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Messaggi - Kobayashi

#391
Tematiche Filosofiche / Re:Questione sulla critica.
23 Settembre 2018, 08:40:16 AM
Secondo me una riflessione critica è efficace se:
Primo, è realmente critica, ovvero contiene effettivamente del pensiero anziché la riproduzione di contenuti culturali innocui veicolati dallo stesso sistema; ma qui si apre la questione di che cosa significa pensare; io seguo la tradizione secondo cui pensare è differente dal conoscere, quindi non riguarda la verità ma i significati, il senso; qui sta la distinzione tra una riflessione di tipo scientifica (interessata alla verità del fenomeno) e una riflessione filosofica.
Da questo punto di vista l'esercizio filosofico diventa la base imprescindibile da cui solo può prendere avvio il cambiamento (ma allora, all'interno della filosofia stessa diventa fondamentale la coscienza che ridurre l'approccio ad essa a semplice studio di tradizioni significa neutralizzarne il carattere sovversivo e fare il gioco del sistema).

Secondo, diventa efficace e quindi porta ad un reale cambiamento quando si fa azione politica.
È stato citato Carl Schmitt. Secondo Schmitt l'essenza della politica è determina dalla presenza della distinzione amico-nemico. Quindi il punto è: coloro che elaborano separatamente la critica sono capaci di riconoscersi in un raggruppamento e portare avanti la lotta fino alla realizzazione di mutamenti reali?
Osservando che fine fa la quasi totalità delle esperienze comunitarie (prendendo queste esperienze come un tentativo di critica potenzialmente efficace nei confronti del sistema politico-sociale-economico attuale) mi sembra di poter rispondere di no...
#392
Tematiche Filosofiche / Re:Mazzarò è malvagio?
22 Settembre 2018, 15:33:10 PM
Diciamo che si giudica forse l'ingenuità di pensarsi eterni o più duraturi come la roba inanimata che si è accumulato. Un'identificazione che nella sua caduta apre al terrore...
Ma in effetti anche l'identificazione con un lavoro che si vorrebbe concludere, con delle persone che si vorrebbe continuare a seguire etc.
E' il modo per dimenticarsi che si deve morire.
Diciamo che chi invece non ha niente e nessuno, chi cerca con fatica di sopravvivere anziché conquistare cose e costruire relazioni, è più abituato a immaginarsi il fatto reale della morte, potendone vedere anche l'aspetto positivo di termine definitivo delle sofferenze terrene.
#393
Tematiche Filosofiche / Re:Dove va l'umanità? Boh!
22 Settembre 2018, 11:45:55 AM
È prevedibile che l'essere umano all'apice della propria consapevolezza decida individualmente di non generare più figli. In fondo fare un figlio è un cedere all'istinto, alle emozioni, al bisogno di un impegno "biologico" (intuendo forse il pericolo dell'inconsistenza di impegni di diverso tipo, impegni ideali, sociali, politici etc.).
Quindi la questione la si potrebbe porre in questo modo: farà in tempo l'evoluzione culturale a condurre a questa consapevolezza portando all'inevitabile estinzione della razza umana prima che qualche catastrofe riporti il sapere a stadi primitivi e quindi di nuovo alla riproduzione indiscriminata?
#394
Percorsi ed Esperienze / Re:La tragicità greca
21 Settembre 2018, 08:05:29 AM
Per Acquario e Sariputra.
C'è differenza tra la fede religiosa e la scelta di fare propria una certa prospettiva filosofica.
Nel secondo caso, partendo da una visione pluralistica della realtà, pur abbracciando uno stile filosofico specifico, non si può avere la pretesa di essere nella verità assoluta.
Anzi, da una parte quello stile ci convince e quindi assume ai nostri occhi un certo valore universale, dall'altra, razionalmente, dobbiamo declinare questa presunzione.
È una condizione un po' paradossale, che ho cercato di rendere attraverso l'immagine di un percorso nel deserto il cui senso è definito da me, dal mio modo di guardare le cose (che è funzione dello stile filosofico abbracciato).
La religione, ed ogni sapere metafisico, invece, hanno la pretesa di indicarti, in quel deserto, la vera strada. Vera per tutti (anche se poi ciascuno la percorrerà con il proprio ritmo).

