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Messaggi - daniele22

#391
Tematiche Filosofiche / Re: I "veri e i "falsi" profeti
01 Settembre 2024, 22:31:02 PM
Citazione di: Eutidemo il 01 Settembre 2024, 17:01:40 PMRibadisco che Maometto, riconoscendo che Gesù era un autentico profeta, poichè lo stesso ha profetato che dopo di lui non ci sarebbero più stati veri profeti, è come se avesse ammesso che lui era un profeta fasullo! ;)

Oggi è festa grande! Liberate quell'impudente, togliete le armi  dalla sua casa e state attenti alle trappole che di sicuro ci saranno ... ah! Anche il porto d'armi, almeno quello legale
#392
Tematiche Filosofiche / Re: I "veri e i "falsi" profeti
01 Settembre 2024, 15:30:41 PM
Citazione di: Eutidemo il 01 Settembre 2024, 13:12:11 PM
Ed infatti, poichè Gesù aveva profetizzato che, dopo di lui, ci sarebbero stati dei falsi profeti, Maometto, riconoscendo che Gesù era un autentico profeta, è come se avesse ammesso che lui era un profeta fasullo! ;)
Ma questa non è una "aporia", bensì solo una dimostrazione di quanto Maometto fosse uno sprovveduto! ;D
Forse non ci vuole un profeta, ma tra me e me avevo profetizzato che avresti prodotto la risposta di cui sopra. il fatto è che non sta in piedi, la tua risposta intendo. E ora mi svelo, io non sono il dodicesimo Imam, bensì il duca Mistislav. Se entro le 5, beh, facciamo anche le 6 e trenta  ... che non si dica dopo che tratto male i miei prigionieri ... se entro le sette meno un quarto di domani non mi dirai perché non sta in piedi........ Uhm, forse è meglio non spaventarti adesso. Risparmiati comunque risposte che possano irritarmi
#393
Tematiche Filosofiche / Re: I "veri e i "falsi" profeti
01 Settembre 2024, 10:46:31 AM
Gesù: "sorgeranno falsi profeti",
Sigillo del profeta:"tutti i profeti che sarebbero venuti dopo di lui (Maometto) sarebbero stati dei falsi profeti",
La contraddizione sta, come ha detto anthonyi, nel risolvere un'ambiguità, cioè attribuendo a "sorgeranno falsi profeti" un senso esclusivo prodotto da quel "soltanto".
¿Come si spiegherebbe altrimenti che i musulmani ritengano Gesù un profeta? Mica sono scemi; ne annunciano peraltro un ritorno.
P.Q.M. Nessuna contraddizione
#394
L'ontologia produce necessariamente due vie che hanno a che fare con il principio di indeterminazione di Heisemberg. Da una parte si ricerca la posizione, ovvero l'ente in quanto tale, dall'altra la quantità di moto, ovvero dove sarà l'ente nell'istante futuro... Analogia giusta, o traveggola?
#395
@Phil
Grazie, era solo per curiosità. Quindi si tratta sempre di un'informazione data dall'ontologia, se l'ontologia è lo studio sull'essere dell'ente o più semplicemente lo studio dell'ente al fine di determinare da cosa l'ente sia mosso. Non capisco quindi cosa c'entri la scienza, la quale a mio vedere non avrebbe alcun primato sulla filosofia. E lo si capisce bene quando si consideri che il primo atteggiamento scientifico "arcaico" fu la teologia, il secondo la filosofia e il terzo la scienza. Come dire che da cosa nasce cosa. Ci sarebbe da fare un distinguo per la fede in Dio poiché in questo caso sarebbe irrilevante la ricerca terrena, ma ciò che alla fine rilega è solo un atto di fede. Io non nego la fede, negando bensì ciò che la fede ha prodotto complessivamente fino ad oggi con molti pregi e difetti; nego quindi il valore veritativo di tutte e tre le branche essendo fondate sul valore veritativo della lingua, del logos umano, nego cioè la consistenza del sostantivo che renderebbe sdrucciolevole il terreno sul quale si muove il discorso 
@Koba II
Hai ragione a rilanciare l'indagine ontologica dicendo:
"Si è detto giustamente che le cose non esistono ma sono aggregati che siamo spinti, per ragioni fisiologiche e culturali, a estrapolare dal tutto.
