; altrimenti, considerato in senso assoluto, diverrebbe un concetto "autocontraddittorio", o, ancor meglio, "auto-distruttivo".
***
Ed in effetti, sotto l'aspetto "oggettivo", ovvero "fenomenologico", non c'è "niente" (appunto) che possa fare da "ὑποκείμενον", cioè da "substrato", a tale (non)entità puramente formale.
Parlare del "nulla" in senso assoluto, cioè, significa porre alcunché di autocontraddittorio; cioè un (non)qualcosa che elimina se stesso nel momento stesso in cui viene formulato, un po' come nel famoso "paradosso del mentitore".
In altre parole, secondo Bergson, chi "pensa il nulla", in realtà, semplicemente "non pensa", in quanto si astrae da ogni determinatezza e quindi dissolve il suo pensiero nell'indeterminato.
***
Il che, però, in effetti accade anche per il contrario del "non essere", e, cioè, per l'"essere"; ed infatti, anche pensando all'"essere" (in assoluto) ci si astrae da ogni determinatezza, e quindi il nostro pensiero cade nell'indeterminato.
***
Ed infatti, almeno secondo Aristotile, ciò che esiste viene identificato per "genere prossimo" e per "differenza specifica"; ad esempio, per definire l'uomo:
- il "genere prossimo" di uomo è "animale";
- la "differenza specifica" è che l'"uomo" è un animale capace di "ragionare" (sebbene non in tutti i casi), mentre l'"animale" no!
***
Ma come si fa a identificare per "genere prossimo" e per "differenza specifica", l'"essere" in generale?
Possiamo forse dire che il "genere prossimo" dell'"essere" è il "nulla", e che la "differenza specifica" dell'"essere", è che, mentre il "nulla" non è, l'"essere", invece, è?
Suona un po' paradossale!
***
Secondo me, quindi, il nocciolo dell'aporia consiste proprio in questo: il minimo semantico – il nulla – e il massimo semantico – l'essere – hanno un punto in comune, quello, cioè, di essere astrazioni assolute dalla determinatezza (e, in quanto astrazioni vuote di contenuto, finiscono per giustapporsi).
***
In effetti, nella "Dottrina dell'essere", Hegel dice più o meno qualcosa del genere: "Il puro essere e il puro nulla son dunque lo stesso. Il vero non è né l'essere né il nulla, ma che l'essere, – non passa, – ma è passato, nel nulla, e il nulla nell'essere".
E poi conclude: "In pari tempo però il vero non è la loro indifferenza, la loro indistinzione, ma è anzi ch'essi non sono lo stesso, ch'essi sono assolutamente diversi, ma insieme anche inseparati e inseparabili e che immediatamente ciascuno di essi sparisce nel suo opposto ("jedes in seinem Gegenteil verschwindet")".
***
Però, "si licet parva componere magnis", secondo me quello che dice Hegel è vero soltanto per il "nulla" e per l'"essere" relativi; ed infatti, io, adesso, nel momento in cui scrivo, "sono"...però, una volta morto, svanirò nel "non essere" (almeno come individuo).
Ma questo non ha niente con vedere con il concetto di "non essere" e di "essere" in senso assoluto.
Si tratta di cose diverse!
***
Quanto scrive Hegel è verissimo: "La verità dell'essere e del nulla è pertanto questo movimento ("Bewegung") consistente nell'immediato sparire ("des unmittelbaren Verschwindens") dell'uno di essi nell'altro: il "divenire" ("das Werden")".
Ma quando lui parla del divenire dell'uno nell'altro, si riferisce alle singole cose e ai singoli individui; in quanto non serve certo un filosofo della stazza di Hegel per capire che l'"<<essere>> adesso Pippo un bambino", quando Pippo diverrà un "adolescente", diverrà "il <<non essere>> più Pippo un bambino".
Ma questo, secondo me,non significa affatto che l'"essere" divenga, o meglio, si trasformia, nel "non essere"; significa soltanto che quel singolo individuo è passato da una modalità di "essere" ad un'altra modalità di "essere", che ha posto nel "nulla" la precedente.
Ma sempre "essere" è!
