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Messaggi - cvc

#391
Tematiche Spirituali / Riforma e gesuiti
31 Ottobre 2016, 09:38:40 AM
Leggo sui siti d'informazione che Francesco vuole commemorare i 500 anni della Riforma. Sulle prime penso: Che Papa illuminato. Poi però mi sovviene che lo scoppio della riforma ha coinciso con la nascita della confraternita dei gesuiti, cui Francesco appartiene. Sono stati due diversi modi di reagire alla corruzione del clero. Quello luterano con la ribellione alla chiesa di Roma, e quello di Ignazio da Loyola col tentativo di recuperare i valori morali in seno alla chiesa di Roma stessa. Che dietro a questa apertura protestante si nasconda una svolta gesuita della chiesa?
#392
Citazione di: paul11 il 26 Ottobre 2016, 10:23:41 AM
Citazione di: cvc il 26 Ottobre 2016, 09:39:29 AMPaul, il problema è che è difficile o impossibile far sopravvivere il senso del sacro quando non è più incarnato in una persona. La borghesia non essendo stata riconosciuta dagli aristocratici ha spazzato via I re, ma anche la borghesia per espandersi e consolidarsi ha bisogno di un certo ordine, di quel collante che tiene disciplinate le masse che è il senso del sacro. Però, non essendoci più I re, tale sacralità si è tentato di trasferirla sui valori, sulle leggi, sulle tradizioni. Ma rimane sempre un vuoto laddove prima il sacro era incarnato in una persona. Ed è forse anche questo il motivo per cui I vari Mussolini, Hitler, Stalin hanno avuto tanto seguito non appena hanno innalzato il culto della loro persona. Ed è anche il motivo per cui tanti fanno chilometri e si mettono in fila per vedere il papa.

Cvc,
non si tratta di sacralizzare un qualcosa di materiale, perchè nel tempo della tecnica e della mediocrità della coscienza borghese chi
può metterla in ginocchio è solo l'ideologia ( nazismo, fascimso, comunismo) o la religione (Islam, Cristianesimo).
Perchè l'occidentale avverte lo scarto fra la propria coscienza e le domande esistenziali che la filosofia gli pone.
Se u ntempo, Dio,Patria e Famiglia ,erano i lSacro ora rimangono vestigia, e se la materialità de lvivere non trova nel pensiero un senso signifcativo la coscienza o si abbassa nella mediocrità animale oppure si eleva nell' "Urlo" di Munch

La borghesia sposta i valori dal sacro al materiale. ma attenzione anche lei ha necessità di costruire astrazioni, come Benessere o Progresso .Sposta la speranza e le motivazioni finalizzandole nell'esistenza, ma in quella stessa esistenza in cui la coscienza umana non è soddisfatta, non trovando senso, vale a dire la coscienza sente la differenza fra il proprio pensiero e i significati  che gli tornano dall'esperienza dell'esistenza. La volontà e la libertà si automutilano nella reiterazione delle prassi che non portano a nulla di nuovo sotto il sole , la coscienza  pone "  i remi in barca"  e il pensiero riflette nella teoretica nulla potendo nella prassi. e l'uomo vive quello scarto fra il pensiero riflettente e la vita esistente come schizofrenia nella propria coscienza. Ma perchè non è affatto razionale questa cultura esistente nelle pratiche umane.