Rimane però la domanda sul perché si è scelto di leggere il mondo a partire da alcuni aggregati piuttosto che altri. La domanda non può trovare risposta dal solo lato del soggetto, dall'ontologia implicita della propria lingua, della propria cultura etc.".
Rispondo allora per l'ennesima volta, e che vale in parte pure per la cellula, che noi conosciamo solo ciò che è utile in funzione del nostro spavento di fronte alla morte futura (la cellula probabilmente ne sta fuori) e in funzione della nostra preoccupazione a stare in prossimità al piacere (anche benessere), ma più che altro distanti dal dolore (anche malessere). Altre ipotesi non vedo, ma siamo qui per valutare
#396
Citazione di: Phil il 30 Agosto 2024, 21:12:12 PMLe questioni risolte in modo perentorio non sono necessariamente tali solo per dogmatismo, anzi il dogmatismo è perlopiù un modo per non risolvere davvero una questione, ma solo per smettere di affrontarla (il che presuppone esattamente che non abbia già avuto chiara e condivisa risoluzione). Quando Koba II chiede se la filosofia «Apporta conoscenza oppure no? Studiando la tradizione arrivo a conoscere qualcosa del mondo...» e gli rispondo che «La risposta è già stata data (e viene per ora confermata) dalla storia» siamo all'antitesi del dogmatismo, ossia alla mera constatazione. Il dogmatismo ti dice «è così, fidati e non chiedermene le prove», mentre l'appello alla storia afferma «è (stato) così, se non ti fidi consulta pure le fonti storiografiche, sono pubbliche e in tutte le lingue». Nel dettaglio, il fatto a cui mi riferivo, ossia che «La filosofia ha contribuito alla conoscenza, in senso contenutistico, sempre meno; con il consolidarsi di discipline specializzate...» non è un dogma, ma un'evidenza storica (sempre fino a prova contraria).
Sul resto del tuo discorso, come detto, sostanzialmente concordo: restando pragmatici, considerando l'umana tendenza a «produrre attribuzioni di senso per questioni vitali»(cit.), non resta che essere governati da altri (o scendere in politica, oppure fare gli eremiti), con la consapevolezza che il passaggio "dall'utopia alla localizzazione", dalle promesse elettorali ai decreti, etc., comporterà inevitabilmente qualche boccone da ingoiare, non ugualmente amaro per tutti, proprio perché non siamo in un'utopia (e comunque non abbiamo tutti la stessa "bocca").


Non c'entra nulla col tuo discorso, essendone invece solo una conseguenza di quanto già stabilito. Bene. Devo dire che sei riuscito a spiazzarmi. Posso solo sperare che la formula che condivido (citandoti): "Il falsificazionismo funziona in ambito epistemologico, mentre in ambito esistenziale è inevitabilmente preda delle aporie proprie dei meccanismi di attribuzione di senso, la cui assolutizzazione è costitutivamente e strutturalmente u-topica", sia questa formula appunto e in un certo senso "farina del tuo sacco" e non sia invece già di dominio in ambito Accademico. Il mio timore infatti, già in quel nucleo di un dialogo che postai nel tema filosofico "esistenza e conoscenza" più di tre anni fa, veniva così espresso:
"- Caspita! Sicuramente hai fatto scoperte inaudite per produrre pensieri sì nebulosi. In ogni caso non mi hai ancora detto nulla.
- Perché ho paura che siano scoperte fasulle, tra l'altro sarebbe solo una la scoperta ... O peggio! Temo che lo sappiano tutti, la scienza intendo, e che anche sapendolo ciò non abbia prodotto nulla di fruttuoso ... E ti assicuro che si tratta senz'altro di una bella avventura psichica ... Naturalmente io non ho contatti con filosofi, antropologi, psicologi, neuroscienziati e via dicendo ... dico ... si fa presto a scambiar la luce della lampara per quella della luna.".
