Secondo me una riflessione critica è efficace se:
Primo, è realmente critica, ovvero contiene effettivamente del pensiero anziché la riproduzione di contenuti culturali innocui veicolati dallo stesso sistema; ma qui si apre la questione di che cosa significa pensare; io seguo la tradizione secondo cui pensare è differente dal conoscere, quindi non riguarda la verità ma i significati, il senso; qui sta la distinzione tra una riflessione di tipo scientifica (interessata alla verità del fenomeno) e una riflessione filosofica.
Da questo punto di vista l'esercizio filosofico diventa la base imprescindibile da cui solo può prendere avvio il cambiamento (ma allora, all'interno della filosofia stessa diventa fondamentale la coscienza che ridurre l'approccio ad essa a semplice studio di tradizioni significa neutralizzarne il carattere sovversivo e fare il gioco del sistema).
Secondo, diventa efficace e quindi porta ad un reale cambiamento quando si fa azione politica.
È stato citato Carl Schmitt. Secondo Schmitt l'essenza della politica è determina dalla presenza della distinzione amico-nemico. Quindi il punto è: coloro che elaborano separatamente la critica sono capaci di riconoscersi in un raggruppamento e portare avanti la lotta fino alla realizzazione di mutamenti reali?
Osservando che fine fa la quasi totalità delle esperienze comunitarie (prendendo queste esperienze come un tentativo di critica potenzialmente efficace nei confronti del sistema politico-sociale-economico attuale) mi sembra di poter rispondere di no...
Primo, è realmente critica, ovvero contiene effettivamente del pensiero anziché la riproduzione di contenuti culturali innocui veicolati dallo stesso sistema; ma qui si apre la questione di che cosa significa pensare; io seguo la tradizione secondo cui pensare è differente dal conoscere, quindi non riguarda la verità ma i significati, il senso; qui sta la distinzione tra una riflessione di tipo scientifica (interessata alla verità del fenomeno) e una riflessione filosofica.
Da questo punto di vista l'esercizio filosofico diventa la base imprescindibile da cui solo può prendere avvio il cambiamento (ma allora, all'interno della filosofia stessa diventa fondamentale la coscienza che ridurre l'approccio ad essa a semplice studio di tradizioni significa neutralizzarne il carattere sovversivo e fare il gioco del sistema).
Secondo, diventa efficace e quindi porta ad un reale cambiamento quando si fa azione politica.
È stato citato Carl Schmitt. Secondo Schmitt l'essenza della politica è determina dalla presenza della distinzione amico-nemico. Quindi il punto è: coloro che elaborano separatamente la critica sono capaci di riconoscersi in un raggruppamento e portare avanti la lotta fino alla realizzazione di mutamenti reali?
Osservando che fine fa la quasi totalità delle esperienze comunitarie (prendendo queste esperienze come un tentativo di critica potenzialmente efficace nei confronti del sistema politico-sociale-economico attuale) mi sembra di poter rispondere di no...