Il culto della persona è tipico delle masse ignoranti applicabile con la psicologia della folla ad uso e consumo dei poteri che da sempre manipolano le folle e fin quando non aumenta la propria autocoscienza  e debella la propria ignoranza.........
Ma il culto del  Sacro , quello autentico la si ha nel momento in cui la propria coscienza armonizza il concreto e l'astratto , dove il Sacro è i riferimento dell'azione comportamentale e trova come soddisfazione alla propria coscienza che così rialimenta il percorso virtuoso.
Ma o è condiviso, allora ribadisco quel popolo è "forte"in quanto il collante è quel Sacro riconosciuto e identitario, oppure se l'etica sociale scade a livello individuale il saggio si chiude ne proprio "eremo"perchè è cosciente che non può incidere nelle prassi.: perchè il potere temendolo lo persegue, perchè la massa non lo riconosce e quindi è un isola nel deserto.
Il fatto è che alla fine (non io e te, ma la civiltà nel complesso) non ci stiamo capendo niente. Dal punto di vista materialistico l'organizzazione delle risorse, con annesso il problema non da poco della distribuzione della ricchezza, è continuamente proiettata al futuro. Ciò che ci preoccupa non è mangiare oggi (quello, tranne i casi più disperati, ce l'abbiamo) ma il fatto di aver la pancia piena per il resto dei nostri giorni (che ci adoperiamo siano numerosi il più possibile). Così viene meno, a mio parere, il presupposto della vita spirituale: vivere al presente. Gli ebrei fecero scorta di manna, Dio gliela fece marcire.
D'altro canto il discorso tecnico prosegue di propaggine in propaggine, per cui per risolvere un problema nuovo occorrono ulteriori nuovi termini tecnici. Quindi il mondo si ritrova suddiviso in scompartimenti stagni, ciascun settore dei quali ha un proprio linguaggio specifico che lo rende incomunicabile agli altri. L'unica universalità è rappresentata dal linguaggio tecnico della matematica che, ovunque ci sia possibilità di numerazione, trova campo di applicazione dei suoi assiomi e teoremi. Dove però poi ci si accorge che, ahimè, ad esser tagliato fuori è proprio il campo delle virtù umane. Materia che brancola allo sbando, come un cane senza padrone, fra lo scibile delle competenze tecniche della civiltà della tecnica.
#393
Green, il discorso sul bene e sul male per essere efficace  deve essere meno teoretico e più pratico. Il problema morale ha si bisogno di un certo grado di astrazione, del resto la capacità di astrazione è ciò che ci permette di risolvere I problemi ed è il motivo della superiore capacità di adattamento dell'uomo sulle altre specie. Ma il discorso morale non deve mai perdere di vista la sua funzione: sapere cosa è bene e cosa è male in funzione del sapere come agire. E' un discorso strettamente legato alla volontà ed alla libertà, se la volontà è libera ha un valore, altrimenti la nostra vita non è che un agitarsi inutilmente. Ma perchè volontà e libertà abbiano un valore, devono retroagire sulla coscienza. E' quindi necessario avvertire il peso della coscienza quando reputiamo che il nostro agire sia sbagliato, sempre nella prospettiva di potere, grazie alla libera volontà, redimerci daglii errori. Questo aspetto l'ha colto in pieno il cristianesimo (che fra l'altro brilla erroneamente di luce propria, vedi scuola di Tubinga) ed è uno dei motivi del suo successo; ha dato all'uomo la posibilità di essere egli stesso (sia pure per intercessione divina) l'artefice del proprio destino, in barba a tutti I poteri che lo dominano sulla terra.
Il motivo dell'insuccesso della psicanalisi è stato forse quello di non saper uscire dal paradigma della malattia, di non aver saputo mostrare chiaramente cosa sia l'uomo sano.
Il nichilismo ed il post-modernismo non mi convincono perchè non riescono a scendere dalla loro torre intellettuale e per quanti difetti abbia continuo a preferire il cristianesimo come male minore. Il quale non andrebbe inteso solo come fenomeno sui generis, ma piuttosto come anche sintesi della storia che l'ha preceduto, e che paghi quindi I suoi debiti col paganesimo - da cui ha tratto gli esercizi spirituali - e col neoplatonismo. Il dogma della trinità dovrebbe avere il copyright di Plotino



