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Messaggi - InVerno

#3886
Citazione di: antonio il 04 Settembre 2017, 22:32:19 PM
Ultimamente trovo difficile trovare argomenti a favore di scienza e tecnologia, mentre mi risulta piuttosto facile rilevare i potenziali ed attuali danni risultato di secoli di investimenti collettivi in ricerca scientifica e tecnologica, evidentemente risorse distratte da altre ricerche. Anche perché se da un lato vedo come fatto necessariamente negativo un risultato di tanti sforzi e ricerche, a spese della collettività, quale ad esempio armi sempre più distruttive e bombe atomiche, più difficile mi risulta dare un giudizio così assoluto, ma in positivo, su tecnologie quali mezzi di trasporto, internet, i mass media e via dicendo. In estrema sintesi, lo sproporzionato sforzo collettivo imposto ai popoli per sviluppare scienza e tecnica mi appare ingiustificato, anche perché scienza e tecnica mi pare producano rilevantissimi effetti negativi certi, mentre parlare di benefici altrettanto rilevanti è più problematico. Se da un lato l'inquinamento mi appare come un male certo , trovo più difficile considerare un bene , ma forse neppure un qualcosa di necessario o utile, la consegna amazon di un pomodoro utilizzando un drone. In altre parole, mi appare francamente spropositato l'obolo alla luce dei risultati, altre volta addirittura paradossale, come nel caso di ricerche che richiedono ingentissimi capitali alle masse per risolvere gli effetti primari o collaterali prodotto da altre ricerche e tecnologie, una catena di sant'Antonio.

Diciamocela tutta, la storia è troppo piena di storie mille volte ripetute, gli uomini costruiscono le armi per usarle, un pomodoro è un pomodoro, buono o cattivo indipendentemente dalla modalità di consegna, drone o mani di contadino, può allora una persona che lavora a progetti scientifici e tecnologici, alla luce dei risultati ed impatti ad oggi prodotti,  pensare ragionevolmente sia necessario, urgente o addirittura cosa giusta farlo?
Il problema sarebbero le bombe atomiche? Da quando ci sono, grazie alle strategie di deterrenza, viviamo uno dei periodi di pace (tra nazioni occidentali) più lunghi della storia conosciuta, dichiarare guerra non è più sinonimo di mandare a morire uno stuolo di idioti a comando del re, significa rischiare che non vi sia più un regno da governare, un rischio che ha tenuto a bada tensioni che in altri periodi storici sarebbero sicuramente terminate in un conflitto. La mia è sicuramente una provocazione facilmente criticabile sotto molti punti di vista, ma è un utile critica alla banalizzazione della questione. L'occidente ha fatto della guerra una scienza ben prima che la scienza stessa esistesse, il problema sta quindi a monte.
#3887
Attualità / Re:Africa: come aiutarli a casa loro?
17 Settembre 2017, 11:09:02 AM
Citazione di: sgiombo il 15 Settembre 2017, 11:10:00 AM
Citazione di: InVerno il 15 Settembre 2017, 10:02:15 AM
CitazioneCome al solito gli atteggiamenti pilateschi politicamente corretti che pretenderebbero di essere equidistanti fra vittime e aggressori servono solo a mascherare la verità sostanziale dei fatti, a tutto vantaggio dei secondi e a discapito delle prime (come fanno quelli che sostengono che siccome anche i partigiani hanno -sia pur raramente- commesso, nelle terribili condizioni in cui erano costretti a combattere, qualche errore e anche qualche crimine, allora stare con la Resistenza contro il Nazifascismo non farebbe altro che creare conflitti utili al proprio ego ma poco a trovare soluzioni).

Anche ammessa -ma non concessa da parte mia- l' interpretazione decisamente naif e caricaturale della storia dell' Africa subsahariana prima del colonialismo europeo e della tratta degli schiavi (quella vera, non quella con spudorata falsità e scarso senso delle proporzioni nella drammaticità degli eventi correntemente attribuita agli "scafisti"), anche prescindendo dal fatto che la condizione dell' Egitto (...a proposito di << latitanza di concetti fondanti ciò che noi definiamo "civile" o il suo "naturale sviluppo" >>), della Libia, dell' Algeria e del Marocco e ciò che hanno subito dall' imperialismo occidentale non é poi troppo diversa, la loro vera o presunta (e comunque relativa) "arretratezza" non comportava certo le inaudite violenze e la terribile la miseria conseguente le forsennate ruberie che l' occidente ha arrecato e arreca loro (ovviamente oltre a non giustificare di certo le aggressioni imperialistiche e la violenza disumana con cui sono state e sono condotte).

Prima che arrivassero gli imperialisti occidentali, anche (ammesso non concesso) senza la ruota e i <<
concetti fondanti ciò che noi definiamo "civile" o il suo "naturale sviluppo">>, le popolazioni d quei paesi vivevano tranquillamente in discreta armonia, "accontentandosi" (a considerare la cosa dalla prospettiva occidentale) di quel che le loro civiltà offrivano loro, nei loro territori non devastati e rapinati; non si trovavano affatto nelle condizioni infernali di violenza e fame in cui le ha gettate e le tiene l' imperialismo occidentale.