Quindi, nella malaugurata ipotesi che sia di dominio dell'Accademia, potresti fornirmi qualche succinta coordinata sulla disciplina che la formulò, sul modo e sul tempo storico in cui è stata accettata?
Fermo restando che tale formula sia comunque informativa e di natura filosofica, dato pure che io sono giunto alla medesima conclusione senza metodo alcuno che non sia quello selvaggio
#397
Citazione di: Phil il 30 Agosto 2024, 10:35:03 AMTemo tu mi abbia confuso con altri (forse iano?), non ti ho imputato un "dogmatismo ben celato" né altre posizioni. Su cosa accadrebbe in assenza di prospettivismo umano, siamo probabilmente d'accordo, ma di fatto l'uomo quel prospettivismo ce l'ha (o meglio, lo è).
Una premessa su Cacciari. Il suo porsi (video postato da Green demetr) potrebbe essere anche veritativo in senso forte. Non ho letto ancora il suo libro, ma una quindicina di giorni fa, sul tema del diritto alla cittadinanza, durante la trasmissione "in onda" Luca Telese si è rivolto a lui dicendogli espressamente: "Lei, che da riformista etc etc". Il professore ha bofonchiato qualcosa prima di rispondere e poi ha iniziato con: "Ci sarebbe semmai da decidere se io sia un riformista o un rivoluzionario".
Detto questo, non ho mai percepito accuse di essere un dogmatico, né da te, né da iano. La mia stizza era provocata dal tuo potenziale dogmatismo in questa tua affermazione: "La risposta è già stata data (e viene per ora confermata) dalla storia, al punto che diventa difficile riaprirla con un «secondo me...».". Se io leggo la frase senza dargli un senso non vi è traccia alcuna di dogmatismo, eppure io ho percepito un'astuzia ... è sembrato ai mie occhi cioè che tu avessi già cassato la questione (dogma). Fine del discorso. Ora ti mostri in accordo con me circa un generico prospettivismo umano. Sono andato quindi a rileggere con attenzione il tuo post 60 perché ricalcavi con altre parole quello che avevo detto ad Alberto nel post 59 circa il fatto che la scienza certifichi le sue verità attraverso un metodo, mentre in filosofia tale certificazione di fatto non ci sarebbe. E infatti così diceva il tuo pensiero: "Il falsificazionismo funziona in ambito epistemologico, mentre in ambito esistenziale è inevitabilmente preda delle aporie proprie dei meccanismi di attribuzione di senso, la cui assolutizzazione è costitutivamente e strutturalmente u-topica". È per me chiaro che noi si viva in questa "costrizione" , condizione dovuta probabilmente al fatto che nel qui e ora, a parte quando si agisce in automatico ci troveremmo sovente a produrre attribuzioni di senso per questioni vitali o dintorni. E così assolutizziamo la attribuzione di senso con la nostra azione in risposta, a volte urgente; e di fatto passiamo da un'utopia a un luogo. Proprio come quando si certificò la proprietà privata; di questo ne parlai un paio d'anni fa con anthonyi. Visto quindi che quando si dialoga si producono in risposta solo azioni verbali va da sé che queste siano ineluttabilmente assolutistiche. Ma questa sarebbe una certificazione del nostro essere irrazionali, o solipsisti, o soggettivisti. Non ti sembra? Ma se siamo tutti così che senso ha farci governare da altri "matti"?, sempre dando per scontato che allo stato attuale delle cose non si possa procedere che così. Cambiasse però almeno la prospettiva di azione anziché insistere ancora su quella via
#398
@Phil
Premetto che il mio post era poco meditato, innescato più che altro da un senso di stizza nei confronti del tuo dire che grazie all'ambiguità del logos umano aveva per me il sapore di un dogmatismo ben celato. Ovviamente la mia stizza è priva di qualsiasi fondamento, ma si manifestò.