Paul, il problema è che è difficile o impossibile far sopravvivere il senso del sacro quando non è più incarnato in una persona. La borghesia non essendo stata riconosciuta dagli aristocratici ha spazzato via I re, ma anche la borghesia per espandersi e consolidarsi ha bisogno di un certo ordine, di quel collante che tiene disciplinate le masse che è il senso del sacro. Però, non essendoci più I re, tale sacralità si è tentato di trasferirla sui valori, sulle leggi, sulle tradizioni. Ma rimane sempre un vuoto laddove prima il sacro era incarnato in una persona. Ed è forse anche questo il motivo per cui I vari Mussolini, Hitler, Stalin hanno avuto tanto seguito non appena hanno innalzato il culto della loro persona. Ed è anche il motivo per cui tanti fanno chilometri e si mettono in fila per vedere il papa.
#394
Attualità / Re:I vecchi han lasciato le briciole?
24 Ottobre 2016, 13:28:24 PM
Citazione di: mchicapp il 23 Ottobre 2016, 12:00:13 PMquelli che adesso sono attempatelli (e le novero mi ci metto pure io) quando erano stati giovani non avevano molta difficoltà a trovare lavoro. bastava avere un titolo di studio e un lavoro di tipo impiegatizio - alle poste o alle ferrovie (come diceva una vecchia canzone) - non lo si negava a nessuno.
ma anche con la terza media - la scuola dell'obbligo finiva lì - si poteva trovare un lavoro. non era infrequente trovare cartelli sulla porta dei negozi su cui c'era scritto "cercasi commessa massimo sedicenne".
chi non voleva studiare poteva trovare una immediata collocazione.
c'era lavoro e non c'erano abbastanza persone per soddisfare tutte le esigenze, specialmente nel campo dell'informatica, ma non solo.
inoltre gli attuali cinquanta/sessantenni erano stati allevati con più severità. se un professore metteva un due, l'adolescente di allora sapeva perfettamente che da parte dei genitori avrebbe trovato altre sgridate. a parte poche eccezioni, a nessun genitore dell'epoca sarebbe venuto in mente di difendere il proprio figlio.  gli attuali cinquantenni erano più strutturati, non si piagnucolavano addosso e non erano bamboccioni.  
quelli che non erano strutturati ed erano tendenzialmente deboli, fragili e viziati erano stati spazzati via dalla eroina, che ha imperversato per circa un ventennio. poi è stata la volta della cocaina.  non escludo affatto che molti cinquanta/sessantenni ne abbiano fatto uso e magari continuino ad utilizzarla.  ma questo è un altro discorso.
i giovani attuali sono in effetti mediamente più viziati, fragili, piagnucolosi.
c'è anche da dire che anche tra gli attuali cinquanta/sessantenni ci sono persone che stanno peggio dei loro genitori. dipende dal tipo di lavoro e dalle entrate dei loro genitori.
io, per esempio, economicamente sto peggio di mio padre, ma mediamente sto decisamente meglio di un trentacinquenne disoccupato. e stavo meglio di un trentacinquenne disoccupato anche quando io avevo trentacinque anni.  
posso dire però che nella stragrande maggioranza dei casi i figli trentacinquenni delle mie amiche non se la passano affatto male. chi ha preso una laurea prestigiosa e magari conosce  benissimo l'inglese e ha preso pure un master da qualche parte lavora e la sua retribuzione è piuttosto elevata.
i tagliati fuori sono i trentacinquenni viziati, inetti e che non hanno conseguito un titolo di studio appetibile.
sono tanti. la colpa è di genitori troppo indulgenti e protettivi
Secondo me i giovani stanno vivendo con una visione del mondo edulcorata, io la chiamo la "stai sereno politik": stai sereno che tanto ci penso io. I giovani sono stati deresponsabilizzati, gli è stata offerta una visione fasulla di un mondo facile, dove siamo tutti rock star, dove non bisogna prendersi a cuore niente, dove la felicità personale è il must da seguire ad ogni costo, ancor prima di sapere cosa sia questa felicità. I giovani sono stati inquadrati dal mondo della produzione dei beni si consumo: ne ha studiato i pensieri, le emozioni, i punti di riferimento, i bisogni. Hanno predisposto tutti, l'evoluzione della persona è inquadrata in termini di potenzialità di consumo e non di sviluppo personale. L'età in cui si comprano i giocattoli e i vestitini firmati, poi quella del primo smartphone, quella delle feste al MacDonald, quella dei videogiochi che si chiamano "mafia", quella della prima auto, quella in cui devi darti una mossa per trovare un lavoro sempre più schifoso per via dello stesso consumismo che ti ha allevato.
Io spero solo che prima o poi riusciranno ad aprire gl'occhi
#395
Sgiombo, sul discorso della filosofia come prassi e sulla percezione diretta abbiamo pareri diversi e, come intelligentemente dici, non vale la pena insistere ulteriormente dato che presumibilmente ognuno rimarrebbe comunque sulla propria posizione.
Forse converremo invece che se è vero che è impossibile dimostrare che giustizia e libertà sono valori cosmici (seppure nella premessa che li intendiamo tali per gli esseri con intelligenza simile alla nostra), d'altra parte se ci togliamo questi, che ci resta?