E poi, chissà perché fin che c' era il benemeritissimo muro di Berlino e i rapporti di forza a livello internazionale limitavano la potenza dell' imperialismo e i paesi socialisti conducevano "politiche economiche estere" (per dirlo in tre parole) ben diverse da quelli occidentali, di autentica collaborazione allo sviluppo, l' emigrazione dall' Africa aveva proporzioni (e motivazioni: sostanzialmente la ricerca della ricchezza da parte di privilegiati che potevano permettersi di studiare in Occidente) ben diverse, non assolutamente paragonabili a quelle di questi anni di "nuova restaurazione" ? ! ? ! ? !
Non c'è nulla di pilatesco nel richiamare ad una maggiore ricchezza di analisi, perchè l'intento non è quello di lavarsene le mani ma di sporcasele davvero. E' interessante che usi la Resistenza come metafora, probabilmente avrai letto anche tu della notizia della lapide voluta per la bambina "fascista" stuprata dai partigiani e osteggiata dall'Anpi. Si son queste brutture umane che si cercano di evitare e che nascono solo dalla partigianeria più bieca e finiscono per ritorcersi contro anche chi munito di buone intenzioni, le persegua tramite la truffa ideologica. L'Africa è un continente fatto di realtà estremamente diverse, e non esiste nessun analisi verosimile che inizi con la parola "Africa" e finisca con una tesi, mettere sulla stessa barca africa mediterranea, africa subsahariana, africa equatoriale e corno d'africa non è meno razzista di tante altre ben più deleteree teorie, perchè l'unico comun denominatore è forse il fatto che sono scuri di pelle. Si poi certo i raccoglitori di bacche vivevano in armonia e pace prima dell'uomo bianco, boscimani e ottentotti si spellano da dodici secoli, ma anche se fosse vero a che soluzione ipotetica porterebbe? Ad una gigantesca riserva naturale esclusa dal mercato dove i suddetti possono raccogliere radici (e massacrarsi) in pace senza la spada di damocle del capitalismo? Parliamone, è già stata proposta la "Safari-Africa", il land grabbing è partito anche da li. Suppongo che il riferimento al muro di Berlino sia ironico, essendo che il "terzo mondo non allineato" è nato proprio in funzione di quel miraggio assurdo di equilibrio teorico tra blocchi che vedeva al terzo mondo come un parco giochi di conquiste di elementi non protetti dagli scudi nucleari. La "vera cooperazione" in Afghanistan, in Vietnam, della Corea .. non ti preoccupare non c'è bisogno di essere nostalgici, oggi c'è "vera cooperazione" in Ucraina, perchè il muro c'è ancora anche se si è spostato, e porta sempre grandi doni e balocchi ove passa.


@Anthonyi , quando parlo di "nazionalismo" mi riferisco  al nazionalismo civico moderno, non certo a quello di inzio novecento di cui sicuramente i tuoi discorsi non possono essere accusati.
#3888
Attualità / Re:Africa: come aiutarli a casa loro?
15 Settembre 2017, 10:02:15 AM
Come al solito gli estremi di posizione non fanno altro che creare conflitti utili al proprio ego ma poco a trovare soluzioni, queste continue bordate tra "terzomondisti" e "nazionalisti" ci allontanano sempre di più dalle soluzioni concrete. Se è pur vero che l'africa ha subito il peggio del colonialismo europeo, è anche vero che hanno "scoperto" la ruota nel diciannovesimo secolo e che la cultura subsahariana latita di concetti fondanti ciò che noi definiamo "civile" o il suo "naturale sviluppo". Pensare che tagliare i lacci coloniali significhi automaticamente il fiorire di società rigogliose (Sopratutto dopo secoli che gli "vendiamo bottiglie"  ma non gli "insegnamo a farle") è quanto di più naif si possa pensare, e le soluzioni delle controparti nazionaliste-paternaliste sono altrettanto assurde. E' un problema complicato che non si risolve con gli slogan, e infatti finora è lungi dall'essere risolto, ed entrambe le posizioni dovrebbero semplice fare un po di autocritica visti i risultati ottenuti.
#3889
Tempo permettendo sto leggendo con interesse, intervengo solo per farvi notare che "rotondo" non significa "sferico", la terrà è rotonda, non è sferica. Continuo a leggerlo e fa male agli occhi.
#3890
Tematiche Filosofiche / Re:Essere o non essere
09 Settembre 2017, 11:51:22 AM
La discussione è andata un po fuori dai binari che avevo tracciato, mea culpa, avendo pochissimo tempo in questi giorni avrei dovuto aprirla quando potevo seguirla. Pierini tendi a monopolizzare un po i topic con la tua questione archetipica, sicuramente interessante, ma in contesto linguistico più adeguata ad una discussione riguardante l'origine del linguaggio (sia storico che individuale). In ogni caso ti manca da spiegare come in 175 lingue su 385 ad oggi catalogate, il verbo "essere" manchi, evidentemente a dimostrare come a questo livello di astrazione, la linguistica sia già convenzione e ben distante da quell'afflato "naturale" su cui tuttivia concordo perlomeno a livello basico. Per intraprendere un discorso come quello da te proposto dovremmo evitare di menzionare verbo essere e trattarlo su base logico-linguistica, ovvero come funzione, perchè una volta che si manifesta come "verbo" compiuto la questione diventa molto più complessa di un origine archetipica (basta pensare ai tempi nella sola lingua italiana, come l'imperfetto ipotetico che non assicura la certezza dell'evento, e la differenza con i tempi delle altre lingue, per cadere in un ginepraio di una complessità tale che richiederebbe certamente un linguista di professione). Tuttavia mi permetto di suggerirti di  approfondire le tue conoscenze riguardo alla lingua protoindoeuropea ricostruita, che forse per il suo livello di rudimentalità ben si presta alle tue intuizioni archetipiche.