Comunque possiedo una parziale comprensione del pensiero orientale (A.Watts e Suzuky) ed era proprio Suzuky a banalizzare la conoscenza umana in quanto semplice emanazione derivante dalla separazione del conoscente dal conosciuto. Forse non sarà la stessa cosa che separare "io" da "altro da me", ma secondo te,¿se non esistesse la percezione, la conoscenza, del dolore e del piacere, si attuerebbe la conoscenza? Non ci troveremmo invece di fatto in un luogo senza il problema che sarebbe responsabile del fatto che noi si attui tale separazione? Questa è la domanda che io pongo all'Essere, o anche all'esserci dato che si tratterebbe della stessa cosa, la cui risposta apre a due realtà ben distinte che implicherebbero, a mio giudizio, inauditi giudizi sulla giustizia e sull'etica.
Un vettore (la conoscenza che aspira a trascendere) abbisogna di intensità, direzione e verso e io rilevo un'intensità che va scemando e un verso errato, tutto qua
#399
@Phil 
Il fondamento dell'ipotetico "cuore della cosa" emerge dalla conseguenza di non rendersi conto che la separazione tra io e altro da me ("la cosa") non ha alcun fondamento.
La cosa non è un nulla perché se corro nella direzione di un muro mi fermo, tanto che sia fatto di mattoni quanto di atomi. Se fosse semplicemente "realtà esterna al mio corpo" come si sarebbe sviluppata la scienza? 
Il riaprire la filosofia con un "secondo me", come sta facendo peraltro Cacciari, ha senso perché probabilmente i grandi del pensiero erano asserviti alla propria condizione sociale. E qui emerge tutta l'ambiguità del logos umano. Un buon esempio è dato da Keines se non sbaglio quando disse che si rendono conto (gli economisti) che il capitalismo è brutto e cattivo, ma guardandosi attorno non vedevano nulla di alternativo. Arte del nascondersi! Da quando in qua uno che sta assettato in una comoda sedia metterà la prima pietra per privarsi magari di privilegi di cui gode? Suvvia, cerchiamo di non fare gli scolaretti 
#400
Citazione di: Alberto Knox il 26 Agosto 2024, 15:26:21 PMIn questo senso l'uomo può avere solo una conoscenza empirica del mondo.
Avrei pure da dire qualcosa sulla "rosa pristina" citata pure da Ipazia, ma ho ripreso questo perché coglie un punto nevralgico che koba ha cercato di spiegarti.
È vero, la conoscenza è limitata all'esperienza empirica.
Filosofia e scienza hanno lo stesso atteggiamento nei confronti del reale. Cercano di carpire una verità omnicomprensiva del moto. Però la scienza certifica le sue verità attraverso un metodo, mentre in filosofia tale certificazione di fatto non c'è. 
La conoscenza si attuerebbe comunque attraverso l'azione, attraverso l'empirismo. Gli è però che nella scienza si studia il "reale", mentre la filosofia studia tanto il reale quanto quanto le mappe (i discorsi sulla realtà, la doxa). Premesso quindi che pure la scienza si avvale dello studio di mappe, lo studiare del filosofo in quanto studio, azione di studiare, non può che produrre conoscenza, personale sicuramente, forse fuorviata, ma pur sempre conoscenza empirica. L'eventuale fine della ricerca filosofica non può quindi che derivare da una congiuntura tra i filosofi, e se questa non c'è non per questo bisognerebbe smettere di cercarla ... puoi sicuramente smettere di cercare, ma non in modo necessario per tutti
#401
Citazione di: Eutidemo il 28 Agosto 2024, 06:14:59 AMA mio parere, per quanto concerne il caso b), secondo me:
- dire "avremo indubbiamente 0 fette di torta";
- oppure dire che ci resterà una torta intera";
significa esattamente la stessa cosa!