Green, sicuramente Nietzsche ha dato un notevole impulso filologico alla filosofia antica, in un epoca dove lo storicismo spingeva ad interpretare il mondo antico sempre col senno di poi, guardandolo con lenti ad esso posteriori e sistematizzandolo secondo criteri ad esso sconosciuti. Vizio ben radicato pure nei nostri tempi. In particolare la critica contemporanea tende sempre ad ignorare il traumatico passaggio dalla cultura orale a quella scritta, e da alla filosofia antica un'intellettualità (nel senso di una rigorosa organizzazione sistematica del pensiero figlia della scrittura) che spesso non possedeva, laddove la filosofia era più esercizio meditativo-contemplativo che conoscenza  sistematica. Nietzsche ha tentato di riportare in auge il valore dell'oralità, con parole che intendono evocare oltre il senso scritto delle parole.
Il tema del riconoscimento del male insito in ognuno di noi è stato spinto a fondo dal cattolicesimo, dove però si presta a pesanti strumentalizzazioni, come I templari che dovevano uccidere per rimettere I propri peccati, con San Bernardo che li esortava quindi ad uccidere con tranquillità, in buona coscienza. Bene e male sono in continua lotta fra loro, e noi siamo il loro campo di battaglia.

Phil, il problema della verità assoluta sorge quando la filosofia da teoria diventa prassi. Un conto è se vivo con delle convinzioni che considero assolute (magari anche fino a prova contraria) ma non pretendo la stessa cieca devozione dagli altri, vuoi perchè sono tollerante verso il fatto che non la pensino come me, vuoi perchè reputo la diversità un valore. Ma ciò non inficia che io possa intimamente credere a delle verità per me incrollabili. Però se credo che, dato che io la penso così, allora anche gli altri devono pensarla come me, senza nemmeno considerare l'eventualità di un compromesso fra punti di vista diversi, allora nascono I problemi. Il problema non è credere a qualcosa in modo assoluto, il problema è voler estendere tale assoluto sugli altri. La filosofia nasce come conoscenza dell'universale in senso contemplativo, è da Platone in poi che si è pensato di usare la filosofia per comandare.

Le correnti filosofiche nichilistiche e postmoderne non mi hanno mai interessato perchè non vi ho mai intravisto nulla di interessante. Il che può senz'altro essere una mia lacuna. Pur conoscendo poco di questi pensatori, tuttavia, più che un recupero anche attualizzato dei valori pare emerga più una visione solipsista, un individualismo che non mette d'accordo nessuno se non sul fatto che i benefici derivanti dal rispetto dei valori diventa una questione arbitraria e utilitaristica.
#396
Sariputra e Acquario, a me piace pensare che se l'intera civiltà andasse distrutta, e ne sorgesse un'altra del tutto ignara dell'esistenza della precedente, ancora si fonderebbe - o meglio tenterebbe di fondarsi - sugli ideali di giustizia, libertà, uguaglianza, solidarietà.