***
E, poichè l'"essere" è il minimo comun denominatore di tutte le cose che "sono", quando quel singolo "individuo" morirà, passerà egualmente da una modalità di "essere" ad un'altra modalità di "essere", che ha posto nel "nulla" la precedente; cioè, da "organismo vivente", diverrà un "cadavere" (ma anche il cadavere "è", sebbene qualcosa di "molto" diverso da quello che era prima).
E comunque, fermo restando che quell'individuo, come singola entità autocosciente, ha cessato per sempre di "esistere", ciò non significa che l'"essere" che era (in) lui, come in tutte le cose (pure prima che lui nascesse), inizi ad "essere" o cessi per questo di "essere".
Ma questo è un altro discorso, che potrebbe portarci troppo O.T. (Off Topic)!
4) L'UNO METAFISICO
Per concludere, secondo me, lo "zero metafisico" può essere compreso solo facendo riferimento all'"uno metafisico".
I numeri sono infiniti:
- piccoli, come il 2, il 3, il 6 ecc.
- grandi, come il 345, il 654, il 453 ecc.
- enormi, come 234.000.000.000 alla miliardesima potenza.
Però, tutti quanti, singolarmente presi, divisi per se stessi, sono uguali a "1"; perchè l'"1" è l'unico numero che si trova in tutti i numeri, pur non corrispondendo a nessuno di essi (salvo se stesso)
Allo stesso modo, per analogia, tutti gli esseri, quando si "dividono per se stessi", disgregandosi come identità individuali, tornano all'"essere", di cui non erano altro che epifenomeni; un po' come le "onde" tornano ad essere "mare".
Per altro verso, così come qualsiasi numero elevato a potenza "0", è uguale a "1", allo stesso modo ogni singolo essere, nel momento in cui si annulla come individuo "zerificandosi", potenzialmente diventa l'"Uno"; cioè l'"essere" senza "qualificazioni" individuali.
"Io sono Eutidemo", ma, se tolgo l'"Eutidemo", allora "Io sono", e basta!
Ed infatti, "Jahvè", deriva dal verbo sostantivo arcaico "hāwāh" (essere), e non è un nome: quindi, a Mosè che scioccamente voleva sapere il suo nome, rispose: "Dirai agli Israeliti: <<Io-Sono>> mi ha mandato a voi".
In altre parole, l'Uno è l'"Essere", contrapposto allo Zero, che corrisponde al "Non Essere"; del quale Plotino dice che "Il nulla non è essere, affinché l'essere sia".
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3) LO ZERO METAFISICO
Lo "zero metafisico", in sostanza, almeno per come viene inteso dalla maggioranza dei filosofi, è puramente e semplicemente il "nulla".
Ed invero, lo "0" corrisponde alla prima lettera della parola "οὐδέν" ("niente"); e, cioè all'"omicron", che ha forma circolare, come, appunto, lo "zero"
***
Il che, però, innesca subito la cosiddetta "aporia del nulla" esposta per la prima volta da Platone nel "Sofista", il quale la formulò per bocca del "Forestiero d'Elea" con queste parole: "Amico, non ti rendi conto che, in base a quanto detto, <<ciò che non è">>, fa cadere in un vicolo senza via d'uscita anche chi ne nega l'esistenza? Ed infatti, ogni volta che uno tenti di negarne l'esistenza, finisce per essere costretto a esprimersi su di esso in modo contraddittorio."
Ed invero, ogni volta che che il "nulla" viene indicato come "esso", lo si identifica come "reale".
Il che, come abbiamo visto, vale anche:
- per lo "zero matematico", che viene utilizzato per effettuare delle operazioni:
- per lo "zero fisico", dentro il quale si agitano particelle e fluisce l'energia.
***
Ma, sotto il profilo semantico, il "nulla non è nulla" o il "nulla è nulla"?
Benchè "linguisticamente", almeno in italiano, la prima proposizione sia formalmente più corretta della seconda, tuttavia, in base al "principio di non contraddizione" (ammesso di volerlo recepire):
- la prima proposizione risulterebbe contraddittoria, perchè "A non può <<non essere>> A";
- la seconda proposizione, invece, risulterebbe corretta, perchè "A non può che <<essere>>, appunto, A".
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Il problema è quando ad A corrisponde il "nulla".
***
Al riguardo, tuttavia, secondo me è bene distinguere tra:
1)
Il "nulla relativo".