Se è  di interesse continuare il topic, proporrei una svolta verso la seconda parte del mio incipit, ovvero essere come identificazione e le problematiche che scaturiscono da esso. Ogni volta che vado in aeroporto mi viene chiesta la carta d'identità, io vorrei obbiettare "di identificazione" ma so che l'ufficiale non capirebbe. Capiva invece Bertrand Russel, che in prigione scrisse "E' una disgrazia per il genere umano che si sia usato "è" per due idee completamente differenti". E' davvero una disgrazia?
#3891
Tematiche Filosofiche / Re:Essere o non essere
05 Settembre 2017, 17:23:54 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 05 Settembre 2017, 09:47:44 AMinfatti l'abbreviazione K. viene ideata proprio per diminuire il lavoro da fare col cervello o con la tastiera, col risultato di favorire la smemoratezza. È facile rendersi conto che la smemoratezza è amica della presunzione, l'opposto dell'umiltà.
Ti sbagli, l'ho "inventata" proprio per fare un meta-esperimento, o meglio fare un meta-scherzo, volevo vedere se avrebbe attechito nella discussione e vedere in quali contesti sarebbe stata usata una o l'altra forma. Volevo anche esclamare "K. non è Korzybski" ma l'hai fatto prima tu, e mi hai bruciato la battuta!  Cerca di essere meno perspicace per favore.
CitazioneE dove sta scritto che esiste una incommensurabilità fondamentale tra soggetto e oggetto del discorso? Se così fosse, tutto quello che hai scritto tu (e K) sarebbe a sua volta incommensurabile con la realtà epistemologica che tenti di descrivere. Se invece vuoi che qualcuno prenda in considerazione ciò che dici, devi pre-supporre la possibilità che il tuo linguaggio (soggettivo), la tua mappa, possa rispecchiare fedelmente l'oggetto.