DrEvol, ho una sensazione simile ad una sorta di ritorno a casa quando, dopo tante elucubrazioni, si torna a parlare di un'interiorità dell'uomo (anima, io, identità...) e si pensa che è in questa interiorità che si svolge il "gioco" della vita: distinzione fra ciò che dipende da noi e ciò che non dipende da noi. Il che sottintende che c'è qualcosa che dipende da noi e non siamo cocci di navi spezzate alla deriva, totalmente in balia dell'inconscio (questo vento impazzito) e del caso (mare sinistro).
#397
Sgiombo, il passaggio della filosofia da teoria a prassi, da mezzo per capire il mondo a mezzo per trasformarlo ha coinciso con il porre l'economia al centro dell'uomo. Il marxismo, il socialismo, sono filosofie che pure nei loro ideali ugualitari finiscono col porre la questione economica al centro di tutti i problemi, laddove la filosofia è nata come fenomeno spirituale. Materialismo storico se non erro significa proprio questo: storia dell'uomo = storia dell'economia.
Quanto alla ragione come ancella del sentimento, io nemmeno credo sia il sentimento ancella della ragione. Non ci sono ancelle e padroni, semplicemente perché ogni fatto umano è una concatenazione inseparabile di ragione e sentimento. Il fatto è che, non credendo nella percezione diretta, tutto ciò che pensiamo è già stato etichettato dal linguaggio e dal raziocinio, e il cambiate le etichette (i nomi) influisce sul nostro sentire. Tutto ciò che non ha etichetta è inconscio. Sul fatto l'inconscio ci domini, sono d'accordo, ma in modo indiretto. La ragione determina la nostra volontà nel momento in cui distingue cosa desiderare e cosa evitare, e ciò avviene a livello conscio.