Mi pare ci sia differenza tra la convinzione di essere sulla strada che, unica, mi rivelerà la verità dell'uomo, di Dio, della vita dopo la morte, e la convinzione di percorrere un sentiero che ad ogni curva rischia di sparire e che per quanto ci entusiasmi sappiamo che non può portare da nessuna parte.
Due livelli di convinzione, due gradi di persuasione.
Uno metafisico-religioso, l'altro filosofico (che vorrebbe essere non metafisico).

Acquario, per quanto riguarda il tuo monito al mio tono nei confronti della religione: ti rassicuro, io non disprezzo affatto la religione. Se però tu e Sariputra ritenete di poter scherzare su quello che ho scritto, io penso di potermi anche concedere una battuta sulle "favole della religione". O no? 


Per Sileno.
Al di là di un uso possibile della filosofia come ascolto, chiarimento, riformulazione dei problemi, approfondimento con tematiche più ricche rispetto alle parole con cui si guardano le cose quotidiane, c'è anche una ricerca, da parte di molte persone culturalmente meno "attrezzate" di un sapere positivo, non solo critico.
Il bisogno di potersi affidare ad una scuola di pensiero, che sia anche prassi, stile di vita.
Ma da questo punto di vista l'approccio puramente critico finisce per respingere queste persone negli ambienti spirituali di ispirazione religiosa.
C'è cioè sia un bisogno di liberazione (per cui il pensiero critico o in generale lo scetticismo fanno il loro dovere), e un bisogno di saggezza (diciamo così...). Ma in questo caso la filosofia così come è concepita da molti oggi dovrebbe fingere di essere portatrice di un sapere edificante, di un sapere su cui si possa fondare una scuola filosofica.
Per questo motivo ho sempre avuto dei dubbi sulla possibilità della consulenza filosofica, al di là di esperimenti estemporanei anche interessanti, di prendere piede.
#395
Percorsi ed Esperienze / Re:La tragicità greca
20 Settembre 2018, 10:48:08 AM
Eppure l'ho scritto chiaramente: la filosofia non vuole salvare dalla morte, non pretende di salvare da quelle condizioni tragiche ma inevitabili di cui parlava Sileno nell'intervento iniziale. A differenza delle religioni.
Per quanto riguarda il carattere illusorio della filosofia: ovviamente il mio punto di vista filosofico per me non è un'illusione. Ma lo diventa quando mi immagino di aver trovato con esso la verità valida anche per voi.
Non sto dicendo di inventarsi una verità, sto dicendo che nel nostro cammino ci costruiamo una mappa, che certo ci da l'impressione di poter dar conto del territorio, ma è fatta da segni soprattutto significativi del punto di vista soggettivo.
Questi segni, intendiamoci, possono anche essere estratti da antiche tradizioni religiose.
Una certa esperienza culturale ci dovrebbe però impedire di urlare: ecco la Verità! E ora diamo inizio alle conversioni!
O forse voi volete tenervi la Verità ed essere quel tanto di relativisti da non dover subire l'invadenza delle 10mila chiese portatrici (autentiche, naturalmente) di una versione di essa?