Ma allora, se la logica stessa del linguaggio ti obbliga a presupporre la possibilità della verità (pena l'auto-contraddizione), non sarà che la nostra idea di linguaggio, inteso come un'invenzione arbitraria e convenzionale dell'uomo, che nulla avrebbe a che vedere col mondo, è un'idea sballata e che esso, alla stregua di tutti gli altri simboli (il linguaggio è simbolo), faccia invece parte della Natura (nel senso pagano di materia+spirito) e che emerga da essa come potenziale immagine speculare della Natura stessa? Non sarà proprio questo il senso dell'intuizione religiosa secondo cui "in principio era il Verbo, per mezzo del quale tutto è stato fatto"?. E non sarà proprio questo il senso anche dell'idea leibniziana che vede una "armonia praestabilita" (almeno potenziale) tra linguaggio e cosa, tra soggetto e oggetto? ...Oppure dell'idea platonica secondo la quale ogni ente sensibile discende da un corrispondente "modello celeste" (l'archetipo), fatto della stessa sostanza delle idee (cioè del Verbo)? ...Oppure il senso delle credenze, diffuse in tutto l'arco spazio-temporale della nostra tradizione mitico-religiosa, secondo le quali...
Per quanto ne so io di linguistica è una questione estremamente attuale e divisiva, non solo l'origine storica del linguaggio ma l'origine in ogni singolo individuo, siamo abituati e magari ci spazientiamo se il bambino "ancora non parla" ma la realtà è che è di fronte all'ostacolo più grande, quello che nella natura conosciuta nessun altro supera. Proprio per questo ho difficoltà di credere che faccia parte di quello che generalmente consideriamo il dominio naturale, perchè il linguaggio è il mattone con cui si costruisce tutto ciò che normalmente non è considerato naturale ma artificiale (ma tutto questo potrebbe essere una semplice incomprensione riguardo alla parola natura, a cui peraltro io non attribuisco la maiuscola a differenza tua, e quindi ho il forte sospetto che sia così). Però tu prendi il linguaggio come una specie di corpus conoscitivo calato dall'alto (o di riflesso) tuttavia il suo sviluppo non sembra esattamente cosi lineare da poter far supporre  ciò. Per esempio, prima del "soma" greco non esisteva una parola per definire "corpo" (corpse in inglese ancora ancora significa "cadavere"  a memoria del fatto che importarono la parola senza avere il concetto sotteso), come mai alcune lingue ancora per dire "corpo" sono costrette ad elencare i propri arti ed amenicoli? Non sono stati baciati dalla natura? Eppure è una parola piuttosto importante. In russo generalmente "essere" si omette, non dico che non ci sia, è sottinteso, ma sistematicamente viene omesso in quanto "ovvio", se  dici "sono a Mosca" i moscoviti capiranno subito che non sei uno dei loro. Come mai il riflesso del "Verbo" (che è logos) è cosi ondivago? Per non parlare di strutture linguistiche estremamente diversificate che hanno poco o niente della lingua "moderna". Se la risposta è che la linguistica è una convenzione, allora sei sulla mia stessa barca, ma allora la (N)atura non c'entra niente con le convenzioni, senza perciò negare che vi sia un "quid" innato che predispone l'uomo alla vocalizzazione e all'astrazione. Un esempio diverso è che tutto il mondo conta base dieci, da qualche anno un simpatico gruppo di matematici ha proposto di passare a base dodici, perchè dodici è multiplo di più numeri e molte più frazione di esso evitano i "fastidiosi" decimali. Purtroppo abbiamo dieci dita, e almeno ai bambini (almeno fino a qualche anno fa) fanno comodo per contare. Immagina due universi paralleli, uno dove si conta in base dieci e uno in base dodici, io ti chiedo, quale dei due è riflesso del "Verbo" e quale "semplice convenzione"? Tu dirai quello base dieci, dieci sono le dita, dieci è la natura. Io poi ti farò notare che le quattro dita lunghe hanno dodici spezzoni, è che base dodici era usato anche nel tuo universo (unità di misura non metriche) e che anche l'universo base dodici era nato per per riflesso della natura. Ho paura che non ne usciremo vivi :) Peraltro, non per infierire, ma visto che citi il il palazzo di Ceylon, l'idea  di inizio novecento che l'architettura sacrale fosse cosi costituita per riflettere o comunicare un messaggio ontologico, è davvero bislacca, visto che la ricorrenza più comune è la forma fallica, dovremmo trarre per deduzione che la sacralità è una forma di sessualità repressa, quindi al posto di Jung dovremmo cominciare a citare  Freud e a Jung non piacerebbe ;)
#3892
Tematiche Filosofiche / Re:Essere o non essere
04 Settembre 2017, 14:38:00 PM
Citazione di: Sariputra il 04 Settembre 2017, 10:36:32 AM
Mah!...Non so se ho capito bene ma, a parer mio:
Se facciamo gli occidentali siamo occidentali.
Se facciamo i materialisti siamo materialisti.
Ossia , la pratica determina quello che sei. Posso infatti pensare, per esempio, di essere generoso ma non praticare la generosità. Se viceversa pratico la generosità, anche senza pensare di essre generoso, sono generoso.
"La mappa non è il territorio" ma senza territorio dov'è la mappa?
In realtà nelle retoriche difensive viene evidenziato spesso il contrario, ovvero che un azione non qualifica la persona (fare una cosa intelligente non significa essere intelligenti), e tante altre "fallacie logiche" derivate a cascata (la più famosa, indentificare un gruppo attraverso individui). Io però ho usato verbi che descrivono azioni ripetute (comportamento) e quindi tu puoi affermare che la ripetizione di un azione sia capace di tratteggiare una persona. Facciamo una cosa, prima di andare avanti cerchiamo di capire cosa dice K. e specifico (per Paul) che per ora, finchè la questione puramente linguistica non sarà meglio definita vorrei cercare di non allontanarmi troppo.
Il punto è che (secondo K.) nelle affermazione di identità il soggetto e l'oggetto appartengono a due livelli di astrazione (linguistica) differente, e perciò sono incompatibili e non possono essere considerati equivalenti (cioè non sono uno l'altro). Ci intendiamo riguardo al livello di astrazione? La mappa è un oggetto, e appartiene al dominio del reale, il territorio è un astrazione e appartiene al dominio verbale. Per dirla in maniera spicciola è come dire che 1kilo pane è 1 metro di farina, le due non solo non si equivalgono ma non interagiscono nemmeno tra loro. (e' un esempio fuorviante in realtà, perchè entrambe fanno parte dello stesso dominio e la diversità di dominio è rappresentata dalla diversità di unità di misura)
K. a questo punto suggerisce come soluzione "tenere a mente" che anche "mappa" nel caso della comunicazione entra nel dominio verbale, e perciò non è la mappa ma la "parola mappa" Secondo me invece, anche se si può "tenere a mente" la realtà è che le due parole continuano ad avere un ordine di astrazione diverso .
Immagina di fare un esperimento, e chiedere a mille persone di disegnare "una mappa", il risultato sarà vario entro un certo livello, perchè si tratta comunque di un oggetto con determinate caratteristiche ricorrenti e tangibile nella realtà. Ora immagina di chiedere di disegnare "un territorio" e vedrai la varietà interpretativa della parola è grandemente superiore.  Questo deriva dal fatto che i due sostantivi appartengono a due livelli di astrazione linguistica diversa, e per questo motivo l'essere identità è improprio.