***
Ed infatti, come insegna un antichissimo canto popolare, se una cosa non è a fette, vuol dire che è intera! :D
https://uploadnow.io/f/qHkc3GK
***
Un cordiale saluto! :)
***
Hai perfettamente ragione Eutidemo, e infatti non c'era alcun paradosso. Un saluto 
#402
Secondo me, Eutidemo, piu o meno come ha detto Dubbio, hai posto il problema in modo poco corretto: per il caso b) avresti dovuto dire "avremo indubbiamente 0 fette di torta" e non "ci resterà una torta intera". Un saluto 
#403
Citazione di: Koba II il 26 Agosto 2024, 13:27:34 PMSono d'accordo con te sia sul solipsismo che sullo spirito competitivo di coloro che si dedicano al sapere (basta pensare a personaggi come Eraclito e Parmenide, ma anche in Socrate si nota un certo disprezzo dell'altro, occultato dal sarcasmo – su ciò Nietzsche ci aveva visto giusto, come sempre).
Per quanto riguarda invece la questione del problema dell'adeguatezza del sistema di segni, si può interpretare l'uso della matematica o della logica formale proprio come tentativo (riuscito) di eliminare l'elemento simbolico e quindi ambiguo, infinitamente interpretabile, del linguaggio naturale.
Precisione straordinaria di un sistema destinato però ad essere incompleto (teoremi di Gödel), cioè a inglobare alcuni principi di cui il sistema stesso non può dar conto (anche qui: una specie di assenza di fondamento).
Quindi siamo destinati o al fraintendimento infinito del dialogo o ad una precisione semantica che però si basa sulla fede in alcuni principi di base. Dunque in ogni caso non c'è modo di costringere l'altro a convincersi dei nostri risultati.
In effetti la situazione è un po' paradossale, e se non sbaglio ne parla anche Cacciari nella conferenza postata da green demetr, riferendosi al mito della caverna: perché colui che ha ricevuto il dono di "vedere" torna indietro per liberare i prigionieri?
Altruismo o smisurata presunzione?
Cacciari, che conosco solo per la lettura e rilettura di "Metafisica concreta" (un grande libro di filosofia, veramente notevole), evidentemente crede nell'elemento politico della filosofia, e non si risparmia.

Anche!, al sapere, mi riferivo parlando di una generale attitudine umana alla logica dell'escalation che va dalle liti in ambito familiare, alle liti per strada, alle guerre tra mafie e guerre tra stati tanto per citarne qualcuna. Guerre o liti che con grande sforzo verrebbero in parte sedate in modi pacifici, soprattutto tra Stati, forse anche perché lì sarebbe più grande la distanza tra il vertice di Stato e l'individuo. E l'escalation pervade pure la produzione di tecnologie. ovviamente.
Detto ciò mi rendo conto che la matematica è una modalità del pensiero, ma dato che in filosofia la valuta corrente sarebbe ancora il verbo pretenderei dai risultati matematici almeno una traduzione, trasposizione, in forma verbale. Ti dirò tra l'altro che in passato fantasticai pure se potessero esserci delle analogie tra le operazioni fondamentali della matematica (+ - : x) compresi gli operatori come logaritmi etc e gli snodi in sequenza, ovvero i leganti che tengono in piedi i periodi (intendi analisi del periodo) di cui si costituisce un discorso.