Cioè, ad esempio, quando io, rivolgendomi ad un politico da strapazzo, gli dico "Guarda che la vera politica non è <<nulla>> di tutto questo".
2)
Il "nulla assoluto".
Cioè, ad esempio, quando io, affermo in astratto: "Secondo me, il <<nulla>> in sè e per sè, a mio parere, è un concetto intrinsecamente ambiguo".
***
Si tratta di due locuzioni di significato molto diverso, la prima delle quali, secondo me, non presenta particolari problemi, mentre la seconda sì!
***
Ed infatti, quando si discute di qualcosa, in generale, la prima cosa da fare sarebbe di "definirla"; ma come si fa a definire il "nulla"?
Dire che "il <<nulla>> è ciò che <<non è>>", in fondo, è solo una tautologia; perchè <<nulla>> equivale esattamente a dire <<ciò che non è>> (come dire che un quadrupede ha quattro zampe).
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Peraltro, nel dire o pensare che "il nulla non è", secondo alcuni, come il "Forestiero d'Elea", lo si investe della realtà che gli si nega; innescando, appunto, la cosiddetta "aporia del nulla".
Si passa, cioè, dal pensiero "logico-semantico" a quello"ontologico".
***
Secondo Bergson, invece, si tratta di un termine "impredicabile"; cioè, di "una semplice parola", ovvero, di "una pseudo-idea".
Salvo che, come avevo premesso, non si tratti di una parola usata in senso relativo!
Cioè, per Bergson, quando io sto negando che una certa determinatezza competa al mio essere, alla mia identità, al mio volere, al mio pensare:
- non sto affatto affermando l'esistenza di una dimensione chiamata "nulla";
- sto solo affermando l'insussistenza di un certo stato di cose imputato a me o ad altra cosa a me nota.
Quindi, per il detto filosofo, si tratta solo di un "problema di linguaggio"; altrimenti, considerato in senso assoluto, diverrebbe un concetto "autocontraddittorio", o, ancor meglio, "auto-distruttivo".
***
Ed in effetti, sotto l'aspetto "oggettivo", ovvero "fenomenologico", non c'è "niente" (appunto) che possa fare da "ὑποκείμενον", cioè da "substrato", a tale (non)entità puramente formale.
Parlare del "nulla" in senso assoluto, cioè, significa porre alcunché di autocontraddittorio; cioè un (non)qualcosa che elimina se stesso nel momento stesso in cui viene formulato, un po' come nel famoso "paradosso del mentitore".
In altre parole, secondo Bergson, chi "pensa il nulla", in realtà, semplicemente "non pensa", in quanto si astrae da ogni determinatezza e quindi dissolve il suo pensiero nell'indeterminato.
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Il che, però, in effetti accade anche per il contrario del "non essere", e, cioè, per l'"essere"; ed infatti, anche pensando all'"essere" (in assoluto) ci si astrae da ogni determinatezza, e quindi il nostro pensiero cade nell'indeterminato.
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Ed infatti, almeno secondo Aristotile, ciò che esiste viene identificato per "genere prossimo" e per "differenza specifica"; ad esempio, per definire l'uomo:
- il "genere prossimo" di uomo è "animale";
- la "differenza specifica" è che l'"uomo" è un animale capace di "ragionare" (sebbene non in tutti i casi), mentre l'"animale" no!
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Ma come si fa a identificare per "genere prossimo" e per "differenza specifica", l'"essere" in generale?
Possiamo forse dire che il "genere prossimo" dell'"essere" è il "nulla", e che la "differenza specifica" dell'"essere", è che, mentre il "nulla" non è, l'"essere", invece, è?
Suona un po' paradossale!
***
Secondo me, quindi, il nocciolo dell'aporia consiste proprio in questo: il minimo semantico – il nulla – e il massimo semantico – l'essere – hanno un punto in comune, quello, cioè, di essere astrazioni assolute dalla determinatezza (e, in quanto astrazioni vuote di contenuto, finiscono per giustapporsi).
***
In effetti, nella "Dottrina dell'essere", Hegel dice più o meno qualcosa del genere: "Il puro essere e il puro nulla son dunque lo stesso. Il vero non è né l'essere né il nulla, ma che l'essere, – non passa, – ma è passato, nel nulla, e il nulla nell'essere".