@Green Demetr, anche io sono al lumicino con il tempo, ti rispondo più avanti.
#3893
Tematiche Filosofiche / Essere o non essere
04 Settembre 2017, 08:46:35 AM
Ultimamente nel forum spiritualità compare questa locuzione in maniera molto capillare : "la mappa non è il territorio" allora mi sono chiesto quanti di voi siano disposti ad accettarne il significato esteso. Il dictum di Korzybski infatti riguarda specialmente il verbo "essere"  utilizzato per definire identità, che lo stesso K. riteneva essere principalmente una fallacia logica dove due termini di diverso livello di astrazione vengono fatti equivalere indebitamente. Come soluzione egli proponeva di utilizzare essere identificativo solo in forma negativa, di qui, la famosa frase.
Penso che in un momento storico dove il perno politico del mondo ha a che fare profondamente con l'identità, questo tipo di discussione sia quanto meno doveroso. Noi siamo occidentali o facciamo gli occidentali? Noi siamo materialisti o ci comportiamo da materialisti? Oppure dovremmo identificarci per negazione di ciò che non siamo? E' inutile dire che questa è tutt'altro che una querelle linguistica, perdere il verbo essere per definire identità significa perdere la maggior parte del vigore che determinati strumenti retorici possiedono, a scapito di una comodità che secondo K. è semplicemente contraddittoria. Definire identità per negazione, è non solo scomodo, ma anche tremendamente "impreciso", per definirci finiremmo a fare come si faceva nelle edda norrene dove il nome proprio era preceduto da uno stuolo di parenti. Io ho postato in filosofia ma in realtà gli sviluppi di questo tema sono pressochè illimitati ad ogni campo (per questo l'ho ricondotto al dilemma amletico), nel caso del determinismo linguistico ad esempio dovremmo aspettarci che con un po di pratica nell'evitare l'utilizzo improprio di essere, la nostra prospettiva del mondo cambierebbe drasticamente, chissà come.
#3894
Tematiche Spirituali / Re:Riti della spiritualità umana
02 Settembre 2017, 10:44:12 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 01 Settembre 2017, 19:14:51 PMTrovo utile per il discorso il tuo riferimento alle parole. Lo scopo iniziale che avevo espresso in partenza era di tentare di essere più attivi verso le ritualità della nostra esistenza, piuttosto che viverle passivamente, qualunque esse siano. Ora, mi sembra che un luogo essenziale in cui porre in atto questo tentativo sia quello delle parole. La parola, in quanto segno o simbolo, mi sembra avere una caratteristica che nessun altro tipo di segni o simboli possiede: essa è in grado di contenere in sé sia il razionale che l'irrazionale e favorisce più di ogni altra cosa il dialogo fra entrambi. Probabilmente è stata l'intuizione di questa capacità della parola a farla essere per alcune religioni un oggetto centrale della ritualità, un elemento sacro. Mi riferisco alle tre religioni Ebraismo, Cristianesimo e Islam: tutte e tre sono, tra l'altro, anche religioni del libro, cioè della parola, una parola considerata come rivelazione da parte di Dio.
Giustamente hai scritto anche che la parola, specialmente come testo scritto, lascia sistematicamente a desiderare: come tutti gli altri segni e simboli essa si presta al fraintendimento e al vuoto di significato. Non esistono garanzie di salvezza da questi problemi, ma non è detto che ciò che non garantisce salvezza non valga la pena di essere coltivato.
A questo punto, se vogliamo indagare sulle possibilità di lavoro attivo sulla parola come rito, credo che sarebbe fuorviante disquisire di scienze della parola, come per esempio semiotica, semantica, strutturalismo, scienze varie del linguaggio, sebbene esse siano delle discipline utilissime. Una ricerca sulla parola, come rito su cui tentare di agire attivamente, credo che, piuttosto che impiegare tutte le energie su questo tipo di studi scientifici, possa trarre molto frutto seguendo una via più intuitiva, che ritengo sia quella del collegamento con la persona. Insomma, allo stesso modo in cui, per trarre il massimo da una poesia, sebbene siano preziosissime tutte le scienze del linguaggio, una via essenziale sia quella di recepirla nella spontaneità della nostra umanità, così la parola in sé come rito può essere valorizzata esplorando il suo essere umana, detta o scritta da esseri umani e recepita da altri esseri umani. Questo non è altro che dire con parole diverse quello che già hai scritto tu: "bisogna scioglierle nuovamente entro se stessi". Questo scioglierle entro se stessi credo possa diventare un lavoro attivo, sebbene si tratti di un lavoro che deve fare attenzione a non trasformarsi in gabbia limitante. Una concetto di questo genere, vicino a quanto espresso, potrebbe essere quello di meditazione: la meditazione può essere considerata un lavoro che cerca di essere anche ascolto, anche passività.
Si sono d'accordo, mi sembra un contributo di buon senso. Poi il fatto che linguaggio e magia nei miei post siano affiancati è perchè nella mia prospettiva uno è la derivazione dell'altra e la parentela è cosi stretta da essere difficilmente definibile, la magia come derivazione metafisica delle metafore è una chiave di lettura cosi comoda da provocare non pochi sospetti, tuttavia dal mio punto di vista veritiera. Essendo tu un ex prete, avrai tu stesso somministrato tante ostie-sineddoche :) Per quanto riguarda ritualità e linguaggio, basti pensare che anticamente proibire una parola significava proibire l'accesso a una dimensione del reale ed era una punizione che in alcune culture veniva posta in essere da una casta religiosa, che nella maggioranza dei casi parlava una lingua diversa (comunemente considerata semplicemente "dotta", ma capace di dare accesso esclusivo a reami del reale altrimenti proibiti e articolati, e pericolosi se capitati in mani inesperte). Ricordo non diversamente che il papa che assistette alla traduzione in volgare e stampa in massa della Bibbia profetizzò che questo processo avrebbe avuto come unica conseguenza la fine della Chiesa. E poi mi viene in mente Arpocrate, il Dio del Silenzio, che veniva sovente posto all'entrata dei templi (con il caratteristico dito davanti alla bocca che ancora oggi usiamo) per ammonire che davanti al divino si doveva tacere. Nella ritualità spirituale quindi c'è anche un complesso meccanismo di potere istituzionalizzato, la privazione della parola è spesso un metodo di autoconservazione del potere temporale della casta religiosa e non ha nulla a che fare con un percorso spirituale cosciente. E' quindi normale che Carlo parli di "sacrificio intellettuale", perchè questa storicamente sopratutto in occidente è stata la deviazione principale del sacrificio spirituale. La riscoperta della spiritualità e delle sue forme rituali deve quindi prima partire, come giustamente ha considerato Demetr, da una riformulazione sociale della stessa, su un piano che ad oggi rimane quasi del tutto largamente inesplorato in occidente. E' anche per questo che tantissimi hanno volto lo sguardo verso l'oriente, i millenari regimi idraulici orientali hanno meno avvilito le qualità spirituali dei percorsi, avendone meno bisogno per controllare i popoli (Arpocrate compare tardi in un Egitto già in declino proprio per rafforzare il potere monarchico, a chi mi facesse notare che anche l'Egitto era una società idraulica).
#3895
Tematiche Spirituali / Re:Riti della spiritualità umana
01 Settembre 2017, 17:29:16 PM
Citazione di: green demetr il 01 Settembre 2017, 09:39:25 AM
Inverno ovviamente (spero tu l'avrai capito) io comprendo e faccio mio quello che hai scritto cos' bene sul mistero.
Ci tenevo particolarmente a dirlo.