Ps: sottovalutare l'interlocutore, forzarne la semplicità in modo che appaia come infantile, piuttosto che cercare di vedere il meglio delle sue argomentazioni, è un modo di discutere che fin dall'inizio esclude l'interesse e la comprensione della posizione dell'altro, rivelando che i propri interessi sono altri.
#396
Percorsi ed Esperienze / Re:La tragicità greca
20 Settembre 2018, 09:22:56 AM
L'idea stessa che ci possa essere una salvezza da vecchiaia, dolore e morte, è un'assurdità.
E infatti solo la religione con le sue fantasie se ne è occupata e continua ad occuparsene (però con sempre meno credibilità...).
Il tipo di salvezza proposto dalle filosofie è diverso: è l'esercizio di un certo tipo di sguardo e di un certo tipo di vita che lenisce non il dolore ma l'inquietudine per via dell'assoluta assenza di senso.
È un esercizio funzionale al rafforzamento di una prospettiva che ci "salva" dal non sapere nulla, illudendoci che il nostro cammino abbia una direzione.
Se ti aggiri nel deserto senza una meta forse è meglio iniziare a popolare di significati le rocce che incontri, gli avvallamenti, i pochi arbusti, così da inventarti una mappa – la quale non porta da nessuna parte ma è pur sempre meglio di niente... come dire, è la tua mappa!
#397
Tematiche Filosofiche / Re:Questione sulla critica.
20 Settembre 2018, 08:37:38 AM
Non mi convince per niente l'idea di predicare bene e razzolare male.
Sì forse ci saranno anche situazioni in cui convivere nel sistema significa poterne sfruttare il suo potenziale di diffusione per veicolare al meglio le idee critiche, ma la domanda che mi pongo è questa: chi è profondamente coinvolto in un'istituzione, coinvolto a livello di sostentamento, è realmente in grado di partorire pensieri veramente critici nei confronti di quella istituzione?
Dubito che Nietzsche se fosse rimasto all'università, o a Bayreuth, o avesse cercato di costruirsi un pubblico, sarebbe riuscito a elaborare un pensiero così radicalmente critico. Voglio dire, quelle idee non potevano che originarsi da una totale autonomia.
Finora in questi interventi si è discusso dell'efficacia della critica, se sia opportuno o meno rimanere all'interno del sistema etc., io mi chiedo invece quale sia la distanza necessaria a elaborare pensieri che siano veramente critici e non solo semplici sfumature (un po' più scure) già previste dai meccanismi di autosostentamento del sistema stesso.
#398
Tematiche Filosofiche / Re:Homo faber
17 Settembre 2018, 10:04:20 AM
Citazione di: Jacopus il 16 Settembre 2018, 10:55:33 AM... Prometeo ha donato la tecne' ma anche la "elpis", la speranza e fra le due e' quest'ultima, sorprendentemente a donare l'immortalita'. Eppure l'uomo contemporaneo si e' completamente affidato alla tecne' per restare immortale o per prolungare la sua permanenza, oppure si e' alienato dalla sua condizione terrena attraverso le religioni. La speranza e' in un certo senso il contrario della certezza. E' la phronesis, la prudentia contrapposta alla legge. La speranza e' il legame che ci unisce come specie o che ci dovrebbe unire e che dovrebbe contemporaneamente unirci al resto del pianeta. Tutto questo che scrivo ha delle conseguenze ben precise. Il predominio della tecnica, ad esempio, ha fatto prendere il sopravvento in campo psichiatrico di tutti gli studi che portano alle innovazioni farmacologiche, mentre tutto cio' che potrebbe essere sperimentato e studiato in campo psicologico-relazionale viene considerato alla stregua di "giochi per bambini". La tecne' unita all'avidita',determina questo sbilanciamento che, fra le altre cose, sottintende un altro messaggio: la sostanziale neutralita' dei sistemi sociali rispetto alla malattia mentale, cancellando cosi una tradizione medica che invece faceva risalire proprio alle distorsioni sociali, la malattia mentale. E' solo uno fra i tanti esempi delle conseguenze del predominio della tecne' sulla elpis.

Ma la speranza non è lo stato emotivo positivo che nasce dalla convinzione di poter cambiare le cose? E come potrebbe esistere senza la consapevolezza delle proprie capacità tecniche, della consapevolezza di avere la capacità di incidere concretamente nella realtà?
Forse Zeus ha donato all'uomo solo la tecne', e dal suo uso, dallo sguardo di ciò che possiamo fare con essa, ecco originarsi la speranza.
Speranza che viene poi estesa anche all'impossibile (per esempio l'immortalità) ma come desiderio eccessivo, mostruoso.
La questione della tecnica, contrapposta ad una presunta saggezza-sapienza dispersa sulla strada dell'entusiasmo per la vera potenza tecnico-scientifica, temo possa essere nient'altro che un mito della storia della filosofia.
C'è un solo uomo, spinto a trasformare continuamente la realtà, a migliorarla, a volte nelle vesti di faber, a volte in quello di religiosus, o più spesso assumendo posizioni intermedie.
#399
Forse l'angoscia per la morte nasconde un'angoscia peggiore che è quella che viene dall'imperativo a fare della propria vita qualcosa, con tutti i dubbi su quale forma darle, con la sensazione perenne che qualsiasi cosa si faccia si tratti in realtà di un inganno, di un tradimento della propria vocazione, la quale, col passare del tempo e delle esperienze, sembra destinata a rimanere un enigma irrisolvibile.
È il destino di un certo tipo di persone che si sentono straniere in questo mondo ma che non hanno più un dio a cui rivolgere la propria dedizione.
Sono (forse) nobili, elevate, ma sentono, col trascorrere degli anni, che la propria riserva di purezza, di integrità, si va pericolosamente esaurendo, e sentono approssimarsi la caduta.