Green, non è questione di terrore nel vedere i valori tradizionali cadere a pezzi. Le grandi filosofie ellenistiche - cinismo, stoicismo,epicureismo, scetticismo - sorgono proprio nel momento in cui, dopo Alessandro Magno, cadono i valori della polis e la grecità si mescola alle altre culture. C'è un qualcosa in comune con la globalizzazione attuale, l'uomo capisce che non può più identificarsi con lo stato e le sue leggi, così cerca l'autarchia, l'autonomia spirituale. Così nasce l'ideale del saggio, che rimane imperturbabile anche se il mondo gli crolla intorno. La differenza è che oggi la filosofia non offre mezzi per affrontare questa sconcertante caduta di valori, perché è divenuta prassi economica o scientifica anziché spirituale. Laddove si auspica un risveglio dell'uomo non sotto le insegne dei valori di giustizia e libertà, ma alla luce dell'ideale del filosofo che distrugge tutte le verità condivise e se ne compiace, ignorando di essere figlio di ciò che distrugge, non so che dire.
#398
Io non capisco. Secondo voi sono tramontati i valori morali tradizionali, le virtù cardinali, la fede nella ragione, e pensate che debbano essere archiviati e sostituiti con nuovi valori. Oppure che si debba filosofare nella consapevolezza di non poter mai arrivare ad alcun valore riconosciuto, eppure bisogna continuare a filosofare, filosofare, filosofare.... La critica a cui alludete è quella della decostruzione. Ma tale pensiero, che fa una grande impressione, non è altro che una antitesi che per reggersi ha bisogno della tesi cui si oppone.  Se eliminate le virtù, non ha più alcun senso nemmeno la critica dei valori tradizionali. Questa decostruzione non è un distruggere per ricostruire. Distrutti i valori che hanno guidato la civiltà per millenni, non ce ne sono altri con cui sostituirli. Perché quei valori non sono il frutto della pura arbitrarietà, ma sono ciò che è emerso dall'uomo data la sua struttura fisica e mentale. La dimostrazione è che per quanto la tecnologia abbia cambiato il mondo, i valori dell'uomo sono sempre quelli. La corruzione, l'odio, l'ingiustizia, la violenza, l'inganno, c'erano ai tempi più antichi e venivano percepiti allo stesso modo: anche 2000/3000/10.000 anni fa gli uomini si innamoravano, di risentivano, si disprezzavano, ma anche solidarizzavano e collaboravano come adesso. Cambiano gli apparati, ma non lo stato d'animo di fondo. Ed il paradosso è che Nietzsche è considerato l'emblema della filosofia moderna, ma quello che ha scritto lo ha tratto dalla filosofia antica. Senza quei valori che critica, che vorrebbe distruggere, di Nietzsche non rimane niente. La ragione è l'ancella del sentimento? Ma senza la ragione che gli da un senso ed un significato, che ne è del nostro sentire? I valori cadono perché le strutture le li incarnano, gli stati, le repubbliche che li sintetizzano nelle loro costituzioni e nelle loro leggi, più o meno imperfettamente, sono sempre più soppiantati da interessi che sfuggono alle loro sovranità. Le multinazionali contano più degli stati, coi loro ideali di giustizia. Gli ideali delle multinazionali sono la tecnologia e la crescita economica. Ideali che l'uomo, la filosofia non riesce a contrastare. E questo è il fallimento della filosofia moderna e contemporanea.
#399
Citazione di: sgiombo il 21 Ottobre 2016, 16:09:25 PM
Citazione di: cvc il 21 Ottobre 2016, 12:15:23 PM
Allora una volta la via della ragione era quella che doveva condurre alla pace dell'anima; ora invece conduce alla costruzioni di apparati tecnologici che puntano a sostituire sempre più uomo. Hawking profetizza un domani in cui gli androidi ridurranno l'uomo in schiavitù.
Citazioneinvece per parte mia profetizzo l' estinzione "prematura e di sua propria mano" dell' umanità (oltre che, sempre per mano umana, di moltissime altre specie viventi, cosa già in atto; e strettamente correlata) a causa dell' irrazionalità degli assetti sociali vigenti (e a meno che si verifichi il caso -ipotizzabile attraverso uno sforzo estremo di ottimismo della volontà- che non vengano superati per tempo); essi infatti impongono inevitabilmente la concorrenza fra unità produttive (imprese private) reciprocamente indipendenti, determinando la crescita tendenzialmente illimitata della produzione di beni direttamente o più o meno indirettamente materiali (merci) in un ambiente dalle risorse materiali e dalla capacità di metabolizzare gli effetti dannosi delle produzioni stesse e dei rispettivi consumi realisticamente (e non fantascientificamente o secondo l' ideologia scientistica) limitate.
Ma anche l'irrazionalità degli assetti sociali vigenti si potrebbe considerare una conseguenza del delegare alla tecnologia da parte dell'uomo. Poiché in qualsiasi contesto la quantità di informazioni e variabili è tale da poter essere gestita solo con l'ausilio di algoritmi, quindi la ragione umana ne esce sclerotizzata. La crescente quantità di informazioni che siamo costretti a gestire quotidianamente è una conseguenza dell'informatica come paradigma della nostra vita. Dobbiamo somigliare ai computer, perché sono più efficienti dell'uomo. I computer sono stupidi ma velici, quindi possono gestire enormi quantità di dati simultaneamente. Lo stesso si pretende sempre più anche dall'uomo, ridotto ad imitazione mal riuscita della macchina. L'efficienza domina, la creatività riposa in pace.
#400
Ciò che è cambiato nei tempi è lo scopo della razionalità. Secondo la filosofia classica ed ellenista, la razionalità (Eraclito e gli stoici arrivarono persino ad identificare la ragione con Dio) era la strada per raggiungere la tranquillità dell'anima, cioè per raggiungere la condizione, se non divina, simildivina del saggio, colui che ha realizzato alla perfezione la ragione. Dice infatti Seneca che l'unica differenza fra il saggio e Dio è la durata della propria esistenza, ma poichè la condizione di assoluta pace dell'animo è identificata nella perfezione, la perfezione per definizione non ha bisogno di altro, quindi nemmeno dell'estensione della propria esistenza. Questa concezione di razionalità, ovviamente diversificata in base alle interpretazioni della vita e del mondo a seconda delle differenti filosofie, è comunque pressochè una costante delle filosofie antiche. Tutte, pur nelle loro dispute, erano convergenti sulla necessità di coltivare la virtù (la realizzazione della ragione perfetta), di trovare la pace interiore. Ma se ci soffermiamo su ciò che essi intendevano per virtù, cioè la realizzazione perfetta della ragione, troviamo che Platone e gli stoici, oltre ai cristiani di ispirazione plotiniana ambrosiana, identificarono questa perfezione nelle quattro virtù cardinali: saggezza, giustizia, coraggio, temperanza. Ora, pensando a ciò che intendiamo per razionale ai tempi nostri, con cosa identifichiamo la ragione perfetta? Non forse con la tecnologia? Allora una volta la via della ragione era quella che doveva condurre alla pace dell'anima; ora invece conduce alla costruzioni di apparati tecnologici che puntano a sostituire sempre più uomo. Hawking profetizza un domani in cui gli androidi ridurranno l'uomo in schiavitù.
#401
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
19 Ottobre 2016, 14:24:05 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 19 Ottobre 2016, 14:10:34 PM
Citazione di: cvc il 19 Ottobre 2016, 13:55:39 PM
L'esistenza dell'oggettività si può dimostrare per assurdo. Se non esistesse nulla di oggettivo, non potrebbero esistere le strade, le case, le città, in generale niente di ciò per cui sia necessaria la collaborazione e la reciproca comprensione. Non esisterebbe il linguaggio. Il problema sorge quando si vuole dare all'oggettività un significato assoluto. L'oggettività è più una convenzione che un principio inattaccabile. Probabilmente l'oggettività esiste solo all'interno del linguaggio, dove si è generata. Quindi non possiamo osservarla nel mondo esterno se non indirettamente. Vale a dire, è perché gli uomini reputano, attraverso il linguaggio, alcune cose oggettive che esistono strade, case, ecc.
Non mi sembra che il senso dato da Apeiron al discorso fosse quello di discutere di oggettività non assoluta. Che senso ha dire che l'oggettività si può dimostrare e dopo aggiungere che però la intendi in modo diverso? Io posso dire che un cane è un gatto e poi aggiungere: sì, ma io attribuivo alla parola "cane" il significato di "gatto". Mi sembra che procedere in questo modo serva solo a cambiare le carte in tavola, creare confusione che non serve a nessuno.
Si parlava comunque di oggettività. Il senso di quello che ho detto è che l'oggettività è una convenzione del linguaggio. Non mi sembra di aver confuso niente.
#402
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
19 Ottobre 2016, 13:55:39 PM
L'esistenza dell'oggettività si può dimostrare per assurdo. Se non esistesse nulla di oggettivo, non potrebbero esistere le strade, le case, le città, in generale niente di ciò per cui sia necessaria la collaborazione e la reciproca comprensione. Non esisterebbe il linguaggio. Il problema sorge quando si vuole dare all'oggettività un significato assoluto. L'oggettività è più una convenzione che un principio inattaccabile. Probabilmente l'oggettività esiste solo all'interno del linguaggio, dove si è generata. Quindi non possiamo osservarla nel mondo esterno se non indirettamente. Vale a dire, è perché gli uomini reputano, attraverso il linguaggio, alcune cose oggettive che esistono strade, case, ecc.
#403
Citazione di: Sariputra il 19 Ottobre 2016, 11:56:37 AM
"Beato chi sa ridere di se stesso, perché non finirà mai di divertirsi". (Agostino d'Ippona)