Il mio intervento è relativo alla questione sociologica, o meglio comunitaria (che sarebbero poi la situzione attuale e quella utopica).

In un tempo dove la Scienza ha preso il posto di Dio, è difficile trovare spazio per il Mistero.

Inoltre il Mistero ha sempre più i caratti di un settarismo, orgoglioso e risentito, penso sopratutto alla Wicca e simili religioni sincretiche.

Difficile trovare gente come te, Carlo che stanno sulla doppia soglia tra lo scientifico e il misterico.
Ma in realtà il problema è sociologico, nel senso che la scienza ha preso il posto di Dio solamente in virtù del fatto che essa viene divulgata in questa maniera, come se ad ogni studio corrispondesse un tassello aquisito verso l'onniscienza, quando in realtà è esattamente il contrario e il problema sta in menti troppo abituate a trattare la verità come un manuale di sopravvivenza, e quindi ad assolutizzarla per i propri scopi. Non ricordo chi, disse che la scienza è come un isola artificiale dove gli scienziati scaricano tonnellate di sabbia. E' vero che l'isola man mano aumenta di diametro e di grandezza, ma è anche vero che i confini con l'ignoto (nella metafora, spiagge) diventano sempre più lunghi ed estesi. Se si passano le giornate nell'entroterra è difficile poi lamentarsi che non si vede il mare!

Ps. Carlo, concordo con il tuo ultimo intervento, io non contrappongo, e se schifassi la conoscenza non sarei qui a risponderti. Certo è un equilibrio labile e funambolico, bisogna prestare attenzione.
#3896
Citazione di: Carlo Pierini il 30 Agosto 2017, 11:59:40 AM
Queste sono le parole di un poeta di 2.500 anni fa, di un precursore dell'idea di "sacrificium intellectus", che ha portato la cristianità ai roghi della "Santa" Inquisizione. Mentre...