E poi conclude: "In pari tempo però il vero non è la loro indifferenza, la loro indistinzione, ma è anzi ch'essi non sono lo stesso, ch'essi sono assolutamente diversi, ma insieme anche inseparati e inseparabili e che immediatamente ciascuno di essi sparisce nel suo opposto ("jedes in seinem Gegenteil verschwindet")".
***
Però, "si licet parva componere magnis", secondo me quello che dice Hegel è vero soltanto per il "nulla" e per l'"essere" relativi; ed infatti, io, adesso, nel momento in cui scrivo, "sono"...però, una volta morto, svanirò nel "non essere" (almeno come individuo).
Ma questo non ha niente con vedere con il concetto di "non essere" e di "essere" in senso assoluto.
Si tratta di cose diverse!
***
Quanto scrive Hegel è verissimo: "La verità dell'essere e del nulla è pertanto questo movimento ("Bewegung") consistente nell'immediato sparire ("des unmittelbaren Verschwindens") dell'uno di essi nell'altro: il "divenire" ("das Werden")".
Ma quando lui parla del divenire dell'uno nell'altro, si riferisce alle singole cose e ai singoli individui; in quanto non serve certo un filosofo della stazza di Hegel per capire che l'"<<essere>> adesso Pippo un bambino", quando Pippo diverrà un "adolescente", diverrà "il <<non essere>> più Pippo un bambino".
Ma questo, secondo me,non significa affatto che l'"essere" divenga, o meglio, si trasformia, nel "non essere"; significa soltanto che quel singolo individuo è passato da una modalità di "essere" ad un'altra modalità di "essere", che ha posto nel "nulla" la precedente.
Ma sempre "essere" è!
***
E, poichè l'"essere" è il minimo comun denominatore di tutte le cose che "sono", quando quel singolo "individuo" morirà, passerà egualmente da una modalità di "essere" ad un'altra modalità di "essere", che ha posto nel "nulla" la precedente; cioè, da "organismo vivente", diverrà un "cadavere" (ma anche il cadavere "è", sebbene qualcosa di "molto" diverso da quello che era prima).
E comunque, fermo restando che quell'individuo, come singola entità autocosciente, ha cessato per sempre di "esistere", ciò non significa che l'"essere" che era (in) lui, come in tutte le cose (pure prima che lui nascesse), inizi ad "essere" o cessi per questo di "essere".
Ma questo è un altro discorso, che potrebbe portarci troppo O.T. (Off Topic)!
4) L'UNO METAFISICO
Per concludere, secondo me, lo "zero metafisico" può essere compreso solo facendo riferimento all'"uno metafisico".
I numeri sono infiniti:
- piccoli, come il 2, il 3, il 6 ecc.
- grandi, come il 345, il 654, il 453 ecc.
- enormi, come 234.000.000.000 alla miliardesima potenza.
Però, tutti quanti, singolarmente presi, divisi per se stessi, sono uguali a "1"; perchè l'"1" è l'unico numero che si trova in tutti i numeri, pur non corrispondendo a nessuno di essi (salvo se stesso)
Allo stesso modo, per analogia, tutti gli esseri, quando si "dividono per se stessi", disgregandosi come identità individuali, tornano all'"essere", di cui non erano altro che epifenomeni; un po' come le "onde" tornano ad essere "mare".
Per altro verso, così come qualsiasi numero elevato a potenza "0", è uguale a "1", allo stesso modo ogni singolo essere, nel momento in cui si annulla come individuo "zerificandosi", potenzialmente diventa l'"Uno"; cioè l'"essere" senza "qualificazioni" individuali.
"Io sono Eutidemo", ma, se tolgo l'"Eutidemo", allora "Io sono", e basta!
Ed infatti, "Jahvè", deriva dal verbo sostantivo arcaico "hāwāh" (essere), e non è un nome: quindi, a Mosè che scioccamente voleva sapere il suo nome, rispose: "Dirai agli Israeliti: <<Io-Sono>> mi ha mandato a voi".
In altre parole, l'Uno è l'"Essere", contrapposto allo Zero, che corrisponde al "Non Essere"; del quale Plotino dice che "Il nulla non è essere, affinché l'essere sia".
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