In un brano di "Al di là del bene e del male" (par.55), Nietzsche parla di come nelle epoche preistoriche gli uomini sacrificavano al proprio Dio esseri umani, spesso proprio le creature più amate, i primogeniti. In seguito, nell'epoca morale, si passò al sacrificio degli istinti più forti, della propria natura.
"E infine, che cosa restava da sacrificare? Non si doveva finalmente sacrificare una buona volta tutto ciò che c'è di confortante, di sacro, di risanante, ogni speranza, ogni fede in una occulta armonia [...] ? Non si doveva sacrificare Dio stesso e, per crudeltà contro se stessi, adorare la pietra, la stupidità, la pesantezza, il destino, il nulla? Sacrificare Dio per il nulla - questo paradossale mistero dell'estrema crudeltà fu riservato alla generazione che proprio ora sta sorgendo: noi tutti ne sappiamo già qualcosa."
#400
Tematiche Filosofiche / Re:Homo faber
15 Settembre 2018, 16:57:28 PM
Secondo me non esiste un sapere disinteressato. Ogni sapere implica una prassi, anche se questa a volte è meno evidente rispetto alle discipline tecniche.
Anche una dottrina che si autodefinisce contemplativa ha un obiettivo, ed è quello di ottenere un cambiamento della mente, dello spazio interiore.
Religione, filosofia, spiritualità: tutte cose non poi così lontane dal sapere tecnico dei mestieri artigianali.
Quindi mi chiedo che senso possa avere un sapere umano che ci lascia "come gli uccelli che vivono volando senza sapere nulla e domandarsi nulla" (dando per scontato che gli uccelli vivono senza farsi domande: la cosa non solo non è affatto scontata, ma direi improbabile; osservare un animale che riflette a fondo per risolvere un enigma, per chi ha un cane o un gatto, è un'esperienza quasi quotidiana).
La spinta a ingegnarsi, che nell'uomo assume le forme più complesse, è una caratteristica che appartiene alla vita.
Forse ha ragione bobmax a estendere questa caratteristica anche alla materia inanimata.
Ripensare per esempio ai movimenti complessi che le macromolecole compiono all'interno della cellula mi lascia sempre stordito...
#401
Per paul11.
La lettura di un testo antico non è paragonabile ad un esperimento scientifico.
Non è come sezionare una rana per vedere cosa c'è dentro.
Si rispettano, certo, specifiche tecniche, ma alla fine c'è il lavoro interpretativo.
L'oggettivo di cui parli tu può essere per esempio un mito o un simbolo, isolato e "ripulito".
Ma è evidente che l'uomo non si avvicina a un testo sacro solo per essere messo al corrente di storielle bizzarre: vuole capirne il senso.
Basta pensare alla grande teologia simbolica della Patristica.
Letture allegoriche, anagogiche e via dicendo.
In questo ambito meglio tenere come riferimento l'ermeneutica piuttosto che l'onnipresente (in questo forum) metodo scientifico.

Per quanto riguarda il mio richiamo a Nietzsche volevo dire questo: fondamentale nella sua opera è il ripensamento di ciò che intendiamo per "verità". Quindi, visto che lo stai studiando, presumevo che i miei ragionamenti non ti apparissero così strani.
#402
Per Sariputra.
Sono senz'altro d'accordo sul fatto che ci sia il rischio di mollare troppo presto con la scusa che "non fa per me".
Ma il mio discorso (abbastanza off topic...) voleva rispondere proprio alla domanda: come si può andare fino in fondo in una dottrina spirituale se non ci sono più le condizioni culturali che fanno di quella "chiamata" qualcosa che si possa ancorare alla Verità?
Volendo evitare un approccio metafisico, non resta che iniziare ad addentrarsi nelle vicissitudini del soggetto.
Per esempio non porsi più la domanda: Dio esiste? Ma piuttosto: di quale Dio ho bisogno per diventare ciò che penso di essere destinato a diventare (santo, asceta, predicatore, guerriero, etc.)?
#403
Citazione di: paul11 il 13 Settembre 2018, 10:54:00 AML'autoinganno, nel contesto spirituale/religioso, lo si ha se si traggono giudizi senza sapere di cosa si parla. ............... Se una persona è interessata ad un argomento, acquista un libro, si informa, ecc. Ritornando all'esempio tuo sulla trinità, faccio un esempio per ipotesi. Acquisto un libro di un teologo, o "spiritualista" moderno, che mi da la "sua" interpretazione. Mi documento sull'autore e sui suoi riferimenti biblici che interpreta. Vado a verificare sul testo biblico che i riferimenti siano giusti. Appurerei di altre tesi di altri autori(che magari fanno parte di altre scuole di pensiero). ma comunque inizierei dal confronto che costò scomuniche al primo riferimento storico in cui nacque il concetto trinitario.