"L'uomo moralmente e spiritualmente emancipato della nostra epoca non vuole più seguire una fede o un rigido dogma. Egli vuole comprendere, e non meraviglia, dunque, che egli trascuri ciò che non capisce. Il simbolo religioso rientra tra le cose difficilmente accessibili alla ragione, perciò di regola è la religione la prima ad essere gettata a mare. Il sacrificium intellectus che la fede positiva pretende è un atto di violenza contro cui la coscienza degli spiriti evoluti si ribella".   [JUNG: Contrasto tra Freud e Jung - pg.141]

"La fede è un carisma (dono della grazia) per colui che la possiede, ma non è una via d'uscita per chi ha bisogno di capire qualche cosa prima di credere. Giacché infine anche il credente è convinto che Dio ha dato l'intelletto all'uomo e certo per qualcosa di meglio che per mentire e ingannare. Benché in origine si creda ai simboli in modo naturale, è possibile anche comprenderli, e questa è l'unica via per tutti coloro cui non è stato concesso il carisma della fede. [...] Il simbolo è stato ed è il ponte che conduce a tutte le più grandi conquiste dell'umanità".   [JUNG: Simboli della trasformazione pg. 231]

"La fede può comprendere un sacrificium intellectus (premesso che ci sia un intelletto da sacrificare), ma mai un sacrificio del sentimento. Così i credenti rimangono fanciulli, invece di diventarecome fanciulli e non conquistano la loro vita perché non l'hanno mai perduta".   [JUNG: Psicologia e religione - pg.493]
Penso che la conoscenza possa essere ottenuta e abbandonata, i concetti consolidati e poi disciolti, se non sbaglio dovrebbe essere una traduzione alternativa del passo che ho citato (purtroppo non ho accesso in questo momento). Non ho alcuna fiducia per le persone che non sorridono quando parlano (e il mezzo scritto in questo lascia sistematicamente a desiderare), il sorriso sta a significare che si è consci che le parole sono parole, ma una volta ascoltate non bisogna prenderle troppo sul serio, bisogna scioglierle nuovamente entro se stessi. Lo stesso penso di "ciò che si può imparare". Non si tratta di sacrificare il proprio intelletto, ma di sapere usare la mente come la mano, poterla aprire e chiudere a piacimento, anzichè vivere in uno stato di continua diarrea mentale, un flusso di informazioni continuo. Ora io sono  una persona estremamente anti-rituale, aborro e detesto la ripetizione, per correttezza dovrei persino evitare di scriverne. Tuttavia a volte capita. Per esempio sono un modestissimo apicoltore, e alla mattina dopo colazione tempo permettendo faccio una passeggiata dagli alverari. Ho le conoscenze base per capire che cosa sta succedendo (anche se ultimamente la materia si è fatta anche scientificamente misteriosa) e queste mi sono utili per operare nell'alveare. Ma se voglio meravigliarmi di questi insetti stupendi e provare un senso di comunione con essi devo abbandonare queste conoscenze, svuotare la mente, osservarli come se non sapessi nulla di loro, a partire dal semplice fatto che permanere li potrebbe fornirmi una poco meravigliosa puntura. Allora diventa possibile abbandonare la paura, lanciarsi nel baratro del mistero, camminare con le api nelle mani e nei capelli senza che esse ti pungano. Jung ha fatto una missione della sua vita il "capire" mappe disegnate per "sentire", ammirevole, ma è come usare una ruota per volersi sedere.
#3897
Citazione di: Carlo Pierini il 30 Agosto 2017, 10:59:44 AM
Citazione di: InVerno il 30 Agosto 2017, 09:41:23 AM
Citazione di: green demetr il 29 Agosto 2017, 23:07:30 PME' inutile vagheggiare ad un ritorno nel mondo magico.
Io ...mi riferivo alla riverenza verso il mistero, alla distanza necessaria alla contemplazione e al successivo senso di sacralità, di "potere superiore", lungi dall'inventarsi spiegazioni!  

"L'ipotesi dell'esistenza di un Dio assoluto, al di là di ogni esperienza umana, mi lascia indifferente; né io agisco su di Lui, né Lui su di me. Se invece so che Egli è un possente impulso nella mia anima, me ne devo interessare".  [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.59]

"Nel definire Dio o il Tao come un impulso dell'anima o uno stato psichico, ci si limita a compiere una asserzione su ciò che è conoscibile, e non invece su quanto è inconoscibile, intorno al quale non potremmo affermare assolutamente nulla".[JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.63]
E' paradossale che citi il Tao

Chi si dedica allo studio ogni dì aggiunge,
chi pratica il Tao ogni dì toglie,
toglie ed ancor toglie
fino ad arrivare al non agire:
quando non agisce nulla v'è che non sia fatto.
Quei che regge il mondo
sempre lo faccia senza imprendere,
se poi imprende
non è atto a reggere il mondo.