La maggior parte delle persone ha la capacità di ridere degli altri, ma davvero pochi sanno ridere di se stessi. Chi sa ridere di se stesso dimostra di essere libero dai giudizi altrui, perché non mette al centro di tutto il proprio ego e perché ha la capacità di rovesciare una situazione drammatica, cogliendone il lato umoristico. Un altro motivo per cui molte persone non sanno ridere di se stesse è perché si sentono sempre in competizione con gli altri. Se avvertono la sensazione di essere attaccati reagiscono a loro volta con un attacco, arrabbiandosi, offendendosi o con un atteggiamento di difesa, diventando quindi troppo seri o chiudendosi in se stessi. In questi casi una buona dose di autoironia, magari accompagnata da una sincera risata, neutralizzano il nemico rendendolo nostro complice.
Il non prendersi sul serio è una forma di filosofia. Se si minimizza se stessi, si minimizzano anche le proprie ansie, sofferenze, angosce. Difatti Marco Aurelio, ricercando l'apatia stoica, nei suoi discorsi con se stesso si richiamava a riflettere sulla banalità ed estemporaneità della vita: Prima un po' di muco, poi scheletro o cenere; i cibi prelibati sono cadaveri di animali, il sesso è sfregamento di pelle ed emissione di un po' di muco; tutto si dissolve nell'eternità.
Quanto al ridere, è un atto spontaneo. Certo uno può sforzarsi per ridere un po' di più anche di se stesso, ma i comici sanno bene quanto in realtà sia difficile far ridere. Inoltre, se non è un luogo comune, si dice che spesso i comici sono intimamente tristi. Certo ridere di se è spesso una liberazione. Forse, per dirla alla Bakunin, un giorno una risata ci seppellirà. Ma credo che ciò potrebbe avvenire, ad esempio, nell'accorgersi di quanto sia ridicola la nostra convinzione inconscia di vivere per sempre. Convinzione, per altro, necessaria alla vita.
#404
Attualità / Re:I vecchi han lasciato le briciole?
19 Ottobre 2016, 09:40:06 AM
Citazione di: paul11 il 19 Ottobre 2016, 00:13:47 AM
I vecchi lasciano il loro patrimonio che i figli si pigliano.
Le ultime tre generazioni hanno vissuto tempi storici diversi.Schematizzando, una è uscita dalla guerra, l'altra era nel boom economico e ora c'è, rispetto a prima, una stasi.
Le nuove generazioni sono mantenute dalle vecchie che hanno potuto acquistare case, risparmiare, mi riferisco allo strato popolare.Oggi assistiamo alla lotta per mantenere quel risparmio e permettere ai figli di poter avere una vita migliore dei loro genitori:l'illusione del progresso socio-economico seminato dagli anni Settanta in poi in Italia.