Tralasciando, comunque possa essere e giusto per inquadrarti il mio pensiero, tutto è partito da una domanda che continuava a riaffiorare quando ero colpito da certe cose che vedevo, tanto per strada quanto nei media: perché la gente proclama di volere pace e giustizia e ottiene invece il contrario di ciò che vuole? Scommisi in fretta sul fatto che dovesse esserci qualcosa che non quadrasse nella nostra mente. Data la domanda va quindi quasi da sé che il destino della mia filosofia debba compiersi nella politica. Ma prima doveva comprendere. Doveva comprendere a fondo questa costante trasgressione dell'imperativo ipotetico di memoria kantiana. Una volta compreso, come riterrei di avere fatto, mi sono subito reso conto di quale fosse il nocciolo del problema. Ed è un problema che ha a che fare con la grande ignoranza, quella che comprende tutta l'umanità, eccezion fatta per qualche individuo che magari agisce per farla comprendere agli altri invece che sfruttarla solo per se stesso. Perché fintanto che non si riesca a comprendere l'infondatezza della separazione tra conoscente e conosciuto e realizzando di conseguenza la sinonimia tra conoscenza (consapevolezza) e realtà, nulla potrà accadere di buono, nessuno cambierà mai le proprie convinzioni più profonde. Questa separazione infatti, legittimata dalla struttura della nostra stessa lingua ingannatrice, pone il soggetto in una condizione per cui egli è del tutto legittimato ad affermare una superiorità della propria conoscenza sulla realtà rispetto ad altri, fatto che a volte può pure corrispondere al vero ... vien da dire purtroppo perché tale fatto altro non farebbe che rinforzare l'idea che vi sia una conoscenza superiore, laddove in realtà vi sarebbe solo una grande ignoranza collettiva da colmare. 
Penso infine che colui che torna a liberare i prigionieri, a meno che non gli passi per la testa che sia vano e quindi non lo faccia, lo faccia infine perché è sanamente egoista all'interno di un gruppo, come dire che comprende l'importanza dell'altruismo in subordine al proprio legittimo egoismo naturale, sempre ammesso che desideri veramente un po' più di pace e giustizia. Un inciso finale come se già non bastasse: il discorso egoismo/altruismo andrebbe anche valutato alla luce di eventuali differenze di intendere il reale che possano sussistere tra maschio e femmina, proprio perché è la femmina a gettare nel mondo la vita


#404
Citazione di: Koba II il 25 Agosto 2024, 14:57:21 PMOgni atto conoscitivo ...
Ciao, citandoti:
"Ogni atto conoscitivo comporta la relazione tra un soggetto e una cosa, tra un osservatore e un osservato.
Non esiste alcuna forma di conoscenza che possa trascendere questa relazione.
Porre il problema di come sia la realtà in sé, la cosa in sé, indipendentemente da ogni nostra possibile osservazione, è un errore, una contraddizione."
Sono d'accordo nella prima parte. Per la seconda parte, porre il problema di come sia la realtà in sé sarebbe a mio giudizio un errore fintanto che si consideri un approccio al problema come tu giustamente lo delinei così come vado a citarti:
"Per esempio quando noi ci domandiamo: come sarà in realtà la cosa che sto osservando ora, indipendentemente dalla prospettiva particolare con cui la sto guardando in questo momento? Di fatto stiamo costruendo un'immagine mentale che consiste nella cosa isolata in una specie di spazio vuoto."
Però, se io cerco di inquadrare la realtà o la cosa (essere umano in particolare) nella dimensione del divenire, ¿cosa posso dedurne?. Posso dedurne che nel manifestarsi del fenomeno, l'agente causativo che sta agendo nell'individuo, incerto ai nostri occhi, sarebbe incerto soprattutto perché la realtà, la cosa, mettono in scena un esperimento, inconsapevole a noi almeno fino a un certo punto, ma comunque esperimento la cui peculiarità sarebbe la sua irripetibilità ... poi ci sono i professionisti che generano degli artefatti, ma questo è un altro discorso ... Per dirla con Eraclito insomma, non ci si bagna due volte nello stesso fiume, ma la seconda volta probabilmente, non certamente, troverò ancora un fiume. E così mi chiedo: come reagirà il mio esserci (o essere?) nel secondo fiume? Posso risolvere la domanda rinunciando all'immobiltà dell'essere, subordinandolo al divenire e rendendolo così "permanente", ma con la possibilità di fluttuare istante dopo istante.
Citandoti ancora:
"Ma se la stiamo immaginando (la realtà) vuol dire, di nuovo, che la stiamo osservando (anche se solo interiormente), che è il nostro Io il soggetto che osserva, anche se fingiamo l'assenza di ogni osservatore.
Parlare di mappa e territorio si vede bene che in fondo non ha alcun senso."