Non hai colto l'aspetto filosofico della questione.
È ovvio che una persona su un determinato tema si documenta.
Ma vedi, al di là di casi specifici, capita che ci si trovi con una pluralità di interpretazioni, tutte ben fondate.
Allora vuol dire, forse, che la scelta di fare propria una certa prospettiva ermeneutica non è basata solo sulla razionalità delle argomentazioni ma anche su qualcos'altro, qualcosa di non così puro e disinteressato, qualcosa che rimanda alle proprie esigenze vitali magari inconsce etc..
La consapevolezza di questo "resto" riporta la filosofia e le dottrine spirituali e religiose sulla terra.
E se anche vivo la mia fede come un assoluto, quel "resto" mi dice che quell'assoluto è un inganno.
Ma non stavi studiando Nietzsche?
#404
Per Sariputra.
Quando ho scritto niente morale intendevo niente morale agli altri, cioè niente discorsi edificanti indirizzati ad altri etc., nessuna dimostrazione invasiva della propria verità, nessuna aggressione ideologica.
Ma poi è chiaro che se ci si sente affini a una determinata spiritualità ci si confronta con essa, si cerca di vivere quella tradizione etc.

Sariputra, tu segui una determinata tradizione, giusto?
E credi che quella sia la verità? Che quindi tu hai ragione e per esempio un cattolico ha torto (nel momento in cui le sue idee si allontanano dalle tue)?
Sarebbe sopravvalutarsi un po'... Non credi?
Allora non resta che accettare il fatto che di verità ce ne sono un po', sparse nel mondo, e che ciascuno ne sostiene una per via di particolari affinità, si auto-inganna, almeno in parte, nel parlare della sua verità come di quella più robusta, e in parte sa invece benissimo che quella opposta è altrettanto solida e ben argomentata.
L'importante è che la propria verità serva alla propria vita, alla sua evoluzione.
Tant'è che nel momento in cui ci si sente soffocare da una determinata dottrina la si abbandona, e proprio allora ecco la propria razionalità sfornare tutta una serie di argomentazioni contro quella verità come se prima, nella fase ascendente di essa, fossero insostenibili.
#405
Citazione di: InVerno il 12 Settembre 2018, 20:41:10 PMLa fede va vissuta in pienezza, è una dedizione come dici tu, e non penso che sia un elemento prescidibile attraverso un autoinganno che è esattamente il contrario della pienezza della fede, o sbaglio? E questo non vale solo per i cattolici, ma per tutte le fedi del mondo io penso, non ve n'è una che suggerisca in qualche modo questa via. Ciò significa che quello che stai sostenendo più che una soluzione è una condanna per il credente che si approccia all'esegesi

Tu stai parlando del vecchio tipo di credente, che guarda caso, è una creatura in via d'estinzione.
Il tipo nuovo di credente non può più accettare la violenza dell'idea di Verità (così come ogni filosofo decente dovrebbe farlo), ma è chiamato ad aprirsi ad altre posizioni più sensate, per esempio interpretare la propria affinità con il Vangelo come il segno di un'elezione singola, valida solo per se', per il mistero della propria origine e come via per diventare qualcosa che inizialmente si intuisce solo vagamente.
Il che significa: niente morale, niente dimostrazioni teologiche, niente aberranti discorsi universali, ma solo ricerca del divino come se ci fosse solo lui e il suo dio.