P.s. Angelo, scusa per averti frainteso.
#3898
Tematiche Spirituali / Re:Una visione ...zodiacale!
30 Agosto 2017, 09:58:59 AM
Citazione di: Sariputra il 29 Agosto 2017, 14:59:15 PMLa domanda però è: quanto siamo ingannati dalla nostra mente anche nelle nostre "abilità percettive/cognitive" diciamo...ordinarie?
Concordo con il resto dell'intervento, a questa domanda tuttavia non so rispondere, penso che vi sia una relazione diretta tra la quiete del nostro animo e la capacità di trarre deduzioni corrette dalle nostre percezioni, più siamo in quiete più siamo affidabili. E' una questione anche abbastanza "consolidata" in ambito giuridico, dove i "testimoni oculari" di fatti violenti valgono veramente poco in sede processuale, perchè abbiamo imparato con l'esperienza che più le  persone sono irrequiete più la loro percezione diventa inaffidabile. Tuttavia diffido da applicare questo metro alle allucinazioni (come tu stesso avevi proposto) per il semplice fatto che considero lo stato alterato di coscienza come l'esatto opposto della quiete, anche se c'è un rilascio di endorfine e si prova un illusorio senso di quiete, è una quiete artefatta dall'illusione stessa, anzichè dal proprio equilibrio psicofisico, io credo.
#3899
Citazione di: green demetr il 29 Agosto 2017, 23:07:30 PME' inutile vagheggiare ad un ritorno nel mondo magico.
Ne sono assolutamente convinto, ma la magia è la violazione del mistero, è la gnosi che lo razionalizza, a partire dalle forme più antiche (magia simpatica) fino alle forme più recenti (magia teologica). Ma non mi sorprendo che tu l'abbia menzionata,  oggi come oggi una prospettiva antimagica viene inevitabilmente etichettata come atea o materialista, negare un miracolo è immediatamente sintomo dell'incapacità di comprendere un "bene oltre" alla materia. Io invece mi riferivo alla riverenza verso il mistero, alla distanza necessaria alla contemplazione e al successivo senso di sacralità, di "potere superiore", lungi dall'inventarsi spiegazioni!  Io per esempio lo trovo guardando le stelle, e come in parte esplorato in altri topic, parebbe che l'inizio della ritualità sia partita proprio da li, dal mistero del cosmo, uno dei pochi che che è rimasto disponibile al sensibile anche se nettamente affievolito (ho una certa sicurezza che una cometa non mi prenderà in testa mentre lo contemplo ;) ). Ma si potrebbe anche solo considerare i misteri Eleusini a cui anche Platone prese parte, per ricordare che in qualche modo alla ritualità antica erano sempre collegati alterazioni degli stati di coscienza, enteogeni o endogeni, forse perchè portare il caos nella propria coscienza ci faceva illudere di essere parte più vera del "grande caos". In generale, se non si vuole relegare la questione all'antichità, io proporrei allora un altro tipo di distinzione: a) Il rito sacrale b) il rito celebrativo. Dei secondi fanno parte istituzioni moderne, religiose e laiche, olimpiadi e chi ne ha più ne metta, ma che collegamento esse abbiano con la spiritualità (intesa come ricerca di salvezza o "bene superiore") non mi è ben chiaro, che qualcuno si senta spiritualmente accresciuto il giorno della festa della repubblica mi pare quantomeno bizzarro. Lo stesso potrei dire di una ritualità "progettata" a tavolino come l'elemosina giornaliera, che è sicuramente un buon gesto che pure io ogni tanto pratico, ma non credo abbia alcuna valenza spirituale. Dov'è la vertigine del baratro spirituale?
#3900
Tematiche Spirituali / Re:Una visione ...zodiacale!
29 Agosto 2017, 14:09:21 PM
Citazione di: Sariputra il 28 Agosto 2017, 09:54:43 AM
Citazione di: InVerno il 28 Agosto 2017, 09:17:36 AM
Citazione di: Sariputra il 27 Agosto 2017, 19:03:35 PMInVerno scrive: Se dovessimo prendere sul serio tutte le allucinazioni (pertanto non volute) saremmo in gravi guai.. Credo ci sia una certa differenza tra allucinazione e visione. Nell'allucinazione il soggetto è inconsapevole che sta percependo qualcosa di irreale e anzi non dubita minimamente che quello che sta percependo lo sia, visto che l'allucnazione quasi sempre si sovrappone all'ambiente reale. Nella visione invece il soggetto è consapevole che sta percependo qualcosa di inconsueto e si mette in posizione critica verso l'oggetto della percezione.
Ho come l'impressione che una persona in stato allucinatorio non abbia la facoltà di definire questo confine, la sua "posizione critica" potrebbe essere infatti frutto dell'allucinazione stessa ed essere parte fondante dell'illusione. Non diversamente dai cosidetti sogni lucidi.

C'è anche una profonda differenza sul piano della reazione fisica ai due eventi che, a parer mio, ne dimostrano la diversità d'origine. L'allucinazione crea sempre agitazione nel corpo. La persona che vive un'allucinazione si immedesima con essa e tenta di interagire con la visione percettiva distorta. Viceversa la visione , che quasi sempre sorge in conseguenza di stati di forte concentrazione, ma può essere spontanea in determinati individui predisposti, lascia un senso di calma (samatha) e di forte consapevolezza, come se la mente fosse diventata "più affilata di un coltello".
Cerchiamo di fare chiarezza, io non metto in dubbio la questione etimologica, capisco la differenza terminologica, quello che mi crea qualche dubbio è che il fatto che esistano parole per descriverle non significhi automaticamente esista questa differenza. Ho vissuto in prima persona, e visto in terza altre persone avere, allucinazioni\visioni, non solo non mi ritrovo con la tua descrizione "crea sempre agitazione", che non penso sia vero, ma rimango molto dubbioso sulla reale possibilità di esprimere un confine tra le due cose e sospeno semplicemente il giudizio. Il fatto è che se c'è una cosa di cui bisogna diffidare sono le nostre abilità percettive\cognitive..