Beh, nel mio caso sfondi una porta aperta visto che a mio vedere c'è coincidenza tra realtà e conoscenza, entrambe soggettive. E infatti, citandoti nuovamente:
"Se ci chiediamo poi se vi sia qualcosa che possa rappresentare una base, un fondamento, qualcosa che sappia indicare i confini di ciascuno dei due poli, l'osservato e l'osservatore, dobbiamo ammettere che non c'è alcun fondamento."
In realtà un fondamento c'è, ma lo vedo solo io e sarebbe il nostro solipsismo, inconsapevole!!. Proseguendo:
"L'Io sprofonda nell'inconscio, poi nel corpo, poi nei corpi e nei pensieri di coloro che ci hanno preceduti."
Giusto, infatti, fatta salva la conoscenza che deriva da esperienza personale il resto sarebbe tutto eterodiretto evidenziando una naturale prospettiva di escalation della conoscenza che si compie mettendo in competizione tra loro i partecipanti ed evidenziando chi possa saperne di più: corsa molto pretenziosa, che sicuramente ha prodotto molta tecnologia, ma assai poco in termini di filosofia. Nota: Abitudine all'escalation, altro tratto costante nelle vicende umane.
Quello che ti contesterei alla fine dei giochi è questo tuo dire:
"L'unica questione vera è la domanda sull'adeguatezza dei nostri discorsi non rispetto alla cosa così com'è nel suo puro isolamento, ma rispetto a come la cosa ci appare, a come essa si manifesta.
Il problema è l'adeguatezza dei segni linguistici scelti nel dar conto dell'osservazione che stiamo conducendo sulla cosa, osservazione che non può essere di tipo panottico, ma sempre relativa ad una specifica prospettiva."
C'è qualcosa che forse mi sfugge, ma se il problema fosse un uso improprio dei segni linguistici non posso certo credere che il problema sia questo. Può succedere nelle fasi iniziali di un dialogo, ma nel suo svolgimento ci si dovrebbe dar conto degli equivoci che emergono. E Cacciari? Non penso che il professore che pretende di mettere in discussione i paradigmi della filosofia moderna e contemporanea possa avere dialoghi con suoi pari in cui vi sia un uso improprio dei segni linguistici. Il problema sarebbe invece a mio vedere quello che ho già citato, ma che vedo solo io: il nostro solipsismo inconsapevole e pretenzioso oltre misura
#405
Citazione di: bobmax il 25 Agosto 2024, 10:24:37 AMSecondo me l'incertezza è doverosa. Proprio per quel "luogo" dove si agisce, che non può mai essere certo.

Però in cosa consisterebbe la certezza che manca?
Quale certezza sarebbe necessaria?
È forse una certezza logica?

Ma non è questo un assurdo?
Stiamo infatti parlando di ciò che sta a monte di ogni possibile logica.
È l'Essere!

E allora? Come essere certi?
Cos'è questa certezza, che prescinde da qualsiasi ragionamento razionale?

Perché qui non è più nemmeno questione di fede, bensì di certezza.
Infatti "chi crede non è ancora figlio di Dio"

La certezza può essere solo etica!
E l'etica nasce solo da te stesso, è te stesso.
Infatti tu sei Essere, che altro mai saresti...




Nel manifestarsi del non ancora manifesto ad essere incerto ai nostri occhi non sarebbe il luogo, bensì la causa per cui si manifesti un'azione in un luogo spazio temporale certo. Il problema per me tocca pure la fisica.
La certezza necessaria non riguarderebbe pertanto la cosa in sé, concetto fuorviante in quanto si pretende di trattarlo al di fuori del moto, cioè come se la cosa fosse un'immagine avulsa dal divenire e predicandola infine attraverso quello che non è, ma il perché l'eventuale essenza (possiamo anche richiamarla cosa in sé volendo) nel suo divenire sia ineffabile, e sarebbe questa certezza, sempre a mio incerto giudizio, di natura logico razionale