Comunque è vero che non c'è una giustizia sociale fra la capacità di costruzione e di redistribuzione del reddito, così come di creazione di lavoro e suddivisione del lavoro in maniera più equa possibile.

Ho la netta sensazione che lavoro= reddito sia una relazione che è entrata in crisi e forse verrà superata.

Se le vecchie genreeazioni non avessero mantenuto i figli, ci sarebbe già stata probabilmente  una rivolta sociale.
Forse non è nemmeno tanto giovani contro vecchi, ma piuttosto giovani di una volta contro giovani di adesso. Ed ogni generazione tende ad essere sempre più egoista e a non pensare a quelli che verranno dopo.
#405
Percorsi ed Esperienze / Re:Crisi esistenziale
19 Ottobre 2016, 09:11:08 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 19 Ottobre 2016, 01:45:13 AM

Sono in profondo disaccordo con chi ti ha consigliato di smettere di pensare. Che senso ha autoamputarsi di una delle migliori facoltà che abbiamo come esseri umani? Il problema non è pensare, il problema è che ci sono modi sbagliati di pensare. Sono sbagliati i modi di pensare che ti fanno girare in tondo, senza mai uscire da un cerchio di idee che non accetti di modificare, magari senza accorgertene. Sii disposto a modificare, migliorare, far progredire qualsiasi tua idea; non esistono idee che non possano essere cambiate in meglio.


Penso tu ti riferisca al mio intervento. Con esso non intendevo dire che bisogna rinunciare a pensare in senso lato, ma solo in quei casi in cui i nostri pensieri giungono ad un binario morto, per cui ogni ulteriore sforzo di pensiero risulta non solo inutile, ma persino dannoso. È un po' come la sindrome di Einstein, si continuano a fare (pensare in questo caso) le stesse cose credendo di poter ottenere risultati diversi. Occorrerebbe seguire le fasi del processo creativo: raccolta di informazioni - incubazione - illuminazione - verifica ed organizzazione.
La soluzione dei problemi viene solitamente dalla fiamma dell'intuizione ed è razionalizzata a posteriori. Occorre dunque preparare razionalmente il campo all'intuizione.